Un giorno qualunque
L’unica cosa a cui
riesce a pensare ora, che la verità le è stata
sbattuta in faccia come uno schiaffo, è che avrebbe dovuto capirlo
prima. E
forse c’erano stati momenti in cui il sospetto si era
affacciato nella sua mente, ma era stato più semplice
ignorarlo, convincersi ripetutamente di aver mal interpretato. In
questo preciso istante, tuttavia, è impossibile ignorare
l’evidenza dei fatti. Il momento della resa dei conti
è finalmente giunto.
La figura
allampanata di Gianluca torreggia su di lei, immobile
nell’attesa di un responso, di un segno di avvenuta
comprensione di quanto ha appena rivelato. Ma le parole stentano ad
uscire, dando vita ad un silenzio pesante come un macigno. Sulla fronte
di Gianluca passa come un’ombra, ogni traccia di
vitalità svanisce da quel suo sguardo sempre dolce, sempre
gentile.
L’ha
attirata nel parchetto sopra cui si affaccia la sua casa, che li ha
visti protagonisti di incalcolabili spedizioni navali, che ha ascoltato
in silenzio i segreti mormorati a fior di labbra ed è stato
testimone dei litigi, sciolti in lacrime e abbracci sul far della sera.
L’ha chiamata lì, come fosse un giorno qualunque,
con la scusa di parlarle di qualcosa. Senza domandarsi che fosse, Sofia
si è infilata le scarpe, aggiustata i capelli ed
è scesa in un batter d’occhio.
Ti amo, le ha detto
lui, ti amo da quando
eravamo ragazzini e giocavamo a calcio in questo parchetto di quartiere
e io ti prendevo in giro dicendoti che non eri capace. Ti amavo quando
mi ha raccontato del tuo primo bacio e della tua prima delusione
d’amore; ti amavo anche quando frequentavo altre ragazze. Te
lo dico ora perché devo, non riesco più a
nasconderlo e devo tentare prima che sia troppo tardi, prima che la
vita ci faccia intraprendere strade distinte. E ho paura, da morire,
perché potrei perdere tutto ciò che abbiamo
costruito, però non importa: mi gioco tutto.
Sofia
tentenna ancora e quell’espressione che va dipingendosi su di
lui le stringe il cuore in una morsa di ferro. C’è
forse un modo giusto per dire a qualcuno a cui vuoi bene qualcosa che
non vorrebbe sentire?
Non
può fare a meno di sentirsi un mostro, dato che sta per
spezzare il cuore ad una delle persone più importanti della
sua vita, il suo migliore amico. Si conoscono dai tempi delle medie,
quando lui l’ha difesa dalle maldicenze di alcuni compagni di
scuola, lei l’ha ringraziato tra le lacrime e il giorno dopo
gli ha portato dei biscotti al cioccolato fatti con le sue mani. Tutto
è nato spontaneamente da quel momento: da semplici
conoscenti sono diventa amici, compagni di gioco, confidenti. Ma ora
pensa che forse, in qualche modo, deve averlo illuso, deve avergli
permesso di credere che lei stessa avrebbe voluto di più.
Ogni volta che ha poggiato il capo sulla sua spalla guardando un film
sul divano di casa sua, ogni volta che l’ha stretto tra le
sue braccia in un momento di scoramento, ogni volta che gli ha
confessato che era un pezzo importante nella sua vita, che era un
ragazzo d’oro, ogni volta che gli ha rivolto un sorriso e ha
condiviso un frammento di sé, l’ha illuso.
Eppure non
se n’è accorta.
«Gian»
comincia e la voce le si spezza in gola. Una scintilla di
consapevolezza pare attraversare gli occhi scuri dell’amico, nel profondo già
conosce la sua risposta.
