Titolo:
Impressioni di rame e sale. (Sono
solo una ragazza che sta di fronte ad un ragazzo e gli sta chiedendo
di amarla.)
Fandom: Ayashi
no Ceres
Personaggi:
Aya, Toya, OC
Avvertimenti:
nessuno
Conteggio parole:
1229 (Criticoni)
Note: la
storia è stata scritta per Temporal-mente con il seguente
prompt
Sono
solo una ragazza che sta di fronte ad un ragazzo e gli sta chiedendo
di amarla. (Notting
Hill)
Disclaimer:
I personaggi e i luoghi descritti o citati in questa storia non mi
appartengono, ogni diritto legale è da attribuirsi a Yuu
Watase.
“Ricordi
come eravamo
tre anni fa?”
Aya
scosse la testa;
nonostante fossero passati quasi tre anni, era ancora strano sentire
Toya parlare di ricordi.
Tre
anni, erano passati
solamente tre anni eppure sembrava un'altra vita, completamente
estranea a tutto ciò che vivevano ora: Aki, Shuro, Chidori e
troppi
altri non c'erano più, la potente famiglia Mikage era ormai
alla
rovina tra processi e fallimenti aziendali, lei era diventata madre.
Il
piccolo Hachirou
giocava poco distante da loro con un pallone, regalo del suo zio
Yuhi, mentre il sole tramontava all'orizzonte. Era stato Toya a
scegliere il nome per loro figlio, sostenendo fosse di buon auspicio;
era un vero peccato che le persone generalmente ridessero nel
sentirlo: era praticamente impossibile che una coppia giovane come
loro potesse volere veramente altri otto figli. Non che potesse
contraddirli, nemmeno lei riusciva ad immaginarsi madre di nove
bambini.
La
luce si fece sempre
più tenue mentre una brezza salì dal mare,
scuotendo i rami più
sottili del ciliegio, in fiore fino a un mese prima; se avessero teso
l'orecchio avrebbero potuto sentire distintamente la campana di un
vecchio peschereccio e lo stridio dei gabbiani che tornavano al nido.
L'atmosfera
era talmente
perfetta che sembrava impossibile ricordare come fosse quel posto al
loro arrivo. Quando erano giunti sull'isola, la vecchia casa del
pescatore li aveva accolti con il cigolio delle imposte scardinate e
con i tonfi delle tegole che cadevano a terra, ora li cullava in un
silenzio ovattato, pronto ad accogliere un mondo in visita e questo
grazie alle conoscenze di suo marito e alla buona volontà
dei loro
amici.
Una
folata di vento li
investii e Aya si strinse a Toya in cerca di calore. “Come
eravamo...” iniziò, affondando il naso nella sua
felpa. “Non
eravamo una ragazzina viziata e dispotica e un bodyguard tutto d'un
pezzo?”
“Sto
parlando
seriamente.” rispose lui, accarezzandole i capelli.
“Ricordi come
eravamo Aya?”
Il
suo nome morì in un
sussurro, tra non molto Toya si sarebbe addormentato ancora e le
ciocche ramate sarebbero ricadute sulle sue palpebre abbassate.
Certo, lui avrebbe tentato di riaprire gli occhi, sforzandosi di
essere presente al gioco di suo figlio, ma sarebbero stati sforzi
sempre più sporadici.
L'odore
di salsedine ed
erba umida solleticò le sue narici, facendola starnutire.
Hachirou
era ancora impegnato nel lanciare il suo pallone contro un albero e
riprenderlo prima che toccasse terra, ignaro del riposo del suo
papà.
Non aveva mai avuto il coraggio di spiegare al suo bambino che un
giorno il suo papà così forte non sarebbe
più stato con loro,
preferiva vivere giorno per giorno.
In
fondo, si diceva ogni
sera, abbiamo superato un altro giorno, possiamo arrivare fino a
domani. Erano rimasti insieme per ben tre anni a dispetto delle
previsioni del dottor Kurozuka, condividendo tanto, dalla nascita del
loro bambino fino al profumo delle torte alla fragole che anche lei,
finalmente, sapeva preparare.
L'aria
continuava a
solleticarle la pelle e lei premette maggiormente il viso sulla felpa
di Toya; certamente era colpa dell'aria e di tutta quella salsedine
se i suoi occhi stavano diventando lucidi.
La
campana del
peschereccio si faceva sempre più lontano mentre le prime
stelle
intervallavano il principio di notte; l'ora di cena era passata da un
pezzo, ma Aya non se ne curò. In fondo, si disse, Hachirou
era
impegnato a correre e creare dei buchi sui suoi calzoni per
protestare,e lei era troppo presa dall'odore di Toya e dalla
sensazione del suo braccio contro la sua guancia.
