Quella
mattina aveva lasciato Bella, ancora addormentata, alle cure di
Prudie e Jud e aveva accompagnato di persona Jeremy e Clowance a
scuola.
Il
cielo era plumbeo, faceva freddo e sembrava che dovesse iniziare a
nevicare da un momento all'altro. Il vento gelido sferzava i loro
visi e Demelza strinse a se i due bambini, coperti da pesanti
mantelline.
"Era
meglio se oggi non ci portavi a scuola, mamma! Sai che potrei
ammalarmi tantissimo?" - sbottò Clowance, che si stava
facendo
trascinare, come al solito per niente felice di sedersi dietro a un
banco.
Jeremy
ridacchiò. "Dice così perché non sa
ancora scrivere il suo
nome, mamma! E' una somara".
"STA
ZITTO!" - urlò la bimba, liberandosi dall'abbraccio della
madre
per correre a picchiare il fratello.
"Ora
basta!". La voce di Demelza, acuta e perentoria, pose fine a
ogni discussione. "Clowance, se non vai a scuola, non imparerai
mai niente!" - disse, rivolta alla figlia, prima di voltarsi
verso Jeremy. "E tu smettila di prendere in giro tua sorella! E'
ancora piccola e ha tutto il tempo per diventare una bravissima
scolara".
Clowance
sbuffò. "Ma io non voglio diventare una brava scolara, io
voglio stare a casa con te e con Bella! Perché lei non va a
scuola?".
Jeremy
le fece la linguaccia. "Vedi che sei una somara e non capisci le
cose? Lei ha un anno, come fa ad andare a scuola?".
Demelza
si morse il labbro. Quella mattina la sua pazienza sembrava svanita
chissà dove e il suo umore era pessimo. Odiava il lavoro che
Ross
avrebbe svolto alla miniera quel giorno, era preoccupata e allo
stesso tempo arrabbiata con lui e con la sua imprudenza. Era un lato
del carattere di suo marito che non sarebbe cambiato mai. Per quanto
la amasse, per quanto venerasse i suoi figli, aveva comunque bisogno
di vivere esperienze forti e oltre il limite del pericolo. Non
importava quanto lei si preoccupasse, quanto rischiasse di perdere se
qualcosa non fosse andato per il verso giusto, da quel punto di vista
Ross non sarebbe cambiato mai. Certo, non lo voleva pantofolaio e
statico a casa, però avrebbe voluto che ogni tanto, per amor
suo, si
frenasse un po' dal lanciarsi in attività così
pericolose.
Fu
proprio mentre era persa in quei pensieri così foschi, che
vide
Zachy venirle incontro, a cavallo. Sentì contorcersi lo
stomaco alla
sua vista e risvegliarsi in lei le sue più profonde paure?
Che ci
faceva lì uno dei minatori più valenti della
Wheal Grace? Perché
non era in miniera con Ross, a terminare il lavoro che avevano
iniziato quella mattina all'alba? Perchè non era al suo
posto di
lavoro, accanto a suo marito?
"Signora
Poldark!" - disse l'uomo appena le fu davanti, fermando il
cavallo – "Stavo giusto venendo a Nampara".
Demelza
lo guardò. Era coperto di fango e polvere fino alla punta
dei
capelli, il suo sguardo era stanco e sconvolto nonostante fosse solo
mattina e no, non era affatto normale che stesse venendo a casa sua.
"A Nampara? Perché?" - chiese, stringendo a se i figli in
un gesto istintivo.
Zachy
deglutì, abbassando il viso, in evidente
difficoltà. "Ecco...".
"Cosa?
Zachy, che è successo?" - chiese Demelza, sbottando e
alzando
il tono di voce.
L'uomo
abbassò lo sguardo. "Signora, c'è stato un grave
incidente e
il signor Poldark... Ross...".
