Disclaimer
I personaggi e le
ambientazioni non mi appartengono, ma sono proprietà dei
rispettivi autori; al contrario, il racconto che state per leggere
è una mia creazione.
Questa storia
è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
≈*≈
~
Iris ~
«Do you… uhm, want be help?»
Ennesima
volta che Sorey sbagliava il tipo di approccio e la grammatica.
Ennesima volta che Mikleo affondava il viso fra le mani, spazientito e
vergognato per l’amico.
L’anziana
signora, a cui il giovane Redentore si era rivolto, lo
scrutò con aria circospetta – il classico
atteggiamento di un inglese che realizza di trovarsi di fronte a un
forestiero, per giunta incompetente – ed
indietreggiò di qualche passo prima di esporgli i suoi dubbi.
«Which
one of these two types of Earl Grey would you recommend me? They have,
more or less, the same price; I can’t decide», si
espresse mostrandogli le due confezioni.
«Oh
yes, they very good… and the price also!»,
esclamò il ragazzo, sfoggiando un sorriso a trentadue denti.
«Ti
ha chiesto quale delle due le consiglieresti», si intromise
Mikleo, che li stava supervisionando dal reparto adiacente.
Sorey
s’irrigidì.
«Potevi
dirmelo prima!», inveì lasciando il serafino
sbigottito.
Si
voltò di nuovo verso la donna, turbata ulteriormente dalla
sua esclamazione incomprensibile rivolta al nulla; adoperando
ogni briciolo del suo carisma, senza escludere un modo di gesticolare
esagerato, il ragazzo riuscì a farsi capire dalla signora,
che alla fine optò per la seconda marca.
Incredulo
di avere finalmente qualche minuto per riprendere fiato e placare
l’agitazione, osservò il suo migliore amico
– che aveva, a sua volta, lo sguardo fisso su di lui e le
braccia conserte.
«Scusami»,
disse grattandosi con timidezza la nuca.
Mikleo
non rispose, ma gli sorrise e scosse il capo.
«Credo
tu abbia bisogno di un po’ di riposo, Sorey»,
udì l’interessato dopo qualche secondo.
Un
uomo di mezza età, dal fisico tarchiato e i capelli
brizzolati ma ben sistemati, si avvicinò al giovane,
posandogli una mano sulla spalla.
«Signor
Collins…»
«Il
tuo turno dovrebbe finire tra un’ora, ma ti vedo esausto e
probabilmente non lavoreresti al meglio»,
considerò.
«Stia
tranquillo, posso servire i clienti fino alla fine»,
ribatté l’altro.
«Non
se ne parla. Non pretendo da te quello che esigo dagli altri. Ti trovi
qui a Londra per un
altro motivo. Io ho molto rispetto e stima di te,
perciò ti concedo di terminare adesso e tornare a
casa».
La
sua espressione tanto magnanima quanto intransigente fece desistere
Sorey dal tentativo di opporsi. Cercando di camuffare la stanchezza e
l’insoddisfazione per non aver resistito, chinò il
busto verso quel signore.
«La
ringrazio per la cortesia».
«Con
me non servono tutte queste formalità, te l’ho
già detto!», esclamò il più
grande. Gli fece, poi, l’occhiolino. «Goditi il
resto della serata, tu e i tuoi compagni
di viaggio».
Tornare
ad indossare i suoi abiti consueti, dopo aver rimosso la sua elegante
ma scomoda divisa color cobalto, non era mai stato così
gradevole. Ebbe la sensazione di essere stato, per tutto quel tempo,
un’altra persona.
Appena
fu in procinto di andarsene, quell’uomo gli si
avvicinò di nuovo, dicendogli: «Stamattina, prima
che tu arrivassi in negozio, si è presentata di nuovo Phoebe, e
mi ha detto di salutarti».
La
notizia attirò l’attenzione di Mikleo, che fino a
quel momento stava esaminando una serie di tisane.
«Ah,
davvero?», replicò Sorey senza aggiungere altro,
con un’esultanza che al serafino parve simulata – o
forse era quello che egli sperava.
«Hai
proprio fatto breccia nel suo cuore! Quando ti deciderai ad accettare
di vedervi da soli?», domandò il signor Collins,
dandogli una leggera gomitata.
«Beh…
non è facile trovare un po’ di tempo libero,
specialmente perché ho una missione da portare a
termine», spiegò il giovane, lasciandosi sfuggire
una timida risata e portandosi – com’era suo solito
fare – una mano dietro il collo.
«Suvvia,
non fare il paladino della giustizia e lasciati coinvolgere dal
romanticismo, almeno una volta!», lo esortò
l’altro, «Ricorda che occasioni come queste non
vanno mai sprecate. Tu non te ne rendi conto, ma la tua soulmate potrebbe
trovarsi da queste parti… ed essere molto vicina a
te».
~
♦ ~
Il
tragitto di ritorno fu particolarmente silenzioso, sia per Sorey e
Mikleo, sia per Lailah ed Edna. Indugiarono a contemplare
l’enorme posto in cui si trovavano, proferendo poche parole.
Londra
era una città – a loro parere –
affascinante; non tanto maestosa, ma pullulante di abitanti e turisti.
In
quel luogo, le innovazioni e la cosiddetta tecnologia avevano
fatto passi da gigante: imponenti infrastrutture, grattacieli, opere
antiche ben preservate o modernizzate. La gente, in
quell’universo, non si spostava a cavallo o in carrozza,
bensì con mezzi di trasporto chiamati automobili, treni,
metropolitane – “a forma di capsula
gigante”, secondo Sorey, e a cosiddetta trazione elettrica
–, autobus color vermiglio – a due piani, sempre
colmi di passeggeri, e che funzionavano a motore –
e molto altro.
Le
strade erano congestionate, gremite di persone che solevano scattare
innumerevoli fotografie e che spintonavano per la fretta senza scusarsi.
A
proposito di foto ed apparecchi forgiati a posta per
“catturare” i momenti e i paesaggi più
belli, quasi tutti i passanti erano alle prese con piccoli oggetti
bizzarri di forma rettangolare – chiamati cellulari
–, che osservavano e maneggiavano con sguardo assorto,
premendo con incredibile velocità dei pulsanti inseriti in una lamina
sottile e luminosa. C’era anche chi possedeva
versioni più ingombranti di essi, ed era costretto a sedersi
da qualche parte e posarli sulle proprie gambe incrociate per poterli
utilizzare.
Non
mancavano inoltre, nei pressi di Piccadilly Circus, insegne
pubblicitarie mobili
di marche famose, che emettevano – soprattutto la sera
– una luce abbagliante.
Tuttavia,
vi erano anche zone meno affollate, ed erano quelle in cui di solito
Mikleo passeggiava. La spettacolare distesa color smeraldo del Parco
Reale di Greenwich era la sua preferita, ed egli adorava percorrere la
salita che permetteva la contemplazione del paesaggio londinese e del
fiume Tamigi.
