L’ULTIMO CAVALIERE DELLA PIETRA
CAPITOLO QUINTO
Nell’ospitale ogni
giornata era uguale alla precedente.
Sianna le passava distesa sul letto a contare i nodi del legno nelle
travi del
soffitto o a infastidire Gael tirandogli le piume, se il falco restava
nei
dintorni. Non si parlava molto, tra gli ospitati, c’era come
una sorta di
rispettoso, tacito accordo secondo il quale non si doveva invadere il
dolore
altrui. C’era silenzio da quando Irwin, il viso
più familiare che avesse in
quella stanza, se ne era andato.
Era morto la mattina stessa della
commemorazione, quando
Sianna era rientrata nella camerata semplicemente l’uomo
già non respirava più.
Nessuno tra i malati aveva detto nulla o fatto qualcosa e Irwin era
soffocato
nel sonno. C’erano state altre commemorazioni dopo quella, ma
lei aveva preso parte
solo alla successiva, per poter dare a quell’uomo il suo
lumino, la sua guida
nell’Aldilà. La confortava sapere che almeno ora
non era più lontano dai suoi
figli.
Una mattina era arrivato un
ragazzino ferito gravemente,
insieme ad un bambino che sì e no aveva avuto quattro anni,
erano rimasti lì
poco nulla, perché infine il ragazzo era morto dopo ore di
agonia per Sianna
insopportabili. Quel giorno finalmente era riuscita a scambiare qualche
parola
con una donna in età avanzata, dal volto sfregiato e priva
della mano destra, e
il perché di tutto quell’orrore a cui ogni giorno
assisteva aveva iniziato ad
avere un senso.
«Sono i Peith»
aveva semplicemente chiarito la
sconosciuta, il cui nome apprese in seguito essere Rhona,
«Sono sempre i Peith.
Si stanno rivoltando, ci stanno massacrando»
Ci aveva rimuginato sopra a lungo,
nelle ore tediose del
suo tempo libero. I clan Peith non si erano mai ribellati, mai da
quando lei
era venuta al mondo almeno, e non aveva mai pensato che potesse
verificarsi una
simile realtà. Una guerra civile le era inconcepibile,
nonostante tutto il
sangue e il dolore che le scorreva costantemente davanti senza bisogno
che
lasciasse il suo letto sicuro.
Quando iniziò a stare
meglio le fu concesso di
abbandonare, per qualche ora, quella stanza claustrofobica sempre
costantemente
piena di persone sofferenti. Puzzava di mandorla, l’odore che
aveva imparato ad
associare alla cancrena, e sentiva sempre in bocca il nauseante sapore
della
ruggine. Allora sedeva nel prato del cortile interno, a respirare le
erbe
aromatiche che venivano coltivate e a guardare il cielo grigio fumo
della calda
stagione. Le sue amiche la raggiungevano, quando finivano le lezioni
pomeridiane che seguivano insieme ai novizi sacerdoti che ancora non
avevano
preso i voti, e le raccontavano le storie delle divinità, le
cantavano le
canzoni che avevano imparato o, semplicemente, restavano distese con
lei
nell’erba, in silenzio.
«Non me lo avete mai
detto, che è stato un Clan Peith ad
attaccarci. Cosa sta succedendo?» borbottò una
volta.
Aveva gli occhi chiusi e si godeva
il vento leggero che
le scompigliava i capelli e le accarezzava le guance. Stranamente il
sole era
visibile e stava bene coperta solo dalla sottoveste bianca a maniche
corte. Il
braccio le faceva sempre un male tremendo, ma i morsi dispettosi della
ferita
si erano fatti meno spietati, nel tempo.
«Non lo sappiamo. Glenn
Dubhar è stato solo l’inizio, ma
da quel giorno molti altri villaggi Dravidi sono stati attaccati. Ynyr
non
voleva che lo sapessi.»
Sianna si morse le labbra, poi
sbuffò esasperata «è una
cosa stupida»
«Lui è
stupido, non è una novità. Ma dirtelo non
cambiava
le cose» le fece presente Kea, pratica come sempre. Tra lei e
suo fratello
c’era sempre stato un rapporto strano e delicato per cui Kea
restava l’unica
persona al di fuori della famiglia che potesse esprimersi in tutta
franchezza
negativamente su di lui senza rischiare di essere trucidata.
«E voi siete ancora
più stupide perché lo ascoltate
ancora»
La sua migliore amica
scrollò la testa «Lo sai come la
penso. Nel vostro rapporto contorto non ci voglio entrare»
«Nessuno ci vorrebbe
entrare» aggiunse Lisy con un
sorriso leggero «Siete impossibili»
«Sono due idioti,
è diverso» fu la conclusione lapidaria
di Iris. Sianna si passò la mano sana sul volto a
stropicciarsi le palpebre.
Aveva delle occhiaie profonde e una grande stanchezza addosso, dovuta
al fatto
che più dormiva più era stanca e voleva dormire.
Forse, semplicemente, non
vedeva l’ora di abbandonare l’ospitale e la nenia
di lamenti che le faceva da
corredo notturno ogni giorno. C’era da impazzirci.
«Grazie mille, davvero.
Ogni volta mi ricordate di non
dimenticarmi di chiedermi perché diavolo butto il mio tempo
con voi!»
Mari si lanciò
letteralmente sul suo stomaco,
strappandole un informe suono strozzato «Perché
hai bisogno di qualcuno che ti
legga la mano!» le disse raggiante trattenendo le risa.
Sianna guardò
stralunata Marion, ancora una bambina, con i capelli scarmigliati e
quella sua
aria da ragazzina di strada sempre scalza e con le braccia tintinnanti
di
bracciali, e le fece una pernacchia «Sei una pessima
chiaroveggente. Questo – e
si indicò il braccio con la punta del naso – non
l’avevi proprio visto»
Marion socchiuse gli occhi verdi e
si fece stranamente
seria «Te l’ho già detto. Le tue linee
non sono complete. Non so come
spiegarlo… ma il tuo è un futuro che non posso
vedere. È come se l’altra metà
del tuo destino non fosse incisa sulla tua mano ma da qualche altra
parte, come
se appartenesse a qualcun altro»
Sianna si mise a ridere e con lei
anche Lisanda «Sei
sempre tragica» la canzonò Lisy.
Mari prendeva con incredibile
serietà il suo lavoro. Era
così che l’avevano conosciuta. La gitana era
seduta sul bordo della strada nel
giorno di mercato, con un quadrato di stoffa davanti a lei su cui
andavano
accumulandosi le monetine delle persone che potevano permettersi il
diletto di
farsi leggere il futuro. Quando Marion aveva visto Sianna e Kea,
semplicemente
aveva abbandonato tutto per andare da loro a offrire gratuitamente i
suoi servigi.
E la verità era che la ragazzina sapeva davvero quello che
diceva, era stata
lei a dire loro che un giorno avrebbero conosciuto due gemelle, e pochi
mesi
dopo Lisanda e Iris erano entrate nelle loro vite.
Sianna le scompigliò i
capelli e le sorrise «Non darle
retta. Cosa vedi adesso?»
Marion si mise fra i denti il
cordoncino del pendaglio
che portava sempre al collo, come faceva quando si doveva concentrare,
le
strinse la mano destra e la studiò come se davvero in quelle
linee potesse
leggerci la storia della sua vita. In quei momenti Sianna si sentiva
veramente
in soggezione. Lo capiva, anzi lo percepiva, che stava assistendo a
qualcosa di
reale, non ad una frottola per tenere buoni gli sciocchi ricconi presi
dalle
compere di stoffe e merletti. Con le dita Mari seguiva linee visibili e
ne
tracciava di invisibili.
