Stalker

di mido_ri
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Ven, 12 ottobre, mattina

- C-cosa sai? -

I suoi occhi mi scrutarono attentamente.

- Ascolta...Non so esattamente cosa c'è che non va con te, vorrei davvero capirci qualcosa e sarebbe di grande aiuto se ti aprissi un po' di più -

- Ma che diavolo stai dicendo? Sono io quello che non capisce -

Le mie mani iniziarono a sudare.  Deglutii sonoramente, o almeno alle mie orecchie quel rumore parve piuttosto forte. Non potevo stare lì, non di fronte a lui, non in quel modo, non potevo stare con lui e basta.

- Non mi sento molto bene...Lasciami in pace -

Fui costretto a seguire tutte e cinque le ore di lezione sotto lo sguardo opprimente di Riccardo; suonata l'ultima campanella, cercai di sgattaiolare via il prima possibile, ma la sua voce mi richiamò con decisione.

- Ro...Davvero...Non è il momento -

Mi fece cenno di stare in silenzio e si diresse verso l'entrata dell'aula, poi chiuse la porta; ormai in classe non c'era più nessuno.

Si avvicinò nuovamente e mi afferrò per le braccia.

- Vieni qui -

Mi fece sedere a terra, lui fece lo stesso. Non sapevo minimamente cosa avesse in testa, ma qualcosa mi spingeva a fidarmi.

Appoggiò il capo sulla mia spalla e sospirò.

- Abbracciami -

- Da quando ti presti a questo tipo di richieste? -

Si avvicinò ancora di più.

- Sono serio, abbracciami -

Non me lo feci ripetere di nuovo, gli circondai la schiena con le braccia e lo strinsi forte; tremò lievemente.

In quell'istante capii che voleva comunicarmi qualcosa, ma non poteva. Tenni la bocca chiusa e mi limitai a intrecciare le mie dita nei suoi capelli.

- Ale -

- Dimmi -

- Grazie -

"Tu non vuoi essere così, vero? Non vuoi dirmi questo, non vuoi essere qui, a terra, a nasconderti da chissà chi o cosa"

Si alzò e si mise lo zaino in spalla.

- Mi accompagni a casa? -

 Ed ecco, dov'era finita la paura di qualche attimo prima prima? Cos'era successo nel giro di pochi secondi?

Un pugno parve stringersi intorno al mio cuore, il dolore fu forte, ma fortunatamente breve; lo presi come un avvertimento.

- N-no, mi dispiace, non posso. Mia madre mi aspetta e non vuole che faccia tardi -

Uscii dalla classe con gli occhi bassi, con la testa così piena di pensieri che non sentii neanche la sua risposta.

 

C'erano un paio di macchine parcheggiate dinanzi casa mia. Degli uomini in divisa erano impegnati ad avvolgere del nastro giallo fra le sbarre del piccolo cancello.

Al mio arrivo si voltarono tutti, sembrava che mi avessero atteso a lungo; uno di loro mi si avvicinò di corsa, era scosso e impaziente.

- Sei il figlio della donna che abita qui? -

Intesi subito ciò che stava per accadere.

- Sì, perché? -

Esitò per qualche attimo.

- È morta -

La testa mi parve per un attimo fin troppo pesante, tanto da potermi trascinare verso il basso.

- Ehi, ti senti bene? -

La sua voce si allontanò, ciò che mi stava davanti si riempì di piccole macchie, finché non mi parve di avere un enorme foglio bianco davanti agli occhi.

L'uomo mi scosse con forza una spalla e mi riportò indietro.

- S-sì...-

Mi fecero sedere in macchina, con una coperta sulle spalle. L'uomo di prima si sedette accanto a me e mi rivolse uno sguardo preoccupato.

- È lì da un paio di giorni, una sua collega ci ha contattati dicendo che era preoccupata poiché non andava a lavoro da troppo tempo nonostante si  trattasse di una semplice febbre, tu non ne sapevi nulla?-

Scossi la testa.

- Come hai fatto a non accorgertene? -

Avrei trovato una risposta a tutto, dovevo solo stare tranquillo.