Sentì
il fiato venirle meno, strinse a se le manine dei suoi due bambini
che la guardavano smarriti e spaventati e poi non lo lasciò
nemmeno
finire di parlare. Corse come una pazza, trascinandosi dietro i suoi
figli, diretta alla Wheal Grace, con lo stesso terrore nel cuore di
quattro anni prima quando aveva rivisto Ross privo di sensi, in una
trafficata strada di Londra, dopo il suo incidente a cavallo.
Non
poteva essere, non di nuovo! Pregò Dio, pregò
tutti gli angeli del
cielo, pregò lo spirito di sua madre e quelli di Joshua e
Grace, i
genitori di Ross, che non si fosse fatto nulla di grave, che niente
glielo avrebbe strappato di nuovo. Non avrebbe potuto sopportarlo,
non ora che erano tanto felici insieme, che avevano ricostruito la
loro famiglia e spazzato via ogni fantasma del passato, non ora che
aveva tre figli che lo adoravano e idolatravano...
Non
ora che lui era felice e sereno e aveva trovato il suo posto nel
mondo e il suo posto nel mondo erano lei e i bambini...
Non
sapeva cosa si fosse fatto, non ne aveva idea. Sapeva solo che doveva
correre alla miniera, subito! E anche se si stava comportando
irrazionalmente, anche se sapeva di spaventare i suoi figli, non
poteva fare altro che precipitarsi da lui per scoprire cosa gli fosse
successo.
Quando
giunse alla Wheal Grace, un capannello di minatori coperti di fango
era radunato davanti all'ingresso della miniera.
Appena
la vide, il capitano Henshawe le corse incontro. Il suo sguardo era
grave, colmo di preoccupazione e dolore e Demelza sentì le
viscere
rivoltarglisi dentro. "Cos'è successo?" - chiese,
avventandosi contro di lui e prendendolo per il bavero.
"Dov'è
Ross? Dov'è???".
Henshawe
le prese le mani, stringendole delicatamente fra le sue. "Signora
Poldark, c'è stato un incidente durante l'esplosione della
carica di
dinamite. Uno di quegli effetti collaterali non calcolati che possono
capitare, nel nostro lavoro".
Dinamite,
effetti collaterali... Non ci capiva niente, non voleva capire
niente!!! La vista le si oscurò e i suoi occhi si
inumidirono,
mentre sentiva la presa delle mani dei suoi due bambini farsi
più
forte, sulla sua gonna. "Dov'è Ross?" - chiese ancora, con
un filo di voce.
Henshawe
guardò verso l'imbocco della miniera con fare sconfitto.
"Laggiù,
da qualche parte. Lo stiamo cercando... Una parete è
crollata e lui
è caduto in un cunicolo sottostante, insieme a massi e
calcinacci.
Non sarebbe dovuto succedere...".
"Voglio
andare da lui!" - disse Demelza, disperata, quasi straparlando.
Zachy,
giunto alle sue spalle, la prese per il braccio. "Signora
Poldark, ci sono già uomini valenti e vigorosi
laggiù, che lo
stanno cercando. E' meglio che stiate qui, al sicuro. Ross non
vorrebbe che voi...".
"E'
MIO MARITO!" - urlò. Che ne sapevano loro? Era suo marito
quello intrappolato laggiù, probabilmente ferito o forse...
Beh, non
voleva pensarci! Sapeva solo che doveva andare da lui, cercarlo,
salvarlo e picchiarlo per la sua avventatezza. O piangerlo... Cosa ne
sapevano quegli uomini di cosa stesse provando in quel momento? Cosa
ne sapevano dell'amore che la legava a lui? Cosa ne sapevano di come
il suo cuore si spezzasse all'idea che poteva averlo perso per
sempre? Quel suo uomo così testardo, a volte scorbutico,
appassionato, dolce e sensibile... Come potevano fermarla? "Io
vado da lui!" - gridò, cercando nuovamente di svincolarsi
dalla
stretta di Zachy. Conosceva quelle miniere, sapeva com'erano i
cunicoli, una notte d'estate di alcuni anni prima in cui non
riuscivano a dormire per il caldo, lei e Ross ci erano stati durante
una cavalcata notturna.