«Vedo che qualcuno ti
cerca» corrugò le sopracciglia
scavando un solco leggero tra di loro e arricciò il naso con
fare pensieroso
«Qualcuno ti aspetta, e qualcuno che conosci molto bene ti
vuole male e vuole
vendicarsi. Ma nessuno di loro ti avrà, perché
incontrerai un vecchio amico e
lo seguirai» concluse distendendo poi la fronte. Le
richiedeva sempre un grande
sforzo. «Però devi guardarti dal rosso…
e dal serpente»
«Un serpente?»
s’incuriosì Lisanda rotolando sulla pancia
e racchiudendo il volto rotondo nelle mani a coppa, per poter guardare
Mari
negli occhi. La ragazzina sollevò le spalle con noncuranza
«Che vuoi che ne
sappia? Io dico solo quello che vedo»
Sianna finse di battere
ripetutamente la nuca per terra
«Te lo giuro Mari, ogni volta che mi faccio guardare le mani
da te poi desidero
il suicidio. Se cercherò d’impiccarmi un giorno di
questi, non ci vorrà un tuo
oracolo per capirne la ragione!»
Kea sollevò un
sopracciglio con scetticismo «Il problema
è che credi a queste sciocchezze» disse con il suo
solito, laconico cinismo.
«Non sono sciocchezze!» scattò Marion.
«Infatti siete voi le
sciocche» interferì Iris
sollevandosi agilmente. Si pulì l’abito bianco da
novizia e le squadrò dall’alto
in basso «Mai un po’ di silenzio con voi. Sianna
non dovresti andare?»
Sianna gonfiò una
guancia con indignazione e
rassegnazione, perché effettivamente il tempo libero che le
era concesso era
limitato e Eireen presto sarebbe andata a recuperarla, se non fosse
rientrata
di sua spontanea iniziativa. «Non hai
pietà» bofonchiò spingendo via Mari dal
suo stomaco per alzarsi a sua volta «Non vedi l’ora
di liberarti di me».
Studiò
Iris,
espressiva come una bambola di pezza, e le saltò addosso
all’improvviso in modo
tale che la ragazza non potesse difendersi, per riempirle le guance di
baci.
«Mollami, Sianna! Dai!
Sei fastidiosa!» prese a lagnarsi
e le amiche scoppiarono a ridere per quei suoi deboli tentativi di
scrollarsela
di dosso.
«Te la sei cercata
sorellina, lo sai che non devi
provocarla» ridacchiò Lisanda. Sianna
mollò la gemella per concentrarsi
sull’altra «E tu lo sai che ce
n’è anche per te»
Lisanda sbiancò
all’istante e, ancora sdraiata nel prato,
prese a indietreggiare goffamente trascinandosi con i gomiti
«No, stavolta non
ho fatto niente!» la supplicò, e con un rapido
scatto si alzò per mettersi a
correre prima che Sianna potesse acchiapparla. «Siete voi che
dovete superare
questa cosa che non vi piace essere abbracciate!» rise di
gusto, e finalmente
si sentì leggera come lo era sempre stata, nonostante le
cose brutte, le ansie
di quella stanza piena di volti tristi, nonostante l’assenza
d’Ynyr che, dal
giorno della commemorazione, non si era più mostrato.
«Sianna? Svegliati.
Forza, non ho tutto il giorno»
Sianna si stropicciò
stancamente gli occhi: odiava
l’ospitale perché dava ad oriente e la luce
irrompeva sempre filtrando dalla
finestra di fronte al suo letto, irritandola, mentre la sua vecchia
camera era
in un’adorabile e quanto mai rimpianta penombra. Riconobbe
subito Eireen prima
ancora di vederla, per via del profumo di erbe essiccate che
l’accompagnava
sempre. Era giovane e graziosa e i suoi tratti dolci illuminati da un
leggero e
comprensivo sorriso.
«Devo cambiarti le
fasciature» le fece notare la donna
mentre Sianna si metteva a sedere, usando il muro come appoggio, e si
lasciava
sfuggire un molto poco dignitoso sbadiglio senza coprirsi la bocca.
Guardò la
sacerdotessa che stava facendo dondolare davanti a lei le bende e ci
mise qualche
secondo a realizzare la richiesta, perché era troppo
assonnata. Con un sospiro
rassegnato si costrinse ad alzarsi. «Arrivo»
mormorò affranta. Tutti i giorni
iniziavano nello stesso, identico modo. Era solo Eireen ad occuparsi di
lei e non
le medicava mai le ferite davanti agli altri pazienti, come erano
soliti fare invece
gli altri guaritori con tutti i degenti, ma ogni mattina la costringeva
ad andare
in un'altra stanza.
Sianna non ne sapeva la ragione,
l’assecondava e basta.
L’ospitale era grande ed
oltre a comprendere due camerate
in grado di raccogliere oltre sessanta infermi, c’era il
locale dove veniva
condotta di solito, la stanza dei salassi. Appesi alla parete vi erano
armamentari seghettati che le mettevano i brividi e su cui aveva deciso
con se
stessa fin dal primo momento di non indagare, e una mobilia conteneva
bacinelle
e lancette di legno e acciaio affilate e dall’aria
intimidatoria. Aveva sentito
spesso urla provenire da lì, le amputazioni venivano
effettuate lontano da
occhi indiscreti, e una volta una donna aveva pure partorito
sull’unico letto
presente nel cubicolo, letto che da allora Sianna si premurava di
evitare. Non
voleva immaginare quante cose dolorose e disgustose fossero avvenute
fra quelle
lenzuola, poteva sentire il miasma della sofferenza già
soltanto tra le pietre
dei muri e tanto bastava a turbarla.
Quando la sacerdotessa ebbe chiuso
la porticina alle sue
spalle Sianna si lasciò cadere su una sedia e
automaticamente alzò il braccio e
si morse le labbra, già pronta a sopportare il dolore. La
stoffa si appiccicava
sempre alla carne viva e l’ustione, che prendeva buona parte
dell’omero, produceva
un liquido giallastro e purulento che le faceva impressione. Eireen le
tolse la
steccatura con delicatezza e Sianna si analizzò la ferita.
Nell’ultimo periodo
c’erano stati enormi miglioramenti,
era meno raccapricciante della prima volta che l’aveva vista,
lo squarcio si
era quasi del tutto rimarginato e anche l’ustione era meno
problematica. Gli
unguenti di Eireen stavano facendo un vero miracolo. La sacerdotessa
estrasse
dalla bisaccia il solito barattolo contenente una pastella verde e
viscida,
gliela spalmò con cura sulla ferita e Sianna si costrinse a
non mugolare, anche
se bruciava da morire.
«Si sta rimarginando
bene. Direi quasi incredibilmente»
le disse dopo averle rimesso le bende senza steccare il braccio
«questa non ti
serve più, l’osso ormai è guarito. Sei
quasi in perfetta salute»
«È da giorni
che lo ripeto, ma voi mi ignorate»
puntualizzò subito, con un mezzo broncio che in
realtà celava una speranza: che
la dimettessero, finalmente.
«Sì lo so, ti
sei fatta sentire anche fin troppo!» la
pungolò Eireen, esasperata.
«Quindi sono libera ora?
Posso andare anche io con le mie
amiche? Posso fare quello che fanno loro? Qui dentro è una
noia mortale. Per
essere onesti direi che tutto qui è mortale»
Sdrammatizzare in modo discutibile
e indelicato era una
sua brutta abitudine, ma davvero il suo umore ne stava risentendo
troppo. Stava
troppo male, ad assistere a tutto quel dolore, le toglieva il respiro
ed anche
il sonno. Eireen stava fissando il suo braccio insistentemente, gli
occhi di
lei ripercorsero piano le bende e si posarono sulla sua mano. Alla fine
la
sacerdotessa la prese fra le sue e la studiò guardinga, come
stesse soppesando
cosa fare.
«La tua è una
situazione delicata. È da molto che volevo
chiedertelo, cos’è questa?»