- S-sono stato a casa di amici -

- E non hai sentito tua madre? Neanche una telefonata? -

- No -

Evitai di guardarlo in viso.

- Non ti sei preoccupato di sentirla? Di sapere come stesse? -

- No, avevamo litigato -

L'uomo sospirò pesantemente e si posizionò meglio sul sedile.

- Capisco. Come mai avete litigato? -

- Un brutto voto a scuola -

- Tutto qui? -

- Sì -

Tenevo lo sguardo fisso sulle mie mani mentre cercavo di togliermi dalla faccia quell'espressione spaesata e confusa. Sicuramente tutti lì in mezzo avevano collegato l'omicidio di mio padre alla morte di mia madre.

- Vuoi un po' d'acqua? -

Scossi il capo.

- Almeno stai un po' meglio? -

- No, ma...Potrebbe lasciarmi solo? -

- Certo -

Non appena l'uomo fu fuori, cercai il cellulare nella tasca e composi il suo numero.

Nessuna risposta.

Aprii lo sportello e cominciai a correre, delle voci lontane mi dicevano di tornare indietro, ma non potevo stare lì un secondo di più: sulle mie spalle gravava un peso troppo grande, perfino l'aria sembrava un macigno.

Ripensai a lui, a quella mattina in classe, a quello che non mi aveva detto, alla sera in cui l'avevo lasciato solo, nonostante avesse affermato più volte la presenza di uno stalker, al nostro primo bacio, al primo giorno di scuola, cos'era davvero successo da quel momento in poi? Ormai non riuscivo più a distinguere i ricordi reali dalle allucinazioni, non riuscivo a pensare più a niente, avevo un solo chiodo fisso nella mente: Riccardo.

Corsi per un tempo indefinito; arrivato davanti casa sua, mi fiondai su per le scalette e cominciai a bussare. Non ottenni alcuna risposta. La stanchezza nelle gambe cominciò a farsi sentire, avevo ancora il fiatone e la testa pesante. Mi accasciai a terra e chiusi gli occhi nel tentativo di riprendere fiato e coscienza, l'avrei aspettato lì.

 

- Ale...?! -

Una voce sorpresa mi destò da un sonno profondo.

- Mh-mh...Che c'è? -

- Come "che c'è"? Sai di essere steso per terra davanti la porta di casa mia, vero?! -

Quando finalmente riuscii a mettere a fuoco il suo volto, mi si scaldò il cuore e parve ricominciare a battere dopo tanto tempo.

- Ro...Dove diavolo sei stato? -

- I-io...A fare un giro. E tu? Che ci fai qua? -

Scossi la testa come per scacciare via ogni sorta di ripensamento.

- Avevo bisogno di vederti e...di parlarti -

Conclusi la frase con un debole sospiro.

- O-oh...Va bene, entriamo -

Ci sedemmo entrambi sul divano, ma le parole non venivano fuori. Il ticchettio dell'orologio scandiva il tempo in modo fastidioso, mentre noi due ci guardavamo in faccia.

- Allora...Che volevi dirmi? -

Non aspettavo altro che quella domanda, presi un bel respiro, poi buttai tutto fuori.

- Mi dispiace per oggi, intendo per non averti accompagnato...E mi dispiace anche per quella sera in cui ti ho lasciato solo davanti casa, quando volevi compagnia, ricordi? Dicevi ci fosse uno st-

Riccardo mi interruppe, sembrava alquanto preoccupato.

- S-sì, ma...Non so cosa mi è preso quella sera, è logico che non ci fosse nessuno stalker... Comunque non ti preoccupare, non me la sono mica presa! -

- Aspetta, non ho finito -

Il ragazzo annuì diligentemente.

- Io...Mi dispiace che si sia instaurato questo tipo di rapporto fra noi, quando io voglio stare con te, tu non vuoi, quando tu vuoi stare con me, io non voglio; insomma, è come se qualcuno ci costringesse a comportarci così...Tu non provi lo stesso? -

Si guardò intorno intimorito.