Per un
malato istante pensa che potrebbe provarci, potrebbe farlo funzionare,
potrebbe non spezzargli il cuore. Allora si immagina di sfiorargli le
labbra, tenergli la mano, presentarlo alla sua famiglia come il suo
ragazzo, non più come il suo migliore amico. E lo avverte
tanto innaturale e sbagliato che rabbrividisce. Finalmente, rinsavisce
e comprende quanto quell’errore finirebbe per rivelarsi
madornale: una doppia presa in giro, una crudeltà per lui e
per se stessa.
«Gian,
mi dispiace» continua Sofia «Tu sei il mio migliore
amico, ti voglio bene, un bene infinito, ma non ti amo e non sarebbe
giusto farti credere il contrario» butta fuori tutto
d’un fiato, ma non si sente affatto sollevata come avrebbe
sperato.
Sulle
labbra di Gianluca compare un sorriso rassegnato, intriso di tristezza.
Un’altra fitta all’altezza del petto, come farà a
perdonarselo stavolta?
Si passa
una mano tra i riccioli scomposti ed esala lentamente.
«Mi
dispiace così tanto» continua Sofia, facendo un
passo verso di lui.
«Non
dispiacerti» dice il giovane, dopo un breve silenzio in cui,
probabilmente, raccoglie le parole giuste «Era un rischio che
ho preso in considerazione… Ci conosciamo da talmente tanto
tempo, mi vedi solo come un amico, lo capisco».
Sofia
annuisce. Vorrebbe dirgli che spera che questo rifiuto non li
allontanerà, perché tiene alla sua amicizia
più di qualsiasi altra cosa, ma non ce la fa. Le sembra sia
una forzatura.
«Se
hai bisogno di prendere le distanze per un po’, ritagliarti i
tuoi spazi, lo capisco. Starò alla larga finché
non te la sentirai» le costa una fatica non indifferente
pronunciare quelle parole ad alta voce ed elaborarne il significato.
Equivarrebbe a rinunciare a lui, alla sua amicizia. Non attenderlo
più sotto casa sua prima di andare a scuola, non trascorrere
più serate all’insegna di film e pizza, non
stringerlo più tra le sue braccia. Almeno per un
po’…
Il ragazzo
scuote la testa e, quando indirizza di nuovo lo sguardo su di lei, i
suoi occhi sono coperti da un impercettibile velo di lacrime.
«No, non voglio perderti. Voglio poterti stare accanto anche
solo come amico».
Lacrime
nuove si affacciano agli angoli dei suoi occhi e rotolano veloci sulle
sommità delle sue guance. Sofia singhiozza a sua volta,
quando si slancia verso il suo amico e gli getta le braccia al collo.
Per l’ultima volta si rifugiano l’uno
nell’abbraccio dell’altra; esposti e addolorati,
non sono mai stati tanto vicini. Quando sciolgono
l’abbraccio, durato un’eternità,
checché se ne dica, sono entrambi consapevoli che nulla
sarà come prima.
Eppure ci
sperano entrambi di non perdersi, di potersi stare accanto ignorando
l’ignorabile, fingendo di non vedere ogni gesto, ogni
carezza, ogni parola, con altri occhi.
«Ci
vediamo, Sofia» dice Gian.
«Ciao,
Gian» risponde, strofinandosi il viso con la manica della
felpa.
Lo osserva
darle le spalle e percorrere la strada verso casa, con la testa china e
le mani abbandonate nelle tasche del giaccone di jeans. È
quel preciso istante, mentre lo vede allontanarsi senza mai voltarsi
alle spalle, che Sofia si rende conto con amarezza che un piccolo
frammento della sua vita si è sbriciolato per sempre e
forse, solo in un giorno molto distante da questo, riusciranno a
guardarsi di nuovo con occhi di ragazzini.
Scrissi questo pezzo in momento di sconforto e così,
d'impeto, ora ho deciso di pubblicarlo. Si parla spesso di quello che
accade a chi ama ed è rifiutato, ma che accade a chi
rifiuta?
Spero che vi piaccia e
che mi farete sapere che ne pensate.
Baci.
C.
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