Sianna a sua volta
osservò la propria mano sinistra come
non faceva da un’infinità di tempo. Sul palmo,
luminosa e al qual tempo nera,
svettava in rilievo una falce di luna calante. Era sempre stata candida
e splendente
come la vera luna nel cielo, quel suo simbolo che si portava dietro fin
dall’infanzia, ma da quella notte non aveva perso ancora la
sfumatura oscura
che l’aveva contaminata.
«È…
una benedizione» esitò, incerta. «Mia
madre mi ha
raccontato che me la fece impartire mio padre quando sono
nata»
Era una delle poche informazioni
che Marilien aveva
condiviso su suo padre, il resto era un mistero indistinto e Sianna
sapeva solo
una cosa di lui, che assomigliava incredibilmente a suo fratello.
La sacerdotessa intanto aveva
aggrottato le sopracciglia
e stava annuendo perplessa «Si avverte che non è
un simbolo qualunque, quando
lo tocco un brivido mi trapassa la schiena. Pensavo fosse legato al
fatto che
sei una Nephilim, ma non avevo mai visto nulla di simile
prima»
Sianna si accigliò e
ricambiò la sacerdotessa con
un’espressione confusa. Eireen le sorrise come a
tranquillizzarla «Ti giuro che
non lo dirò a nessuno, lo so quanto sia pericoloso, per
questo non ti ho mai
medicato davanti agli altri. Ne ho già conosciuto uno prima
di te, non ti
tradirò»
Sianna corrucciò
ulteriormente le sopracciglia e storse
la bocca «Non riesco a seguirti. Perché dovresti
tradirmi? Non so nemmeno cosa
sia un Nephilim»
Era una parola che non aveva mai
sentito prima, eppure le
parve in qualche maniera familiare.
Eireen assottigliò gli
occhi scuri da dravida, nocciola
intenso: «Non lo sei?».
Era incredula e questo confuse
Sianna ulteriormente. Non
riusciva a trovare un senso in quel discorso. Scosse la testa facendo
dondolare
l’arruffata chioma bionda sulle spalle: «Direi di
no, mi spiace»
«Io credevo…
per il tuo sangue sai» bisbigliò la
sacerdotessa per poi guardarsi attorno, come ad essere sicura che la
stanza
fosse realmente vuota e la porta chiusa, prima di continuare
«Hai il sangue a
metà»
L’espressione cauta e
cospiratrice della donna le strappò
una breve risata «L’ho sempre avuto, ma non capisco
davvero di cosa tu stia
parlando. Non so nemmeno cosa sia, un Nephilim»
Eireen valutò le sue
parole in silenzio, sembrava turbata
e sinceramente dubbiosa «È un mezzosangue,
diciamo. Il figlio di un’umana e di
un angelo inferiore. Non so quanto sia vero, questo è
ciò che mi è stato
insegnato»
Sianna le sorrise indulgente, come
se avesse davanti una
bambina, e in parte le parve quasi che fosse così. Eireen
infondeva sicurezza,
era una donna autorevole e sicura di sé, eppure in quel
frangente sembrava una
fanciulla alle prese con un mito bizzarro che difficilmente poteva
risultare
reale. Nel suo volto Sianna rivedeva la se stessa riflessa negli occhi
di Ynyr
quando, nell’infanzia, si stringevano l’uno
all’altro mentre ascoltavano i
racconti di Marilien con l’estasi puerile della certezza solo
nella fantasia.
«Mia madre mi parlava
spesso degli angeli quando ero
bambina. Li chiamava il Popolo della Neve… erano le sue
fiabe preferite» rivelò
in un moto di confidenza che la meravigliò. Difficilmente
condivideva i suoi
ricordi, ne era molto gelosa. «Comunque sono passati troppi
secoli, dubito seriamente
che possano ancora esistere dei discendenti»
puntualizzò cercando di riprendere
un certo distacco.
«Ti sbagli. Ne ho
conosciuto uno, molto tempo fa, prima
di venire qui. Era l’essere più bizzarro che mi
sia capitato di conoscere,
biondo quanto te, sembrava un ragazzino, ma parlava come se avesse
avuto
cent’anni. Si dice che siano figli degli angeli
perché hanno un potere
straordinario ma un’anima mortale a limitarli. Forse hai
ragione, è solo un
mito, ma loro esistono sul serio. Il Conclave indisse una purga che
durò due
secoli e gli diede la caccia.» raccontò Eireen
seria.
Non stava scherzando.
«Come lo sai?»
domandò curiosa, senza sentirsi troppo
coinvolta. Era abituata alle storie e anche se la sacerdotessa sembrava
incredibilmente certa di quello che diceva, Sianna tendeva a
distinguere
nettamente le fiabe dalla realtà.
Eireen appoggiò la
guancia alla mano chinandosi in
avanti, il gomito sostenuto dal ginocchio, e tamburellò con
le dita. «Me lo
raccontò lui, il Nephilim. Non ricordo nemmeno il suo nome.
Van… Vajnk…
qualcosa del genere. Non ci ho mai ripensato spesso, ma la sua storia
la
ricordo, era orfano anche lui, la sua famiglia era stata messa al rogo
dal
Conclave»
Un brivido percorse la schiena di
Sianna. Non tanto per
la storia in sé, al rogo lei ci aveva visto tutte le persone
che aveva
conosciuto. Era il pensiero della Congrega dei Maghi ad impensierirla.
Le
storie sul Conclave erano colme di magia e mistero non dissimile dalle
fiabe
sul Popolo della Neve. Si narrava che fosse l’organo che in
realtà reggeva il
precario equilibrio della penisola, che gestiva da dietro le quinte i
rapporti
tra i Regni indipendenti di Emer, dell’Esperia, di Sideris,
di Dubahr, di Þoka.
C’era sempre l’ombra della Congrega quando un
Sovrano doveva succedere ad un
altro, c’era sempre l’Enclave dietro la
promulgazione di nuove leggi. Era una
presenza mitica e ingombrante che spaventava la gente, sembrava quasi
che con i
suoi artigli invisibili come ombre potesse ghermire qualunque anima.
Si rosicchiò il labbro
inferiore, con indecisione. Da
quando era nata non aveva mai udito nulla che non fosse diceria sulla
sedicente
congrega dei maghi, ma comunque la sola idea di ciò che
rappresentava non le
piaceva.
«A volte penso che se
mai davvero è esisto, il Conclave
si sia sciolto. Guardaci, ne siamo la prova alla fine» diede
voce ai suoi
pensieri mangiandosi un’unghia, senza porsi un freno
«I nostri Clan si stanno
massacrando, sta per scoppiare una guerra civile, arriveranno anche qui
prima o
poi. Se il Conclave esiste, perché diavolo non fa
nulla?» sbottò frustrata.
Guerra civile.
Ci pensava sempre più
spesso, e per questo neanche fra i
sacerdoti riusciva a sentirsi sicura. Difficilmente i villaggi delle
antiche
religioni venivano attaccati, tutti temevano gli dei, ma Nehalennia che
tanto
Eireen e gli altri veneravano era una divinità dravidica. I
Peith erano barbari
senza pietà che non conoscevano il pudore o il rispetto,
tantomeno la ragione.
Il numero di feriti che si era rifugiato a Lochlainn era una prova
più che lampante
della ferocia che i Peith peroravano.
«Quando il Conclave
s’intromette tira una brutta aria. In
fondo io spero che restino fuori da tutto questo, ma lo so che non
accadrà. Non
rimarranno in disparte ancora a lungo temo» Eireen si
alzò e le scompigliò
affettuosamente i capelli, facendola sentire una bambina.
«La magia non
è fatta per essere in mano agli uomini»
mormorò Sianna fra sé ricordando quelle parole
non sue ma che parevano fin
troppo veritiere.
La sacerdotessa scrollò
le spalle «Probabilmente è così,
dovremmo lasciare tutto in mano agli spiriti e starne fuori. Ma da
troppo tempo
sono i maghi a decidere, questa è una cosa che difficilmente
cambierà»
Sianna sussultò: quelle
parole le ricordarono Kii.