"E'
sempre così buio quaggiù?"
Ross
rise. "Usiamo torce e lanterne, di solito".
Rispose
al suo sorriso. "Sai, siamo nel cuore della terra, soli, lontani
da tutto. Ma con te credo di non aver paura da nessuna parte, nemmeno
qui, nel buco di una miniera".
Pianse a
quel ricordo così
dolce, intimo, solo loro. Rivoleva Ross, voleva sapere come stava, se
era vivo o ferito, se aveva bisogno di lei. "Per favore..."
- implorò.
Zachy ed
Henshawe scossero la
testa. "Signora Poldark, fatelo per i vostri bambini, se non
volete farlo per voi stessa" – le disse infine il capitano,
indicandole i due bimbi accanto a lei, pallidi e spaventati.
Demelza si
morse il labbro.
Odiava il senso di quella frase e l'aveva inteso benissimo. Non le
stavano chiedendo di non andare per tranquillizzare Clowance e
Jeremy, la stavano implorando di non rischiare di renderli orfani
anche della loro madre. Davano Ross per morto! Quegli uomini
conoscevano la miniera, ne sapevano calcolare costi, benefici e
rischi e se dicevano che Ross... No, non poteva essere! Lui era
forte, intelligente e sapeva sempre schivare all'ultimo il pericolo,
si sbagliavano, DOVEVANO sbagliarsi!
Dwight
arrivò in quel
momento, trafelato, chiamato a casa da un minatore. "Demelza, mi
sono precipitato subito qui, appena ho saputo...".
Era bello e
in un certo senso
tranquillizzante vedere il volto amico di Dwight, avrebbe voluto
dirgli mille cose, ma non riuscì a fare nulla. Voleva solo
piangere
e rimanere da sola per un po' per sfogarsi e pregare, mentre quegli
uomini si battevano per salvare suo marito. Si sentiva spersa,
inutile, disperata e sola come non le capitava da anni, quando era
arrivata a Londra dopo aver lasciato Nampara.
Si
liberò dalla presa dei
bambini, superò quegli uomini che la attorniavano ed
entrò
nell'ufficio di Ross. Era deserto, era sola davanti a quella botola
aperta da cui, in profondità, sentiva arrivare le voci dei
minatori.
Si sedette
alla scrivania,
accarezzò le carte scritte da suo marito, aprì il
cassetto e rimase
ad osservare la conchiglia portafortuna che Clowance gli aveva
regalato anni prima e che lui aveva orgogliosamente tenuto con se,
dicendole che l'avrebbe conservata per quando fosse stata grande e
avrebbe preferito un altro uomo a lui... Ross la amava sopra ogni
altra cosa, lei e i loro tre bambini... Non poteva essere morto, non
avrebbe mai potuto abbandonarli...
Una manina
si posò sulla sua.
Sussultò, trovandosi accanto i suoi due figli.
Jeremy la
abbracciò, come per
farle coraggio. "Mamma, vedrai che sta bene! Papà
è forte, non
pensarla come quegli uomini. E' vivo e quando lo rivedrai, potrai
sgridarlo perché non ti ha ascoltata".
Clowance
annuì, salendole
sulle ginocchia e rannicchiandosi fra le sue braccia. "Lui mi ha
promesso che mi insegnava a scrivere il mio nome e papà
mantiene
sempre le sue promesse. Non è morto, vedrai".
"No, non
è morto, avete
ragione" – sussurrò, stringendoli a se. Avrebbe
voluto che
tutto fosse facile, semplice, come dicevano loro...
In quel
momento delle urla
fortissime provennero dalla botola. Demelza e i bambini alzarono lo
sguardo, raggiunti subito da Zachy, Dwight e Henshawe. Un uomo
coperto di fango comparve davanti a loro, salendo dai cunicoli. "Lo
abbiamo trovato, lo stiamo portando su. Abbiamo bisogno di un dottore
e con la massima urgenza".