Un
po’ lo divertiva osservare le persone che tentavano di
ottenere una buona abbronzatura, sdraiandosi nei giardini pubblici
all’interno della città e mettendosi a petto nudo
come se fossero in spiaggia. In effetti, gli inglesi non potevano
vantarsi di possedere fantastiche zone balneari.
Uno
dei passatempi di Sorey era andare a caccia di individui vestiti in
modo strambo, poiché lì la moda era intesa
– a quanto pareva – diversamente; ogni volta che
incappava in un soggetto interessante,
il primo che doveva saperlo era Mikleo, che però era sempre
poco propenso a prestargli attenzione e pensava, piuttosto, che
l’amico dovrebbe badare anche al suo inconsueto
abbigliamento.
Per
facilitare il ritorno a casa, Sorey e gli altri decisero di servirsi di
un bus; scelta che costò loro tanta fatica,
perché non tolleravano certi tipi di odori.
Il
tono alterato di un signore in giacca e cravatta, che stava inveendo
all’autista per una serie di motivi incomprensibili, li fece
tornare alla realtà.
"Più sviluppo e
più invenzioni ci sono, più la malevolenza si
ristagna e corrompe gli animi delle persone"; di solito la
“regola” era quella, e Londra non era
un’eccezione.
Quell’ambiente
era loro ostile, non piaceva a nessuno dei quattro. L’aria
che si respirava era contaminata da sentimenti negativi mischiati a
smog e miasmi nauseanti; Sorey e gli altri serafini la percepivano
molto bene grazie al loro olfatto fino.
Le
frequenti sensazioni di spossatezza e mancamento erano fautrici di
terribili malesseri fisici, specialmente per il Redentore –
l’incaricato di purificare gli avernali ed assorbire parte
della loro energia negativa –, il quale veniva immediatamente
soccorso da Mikleo.
A
Lailah piaceva soffermarsi, di tanto in tanto, ad osservare
l’albino mentre vegliava sul suo amico con apprensione,
talvolta asciugandogli il sudore con un panno, sussurrandogli parole
incoraggianti, stringendo con le sue dita affusolate
dall’incarnato diafano il corpo provato del moro, come se
temesse che potesse svanire o – in qualche modo –
allontanarsi da lui. Aveva sempre un’espressione inquieta sul
volto, e la serafina del fuoco, ipotizzando chissà quale
motivazione, gli rivolgeva un sorriso mesto quando egli la guardava.
Il
ragazzo dava l’idea di stare patendo una duplice sofferenza,
nata da un conflitto che probabilmente non c’entrava nulla
con la questione di Londra.
I
quattro si trovavano in quella metropoli perché il signor
Peter Collins, uomo benestante e amico intimo della famiglia di Alisha
– conosciuta quando alcuni suoi membri avevano
deciso di visitare quella terra –, aveva richiesto la
presenza del Redentore nel luogo, dopo aver assistito
all’episodio di una cupa coltre di nubi che
sprigionò una pioggia scrosciante nei dintorni di Buckingham
Palace; egli pensò che quel fatto assurdo coincidesse con la
presenza di malevolenza, proveniente forse da alcune guardie che
– secondo le voci di corridoio – stavano
orchestrando un complotto contro la regina.
Il
signor Collins era da sempre stato affascinato dai racconti della
principessa Alisha a proposito delle gesta di Sorey e i suoi presunti serafini;
il desiderio di conoscere quel ragazzo così giovane ma
promettente non l’aveva fatto esitare a domandargli aiuto,
stupendosi poi dalla repentina risposta positiva
dell’interessato, nonostante il lungo tragitto che avrebbe
dovuto compiere in carrozza.
Sebbene
la sua stima e il suo rispetto per lui fossero incommensurabili,
l’uomo lo trattava senza troppa riverenza ma con tanto
affetto, come un padre con un figlio. Propose a Sorey persino di dargli
una mano nella sua maison, specializzata nella vendita di tè
e cioccolata dalle molteplici varietà, per non dare troppo
nell’occhio – tralasciando il pessimo inglese di
quest’ultimo.
Una
volta messo piede nella casa spaziosa ed accogliente nella quale quel
gentile signore aveva deciso di ospitarli – preparando tutte
le camere e i letti necessari, pur non potendo scorgere la presenza dei
serafini –, i ragazzi notarono il cielo farsi improvvisamente
plumbeo, rabbuiarsi; piccole gocce di pioggia cominciarono subito dopo
a depositarsi sui vetri delle finestre.
«Di
nuovo questi sbalzi…»,
mormorò Sorey pavido.
«La
loro causa si trova sicuramente fra le mura del palazzo
reale», ricordò Lailah, «La malevolenza
sta facendo il suo corso. Potrebbe anche apparire un
avernale».
La
serafina gli rivolse uno sguardo coscienzioso.
«Questa
gente non è ancora al corrente della leggenda e della tua
venuta; perciò, per purificare le anime di quelle persone,
devi essere pronto a rivelarti ed affrontare qualsiasi ingiuria nei
tuoi confronti».
«Ne
sono consapevole», rispose il Redentore, accorgendosi nel
mentre che Mikleo non era lì con loro.
La
ragazza, a quel punto, lo congedò con un quasi
impercettibile «Sii sempre forte».
~
♦ ~
Una
corporatura esile, cerea e vergognosamente femminea fu ciò
che Mikleo riuscì a scrutare all’interno del bagno
intiepidito, prima che il vapore sprigionato dall’acqua calda
della vasca appannasse il modesto specchio ovale a cui egli era di
fronte; nudo, con le spalle curve, la vita cinta dalle sue braccia
incrociate, e la pelle scossa da lievi fremiti.
Per
qualche strana ragione, quel giorno si sentiva ancora più fragile,
particolarmente a disagio con se stesso. Una crescente insoddisfazione
aveva cominciato a logorargli l’anima e causargli profonde
morse allo stomaco.
Non
si sentiva a posto con la sua coscienza, imperniata di incertezze e
pensieri da lui definiti impuri
– che, per un serafino senza
peccato, dovrebbero essere estranei.
La
causa di tale egoismo e corruzione era proprio lui: Sorey. Egli era la
ragione per la quale il serafino aveva sempre messo al primo posto la
sua incolumità, aveva desiderato in cuor suo farlo desistere
da quella pericolosa missione; non aveva mai tollerato del tutto quelle
sue rovinose
qualità che l’avrebbero portato
all’autodistruzione per il bene di migliaia di persone, ed
invidiava il suo carisma e coraggio.
C’erano
momenti in cui voleva estirpare quel flusso di pensieri nocivi dalla
sua mente scombussolata, ed attimi in cui non riusciva a sostenere il
suo stesso sguardo riflesso mentre pensava alle sensazioni
contraddittorie che l’amico gli provocava: dalla voglia di
vederlo felice e la consapevolezza che un giorno avrebbe dovuto
lasciarlo andare, al recondito ma pressante desiderio di essere
compreso, avere tutte le sue attenzioni, sentire il suo corpo vicino al
proprio, ammirare ogni lineamento del suo viso e contorno del suo
splendido sorriso.