Sorrise alla sacerdotessa
«Conoscevo una Volpe che
diceva esattamente la stessa
cosa»
«una Volpe?»
disse meravigliata Eireen e Sianna si morse
il labbro.
Kii l’aveva messa in
guardia la prima volta che si erano
incontrati, le aveva raccomandato di non parlare di lei con gli uomini
o non
l’avrebbe più rivista, e gli Dei solo sapevano
quanto quello spettro sciocco
fosse testardo.
«Nessuno»
ritrattò sorridendo a trentadue denti alla
ragazza.
Eireen fece per ribattere, poi ci
ripensò e scosse
semplicemente il capo «Sarà meglio che vada, ho il
mio giro di visite da
concludere»
Mise la mano sulla maniglia ma
Sianna la bloccò
nuovamente «Non mi hai risposto, posso uscire anche
io?»
La sacerdotessa la
studiò da sopra la spalla, combattuta,
e Sianna intravide la crepa del cedimento «Ti prego! Non
creerò problemi, ti
prego!»
Eireen tentennò
«Io posso anche farti uscire da qui, ma
la tua situazione è delicata e sono seria a riguardo. Forse
è vero che non sei
una Nephilim, ma se qualcuno vedesse il tuo sangue Sianna è
questo che vedrebbe
in te. Devi essere molto cauta, lo capisci?»
In verità non capiva
del tutto ma si affrettò ad annuire.
«E soprattutto quella
Luna. Non devi mostrarla mai,
dobbiamo nasconderla»
Nessuno aveva mai avuto da ridire
sulla sua cicatrice e
questo la turbò, tuttavia era disposta a qualunque
compromesso. Quindi Eireen
sbuffò e le sorrise «Facciamo in questo modo. Mi
sentirò più tranquilla se non
seguirai le lezioni con tutti gli altri novizi, ma capisco che tu
voglia uscire
dall’ospitale. Raggiungi l’erboristeria, si accede
nell’ala ovest dall’esterno.
C’è un ragazzo, è un mio allievo. Digli
che ti mando io»
Eccitata Sianna corse fuori dalla
stanza senza dare
nemmeno il tempo alla sacerdotessa di varcare la soglia, si
sfilò rapidamente
la camicia da notte per indossare la veste bianca dei novizi,
l’unico abito
pulito che avevano potuto fornirle, si legò alla vita una
corda d’oro troppo
lunga che quasi sfiorava il pavimento e dopo essersi sciacquata il viso
nel
catino corse fuori salutando Eireen come una bambina impenitente,
svegliando
metà delle persone con tutto il baccano che aveva fatto.
Era mattina presto ma il tempo era
comunque tiepido e
gradevole e l’aria sapeva di frutta matura e polvere.
Superò la stanza colma di
libri e lasciò che la brezza leggera le scompigliasse la
chioma ribelle. Il
villaggio si srotolava sotto di lei, disorganizzato e caotico, colmo di
voci e
rumori vivaci che la misero di buon umore. In quel mese era cresciuto e
nuove
catapecchie si erano unite a quelle vecchie, mentre le dimore
precedenti erano
state sistemate e rese più solide con il legno e la paglia.
Si sentiva tanto di buon umore che
si ritrovò a
ridacchiare da sola e a giocare con un sasso che le era capitato
accidentalmente tra i piedi. Lo scalciò con troppa foga e il
sassolino rotolò
poco lontano urtando qualcuno.
«Sempre distratta,
eh?» l’apostrofò una voce nota.
Sianna alzò gli occhi
su Will, che aveva fermato la
pietra con il piede e la guardava sinceramente divertito,. Gli sorrise
raggiante.
«Sempre»
ribatté con ovvietà.
«Esattamente cosa ti ha
fatto?» chiese raccogliendo il
sasso per farlo poi rimbalzare sul palmo della mano.
Sollevò le spalle in un
gesto di noncuranza «Mai sentito
“posto sbagliato momento sbagliato”?»
William annuì
«Giusto, noi ne sappiamo qualcosa»
sussurrò
«Se sei qui suppongo che la tua convalescenza sia
finita»
Soddisfatta Sianna continuava a
sorridere entusiasta
«Supponi bene»
Si ritrovò ad arrossire
pesantemente quando si rese conto
che il ragazzo la stava squadrando da capo a piede senza troppo pudore
«C’è
qualcosa che non va?» lo interrogò a disagio e
Will rispose storcendo il naso e
le labbra sottili in una smorfia «Non mi piace vederti
vestita come una
sacerdotessa. Preferirei che voi, intendo Marion e le altre, non vi
faceste
prendere troppo. Sai, i primi rudimenti sono condivisibili ma quando
arriverà
il momento per continuare dovrete prendere i voti.»
Sianna fece un gesto vago con la
mano «Nessuna di noi
desidera passare l’eternità a venerare una
divinità, se è questo che ti
preoccupa»
«Non ho dubbi. Non era
di certo la vita che avrei voluto
fare. Nemmeno Henry, si vocifera volesse prendere i voti, da quello che
si sa
sul suo conto. Eppure, se ti costruisci un mondo qui, Sianna, andartene
sarà difficile,
ti sembrerà di non avere più nulla»
La leggera allegria di pochi
secondi prima sfumò di
fronte a quella realtà che effettivamente non aveva ancora
valutato: cosa
avrebbe fatto da quel momento in poi? Lei non sapeva andare al di
là di un’ora,
pensare al futuro non le riusciva troppo bene e non aveva
più visto suo
fratello, la mente pratica tra i due.
«Scusami, non volevo
turbarti. Dove stavi andando?»
Sianna smise di mangiarsi
l’unghia del pollice quando
sentì in bocca il familiare quanto nauseante sapore del
sangue, e si costrinse
ad abbassare le mani, legandole una all’altra, e a
distogliere la propria
attenzione dal terribile panorama che la sua mente stava già
delineando e che
la vedeva indigente, ricoperta di cenci, ad elemosinare sul bordo di
una strada
un tozzo di pane raffermo.
Fremiti di panico le percorrevano
ogni singola vertebra
alla sola idea.
«All’erboristeria»
Will sussultò,
un’ombra di sorpresa negli occhi grigi
appena visibili sotto il cappellaccio di canapa marrone tremendamente
ruvido, e
poi le sorrise come tranquillizzato, mostrandole tutti i denti
«Eireen ti ha
preso in simpatia» dedusse, non suonava come una domanda.
Si rosicchiò il labbro
inferiore, già fin troppo
martoriato, e annuì «Non proprio. È una
cosa così sorprendente? Di solito sono
gradevole di presenza»
Will rise e si avvicinò
a lei per prenderla a braccetto,
con l’evidente intenzione di accompagnarla.
«Non è
insolito per te, è insolito per Eireen. È una
donna piuttosto… eccentrica. In effetti non è
insolito per niente che abbia
scelto te, se ci penso bene. È molto da lei»
L’erboristeria si
trovava in un locale dall’accesso
esterno che dava sul pendio ovest della leggera collina su cui sorgeva
il
monastero. La raggiunse riflettendo su quelle parole, senza che vi
trovasse un
pieno senso.
«Perché
mai?»
Will le sorrise elusivo e
scivolò via dalla sua presa
«Siamo arrivati, principessa»
Davanti a lei una porta di legno
massiccio era
spalancata, ma l’ambiente interno era celato da un velo che
fungeva da separé e
si agitava con la lieve brezza che spirava dal nord.