- Ale...Non capisco perché all'improvviso ti stia scusando per cose di cui non hai colpa -

- Perché mi piaci, perché anche se qualcuno mi impedisse di stare con te io rischierei lo stesso, non ho mai provato queste sensazioni per qualcuno, perciò sento che sei la persona giusta, e non voglio vederti scomparire dalla mia vita -

Rimase in silenzio per un bel po', la mia confessione lo aveva evidentemente lasciato di stucco. Poi, per la seconda volta in quella giornata, parve voler dire qualcosa per liberarsi di un enorme peso, ma tenne la bocca chiusa.

- Ecco...lo vedi? Ora che ho bisogno di te più che mai, hai questo atteggiamento. Ro, parla -

- Perché hai bisogno di me? Non posso fare niente per aiutarti, io-

- Mia madre...l'hanno trovata stamattina nel suo letto, morta -

Chiuse la bocca di scatto, riprese a guardarsi intorno con paura. Mi sentii in colpa, forse non avrei dovuto addossargli anche le mie sofferenze, ma lui era il mio unico appiglio per non sprofondare nella pazzia. Dopo aver pronunciato quelle parole, sentii il peso della loro realtà: mia madre era morta davvero e non avevo fatto niente per aiutarla; mio padre era morto per mano dello stesso uomo, e io sapevo benissimo a cosa andavo incontro, ma avevo deciso di non agire per il loro bene, avevo scelto lui. Ormai non avevo più nulla da perdere, potevo dirgli tutto, tutto; eppure in quel momento non ero io il problema, ma lui.

I suoi occhi si riempirono di lacrime e nascose il viso nella mia felpa; presi ad accarezzarlo lentamente nel tentativo di confortarlo.

- Ho paura...-

Disse fra i singhiozzi.

- Ho paura Ale...ho paura -

- Di cosa? -

- I-io non...Non lo so! -

Alzò la testa e fissò i suoi grandi occhi lucidi nei miei, il labbro inferiore tremava.

A un tratto divenne tutt'altra persona.

- Ho paura...È colpa tua? Quando siamo insieme sento tanto dolore qui e il cuore mi batte forte -

Si toccò il petto e continuò a guardarmi con aria supplichevole.

- Perché? Perché?! -

- Hey...Succede anche a me, sai? A volte lo sento anche io, ma non mi dispiace, vuol dire che sei una persona molto importante -

Non sapevo cosa dire per consolarlo, stavo per mettermi a piangere anche io. Ma non volevo e non potevo mostrarmi debole di fronte a lui, non in quel momento. Dovevo aiutarlo. 

- Sento come un brutto presentimento...Quindi è una cosa positiva? Vuol dire che anche tu sei importante? -

- Spero di sì, tu che dici? -

- Sì...-

Per la prima volta dopo tanto tempo lo vidi sorridere di nuovo, era più bello che mai: le guance arrossate per il pianto, le labbra umide, scure e sottili, quegli occhi verdi che mi facevano battere il cuore all'impazzata ogniqualvolta la loro attenzione fosse rivolta a me. Riusciva a essere meraviglioso anche nel più totale sconforto.

- Mi dispiace per tua madre... -

Finalmente sentii che stava per aprirsi a me, e ciò mi fece sentire in qualche modo speciale, sembrava capirmi perfettamente.

- C'è una cosa vorrei dirti anche io...Non dovrei, ma sento che di te posso fidarmi...-

Un attimo dopo si coprì gli occhi con le mani e scosse la testa come a voler scacciare una brutta immagine dalla testa.

- Ro...? Ti prego, non sto capendo -

Riprese a singhiozzare, stavolta accompagnato da violenti fremiti.

- È lui...È tutta colpa sua...-

Chiuse i pugni e si graffiò il viso.

- È solo colpa sua...Non devo dirtelo...Mi ucciderà...Ale...-

I suoi occhi erano vuoti, spenti. Non sapevo come reagire, ero sconvolto.

Qualcuno bussò alla porta, feci per alzarmi ma Riccardo mi afferrò una mano.

- No...Non aprire -

- È tua madre? -

Mi guardò con estremo terrore, le pupille nei suoi occhi si erano dilatate a tal punto che l'iride era poco visibile.

- No...-

Si dondolava lentamente avanti e indietro, il suo terrore colse anche me.

Il bussare divenne più insistente.