Tuttavia,
lui non aveva alcun potere
sui sentimenti del compagno; sapeva che quest’ultimo gli
stesse sfuggendo di mano, che fosse ormai impossibile trattenerlo e
aspirare ad un ritorno a Elysia, che lui per Sorey fosse un semplice
amico, un serafino con caratteristiche
che non avrebbero potuto appagarlo.
Annegò
il suo flusso di pensieri non appena si immerse nell’acqua,
tirando un sospiro di sollievo. Quando si sentiva spaesato o di cattivo
umore, non c’era niente di meglio che stare a contatto col
proprio elemento.
“Ti
dimenticherà”, parlò una
voce nella sua testa, che gli fece sgranare gli occhi.
Sollevò
il busto dal bordo della vasca a cui era poggiato, portandosi una mano
fra i capelli, scostando le ciocche umide dal suo volto inquieto.
«Non
dire sciocchezze…», mormorò fra
sé e sé.
«Veramente
non ho ancora parlato», rispose qualcuno alle sue spalle.
Mikleo
sobbalzò e si girò di scatto per incontrare il
viso sereno di Sorey, che aveva messo piede nel bagno senza che lui se
ne fosse accorto. Era scalzo; non aveva più il mantello del
Redentore in dosso, ma i vestiti che soleva eleggere quando entrambi
andavano ad esplorare le rovine contro la volontà del nonno.
«…
Da quanto tempo sei qui?», domandò
l’albino, faticando a regolarizzare i battiti impazziti del
suo cuore, che rimbombavano incessantemente nelle orecchie e nel collo
accaldato. Doveva essere arrossito parecchio.
«Da
qualche minuto; poco prima che entrassi nella vasca,
insomma», specificò l’amico, creando un
ulteriore imbarazzo all’interessato, «Scusami se ti
ho fatto spaventare… Ti avevo pure chiamato, ma eri
completamente imbambolato».
Mikleo
voltò di nuovo la testa in direzione dell’acqua,
cercando di recuperare la sua solita espressione imperturbabile.
«No,
scusami tu. Hai bisogno di qualcosa?»
«Sì,
svuotare la vescica», replicò l’altro
facendo una sonora risata, «Faccio in fretta. Tu
prosegui».
Non
gli fu per niente facile, e non lo sarebbe stato neanche se avesse
evitato di vederlo calarsi i boxer o avesse fatto finta di trovarsi da
solo in quel luogo che ormai pareva una sauna. La presenza di Sorey lo
fece irrigidire, e decise per questo di immergersi fino al collo
– come se la tiepida acqua trasparente e non ancora pregna di
schiuma potesse effettivamente coprire le sue nudità
– e di evitare anche solo di afferrare lo shampoo.
«Cos’hai
intenzione di fare con quella ragazza?», sfuggì a
Mikleo dopo qualche secondo, senza riuscire a frenare la
curiosità.
«Chi,
Phoebe?», chiese conferma Sorey mentre si lavava le mani,
«Mah, penso che potrei accettare un invito da parte
sua».
Il
coetaneo si sentì la gola stringere; non riuscì a
deglutire.
«Non
un appuntamento, sia chiaro», sentì puntualizzare
all’interlocutore.
«Vuoi
uscirci?», domandò comunque a fatica, sentendo il
fiato mancargli sempre di più per ogni parola che
pronunciava.
«Sì,
perché no? Non mi sembra una ragazza poco affidabile,
nemmeno una portatrice di malevolenza. Forse è destino che
dobbiamo conoscerci! Magari sa delle Cronache Celesti e potrebbe
affiancare Alisha come Adepta!»
«Beh,
per quanto mi riguarda, puoi anche starci insieme;
l’importante è che non le dia subito troppa
fiducia e non ti cacci nei guai», sentenziò
Mikleo, rendendosi poi conto del tono arrogante e della
falsità delle sue parole.
La
sua visuale fu coperta da un asciugamano scagliato in pieno volto.
«Scemo.
Ti ho appena detto che non è mia intenzione essere vincolato
da certi tipi di relazioni; ora più che mai»,
ribatté Sorey facendo una smorfia.
Per
tutta risposta, gli arrivò in faccia uno schizzo
d’acqua indirizzato dal serafino col semplice movimento di un
dito.
«Voi
umani dite sempre così, ma alla fine portate raramente a
termine una cosa prefissata, e siete capaci di farvi comandare da
sentimenti che non dovrebbero esistere o non vi aspettavate di
provare», sostenne l’amico mentre si liberava
dall’asciugamano inumidito.
Senza
attendere oltre, deciso a procedere con la pulizia personale, si
tirò a sedere, prendendo il prodotto per capelli.
In
quel lasso di tempo, Sorey si limitò a guardare il compagno
senza proferire il minimo suono; forse per la riflessione di Mikleo,
forse perché restava ammutolito ogni volta che si scopriva a
fissarlo.
Osservò
con minuziosa attenzione le ciocche ricadere sul suo viso, le gocce
d’acqua solcargli le guance come se fossero lacrime, i suoi
occhi non particolarmente vividi ma dall’intenso color
ametista, le labbra rosate, la corporatura asciutta ma esile, la pelle
chiara come il latte, tutto il resto dei particolari che aveva potuto
ammirare per intero quando lui era ancora in piedi, svestito, di fronte
allo specchio.
Era
una lieve gelosia, quella che Sorey provava quando si focalizzava su
quella figura tanto angelica.
O apprezzamento. O altre sensazioni che non sapeva definire; forse desideri reconditi.
Si
approssimò al serafino, che stava per versarsi un
po’ di shampoo, per poi inginocchiarsi e poggiare i gomiti
sul bordo della vasca da bagno.
Appena
Mikleo realizzò il repentino spostamento
dell’amico, l’imbarazzante vicinanza e lo sguardo
penetrante, si irrigidì, sentendosi avvampare. Gli
scivolò la confezione, che cadde in acqua.
«…
Sorey?», provò a chiamarlo mentre tentava di
recuperare l’oggetto con le sue mani che gli sembrarono
improvvisamente di pastafrolla.
«Tu
sai che non potrei mai impegnarmi con una ragazza. Talvolta non le
capisco; le considero… complicate»,
cominciò a rivelare il moro.
«Beh,
impara a rapportarti con loro, fai esperienza! Là fuori ci
sarà sicuramente una persona che potrà renderti
felice, completarti», replicò l’altro
senza sostenere la sua occhiata curiosa.
«L’ho
già trovata», rivelò Sorey, facendo
finalmente voltare Mikleo nella sua direzione, «Tu sei il mio
unico e solo;
te l’ho sempre detto».