Sianna gonfiò una
guancia e ricambiò con disappunto «Non
mi sono mai piaciute le principesse. Non fanno altro che farsi
salvare»
Il ragazzo ridacchiò
divertito «Adesso capisco perché non
sei per nulla elegante»
Gli dedicò una
linguaccia e urlò «Ci vediamo» agitando
distrattamente la mano, prima di infilarsi in quel buco. Il locale era
in una
penombra giallognola, dovuta ai teli di iuta che rivestivano le due
finestrelle, protette da una croce di ferro. I dettagli si delinearono
rapidamente, mostrando un ambiente piccolo e caotico, con mazzolini di
erbe che
pendevano dalle travi del soffitto fin quasi all’altezza del
volto e una
moltitudine di piante sconosciute accatastate alle pareti come una
piccola
foresta dai colori scuri. In fondo alla stanza un bancone di legno e
alle sue
spalle file di mensole cariche di barattoli che contenevano strane
sostanze o
erbe triturate, identificate da piccoli cartelli in legno dalle
incisioni
eleganti e sbilenche. Il semplice lumiere illuminava più
della luce che non
riusciva a filtrare oltre i teli di iuta, ma rendeva il tutto
claustrofobico e
ingigantiva le ombre delle foglie dando all’insieme un
aspetto quasi sinistro.
Sianna si avvicinò ad
una di quelle piante sconosciute
con un singolare fogliame a stella, e accarezzò incuriosita
il profilo
frastagliato della foglia, sentendo sotto le dita poi la consistenza
porosa
della polvere che la rivestiva. Sua madre con quello sporco si sarebbe
strappata la chioma rossa.
Sussultò quando un
rumore di passi leggeri su una
superficie di scricchiolante legno riecheggiò nella stanza.
Nell’angolo sulla
destra, da una scalinata a chiocciola che non aveva notato, emerse il
volto
concentrato di un ragazzo che aveva gli occhi puntati
sull’armamentario che
stringeva fra le braccia.
Non appena la notò, le
sorrise.
«P’nawn
da» il tono allegro e giovale le ispirò
perplessità e simpatia insieme «Posso fare
qualcosa per te?» chiese
gentilmente.
Ricambiò il sorriso e
annuì, stranamente a corto di
parole, troppo presa ad inseguire le proprie impressioni. Lo vide
attendere con
sempre maggiore indecisione e alla fine chiedere accigliato
«Cosa ti serve? Non
posso combattere il mutismo, saresti la seconda questa settimana e
davvero, mi
dispiace, vorrei, ma proprio no»
Sianna sollevò un
sopracciglio e trattenne a stento la
risata.
«Mi servi tu!»
riuscì a dire senza suonare troppo
divertita, non voleva che quel bizzarro sconosciuto potesse pensare che
lo stesse
deridendo.
Il sacerdote passò
dalla confusione alla lusinga, gli
sfuggì un breve sorrisino di modestia che
sostituì però rapidamente con buon
senso, in una notevole varietà di espressioni facciali.
«Come prego?»
ribatté, cercando di darsi un contegno.
Le venne ancora da ridere, ma
scosse la testa agitando
l’arruffata chioma bionda e sollevò gli occhi al
soffitto.
«Mi ha mandata
Eireen» chiarì semplicemente «Mi ha
detto
che sarai tu il mio maestro. O almeno» lo squadrò
da capo a piede sollevando
l’angolo della bocca in una piega ironica «Almeno
credo sia tu»
Il ragazzo storse le labbra e si
lasciò sfuggire un
sonoro sbuffo «Scarica sempre tutto su di me»
Appoggiò i mortai e i
pestelli che stava portando sul
bancone e le si avvicinò con atteggiamento frustrato.
«Ahimè, temo
di essere io. Sono Tanet» si portò la mano
al petto e accennò un leggero inchino «Tu
saresti?»
Nessuno le si era mai presentato
con un simile gesto,
pertanto reagì con qualche secondo di ritardo, ancora
stupita. Imitò la
gestualità di Tanet per non mancare di rispetto e
inclinò il capo
«Sianna Eilan»
«È un vero
onore Sianna Eilan. Sai per caso dove sia
finita quella fattucchiera odiosa?»
Sianna aggrottò le
sopracciglia e socchiuse gli occhi,
soppesandolo.
«Parlo di
Eireen»
«Ovviamente»
mormorò, senza smettere di squadrarlo.
Tanet era bizzarro. In lui tutto
era particolare ed anche
se la luce non era delle migliori per poterlo studiare con minuzia, era
quasi
totalmente certa di non essersi mai imbattuta in tutte quelle
singolarità
raccolte in un’unica persona. Non aveva mai viaggiato e
difficilmente le era
stato concesso di lasciare Gleann Dhubar, e tuttavia il suo paese
natale era
stato un crocevia di mercanti e pellegrini, e questo le aveva concesso
di
incontrare gitani dai capelli di pece e la pelle di latte, uomini
nerboruti di
miele e porcellana, piccoli selvaggi scuri delle terre del nord.
La sua migliore amica, con i
lunghi capelli corvini e gli
occhi imperscrutabili, rappresentava già di per
sé una particolarità quasi
unica nel suo genere, ma Tanet, lui era veramente diverso. Aveva occhi
a
mandorla, lunghi e sottili, palpebre pesanti e iridi nocciola vivaci
che la
stavano studiando con altrettanta attenzione. Gli zigomi alti e il naso
sottile
accentuavano la sua aria nobile e vagamente sofisticata, aria
stemperata dal
sorriso sottile di labbra stirate. Alto e magro come un chiodo,
ciò che lo
rendeva veramente unico agli occhi di Sianna non era tanto la
fisionomia
esotica, quanto il colore della sua pelle. Si era convinta che la pelle
naturalmente dorata di Mari, Lisy e Iris fosse già troppo
scura, ma la pelle di
Tanet era bronzea, quasi bruna, e gli donava una bellezza insolita se
non
unica.
«Doveva finire il giro
di visite» si costrinse a
rispondere, dominando il nervosismo e la curiosità, che le
faceva desiderare di
porgli infinite domande, nessuna delle quali comprendeva Eireen, le
erbe e
tutto il resto.
Tanet, al contrario, era
completamente rilassato e per
nulla toccato da lei, non le capitava spesso di sentirsi mediocre, ma
accanto
al sacerdote chiunque sarebbe parso scialbo e tragicamente banale.
«Non è
vero» si stava lamentando lui nel frattempo
«Cioè,
ovviamente è vero, ma non ci mette mai più di
metà mattinata. La verità è che
è
pigra in maniera esasperante e lascia sempre a me tutti i compiti
ingrati,
pulire questa stamberga per esempio!»
Nel suo borbottare le aveva dato
le spalle e aveva
iniziato a sciogliere la cordicella che legava alla trave centrale i
mazzolini
appesi a testa in giù a seccare. Sianna accarezzò
ancora l’ambiente con
un’unica occhiata e arricciò le labbra
«Non so perché ma sono quasi totalmente
sicura che le pulizie non siano state il tuo primo cruccio negli ultimi
tre o
quattro anni» commentò pacatamente, senza
riflettere.
Le braccia di Tanet
s’irrigidirono e il ragazzo smise di
lavorare, come fulminato. Inclinò il viso verso di lei
lentamente e la osservò
da sopra la spalla «Tu sei una mia sottoposta»
valutò tranquillamente, per poi
accennare un sorriso.
Sianna sentì i peli
della nuca rizzarsi e un brivido di
sospetto attraversarle la colonna vertebrale. Allacciò le
braccia al petto e
fece un passo indietro, con diffidenza.
«E quindi?»
Tanet stava ghignando, una palese
vena di sadismo nei
sottili occhi a mandorla. Abbandonò senza remore il fascio
di erbe accanto ai
pestelli e le ciotole e sparì sotto il bancone per qualche
secondo, per
ricomparire con un secchio di latta, uno straccio logoro ed una scopa
dall’aria
più arruffata di lei. Sianna ne rimase talmente attonita da
non reagire con
prontezza di riflessi quanto Tanet glieli lanciò. Si
riscosse appena in tempo
per afferrare la scopa, ma non poté difendersi dal secchio
che, con precisione
millimetrica, compì una perfetta parabola e le cadde in
testa.
«Maledizione! Ma dico,
sei impazzito?» urlò subito, gli
occhi lacrimanti di dolore e le mani già fra i capelli, nel
disperato tentativo
di diluire il male con un massaggio.
