Autore: Alexiel
Mihawk
Titolo: Emptiness
Fandom: Voltron Legendary Defender
Personaggi: Allura, Takashi Shirogane
Lingua: Italiano
Genere: angst, introspettivo,
Warning: suggested!Shallura, missing moment
Rating: sfw
Parole: 1006
Prompt: vuoto
Note: scritta per il CoW-T di MaridiChallenge,
questa storia si pone come missing moment della prima stagione, subito
dopo ejetta Sendak fuori dal castello. Ovviamente le cose sono poi
cambiate nel corso del tempo, but still. A me piace sempre tanto l'idea
di Shiro che non sa cose e si dispera perché sente che gli
manca qualcosa. Non mi piace la storia, ma questo è un altro
discorso.
Emptiness
La parte peggiore non erano incubi.
Dopo mesi di insonnia, tra sudori freddi e movimenti convulsi che lo
portavano ogni volta a scalciare via le coperte con forza, era venuto a
patti col fatto che non sarebbe mai più riuscito a dormire
sonni tranquilli. Si era abituato a svegliarsi di soprassalto, ansante,
con le sopracciglia aggrottate e una mano (la sua mano, l'unica mano)
sul torace a controllare il battito cardiaco, per essere sicuro di
essere ancora vivo, ancora intero. No, quello oramai lo sapeva:
un'intera notte di sonno non era un lusso che si poteva concedere,
anche volendo.
Forse se fosse stato ancora sulla terra lo avrebbero trascinato da
qualche psicologo, lo avrebbero imbottito di ansiolitici e gli
avrebbero detto che no, non c'erano alieni, che si era immaginato ogni
cosa e che avrebbe fatto meglio a non tornarci proprio a casa, che
sarebbe dovuto rimanere morto come pensavano tutti. Ma Shiro non era
sulla Terra. Era su una nave spaziale comandata da una principessa
aliena in rotta per sconfiggere un impero che minacciava di conquistare
l'intero universo. Se qualcuno glielo avesse detto un anno prima non ci
avrebbe mai creduto, ma questa era la sua vita adesso e in parte andava
bene così.
Oramai si era abituato, per quanto fosse possibile abituarsi a una
situazione tanto surreale, e la parte peggiore non erano gli incubi,
non erano gli alieni, non era la consapevolezza che non sarebbe mai
tornato a casa. Dopo tutto il termine casa non aveva mai avuto davvero
peso per lui, non era mai stato legato a niente se non alla cabina di
pilotaggio e al suo equipaggio; Shiro amava volare, la sensazione di
librarsi leggero nell'aria, nello spazio, l'idea di fare la differenza.
Quindi sì, non gli dispiaceva essere lì: un
paladino di Voltron. Volare poteva volare quanto voleva –
tecnicamente anche in quel momento stava volando, aveva trovato una
nuova famiglia e aveva finalmente la sensazione che il suo ruolo
nell'universo non fosse quello di un semplice spettatore.
Restava il vuoto.
Era il vuoto la parte peggiore.
La pressante sensazione che provava all'altezza del petto ogni volta
che chiudeva occhi.
Dov'era la sua umanità? Dov'erano i suoi ricordi? Cos'era
successo mentre era prigioniero dei Galra?
Era ironico che Shiro, la persona che tra tutti aveva più
consapevolezza di sé stesso e degli altri, non avesse
memoria di sé; la sua mente era avvolta dalla nebbia e per
uomo come lui, che mirava ad essere lucido e preparato in ogni istante,
non c'era niente di peggio.
All'inizio non ci aveva dato troppo peso: gli incubi erano peggio,
avere perso un braccio era stato peggio, la tortura, la prigionia, la
morte, tutto era stato peggio, o almeno così si diceva. Poi
avevano incontrato i prigionieri e nel liberarli Shiro aveva visto nei
loro occhi uno sconosciuto che non era riuscito a identificare, e la
cosa lo aveva terrorizzato.
Quelle persone, quegli alieni, vedevano lui, ma allo stesso tempo
guardavano qualcun altro: non era Takashi Shirogane, era il Campione.
Era l'uomo che aveva perso un braccio e parte della sua
umanità in un'arena che non ricordava di avere mai
attraversato.
Diamine, nemmeno ricordava come lo avesse perso
quello stramaledetto braccio!
Sospira, o forse impreca leggermente, fissando lo spazio vuoto in cui
fino a poco tempo prima si trovava la capsula di ibernazione in cui
Sendak era tenuto prigioniero.
«Merda» borbotta Shiro tra sé, senza
distogliere lo sguardo.
«Non molto elegante, Paladino».
Allura si è mossa così silenziosamente alle sue
spalle che l'uomo non l'ha nemmeno sentita arrivare; le sorride
debolmente, salutandola con un cenno del capo.
«Principessa. Perdonami, non avevo idea- Non ti avevo-
Pessima figura».
«Non ha importanza» ridacchia Allura, divertita nel
vederlo andare in agitazione.
«Ti serviva qualcosa?» Shiro fa un passo indietro,
voltandosi leggermente verso di lei.
Non che prima avesse intenzione di darle le spalle, ma ora che si
è reso conto della posizione in cui si trovavano non riesce
a non pensare che non sia esattamente un atteggiamento educato da
tenere in presenza di chiunque.
«No, no, passavo semplicemente di qui e ti ho
visto» si interrompe, soppesando le parole con attenzione
«Non hai l’aria di una persona che sta bene Shiro,
ti va di parlarne?»
Allura si appoggia leggermente alla capsula di ibernazione e Shiro
trattiene il respiro, aspettandosi da un momento all’altro
che un paio di braccia artigliate e violacee emergano dalle ombre della
nave, afferrandola e portandola via.
«Ti ringrazio, Allura, ma non è niente,
davvero».
La principessa sbuffa, roteando gli occhi verso l’alto,
conosce la testardaggine e vede il riflesso della propria negli
atteggiamenti degli altri. Allunga una mano e accarezza con inattesa
dolcezza il viso del paladino, che a sussulta leggermente, sollevando
il viso per guardarla negli occhi.
«Non credere che non abbia gli occhi, Shiro. So riconoscere
una persona spezzata quando la vedo sono stata spezzata anche io, ma
questo non significa che siamo rotti».
L’uomo guarda dritto davanti a sé, oltre il suo
riflesso nel vetro della capsula, aggrotta le sopracciglia e scuote il
capo.
«Non sono nemmeno sicuro di chi sono, di cosa sono. Si sono
portati via una parte di me» sorride, ed è un
sorriso così triste, così mesto che ad Allura
quasi viene da piangere.
«Hanno portato via qualcosa ad ognuno di noi, Shiro, ma
andrà meglio. Andrà meglio, te lo
prometto».
La sua mano scivola dietro al collo del paladino e con un gesto gentile
Allura si avvicina e lo abbraccia, accarezzandogli dolcemente i
capelli, la schiena, stringendolo a sé.
Shiro chiude gli occhi, lasciandosi cullare da quel calore, da
quell’illusione tanto desiderata che le parole della
principessa portano con sé. E non è che ci creda
per partito preso, è che sceglie di crederci, ha bisgno di
crederci e una parte di lui lo sa che il mondo non è finito,
che quel vuoto nei suoi ricordi, nella sua memoria e nella sua vita non
è sinonimo di annullamento, di fine.
Respira profondamente, affondando il viso tra i capelli candidi di
Allura, e ricambia l’abbraccio.
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