- Ro, guardami, devi stare calmo -

Catturai il suo viso con entrambe le mani e cercai di assumere l'espressione più tranquilla e rassicurante che avessi in repertorio.

- Devi dirmi cosa sta succedendo, altrimenti non posso aiutarti -

Ancora più forte.

- No...Ti prego -

Non appena mi alzai dal divano, Riccardo cacciò un urlo fortissimo dettato dal terrore; sembrava totalmente fuori di sé. La sua voce penetrò nella mia mente con la stessa intensità di quel forte  e insistente bussare. La mia testa cominciò a farsi pesante, in quello scenario di pura follia mi sembrò tutto meno sconvolgente di quanto avrebbe dovuto. Mi tappai le orecchie e raggiunsi la porta, non mi importava chi ci fosse lì dietro, se sua madre, il postino o qualche vicino, il mio unico desiderio era porre fine a quel rumore infernale che sembrava essere la ragione della sua paura.

- Ti prego...! -

Il suo viso era divenuto rosso per lo sforzo, mentre la voce si faceva sempre più debole e simile a un rantolo, finché non si ridusse a un inquietante lamento e poi più niente; nonostante ciò la sua bocca rimase aperta in un grido silenzioso, mentre gli occhi erano sbarrati e fissi su di me in segno di perpetuo timore. Con lo sguardo mi implorava di non farlo, ma non riuscivo più a sopportare quel fracasso.

- Ale...No...Ti prego...-

Dopo quelle ultime suppliche, la sua voce interrotta dai singulti si spense definitivamente e lo vidi boccheggiare in cerca d'aria.

Distolsi lo sguardo da quella scena pietosa e cercai di scacciare via ogni pensiero, mi tolsi le mani dalle orecchie e ne appoggiai una sulla maniglia, ora potevo sentire quel continuo toc toc in tutta la sua intensità.

Eliminato ogni ripensamento, premetti la mano sulla maniglia, ma Riccardo si alzò in piedi e mi raggiunse mentre gli davo le spalle, poi mi cinse la vita  con le deboli braccia.

- Non farlo...-

Sussurrò a bassa voce e appoggiò la testa sulla mia schiena.

- Devi stare calmo, Ro -

La persona che si trovava dall'altra parte della porta smise di bussare e tirai un sospiro di sollievo.

- Visto? Se n'è andato, spero solo che non fosse tua madre... Mi odia già abbastanza -

Non rispose, ma mi strinse ancora più forte.

Mi girai e lo abbracciai forte, non volevo fargli capire che  precedentemente mi ero spaventato quasi quanto lui.

- È tutto finito, stai calmo -

Appoggiai il mento sulla sua testa, l'odore di miele intriso nei suoi capelli mi invase le narici e funzionò da tranquillante.

- Va tutto bene...-

Girai il viso e premetti una guancia sul suo capo, rivolto verso destra.

Una sagoma oscurò il pavimento e rimase fissa lì, pensai si trattasse di qualche ramo d'albero spostato dal vento o di un gatto che faceva ombra da fuori, ma la forma non corrispondeva. Alzai lo sguardo verso la finestra e lo vidi.

Senza rendermene conto iniziai a urlare, se possibile ancora più forte di quanto avesse fatto Riccardo poco fa. Lo sentii stringersi a me e conficcare le unghie nella mia schiena; in una frazione di secondo l'uomo ridusse in frantumi la finestra a cui si era affacciato, quel misero stridore di vetri rotti bastò a mandarmi definitivamente in panne il cervello.

"Ro, scappa!"

Ma quelle parole rimasero laddove la mia mente le aveva formulate, non riuscii a dire niente. In quel modo capii ciò che Riccardo aveva provato qualche attimo prima, era molto peggio che aver visto i miei genitori morti per mano sua, perché ora sapevo di aver perso tutto, eccetto quella persona che tremava fra le mie braccia.

 

Sab 13 ottobre, mattina

 

Strinsi gli occhi un paio di volte, bruciavano terribilmente.

C'era qualcosa di sbagliato, sentii che non dovevo essere lì.

"Sono morto?"

Una mano accogliente si chiuse attorno al mio polso. Tentai di aprire la bocca, le labbra erano secche e la mia voce suonò rauca e debole.