L’albino
sgranò gli occhi di fronte a quella rivelazione, e
sentì il cuore riprendere a battergli freneticamente.
«Con
te mi diverto! Se tu non ci fossi, con chi esplorerei le
rovine?»
Il
silenzio che susseguì fu sgradevole e molesto. Mikleo si
sentì tutt’ad un tratto infiacchire sotto lo
sguardo benevolo del compagno; un guizzo di rabbia latente
cominciò a farsi strada nelle sue vene, e gli occhi
iniziarono a pizzicargli.
Non
seppe spiegarsi il perché, ma sentì un terribile
malcontento per quell’affermazione.
Distolse
lo sguardo e chinò la testa.
«Vattene»,
proferirono le sue labbra.
La
presenza di Sorey gli era al momento nociva; non aveva ben chiaro se
gli avesse ordinato ciò perché indignato dal suo
comportamento o per la consapevolezza di essere di pessimo umore,
facilmente irritabile.
«…
Mikleo?», lo chiamò l’interessato con
tono mesto, «Ho detto qualcosa che non va?»
«Puoi
andartene, per favore? Voglio stare da solo»,
replicò l’altro, ostentando tutta
l’intransigenza che la sua voce riuscì a fingere.
Percepì
dopo un po’ i passi lenti di Sorey, che si stava avvicinando
in silenzio alla porta. Il serafino non ebbe il coraggio di scrutarlo
neanche con la coda dell’occhio, per vedere magari quale
espressione fosse dipinta sul suo volto.
«Se
ti ho recato qualche dispiacere, che adesso non arrivo a
comprendere… », cominciò a dirgli alla
fine il Redentore, «… ti chiedo di
perdonarmi».
~
♦ ~
«Excuse
me?», emise la giovane donna che Sorey stava servendo alla
cassa.
«Ah,
uhm… yes?», rispose il ragazzo.
Quel
giorno non riusciva proprio a liberare la mente da certi pensieri ed
essere produttivo, e arrivava persino ad imbambolarsi di fronte ai
clienti.
«It’s
six pounds, not eight!», lo ammonì visibilmente
contrariata.
Accorgendosi
di aver segnato il prezzo sbagliato nel registratore, egli si
scusò almeno cinque volte prima di correggere la cifra e far
tornare il sorriso sulle labbra della signora.
Una
volta liberatosi di quel fardello, venne sostituito da un suo collega
che l’aveva cordialmente
definito “a brat with the head in the clouds”.
Sorey
non fece troppo caso all’insulto; comunque, non smetteva di
meravigliarsi del modo differente in cui veniva trattato lì.
Molte persone stimavano o provavano simpatia per quel “nuovo
arrivato imbranato”, ma altre lo esaminavano con un fare
guardingo che non aveva percepito così tanto neanche a
Ladylake.
Un Redentore che metteva piede
in un luogo in cui la sua influenza non era ancora stata trasmessa,
diventava come gli altri, diventava nessuno; e non bastava il suo
carisma per attirare a sé una moltitudine di corrotti,
poiché scettici, bisognosi di vedere per credere.
In
quel momento, quando si mise in disparte con le spalle al muro,
provò un lieve senso di abbandono e frustrazione.
“Abbandono” perché quel giorno Mikleo
non era insieme a lui a fargli compagnia e aiutarlo;
“frustrazione” perché non riusciva a
dimenticare anche solo per un minuto l’immagine
inspiegabilmente sofferente e fragile del serafino, che non aveva mai
visto così sconsolato, schivo e vulnerabile.
Qualche
ora prima, la fantomatica Phoebe era venuta in negozio a fargli visita
prima di dirigersi a scuola. Come al solito, le occhiate trasognate e
maliziose della ragazza non mancarono di mettere in soggezione il
Redentore.
Egli non aveva esitato molto a proporle di vedersi il giorno
successivo, domenica, con conseguente euforia della giovane e la
promessa che sarebbe stata puntuale.
Tuttavia,
più il moro pensava al suo invito, più se ne
pentiva. Qualcosa non andava in quella decisione; non era
più tanto entusiasta di stringere amicizia con lei. Non
sapeva se fosse il suo sesto senso a suggerirgli ciò, oppure
il dispiacere di Mikleo, contrariato per chissà quali
ragioni.
Non
percepiva nessun’aura negativa da Phoebe Carter, la ragazza
che era rimasta stregata dal suo aspetto dal primo momento in cui
l’aveva visto. Prima che fosse arrivato Sorey, era una
cliente abituale, poiché figlia di amici di Peter
– che le faceva sempre uno sconto – e amante della
cioccolata. Non comprava sempre tavolette; a volte le piaceva
semplicemente immergersi in quell’atmosfera magica, in quel
luogo colorato, ben arredato e decorato, e pregno di un odore
zuccherino e stuzzicante.
Da
quando Sorey l’aveva aiutata a scegliere un tipo di preparato
per torte nel suo inglese particolare,
si era manifestato il colpo di fulmine, incitandola a fargli visita
ormai quasi tutti i giorni.
Dopo
una breve chiacchierata, in cui egli le aveva detto di provenire da
Ladylake, Phoebe gli rivelò che sapeva parlare la sua lingua
perché sua madre era originaria di Lastonbell, la
città degli artigiani.
«Sorey-san»,
lo chiamò Lailah – l’unica dei tre
serafini ad averlo seguito –, risvegliandolo dai suoi
pensieri.
Il
Redentore le fece un sorriso mesto.
«Mi
sto prendendo una breve pausa», le disse poi.
«Mi
devi perdonare se non posso esserti un granché
d’aiuto in inglese, ma anch’io, nonostante abbia
viaggiato tanto, non sono portata per l’apprendimento di
tante lingue», spiegò la serafina del fuoco,
soffocando un risolino.
«Non
preoccuparti. Apprezzo molto anche solo la tua presenza al mio
fianco», replicò Sorey con un tono incredibilmente
dolce che spense il lieve senso di colpa di Lailah come pioggia fervida
su un roveto ardente.
Lo
sguardo del giovane divenne poi assorto; i suoi occhi puntarono
qualcosa di indefinito dall’altra parte del negozio, e
all’interlocutrice parve che la mente del ragazzo stesse
andando ben oltre quella dimensione spaziale e temporale, in cerca di
ricordi da riesumare.
«Mikleo
è sempre stato una persona sapiente, che non si stanca mai
di apprendere cose nuove», cominciò infatti a dire
quest’ultimo, «Da piccolo era tanto orgoglioso del
luogo in cui stava trascorrendo la sua infanzia quanto desideroso di
saperne di più sul mondo esterno – seppur
diffidente nei confronti degli umani. Per questo motivo, talvolta senza
l’approvazione del nonno, si immergeva nella lettura di libri
riguardanti anche questi universi così differenti, arrivando
persino ad apprendere abbastanza bene quelle lingue. Io ero poco
interessato ad argomenti troppo astrusi per i miei canoni –
amavo concentrarmi, appunto, sui racconti delle gesta dei precedenti
Redentori –; c’era, però, qualcosa in
lui… percepivo una luce… che mi attirava a
studiare di tanto in tanto qualcosa su quello che gli interessava, a
stare ad ascoltare con stupore le sue spiegazioni e notare i suoi
progressi».