Naturalmente Tanet si mise a
ridere di gusto «Beh, dovrò
ricordarmi che non hai presa», disse camuffando il sorriso
con qualche colpo di
tosse «Se vuoi puoi cominciare, c’è un
bel po’ di lavoro da fare»
«Perché
dovrei pulire io questo disastro?» sbuffò
imbronciata. La vista le si era appannata per il leggero velo di
lacrime e un
nuovo ponfo si era già formato sulla testa e pulsava
prepotentemente.
Tanet scrollò le spalle
e si concentrò nuovamente sui
suoi mazzolini di erbe «Avrai le tue lezioni solo quando
avrai terminato. Considerala
una preparazione interiore!»
Sianna raccolse la scopa stizzita
«Penso che la
considererò più come un “Sono troppo
pigro per lavorare”»
Il sacerdote sollevò le
spalle «Da adesso dovrai
chiamarmi maestro, ragazzina. Rivolgiti a me con un sentito rispetto.
Tutto
chiaro?»
Rassegnata Sianna annuì
e raccolse nuovamente scopa e
secchio.
«L’acqua dove
la trovo?»
«Al pozzo ovvio.
È in piazza, divertiti!» e con un
sorriso fugace e l’aria malandrina da persecutore, Tanet
scomparve nuovamente,
inghiottito dalle scale che conducevano al piano inferiore, lasciandola
sola
senza alcun tipo d’indicazione.
La casa in cui era cresciuta era
molto grande, circondata
da cespugli odorosi di fiori e erbe aromatiche e di piante da frutto,
con una
mansarda da dove, talvolta, lei e Ynyr guardavano le stelle e dove era
stata
costretta, all’inizio, a tenere Gael. Eppure Sianna ricordava
come sua madre
riuscisse a gestirla e governarla senza aiuti. Era capitato che
Marilien la
rimproverasse per la sua inerzia, ed ora che si ritrovava china su un
pavimento
di legno consumato a sfregare con tutte le sue forze per scrostare il
fango, si
rammaricò un poco che sua madre non avesse mai insistito
davvero per farle fare
qualcosa.
Al lavoro non era per nulla
abituata.
Con gesto stanco si
scostò i capelli dalla fronte
imperlata di sudore, accarezzò per abitudine il nastrino
rosso che il fratello
le aveva intrecciato ad una ciocca particolarmente dorata e si
lasciò sfuggire
l’ennesimo sospiro.
Tanet naturalmente non era
più tornato e lei aveva
trascorso la mattinata a pulire. Nell’insieme aveva fatto un
buon lavoro, un
cumulo di foglie secche e polvere e lerciume era raccolto vicino alla
porta e
aspettava soltanto di essere disperso nei prati oltre la soglia, la
luce era
tenue ma sufficiente ora che si era sbarazzata di quei teli ombrosi, e
l’ambiente risultava più arioso e sano. Per poter
pulire a fondo, aveva
pazientemente smontato pezzo a pezzo la piccola foresta che i due
erboristi
avevano ammonticchiato contro la parete, lasciando le piante
all’aperto a
godersi la brezza estiva e il tiepido sole di cui anche lei sentiva la
mancanza
dopo ore tappata nella stanza.
Si sollevò da terra e
spazzolò e lisciò il vestito, per
abitudine più che per speranza di renderlo pulito, aveva il
raro dono di
devastare qualunque cosa toccasse e la prova erano le macchie di terra
sull’abito all’altezza delle ginocchia.
Recuperò lo straccio per lucidare i contenitori
quando un urlo la fece sobbalzare.
S’irrigidì in
un breve ma fulminante momento di panico,
che scivolò via rapidamente quando si rese conto che,
più che di terrore, quel
grido sembrava un misto fra collera e disperazione.
Si affacciò cauta
all’uscio, stringendo le dita arrossate
per il lavoro allo stipite, e scorse con sorpresa Eireen che si
spostava da una
pianta all’altra come se stesse soccorrendo dei feriti e non
sapesse darsi una
priorità sul quale salvare prima.
Senza emettere suono, Sianna
seguitò a guardala,
sinceramente divertita.
Quando Eireen si bloccò
per voltarsi con lentezza
studiata verso di lei, gli occhi che sembravano volerla incenerire,
Sianna
inghiottì il sorriso fra gli incisivi e si diede un contegno.
«Chi!»
sbraitò la sacerdotessa avvicinandosi a passo di
carica «Chi ha commesso questo scempio!?»
«Ehm, stai diventando
porpora. È un buon segno?»
Una vena del collo di Eireen si
gonfiò, come un grosso,
pulsante bruco.
«Non è mai un
buon segno, Sianna Eilan!»
Il colore della sua pelle assunse
un singolare e non
classificabile color vinaccia.
L’istinto
di
sopravvivenza suggerì a Sianna di tacere, perciò
annuì rapida e non liberò il
labbro inferiore per paura di lasciarsi andare ad una catastrofica
risata a
causa di quella reazione surreale.
«Cosa sta
succedendo?» Tanet comparve all’improvviso,
trafelato per lo scatto con cui doveva essersi precipitato al piano
superiore.
Avvertendo con ogni senso vitale
che una parola sbagliata
avrebbe causato il suo linciaggio, Sianna continuò a tacere
cercando di
assumere l’espressione rammaricata che vedeva sempre sulla
faccia tosta di suo
fratello.
Eireen la abbandonò
subito per accanirsi contro di lui,
lo trucidò con occhi sottili come lame e sventolò
il dito indice sotto il mento
del ragazzo con fare intimidatorio.
«Che diavolo
è questo! Vedi di essere convincente!»
Vide Tanet guardarsi attorno
spaesato per comprendere la
situazione, per poi arrivare a studiare direttamente lei, una serie di
domande
inespresse sul suo volto incredulo e sconvolto. Se la sua pelle fosse
stata
normale, forse sarebbe impallidito.
Sianna gli sorrise con tutti i
denti in bella mostra e
un’alzata di spalle, visto che Eireen le dava la schiena.
«Io le avevo chiesto
solo di pulire!»
L’indice di Eireen si
piantò dritto nel petto del ragazzo
e iniziò a pungolarlo, costringendolo a indietreggiare.
«Tu hai fatto maneggiare
le mie preziosissime piante ad
un’allieva alla sua prima lezione?»
sibilò digrignando i denti.
«Senza lasciarmi alcuna
indicazione» rincarò Sianna
arricciando le labbra e annuendo, un commento involontario a cui non
era
riuscita a sottrarsi. Tanet spalancò gli occhi, incredulo,
mentre la postura
della donna si faceva inflessibile e piena di tensione, come la sua voce
«Sparite. Tutti e due,
immediatamente, o giuro che ci
finite voi appesi a testa in giù»
Si erano allontanati dalla bottega
in silenzio, l’espressione
errabonda del maestro aveva spinto Sianna a non aggiungere altro e,
semplicemente, si era limitata a seguirlo mentre Tanet, troppo assorto,
camminava
placidamente fra i campi. Le distese erbose davanti a lei brillavano di
un
verde smeraldino grazie alle perle di rugiada e se spingeva lo sguardo
più in
là, verso est, riusciva a mettere a fuoco un complesso
circolare, forse di
pietre ma da quella distanza non era troppo sicura.
Tanet cambiò direzione,
imboccò un piccolo sentiero, una
striscia di terra quasi invisibile nell’erba alta, che
raggirava la collina e
conduceva ai boschi sempreverdi che abbracciavano il fiume
d’Ishitar.
«Mi spiace,
maestro» mormorò ad un tratto, per rompere
quell’inquietante atmosfera. Non lo conosceva abbastanza per
poter sopportare
il silenzio, fosse esso amichevole o ostile, iniziava a montarle dentro
un
senso di disagio e di vaga colpa.
Le era sfuggito il motivo della
collera di Eireen, ma
provava mortificazione per il suo ultimo intervento, decisamente non
necessario.