- Ro...? Sei tu? -

Quando aprii gli occhi, una forte luce mi colpì in viso impedendomi di vedere bene. Mi girai su un fianco in cerca del suo corpo, mi ci aggrappai e strinsi più forte la sua mano.

- Sì...Come stai? -

Anche la sua voce suonò priva di vivacità, come invece era di solito.

- Bene...credo, tu? -

Lentamente cominciai a mettere a fuoco la stanza: eravamo entrambi stesi sul pavimento del salotto di casa sua, la forte luce entrava da una finestra rotta. Era mattina. I cocci di vetro per terra riflettevano sulle mattonelle delle scie colorate, simili a piccoli arcobaleni.

- Bene -

Il ricordo della sera precedente mi ritornò alla mente e mi stordì così come avrebbe fatto una violenta botta in fronte.

"Quell'uomo..."

Iniziai a toccarmi dappertutto, come a voler trovare al tatto qualche ferita mortale o altro, ma non c'era nulla. Provai la stessa sensazione di quella sera in cui avevo creduto di essere stato colpito da un proiettile. Mi voltai verso Riccardo e controllai che stesse realmente bene: nessuna traccia di sangue o percosse neanche su di lui, eccetto per i graffi sul viso che si era procurato da solo. L'unico segno dell'accaduto era la finestra rotta, nient'altro.

Mi tirai su e lo aiutai ad alzarsi, mi rivolse un sorriso di gratitudine.

Il mio stomaco reclamò del cibo con un imbarazzante "brrr", quindi fui costretto a chiedere a Riccardo se avesse qualcosa per fare colazione.

Mangiammo due toast ciascuno, con burro e marmellata. Finito di fare colazione, rimasi seduto a fissare l'altro mentre metteva a posto. Non avevo la minima idea di cosa fare, e non intendevo solo rispetto a quella mattinata, ma cosa avrei dovuto farne della mia vita. Dopo tutti quegli avvenimenti sicuramente non potevo riprendere in mano la situazione e continuare a trascorrere le mie giornate come se nulla fosse: i miei genitori erano morti, entrambe le case erano sotto la supervisione dei poliziotti, i quali probabilmente mi stavano ancora cercando per avere delle risposte e forse anche per sbattermi in un misero orfanotrofio o giù di lì; ovviamente non potevo mettere piede neanche a scuola, avrei ricevuto solamente sguardi compassionevoli, infine di rimanere in quella casa non se ne parlava proprio, non dopo quello che era successo. E se fossimo scappati? Ancora peggio, lui ci avrebbe trovati subito. Lui sapeva sempre dove fossimo e cosa stessimo facendo, in qualsiasi momento.

- Quando torna tua madre? -

Scrollò le spalle.

- Dovrebbe tornare da lavoro stasera, perché? -

Corrugai la fronte.

- Stasera? In teoria non dovrebbe essere già tornata? -

Riccardo sembrò un po' intontito.

- Oh sì... Stanotte ha dormito con il suo compagno, quindi è andata direttamente a lavoro stamattina -

Tirai un sospiro di sollievo.

- Meno male, almeno abbiamo evitato di farci trovare...Ehm...In quello stato -

- Già -

Mi guardò furtivamente, poi riprese a spazzare i cocci di vetro.

Mi faceva ancora male la testa, quindi mi chinai sul tavolo e chiusi gli occhi, di lì continuai a fare un quadro della situazione. Pensandoci bene, la sera precedente Riccardo aveva agito come se conoscesse anche lui quello stalker, questo voleva dire che non ero l'unico a essere tormentato, era molto probabile che agisse in parallelo contro entrambi, il punto era: se diceva a me di stare lontano da Riccardo, allora a Riccardo diceva di stare lontano da me? A quale scopo? Perché lui avrebbe dovuto beneficiarne?

Mi tornò alla mente di nuovo quella sera in cui avevo rifiutato di fargli compagnia e lo avevo lasciato davanti casa, allora era quello lo stalker a cui si riferiva? Mi misi le mani fra i capelli, avrei voluto domandargli migliaia di cose, compreso ciò che non mi aveva detto il giorno precedente, ma non volevo mettere in mezzo l'argomento e mandarlo in crisi di nuovo. 