Arricciò
per un attimo le labbra, come se avesse voluto impedire la
manifestazione di un’espressione triste sul suo volto, e
chinò il capo.
«Da
quando mi sono sobbarcato di questo incarico, ho la sensazione che il
nostro rapporto si stia sfaldando col passare dei giorni. Credo di star
deludendo Mikleo, forse perché non riesco a dedicare
più di tanto tempo a noi due. Sento… che lui mi
sta sfuggendo di mano, così come la situazione in cui ora mi
trovo».
«Io
non la vedrei così grigia», rispose Lailah.
«Perché
no? Probabilmente, se fossi rimasto con lui a Elysia, queste
controversie non sarebbero successe… anche se,
d’altra parte, non mi pento di aver adempiuto ad un compito
di importanza universale».
«Avreste
comunque dovuto affrontare queste cose».
«Per
via del nostro carattere?»
«Perché,
dovunque aveste vissuto, sareste cresciuti
lo stesso. Ora siete più grandi, siete adolescenti; state
solamente affrontando una fase difficile della vostra
maturazione… e stanno sorgendo in voi nuove
consapevolezze», spiegò la serafina, rivolgendogli
un sorriso amorevole, come quello di una madre che capisce al volo il
turbamento di un figlio.
«Consapevolezze?»,
ripeté Sorey.
«Tu
hai bisogno di Mikleo, non è vero? Ti manca? Ti
senti… incompleto?», gli domandò
l’altra.
«Beh,
quando uniamo le nostre forze in combattimento, i risultati sono sempre
grandiosi!»
«Non
in quel senso», lo corresse Lailah ridendo, «Quanto
tieni a lui? Cosa provi quando gli sei accanto?»
Notando
che quelle domande avevano lasciato il giovane alquanto spiazzato, ella
preferì non attendere una sua riflessione.
«Forse
è troppo presto per comprendere… ma non importa.
Il tempo chiarirà presto ogni cosa», lo
informò per poi guardarlo dritto negli occhi, «Ben
presto tu e lui riuscirete a riconciliarvi».
«Ne
sei così convinta?», domandò il
Redentore, facendo una risata nervosa.
Lailah
annuì, specificando: «Dopotutto, in fondo al tuo
cuore c’è già la risposta che cerchi.
Devi solo… ascoltarlo un po’ di
più».
~
♦ ~
«Sei
proprio scemo», fu il rimprovero di Edna, dopo aver ascoltato
la spiegazione alquanto stringata di Mikleo sul motivo per cui si
trovasse a casa del signor Collins invece che in negozio con Sorey,
«Fai l’antipatico solo perché il tuo
amico ha una potenziale spasimante».
«Non
è affatto per questo», ribatté il
serafino, «Non sono questioni che ti riguardano… e
non potresti capirle».
Il
giovane era seduto sul tavolo squadrato della modesta sala da pranzo
– nella quale aleggiava sempre un gradevole odore di spezie
–, intento a sorseggiare una tazza di tè
“mint & lime” comprato da Sorey a prezzo
ridotto.
«Perché,
tu invece hai tutto chiaro?», rimbeccò
l’interlocutrice, «Noi ragazze siamo più
empatiche, e spesso riusciamo a capire gli uomini prima di loro
stessi».
«Ah,
davvero? E cosa avresti compreso della mia situazione?», la
sfidò Mikleo con aria indisponente.
Edna
gli rivolse un sorriso sornione.
«Lo
vuoi proprio sapere?»
«…
No», stabilì poi l’altro, senza pensarci
troppo, «Sarebbero solo strane
idee di una ragazzina».
Sentì,
poco dopo, la punta dell’ombrello della serafina colpire con
moderazione la sua testa, e quest’ultima appropinquarsi
all’interessato e sedersi accanto a lui.
«Tu
mi piaci, Meebo. Sei un tipo interessante, a volte divertente; mi piace
parlare con te, prenderti in giro e litigare»,
cominciò a dire, non curandosi dell’espressione
irritata del giovane, «Il problema è che sai
essere tanto ingenuo quanto duro con te stesso; è un lato di
te che non mi piace per niente».
«Credo
tu possa capire, invece, cosa io non digerisco di
te», sentenziò Mikleo.
«È
naturale, perché i nostri gusti non vanno di
pari passo. Io sono diretta; tu fuggi, soffrendo per cocciutaggine e
orgoglio».
Prima
che l’albino potesse confutare nuovamente, si
ritrovò lo sguardo di Edna addosso, profondo e alquanto
severo.
«“Quanto
tempo ancora mi sarà concesso per stare insieme a
Sorey?”», proseguì la piccola,
«Penso che ti sia ripetuto questa domanda mille
volte… e che sia ciò che più ti
assilla».
Aggrottò
la fronte.
«Perché,
allora, sei così stupido da non voler sfruttare questo tempo
a disposizione per chiarire ogni cosa? È davvero
così tanto il terrore di essere sincero con lui?»
«E
secondo te questo sarebbe il momento migliore, ora che Sorey ha una
missione di importanza
universale da compiere?», sbottò il
serafino.
«Esattamente.
E più attendi, più lui farà nuove conoscenze
durante il suo cammino», replicò. Poi
chinò il capo e disse: «C’erano tante
cose che mi sarebbe piaciuto dire a mio fratello Eizen… e
tanti luoghi che avrei voluto visitare insieme a lui. Il destino ci ha
momentaneamente separato e, ora come ora, vivo con rimorsi per
occasioni sprecate».
Si
alzò dalla sedia, continuando a dare le spalle a Mikleo.
Quest’ultimo suppose che lei fosse in procinto di piangere, o
che lo stesse già facendo.
«Se
non vuoi soffrire come me, ti consiglio di svegliarti e
agire».
Con
quelle ultime parole, Edna lasciò la sala da pranzo e
l’amico, rimasto a contemplare la sua immagine riflessa nel
tè ormai tiepido all’interno della tazzina.
~
♦ ~
Il
sonno del serafino dell’acqua venne interrotto dal rumore di
un oggetto pesante caduto a terra, che emise un tonfo assordante.
Si
stiracchiò e notò che l’orologio sul
suo comodino segnava le cinque e mezza. Il suo riposo pomeridiano era,
comunque, andato a gonfie vele.
Incamminatosi
verso la cucina, da cui provenne quel suono, scorse con stupore un
Sorey parecchio indaffarato nella preparazione di qualche pietanza.
Aveva il grembiule sporco di farina e costellato di chiazze di crema
pasticcera; il tavolo su cui stava lavorando era pieno di vassoi
imburrati, terrine colme di preparati amalgamati e bustine vuote da
gettare.