Tanet parve scuotersi,
rallentò il passo e la guardò
quasi sorpreso da sopra la spalla, come se si fosse ricordato solo in
quell’istante
della sua presenza. Poi accennò un sorriso tranquillo e
agitò la mano per
togliere importanza alla questione.
«È colpa mia,
accade. Non ho pensato di dirti che metà di
quelle piante non sopravvive alla luce del sole»
Sianna sentì le guance
bruciare per la vergogna «Poteva
andare peggio come primo giorno» bofonchiò in
propria difesa «Avrei potuto dare
fuoco a qualcosa»
Il sacerdote ridacchiò
«Non oso immaginare come… e non lo
chiederò! Ho la sensazione che potresti sorprendermi, non
sono ancora pronto»
Sianna rimboccò
pazientemente i capelli dietro le
orecchie e saltò sopra ad un sasso, dove rimase per qualche
istante in precario
equilibrio, sorridendo fra sé e sé
«Suppongo che dovrei sentirmi in colpa»
disse aprendo le braccia per trovare il baricentro e non cadere
malamente. Il
maestro la squadrò alzando perplesso un sopracciglio
«Più che sentirti in colpa
dovresti ringraziarmi, se non fossi arrivato io, Eireen ti avrebbe
fatto la
pelle»
Sianna si diede una leggera spinta
e atterrò davanti al
maestro, per sfoderare poi un sorriso tutto denti «Se
permette, mi giocherò il
“grazie” in una situazione più consona
ad un “grazie”. Per questa volta si
dovrà accontentare del mio dispiacere»
Tanet la soppesò
incredulo ed infine, dopo lunghi istanti
di basita perplessità, sollevò gli occhi al cielo
e scosse appena la testa «Non
so quale sesto senso mi stia mettendo in guardia, ma tra
l’accettarti come
allieva e stringere un patto con Lucifero, ho la sensazione che sia
ancora
preferibile la seconda» le sorrise sornione
«Comunque vedremo quando sconterai
la tua punizione con una nottata in bianco».
Il tono vendicativo le fece
perdere la camminata
baldanzosa.
«Come?»
«Rettifico, la prima di
una lunga serie di punizioni»
«Di notte?» si
accigliò, studiandolo con sospetto. Il
maestro ne sorrise «Precisamente. Dovrai poi rimediare al
disastro che hai
combinato oggi, di certo non me ne assumerò la
responsabilità, già che sulla
colpa non ho avuto modo di esprimermi»
S’inoltrarono nel
sottobosco rado, i grandi alberi
sempreverdi li sovrastavano nascondendo la luce tenue di una tersa
quanto rara
giornata estiva. Il sole era sempre raro, nelle terre
d’Ombra, come una
maledizione che privava gli abitanti di calore. Sianna poi era
cresciuta in
un’ampia valle, fra le montagne, e muoversi nella penombra le
era familiare
quanto facile, per questo un poco si rammaricava di aver abbandonato i
campi
assolati delle dolci colline di Lochlainn per nascondersi tra il verde.
Tanet nel frattempo aveva iniziato
a darle le prime
direttive, spiegandole che il momento più opportuno per
raccogliere le erbe
era, appunto, la notte, la sera o, tutt’al più la
tarda mattinata, quando la
rugiada si era ormai dissolta, per evitare che le piante marcissero.
«Le streghe sostengono
che le giornate devono essere
terse e la luna deve essere in fase nascente, l’influsso
dell’astro è più forte
in quel periodo» raccontò, mentre puliva con buffa
dovizia un tronco rovesciato
prima di accomodarcisi sopra.
«Ascoltate le streghe?
Mia madre diceva che sono troppo
superstiziose» ribatté lasciandosi cadere con
malagrazia sulla terra umida.
Tanet fece una smorfia di disappunto, ma non la rimproverò
«Dipende» chiarì
invece «Talvolta è vero, si fanno prendere un poco
la mano. Soprattutto i clan
più rurali ad occidente, in genere però
è bene fidarsi di chi sente gli
influssi delle stelle più di noi»
Sianna arricciò le
labbra e inclinò il capo all’indietro,
perdendo lo sguardo fra le foglie pigre appena smosse dalla brezza. Da
qualche
parte, un picchio batteva con snervante ritmicità un tronco,
il canto dei
passerotti rendeva il bosco vivo, fin troppo pieno di vita. Anche
tacendo
entrambi, l’aria era satura di suoni, fruscii, lucertole che
comparivano vicino
ai suoi piedi per poi scivolare rapide sotto una roccia.
«Non ne ho mai viste per
davvero, almeno non credo. Ce
n’era una, nella mia valle, ma ho sempre pensato fosse una
cialtrona. Non l’ho
mai vista fare niente che non sembrasse un banale trucco»
«È raro che
si spostino, non si spingono praticamente mai
oltre i monti Fengari»
«Sapete il
perché?»
La fronte del maestro si
corrucciò «Per gli Accordi.
Faccende noiose che riguardano il Conclave e non noi. Concentrati sulle
cose
importanti, hai veramente l’attenzione di una farfalla in un
campo di fiori,
Sianna. Una delle questioni più delicate per un erborista
è sapere in quale
stagione sia più opportuno raccogliere questa o quella parte
di un arbusto. In
linea generale tieni a mente che i fusti si raccolgono in Foghara, e le
gemme
all’inizio di Earrach. i fiori invece appena sbocciano. Ti
farò vedere, ma
inizia a ricordare la base»
Sianna annuì e si
sforzò di restare concentrata per non
rischiare di dimenticare nulla. Il suo insegnante, per quanto sostenuto
e,
all’apparenza, seccato dall’incombenza di doversi
fare carico della sua
istruzione, in verità non riusciva a nascondere
l’entusiasmo nel poter
condividere le proprie conoscenze.
Le parlò
dell’usanza che le streghe avevano tramandato e
che gli erboristi avevano adottato di bruciare le erbe
dell’anno passato la
notte dell’Alban Heruin, le spiegò la differenza
tra un decotto e un infuso, i
vantaggi dei macerati e l’efficacia di cataplasmi e unguenti.
«Dividiamo, per
convenzione, le piante in famiglie. Ce ne
sono cento, oggi inizieremo a vederne alcune»
Cento era un numero grande, Sianna
non era certa di saper
quantificare un cento e un poco perse convinzione. Tuttavia
l’affascinava il
guardarsi intorno e realizzare, con sempre maggior meraviglia, che
ciò che la
circondava era più complesso di quanto avesse mai potuto
immaginare.
Tanet aveva preso a girovagare,
gli era tornato il buon
umore e le mostrava con entusiasmo le gemme appena nate, le differenze
fra le
nervature delle lamine fogliari, le numerose forme dettate dalla
famiglia di
appartenenza. Mangiarono due panini di farina bianca che avevano
portato con
loro e il maestro ne approfittò per mostrarle le bacche
commestibili.
La sommerse di
un’infinità di nozioni finché non si
fece
pomeriggio.
Il sole iniziò la sua
prematura discesa e con lui le
temperature calarono dolcemente.
«Facciamo una prova
pratica prima di rientrare» borbottò
lui cacciando uno sbadiglio. Sianna si sentiva assonnata e sarebbe
volentieri
rientrata subito, così annuì svogliatamente
mentre Tanet si guardava attorno.
«Ecco,
trovato» individuò un cespuglietto verde e,
prendendo il falcetto d’argento che portava legato al fianco,
recise un rametto
che poi le porse con un sorriso.