- Oh, il telefono! -

Scappò di sopra e lo sentii aprire la porta della sua stanza, tornò dopo un paio di minuti. Mi rivolse uno sguardo un po' teso.

- Era mia madre, ha detto che non si sente bene e tornerà prima da lavoro...Dovresti andare -

Sbuffai e mi alzai dalla sedia.

- Va bene, quindi...Tu che pensi di fare? -

- In che senso? -

- Per esempio... Lunedì tornerai a scuola? -

- Uhm... Penso di sì -

- E per la finestra come farai? -

- Me la vedo io -

Mi affrettai a indossare il giubbino e varcai la soglia dopo avergli rivolto un debole "okay".

 

 

Decisi di andare a controllare se la casa di mio padre fosse ancora infestata di poliziotti e quant'altro.

Nessuno, solamente un nastro giallo che veniva sballottato di qua e di là dal vento, il quale citava con aria minacciosa di non avvicinarsi. Lo scavalcai senza farmi troppi problemi e aprii la porta cigolante.

La mia stanza era ancora intatta, il letto sfatto così come l'ultima volta che mi ci ero steso. Decisi che mi sarei stabilito lì, ovviamente fin quando non mi avrebbero trovato e mandato in qualche manicomio; ma i miei piani si rivelarono infondati e precipitosi: non c'erano né corrente elettrica né acqua.

"Be', ci penserò più tardi"

Dopo una buona mezz'ora passata a fissare il soffitto molto intensamente, pensai che sarebbe stato intelligente non rispondere alla miriade di messaggi dei miei amici, avevo intenzione di sparire totalmente dalle loro vite.

Vi erano svariati "come stai?", "Mi dispiace per tuo padre", "dove sei?”

In quel momento realizzai che doveva ancora essere celebrato un funerale per entrambi i miei genitori.

Se ne sarebbero dovuti occupare i miei nonni, nonostante non si fossero neanche presi la briga di venirmi a trovare o farmi una telefonata.

Sbuffai e mi passai una mano fra i capelli, subito mi accorsi di non avere il bracciale di mia madre: l'avevo sganciato dal suo polso e lo avevo indossato la notte della sua morte. Iniziai a preoccuparmi, era un oggetto di grande valore per me.

"Deve essermi caduto ieri mentre correvo, o forse l'ho perso a casa di Ro"

Mi lasciai prendere dal panico, se l'avessi davvero perso mentre correvo sarebbe stato inutile cercarlo, era un bracciale d'argento molto sottile. Ma era impossibile che mi fosse caduto dal momento che il mio polso era molto più grande rispetto a quello di mia madre, quindi non mi andava per nulla largo.

Un pensiero ancora più orribile si affacciò alla mia mente: "e se qualcuno me lo avesse tolto mentre ero privo di sensi?"

In effetti era un'ipotesi plausibile, la finestra era stata "aperta" tutta la notte e sarebbe potuto entrare chiunque.

Mi alzai dal letto e mi rimisi il giubbino, sarei andato a controllare vicino casa di Riccardo, non avevo altra scelta. Scesi le scale di corsa, al piano di sotto un forte luccichio nella stanza buia attirò la mia attenzione. Proveniva da sotto un mobile della cucina; mi avvicinai e mi abbassai sulle ginocchia per vedere meglio.

A terra c'era il bracciale che stavo cercando, ma non ebbi neanche il tempo di chiedermi come fosse arrivato fin lì, che fui costretto a indietreggiare fino a sbattere contro la parete opposta. La sottile catena d'argento era chiusa attorno a un polso violaceo e privo di battito.

 

Buon pomeriggio, so che non aggiorno da tantissimo tempo, ma la scuola mi tiene sempre impegnata!

Per farmi perdonare ho scritto un capitolo un po' più lungo, sono secoli che sto cercando di scriverlo, oggi ce l'ho fatta a finirlo finalmente :3

Chissà che sta combinando Riccardino, lo stalker tormenta anche lui? Mhhh.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e fatemi sapere se ci sono errori/incongruenze ecc.  Come al solito (TT) 





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