«Sto
combinando un casino, vero? Scusami se ti ho svegliato»,
ruppe il ghiaccio il Redentore, mentre continuava a spianare
l’impasto col mattarello.
Un
odore delizioso impregnò le narici del serafino, il quale
capì che quegli ingredienti erano per un dolce.
«Guarda
come sei ridotto…», constatò poi,
avvicinandosi all’amico.
«Vorrei
vedere te, se fossi al mio posto», ribatté
l’altro.
«Sai
bene che non mi sporcherei neanche se mi cimentassi in preparazioni
ardue, a differenza tua».
Allungò
un indice per rimuovere un po’ di panna montata dalla guancia
di Sorey, passandolo delicatamente su di essa e portandoselo poi alla
bocca.
Per
via di quel gesto, il moro osservò Mikleo con un certo
stupore; quest’ultimo cercò di concentrarsi sul
sapore, non potendo però evitare di arrossire.
«Troppo
zucchero», si limitò a commentare.
«Davvero!?
Ah, accidenti a me che non ho assaggiato nulla…»,
si lamentò l’interessato.
«Posso
sapere cosa stai preparando?»
«…
I nostri biscotti preferiti», replicò con una
certa esitazione.
«I
frolli-frolli?», chiese conferma Mikleo, accennando un
sorriso.
«Proprio
quelli».
«Avresti
potuto chiedermi aiuto! Tra noi due, sono quello appassionato di cucina
e che ha appreso meglio come prepararli», gli
ricordò.
«Guarda
che ricordo a memoria la ricetta da seguire! È solo
che… non sono bravissimo a metterla in pratica. Dopotutto,
ho sempre realizzato questi biscotti insieme a te»,
spiegò Sorey.
«Manca
la scorza di limone grattugiata, vero? Non sento il suo
odore», comunicò il compagno, ignorando quel
discorso.
L’interlocutore
fece una smorfia di disappunto e sbuffò.
«Pazienza,
piaceranno lo stesso», contestò con toco seccato
mentre prendeva alcuni stampi a forma di stelle e mezzelune.
«Va
bene, ti lascio in pace», disse il serafino prima di
incrociare le braccia e fare dietrofront.
«Senti,
Mikleo…», lo chiamò l’altro
subito dopo, facendolo voltare di nuovo, «Domattina ho un
appuntamento con Phoebe. Ci conosceremo meglio, finalmente».
Udita
quella rivelazione, l’albino non riuscì a frenare
un sobbalzo. La testa cominciò gradualmente a girargli, le
gambe si fecero talmente mence da rischiare di cedere; il cuore
aumentò il ritmo delle pulsazioni, facendo diventare le sue
orecchie color porpora.
Egli
stesso giurò di poter sentire la sua voce interiore gridare;
tuttavia, l’impassibilità del suo viso non
lasciò trasparire il minimo turbamento.
«Oh…
alla fine siete riusciti a organizzarvi»,
considerò.
Tornò
ad osservare i biscotti in preparazione, comprese con avvilimento per
chi li stesse preparando e gli si strinse così tanto la gola
che gli sembrò di soffocare.
I
frolli-frolli, che erano sempre stati la merenda preferita dei due
amici d’infanzia, i quali occultarono quella ricetta
perché gelosi di essa e orgogliosi di poter essere gli unici
a gustarli, stavano per essere regalati
ad una sconosciuta, mandando in frantumi la loro promessa fino ad
allora irremovibile.
«Eh,
sì… Comunque, se vuoi, puoi farmi compagnia! La
nostra sarà solo una chiacchierata», propose Sorey.
Mikleo
raccolse ogni briciolo di autocontrollo per soffocare quel maledetto
“ok” a fior di labbra, rispondendo in seguito:
«Non se ne parla. Io non c’entro nulla».
«Non
eri tu quello che mi ripeteva sempre di voler stare al mio fianco
perché certe persone che incontro potrebbero celare
malevolenza?», gli ricordò il coetaneo.
«Sei
stato vicino a Phoebe già parecchie volte. Da lei non hai
mai avvertito nulla di sinistro… e nemmeno io, Lailah ed
Edna», controbatté il serafino.
«Mi
piacerebbe lo stesso che tu fossi presente. Non si sa se potremmo
essere attaccati da un avernale esterno; quindi, avrei bisogno di
te».
Il
Redentore ottenne come risposta solo il silenzio dell’amico e
il suo sguardo dubbioso.
«Mikleo,
ti fidi di me?», gli chiese dunque, ostentando
un’espressione più risoluta.
«Sì,
ma…»
«Allora
vieni», deliberò avvicinando il suo viso a quello
del compagno, «Prometto che non ti farò sentire in
imbarazzo o inadeguato».
Il
serafino non poté fare a meno di arrossire, e
tentò di scacciare dalla mente il pensiero del doppio senso.
«Non
accadrà: lei non mi può neanche
vedere», replicò. Tirato, poi, un profondo
sospiro, decise: «Ci sarò, ma mi terrò
a discreta distanza. Non aspettarti che sarò seduto al
tavolo con voi».
Lo
sguardo di Sorey si ravvivò, risplendendo di una luce che
animò le sfumature verde giada di quegli occhi che Mikleo
aveva sempre considerato stupendi e portatori di speranza.
«Grazie
mille, sei il migliore! Ti abbraccerei, ma ho le mani
sporche», disse il moro ridacchiando.
«Tranquillo,
sarà per un’altra volta. So resistere,
credimi», rispose l’altro con ironia,
«Dopotutto, ho promesso di starti accanto finché
il destino ci sarebbe stato favorevole».
~
♦ ~
Ogni
proposito di Mikleo svanì la mattina successiva, quando lui,
Sorey e Phoebe misero piede nell’offuscato e gremito locale
di Starbucks.
Dopo
mezz’ora di fila e dieci minuti di inglese approssimativo
di Sorey ed interpretazione
colta di Mikleo, i due riuscirono a pagare ed ottenere il
loro vassoio, facendosi poi largo tra gli altri clienti e raggiungendo
la ragazza che era andata ad occupare un tavolo.
Il
serafino fu costretto a sedersi accanto a loro perché non
c’era nessun altro buco
dove potersi appostare, data l’esagerata congestione del
locale e gli sgradevoli miasmi che percepiva stando a fianco ad altre
persone.
Sorey
non ne sembrò affatto infastidito o mortificato.
«Non
avresti dovuto pagare tutto», lo ammonì Phoebe.
«L’ho
fatto con piacere», rispose l’interessato, pronto
ad addentare il suo muffin al cioccolato.
La
loro conversazione non andò a toccare subito i punti
più personali; i due parlarono principalmente
dell’ambiente in cui si trovavano, esponendo considerazioni
anche ilari su certe usanze e alcuni posti che erano soliti frequentare.