Avrebbe
voluto rispondere
che erano sempre “Ricordo di essere stata una
ragazza.” iniziò,
accarezzandogli il dorso della mano, seguendo il contorno di una
piccola cicatrice, frutto del loro recente tentativo di giardinaggio.
“Quella ragazza ti guardava sempre, e ti chiedeva di
amarla.”
“E
ora? Ora cosa
siamo?”
Non
c'era urgenza nella
sua voce, in Toya non potevano esistere insicurezza o ansia, solo una
sana, semplice curiosità e la voglia di sentire la sua voce.
O
almeno, lei voleva sentire solo questo: era più semplice
lasciar
passare i dubbi e le giornate se tutto rimaneva casuale.
Le
stelle si fecero più
luminose e la luna fece la sua comparsa; il suo bambino
sembrò
finalmente essersi stancato a sufficienza e venne lentamente verso di
loro, stropicciandosi l'occhio sinistro.
Il
tempo passava, le onde
si infrangevano contro gli scogli e Toya ancora non apriva gli occhi.
Non era mai passato tanto tempo prima che provasse a guardarli.
Il
buio era ormai
prossimo e lei ancora non gli aveva dato una risposta. Cos'erano
ora... le sarebbe piaciuto dire che erano rimasti gli stessi, ma non
poteva mentirgli così: loro due non sarebbero potuti
rimanere gli
stessi, non dopo Ceres e la ricerca della Veste.
A
volte la sognava
ancora, la Dea Celeste, alcune volte erano sogni nostalgici e Ceres
le faceva visita con tutti i suoi amici perduti, altre volte la
vedeva volare via stringendo tra le braccia un bambino che lei non
era in grado di proteggere. Quelle notti si svegliava con il fiato
corto e inevitabilmente correva nella cameretta del suo Hachirou,
lì
poteva passare ore a guardarlo dormire.
Aya
sentì qualcuno
tirarle la gonna e abbassò lo sguardo su suo figlio che le
porgeva
un mazzo di fiori gialli. Stava giusto stringendo fra le dita i
sottili gambi, quando una mano si chiuse sulla sua, chiudendoli in
un'unica stretta.
La
sensazione del respiro
caldo sul suo braccio e dello sguardo loro mani le mise i brividi.
“Non
credo di potermi
ancora definire una ragazza. Guardami, ho un figlio.”
sussurrò,
lasciando che le dita di Toya si stringessero sulle sue. Su uno
scoglio a pochi metri un gabbiano emetteva ancora il suo richiamo
mentre lui le sistemava la propria felpa sulle spalle. “Ho
visto e
fatto troppo per poter essere ancora una ragazza.” concluse
portandosi le corolle al petto.
Era
vero, in poco più di
un anno aveva visto gran parte del Giappone, aveva rischiato di
morire e aveva visto morire, si era innamorata ed ora aveva due
uomini importantissimi nella sua vita. Alle volte faticava a credere
che tanto dolore l'avesse portata a qualcosa di così bello.
Un
piccolo peso sulle
ginocchia la fece sussultare. Hachirou le si era ormai arrampicato in
grembo e lei si alzò, avendo cura di farsi passare le sue
piccole
braccia intorno al collo. Un giorno, troppo presto, non avrebbe avuto
abbastanza forza per sollevarlo in quel modo.
Ormai
il sole era
completamente tramontato e il cielo aveva assunto una tinta blu
talmente scura da sembrare nera, tanto simile ai capelli di quella
dea che aveva determinato il loro destino da toglierle il fiato.
“Non
sono più una
ragazza, Toya, ma sono ancora qui, di fronte a te, per chiederti di
amarmi.”
Il
respiro regolare
dietro di lei le fece capire che il ragazzo si era nuovamente
appisolato. Aya sorrise e strinse maggiormente al petto il suo
bambino mentre tornava sulla panchina al fianco di quello che
considerava il suo uomo.
Hachirou
sbadigliò e si
assopì fra le sue braccia, Aya si lasciò andare
contro la spalla di
Toya. Da quella posizione aveva un'ottima visuale dell'orecchino che
gli aveva sempre impedito di togliere.
Facendo
attenzione a non
svegliare il piccolo, si avvicinò al suo orecchio.
“Mi ami, Toya?”
gli sussurrò, prima di ridere del verso infastidito del
ragazzo.
Toya
si mosse un attimo e
lasciò cadere la testa sulla sua spalla. Aya
passò le dita tra le
ciocche ramate; presto avrebbe dovuto svegliarlo per rientrare in
casa, ma quella sera le stelle erano così belle che avrebbe
potuto
aspettare.
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