Demelza,
seguita da Dwight, si
avventò su di lui. "Come sta?".
L'uomo, col
fiato corto,
annuì. "E' piuttosto malconcio, privo di sensi e sporco di
polvere fino alla punta dei capelli. Ma è vivo!
Demelza si
lasciò cadere a
terra. Le gambe le tremavano e le sembrava che il mondo le vorticasse
attorno. Era vivo... Solo questo era importante, il resto si sarebbe
sistemato da solo, col tempo. Ferite, lesioni, tutto... Ci erano
già
passati una volta e potevano farlo ancora. Rilasciò il
respiro,
tenuto per tutti quegli interminabili minuti, da quando aveva
saputo...
"Te lo
avevo detto,
mamma!" - esclamò Clowance, correndole accanto.
Le strinse
la manina,
baciandogliela. "Già".
Dwight
guardò tutti i
presenti. "Uscite da qui, se è ferito, avrò
bisogno di spazio
per prestargli le prime cure e non voglio troppa gente attorno. Ha
bisogno di ossigeno e di aria".
"Io resto!"
- disse
Demelza, perentoria.
Dwight
annuì. "Sì, tu
resta".
A
malincuore, Demelza
costrinse i bambini a uscire con Zachy e Henshawe e poi rimase in
attesa che portassero Ross fuori da quella trappola mortale.
Passarono
cinque minuti che le
parvero interminabili e infine sentì delle voci provenire
dalla
botola, sempre più vicine. Due uomini comparvero davanti a
lei, col
viso distrutto dalla fatica. Uno reggeva Ross sulle spalle e l'altro,
dietro di lui, gli teneva le gambe. Quando furono nell'ufficio, lo
adagiarono a terra e Demelza si precipitò al suo fianco. Era
coperto
di fango, privo di sensi, sporco come non mai, pieno di ferite ed
escoriazioni dappertutto. I suoi abiti erano stracciati e macchiati
di sangue, era pieno di ematomi e sanguinava dalla testa. "Ross"
– lo chiamò, accarezzandogli la guancia e
prendendogli la mano,
senza avere risposta.
Dwight si
inginocchiò al suo
fianco, sfiorando il polso di suo marito. "E' debole, ma il
cuore batte". Gli tastò il petto e il torace, accigliandosi.
E
poi diede un occhio alla ferita che aveva in testa. "Ha delle
costole inclinate e dovrà stare a letto per un bel po',
però
nonostante tutto, come al solito, gli è andata di lusso, a
prima
vista".
"E allora
cosa c'è che
non va?" - chiese Demelza, colpita dal tono grave usato
dall'amico, nonostante quelle che sembravano essere buone notizie.
"Ha una
ferita in testa
nell'esatto punto in cui si era ferito a Londra quattro anni fa.
Spero non ci siano conseguenze".
Demelza
deglutì. "Quali
conseguenze?".
Dwight
scosse la testa.
"Potrebbero non essercene. O chissà... Difficile dirlo,
finché
non si sveglia non potremo sapere nulla. Ora dobbiamo portarlo a
casa, qui non posso fare molto".
Demelza si
alzò in piedi e si
diresse verso la porta dove notò i suoi due bambini che,
sfuggiti
alle cure dei minatori, erano corsi a sbirciare le condizioni del
padre. Gli sorrise, sforzandosi di apparire positiva. "Coraggio,
avete sentito, no? Andiamo a cercare una carrozza, portiamo
papà a
casa".
Clowance e
Jeremy annuirono.
"Visto? Lui
è più forte
dei massi" – esclamò Jeremy.
"E mi
insegnerà a
scrivere il mio nome, appena si sveglia" – aggiunse la bimba,
convinta delle sue parole, spinta dall'assoluta fiducia che riponeva
nel suo papà.
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