In
seguito, Phoebe fu la prima a parlare di sé in maniera
più approfondita, senza che Sorey le avesse domandato nulla
al riguardo, volenterosa di presentarsi come chissà quale
pretendente. Gli parlò della sua passione per la letteratura
e la danza classica, ostentando ogni particolare della sua eccellente
vita scolastica.
Era
una ragazza alquanto vanitosa – riconobbe Sorey –,
ma di sani principi e di buona educazione.
Tuttavia,
l’entusiasmo della giovane scemò quando gli chiese
informazioni in più sul suo conto ed egli prese la parola.
«Il
mio hobby è purificare avernali insieme ai
serafini», affermò con espressione serena.
Mikleo,
sentendo ciò, trasalì e osservò
l’amico con sconcerto.
«Prego?»,
emise Phoebe confusa.
«Non
conosci la leggenda del Redentore?»
«…
Ne ho sentito parlare a mia madre, poiché lei è
della provincia di Rolance. Non ci ho mai creduto,
però».
«Non
sarebbe ora di ripensarci?», le domandò
l’interlocutore, «Il mondo sta per essere inglobato
dalla malevolenza, e le persone si stanno allontanando sempre di
più dalle cose spirituali e dai buoni precetti».
La
ragazza aggrottò la fronte.
«Non
dirmi che sei un fanatico!», esclamò allontanando
di poco la testa, «Chi può credere, ormai, a
questi falsi miti? C’è bisogno di prove concrete,
di focalizzarsi sui problemi di questo mondo e di stare coi piedi per
terra».
«Se
non vedete, non credete; è questo il problema. E non sono un
fanatico, ma un semplice ragazzo che si è ritrovato a
vestire i panni del Redentore per poter salvare
l’umanità».
Il
serafino, intanto, era paralizzato dall’imbarazzo, pur non
potendo essere visto. Si sentiva in soggezione per il compagno che
– non sapeva per quale motivo – aveva deciso di
rendere pubblico il suo segreto in una maniera che – a detta
sua – non avrebbe convinto neanche un seguace di quelle dottrine.
Cercò
un contatto visivo con Sorey, che però non avvenne.
«Mi
stai prendendo in giro?», chiese Phoebe, curvando le labbra
in un sorriso nervoso.
«Perché
dovrei?»
«…
Quindi sapresti fare magie?»
«Beh
sì, ma grazie ai miei compagni di viaggio… che tu
non puoi vedere perché sono serafini».
«Dimostramelo.
Evoca qualcosa o chiedi a queste specie di angeli di
mostrarsi».
«Io
e loro possiamo utilizzare i pieni poteri solo in presenza di avernali;
nessuno ti impedisce di assistere ad uno scontro, ma il luogo diventa
sempre molto pericoloso. La seconda richiesta, invece, non posso
esaudirla; umani e serafini non si possono incontrare… per
ora», spiegò Sorey, tralasciando la questione
dell’Adepto.
«Anche
tu sei un umano!»
«Sì,
ma sono cresciuto in mezzo a loro, nella città del
cielo», replicò puntando con un dito il soffitto,
«Sono venuto a conoscenza della leggenda quand’ero
piccolo; leggevo insieme ad un mio caro amico quelle storie ogni sera.
Ah, questa persona è un serafino!»
Così
dicendo, lanciò una rapida occhiata ad un Mikleo sempre
più turbato.
«Fare
questa vita mi ha portato a sviluppare un incredibile senso di
giustizia», proseguì, «Voglio viaggiare,
voglio portare la pace ovunque io vada, voglio far riconciliare umani e
serafini. Non ho tempo per dedicarmi ad altre cose».
La
giovane deglutì senza dire una parola. Non smetteva di
scrutare il volto del ragazzo, in cerca di qualche piccolo dettaglio
stonante, segnale espressivo che le facesse pensare “sta
mentendo”; o, in alternativa, attendeva che lui glielo
dicesse.
Niente
di tutto ciò; sembrava sincero, sicuro di sé.
Forse era proprio la consapevolezza che egli credesse in quei discorsi
e facesse sul serio ad intimorirla ulteriormente.
«Affrontare
certe battaglie è un’impresa ardua… e
penso che quella che capiterà qui a Londra non
sarà più semplice», le
confessò. Protese, poi, il suo volto entusiasta verso quello
della ragazza, rivelandole: «Vedo i draghi, sai?»
Phoebe
strisciò di scatto la sua sedia, facendo per alzarsi.
«Sorey,
non sono venuta per sentirti intrattenere una simile conversazione e
per riempire la mia testa di idiozie», disse con tono seccato.
«Idiozie?»
«Quella
leggenda è una stupidaggine alla quale possono credere solo
i deboli di carattere», inveì, «E se
esistono davvero i serafini, sono degli stronzi che non si curano di
proteggere noi umani. Quando parlerai con uno di loro, mandalo a quel
paese da parte mia».
Un
attimo dopo, uno schizzo d’acqua andò a
depositarsi sulla sua camicia azzurra. La ragazza non riuscì
a scansarsi, e notò con stupore il suo bicchiere
improvvisamente vuoto – senza che lei ne avesse bevuto il
contenuto – e il suo interlocutore completamente immobile,
con i gomiti ancora poggiati sul tavolo, ma con
un’espressione seria e un po’ demoralizzata che
contornava il suo viso.
«C-Come…?
Cos’è successo?», mormorò con
voce tremante.
Sorey
sospirò.
«Diciamo
che un serafino non ha gradito la tua affermazione»,
spiegò osservando di sbieco un Mikleo alquanto sdegnato,
«Ti posso assicurare che anche loro vorrebbero sentirsi
più rispettati da voi; quindi, se ti arrabbi per questo
motivo, aspettati che il sentimento sia ricambiato».
«C’è
un serafino accanto a te!?», sbottò indicando la
sedia apparentemente vuota a fianco a lui.
«Sì,
ed è proprio quel mio amico d’infanzia».
«…
Devo andare», concluse Phoebe alzandosi e prendendo la sua
borsa, evitando di incrociare lo sguardo del giovane,
«Perdonami, ma ho altro da fare. Grazie, comunque, per la
compagnia».
Era
arrossita fino alle orecchie, e Sorey faticava a capire se fosse per
vergogna o agitazione.
Egli
riuscì a fermarla solamente quando tutti e tre furono fuori
dall’asfissiante caffetteria.
«Ti
credevo diverso», rivelò ella, liberandosi dalla
presa al braccio del Redentore, «Pensavo fossi…
tutt’altro tipo di persona».
«Mi
ritieni dunque strano, un matto, un esaltato?», le
domandò l’interessato senza manifestare
particolare dispiacere.
Phoebe
non riuscì a replicare e si morse il labbro inferiore.
«Scusami
se ti ho detto la verità», palesò il
ragazzo.
«Tu
mi piacevi!», esclamò lei subito dopo,
«Ero interessata a te, mi avevi fatto un’ottima
impressione! Non avrei mai immaginato che potessi essere
così infantile».