«Come ti ho
già spiegato, presta attenzione alla forma
delle foglie, al pistillo, al profumo. Cerca di identificare le
caratteristiche
di cui abbiamo parlato prima. Questo è un ramo di
Alchemilla. Qui è piuttosto
comune, cresce solo in zone ombrose e fresche, quindi è
facilmente reperibile
in montagna e spesso la trovi anche nelle radure»
Sianna le dedicò
un’occhiata priva di criticità e piena
di scetticismo. Aveva veramente troppo sonno per essere seria, si
stropicciò
gli occhi con il polso e borbottò «Vedo un
ramo»
Tanet scosse la testa con
riprovazione «Non l’hai nemmeno
guardata. Non rientreremo finché non riuscirai a darmi
almeno l’impressione di
aver imparato qualcosa. Osservala e ascoltala»
La ragazza arricciò il
naso, ma decise di essere
accondiscendente, se non altro per interesse personale. Aveva camminato
a lungo
e non era più abituata a giornate così intense e
piene, le facevano male le
articolazioni e i muscoli, desiderava sdraiarsi e dormire per i cento
anni a
venire, altro che cento famiglie!
Osservò il fusto
sottile, verde chiaro sfumato di rosso,
analizzò i piccoli fiori, anch’essi di un delicato
verde, le foglie dai bordi
dentellati, ripiegate all’interno.
«Allora»
s’inumidì le labbra mentre rifletteva «I
fiori
sono in boccio e la corolla è perfetta, quindi questo
dovrebbe essere il suo
periodo di fioritura» valutò, e si
riempì di orgoglio nel notare il sorriso
incoraggiante di Tanet «Infatti» aggiunse lui
«Dal Tempo della Luce al Tempo della Semina,
più o meno»
Sianna prese l’ennesimo
respiro e chiuse gli occhi.
Conosceva l’Alchemilla,
cresceva ovunque, anche fuori
casa sua e sua madre la coglieva di frequente, era
un’incredibile guaritrice,
anche se lei non aveva mai saputo come la impiegasse.
«Potrebbe far
parte…» esitò, ancora guardò
con cura i
fiorellini, privi di corolla, e notò la forma a calice con
quattro sepali a
simulare i petali «Beh potrebbe trattarsi di una
Rosacea»
Cercò
l’approvazione del maestro e lo trovò soddisfatto
e
sorridente per la sua deduzione.
Le dita sottili, strette
all’arbusto, s’intorpidirono
lentamente, e il sorriso le si congelò sulle labbra per
mutare in una smorfia
confusa. Odiava quella sensazione di estraniazione da se stessa che
provava
talvolta, un distacco lento e indipendente dal suo volere che si
scatenava
senza una ragione, come una reminescenza sopita che le scivolava tra le
vene e
i tendini.
Per qualche istante, nel suo
stesso corpo non percepiva
più soltanto “Sianna”, ma altre
consapevolezze che facevano sempre parte di lei
eppure le erano estranee.
«La rugiada»
mormorò, sollevando la mano libera per
accarezzare le foglie dell’Alchemilla.
Tanet la scosse piano per una
spalla «Tutto bene? Cosa ti
è preso?»
Con un senso spaventoso di
vertigine, Sianna sussultò,
spalancò i grandi occhi azzurri, fin troppo confusi e
sentì le familiari
presenze scivolare via, fluire fuori dal suo corpo, ripercorrere le
braccia,
sfiorarle le dita, per ricongiungersi alla pianta fra le sue mani.
Doveva avere
un’espressione poco rassicurante, perché il
maestro sembrava preoccupato.
«È un
antinfiammatorio, e un cicatrizzante.» buttò fuori
tutto d’un fiato «ed un sedativo, se serve. E la
sua rugiada, la rugiada che si
raccoglie sulle sue foglie è l’acqua
celeste… è fondamentale per la Pietra
Filosofale»
Lo aveva detto senza respirare,
sentiva che dovevano
uscire, erano parole che avevano preso senso solo nel momento in cui le
aveva
pronunciate, prima non le conosceva. Le cadde l’Alchemilla di
mano e in un
picco di smarrimento si guardò attorno per riprendere
consapevolezza.
Quando aveva certi attacchi, era
Ynyr a riportarla nel
mondo reale, ma Ynyr non c’era e Tanet pareva fin troppo
sorpreso per dirle
qualcosa di sensato, le labbra sottili erano schiuse in un
atteggiamento
infantile buffo e insolito per quel viso esotico.
«Come le sai queste
cose?» domandò
guardingo.
Sianna corrugò le
sopracciglia e si portò la mano alla
bocca per mangiarsi le unghie «Non le so»
«Non sembrava»
La ragazza prese un profondo
respiro «Non le so davvero.
Le avrò sentite da mia madre, era una guaritrice, magari me
ne ha parlato e non
mi ricordo quando»
Tanet non era convinto, era
evidente, aveva gli occhi
socchiusi e attenti, alla fine però scosse le spalle, come
rassegnato a
prendere per vere le sue parole, e sbuffò «In ogni
caso, quello che combinano
gli Alchimisti non è affar nostro, in particolare per
ciò che concerne quella
Pietra infernale. Non so come tu sia a conoscenza degli ingredienti che
usano
quei fanatici, ma non mi piace. Ricorda
che le nostre sono pratiche completamente
differenti»
Sianna si affrettò ad
annuire, dondolando da un piede
all’altro per l’imbarazzo. Non le era capitato
spesso, che estranei potessero
assistere ad uno dei suoi “momenti” di smarrimento,
per un attimo aveva temuto
che Tanet l’avrebbe respinta, non se ne sarebbe meravigliata.
In molti avevano
avuto paura di lei, non si era guadagnata il titolo di
“figlia del Demonio” per
nulla. Fortunatamente il maestro sembrava deciso a glissare su quella
stranezza
e a non porle domande di alcun tipo.
«Cosa sono gli
Alchimisti?» trovò il coraggio di
chiedere. Tanet alzò un sopracciglio «Sei a
conoscenza dell’Acqua Celeste,
com’è possibile che tu non sappia chi la
impiega?»
Arrossì sentendosi una
sciocca.
«Sono
studiosi» borbottò il sacerdote dandole la schiena
per avviarsi verso il villaggio «Maghi molto particolari. Se
ne stanno
rintanati in quel loro imprendibile castello e vaneggiano cose
sacrileghe. Per
quel che mi riguarda, sono troppo sovversivi alla natura. Non sono
brave
persone, chiaro?» le scoccò un’occhiata
eloquente e severa, ad intimarle di
ricordarlo bene, e Sianna si ritrovò ancora ad annuire senza
il coraggio di
esprimersi.
Gli alberi si diradarono,
mostrando il cielo macchiato di
oro e rosa, in lontananza una linea scura d’inchiostro aveva
iniziato ad espandersi
e a contaminare l’azzurro. Non c’erano nuvole.
«Ci vorranno mesi prima
che si possa dire che realmente
tu ne sappia qualcosa» commentò Tanet quando
raggiunsero le prime capanne, era
serio e attento «Ma forse… forse sei
portata» accennò un sorriso furbo, che
sottendeva altro, una frecciata silenziosa che Sianna
scacciò con un sorriso
tronfio e noncurante.
«Non mi meraviglio. A
domani maestro!»
«Ah, te lo puoi
scordare! Hai fino a quando la Luna non
sarà alta, se posso consigliarti, dormi. Mi servi sveglia, e
attenta possibilmente!»
Sianna non l’aveva preso
sul serio, gli aveva fatto una
linguaccia e si era defilata rapidamente. Nemmeno cinque ore dopo
Tanet, come
promesso, l’aveva buttata giù dal letto.
ANGOLO
AUTRICE
Sporadicamente
lo
so, però continuerò a pubblicare questa storia
perchè, beh ci sono affezionata
e amo Sianna in realtà…!
Questa
storia si
articola su tre grandi blocchi che influenzano tutti gli eventi, e
questa prima
parte è la più tranquilla. È un mondo
grande che vorrei chiarire e ci sono
molti personaggi, questo potrebbe rallentare forse un poco il ritmo,
almeno all’inizio.
Se questo dovesse succedere e avrete voglia di dirmelo, o avete qualche
domanda
perché sono stata poco chiara, accetterei volentieri
consigli per migliorare la
narrativa.
Grazie
di tutto,
e a presto!
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