Calò
il silenzio.
Mikleo
non tollerava le invettive e le improvvise dichiarazioni di quella
sconosciuta, ma non poteva fare altro che stringere i pugni fino a far
sbiancare le nocche. Continuava a domandarsi perché Sorey
non avesse interrotto la conversazione molto prima, degenerata
già agli albori. Doveva, forse, dirle
qualcos’altro?
All’improvviso
notò l’amico girarsi verso di lui e rivolgergli
uno splendido sorriso rassicurante. Il serafino provò per
qualche secondo un certo conforto e senso di sollievo, immergendosi nel
riflesso acquamarina di quegli occhi colmi di vita; e, un istante dopo,
si rese conto di avere i nervi meno tesi.
Successe
tutto in una maniera troppo rapida perché fosse ben carpito
dalla sua coscienza. L’unica cosa su cui poté
focalizzarsi furono i passi lenti di Sorey – che si era
voltato di nuovo e si stava avvicinando alla ragazza –, il
suo capo chinarsi e pronunciare le seguenti parole: «Mi
dispiace, ma non avrei potuto ricambiare il tuo interesse. A
me… piacciono gli uomini».
~
♦ ~
«Mentivi».
«Ero
sincero».
«Mentivi
spudoratamente».
«La
sincerità in
persona».
Dal
loro tragitto verso casa a quando si erano chiusi in camera –
salutando a malapena Edna e Lailah – Sorey e Mikleo non
avevano fatto altro che ribadire in modi differenti gli stessi concetti
in cui credevano fermamente, senza prima degnarsi di discuterne con
calma e dare più spiegazioni al riguardo.
«L’hai
detto solo per far calare l’interesse di Phoebe… e
lasciati dire che hai esagerato», insisté Mikleo,
visibilmente scosso, rosso in viso, guizzando lo sguardo in ogni
direzione per evitare di posarlo sul compagno.
Non
stava fermo: faceva avanti e indietro per la stanza – al
contrario di Sorey, seduto sul letto – e gesticolava quando
doveva rafforzare un suo parere.
«Ho
solo detto la verità», ribatté il moro,
«Sai anche tu qual è il mio compito, in quanto
Redentore».
«Non
mi riferisco a…». Il serafino si
bloccò, ripensandoci. Scosse poi la testa e
proseguì. «Anzi, hai sbagliato tutto di
quell’approccio. Come ti è venuto in mente di
rivelarle quelle cose con tale leggerezza? E se lei le raccontasse in
giro?»
«Prima
o poi queste persone dovranno essere al corrente della leggenda.
Inoltre, se lo facesse, mi confermerebbe di non poter adempiere nemmeno
al ruolo di Adepta».
«Ma
in questo modo è difficile che qualcuno ti creda! Phoebe ti
ha guardato come se ti fosse spuntata un’altra
testa!»
«Beh,
avevo previsto la sua reazione», confessò Sorey.
Mikleo
si voltò finalmente verso di lui.
«Prego!?»
«Ho
avuto poco tatto nel dire certe cose… ma comportarmi
così è stata anche una mia decisione»,
svelò stringendo con entrambe le mani la stoffa dei suoi
pantaloni.
«…
Perché?», fu la domanda che il serafino
scandì a fatica dalle sue labbra secche; la domanda che gli
sarebbe costata chissà quale verità, che avrebbe
voluto tenere seppellita nelle proprie viscere, ma senza la quale non
avrebbe potuto proseguire la serata.
Il
silenzio dell’amico lo spinse a parlare ancora.
«Non
hai mentito neanche quando hai detto l’ultima frase? O era
una scusa per farla allontanare definitivamente?»
«Tutto
ciò che ho detto era per accertarmi se
un’ipotetica relazione avrebbe funzionato. Tutto
ciò che ho detto non era una menzogna».
Osservò Mikleo dritto negli occhi. «Tutto
ciò che ho detto era per dimostrarti
qualcosa. Non ti avrei chiesto di essere presente, se avessi desiderato
una conversazione più intima con lei».
I
tratti del volto del compagno cominciarono a distendersi. Per la prima
volta, mantenne lo sguardo fisso su Sorey.
«Potresti
spiegarti meglio?», gli domandò con tono
più pacato.
«Ecco…
avevo intuito che non ti facesse piacere che io ricevessi le attenzioni
di Phoebe; d’altra parte, però, io non sono mai
stato interessato a lei, e la vedevo solo come un’amica o una
potenziale Adepta. Forse la mia è stata un’azione
poco carina nei suoi confronti… ma le ho detto quelle cose
sia per metterla alla prova, sia per farle capire cosa io provassi.
Inoltre, volevo che tu fossi presente per dimostrarti che non mentivo
su quello che ti dissi mentre ti stavi lavando, che devi stare
tranquillo, che ciò che le ho confessato… ti
riguarda».
Una
volta detto ciò, il moro non poté fare a meno di
arrossire, abbassare lo sguardo, esibire un sorriso nervoso e grattarsi
una guancia con un dito.
«Sì,
non è stata l’idea più
saggia…», ammise poi ridacchiando,
«… ma sono inesperto in questo campo, immaturo.
Solo adesso mi sto accorgendo di provare qualcosa… e quel qualcosa mi sta
facendo sentire tanto adulto
quanto tonto».
Sentì
la parte del materasso alla sua destra sprofondare, e vide con la coda
dell’occhio la figura di Mikleo seduto accanto a lui.
«È
normale che non riesca ad immaginarmi una vita senza di te?»,
continuò imperterrito il Redentore, sentendo il bisogno di
sfogarsi, «Io… non mentivo l’altro
giorno, quando ti dissi che per me sei unico e inimitabile.
Nessun’altra persona, maschio o femmina che sia, potrebbe
eguagliarti; e non ho mai provato, finora, un sentimento veramente
forte per una ragazza… probabilmente perché non
riesce a trasmettermi ciò che io recepisco da te.
Sento di non desiderare nessun altro, di essere davvero felice quando
parlo, scherzo, bisticcio con te. Il problema è
che… non ho mai approfondito
questi miei pensieri, non credendo che l’assenza di
chiarimenti potesse farti soffrire».
Respirò
profondamente.
«Pensi
che fra noi due potrebbe…?»
L’indice
di Mikleo si posò sulle sue labbra non appena ebbe il
coraggio di sollevare di nuovo il viso. Non sapendo come reagire, Sorey
restò immobile; notò gli occhi lucidi del
serafino e le sue labbra lievemente dischiuse, come se fosse in
procinto di rispondere, e in quel momento pensò che non ci
fosse creatura più bella.
«Non
voglio che tu lo dica», disse finalmente il coetaneo,
«Non si sa cosa ci riserverà il futuro».
«Non
mi dimenticherei mai di te», ribadì Sorey.
«Ti
credo… ma la probabilità di separarci, se
sopravvivessimo a questa battaglia, sarebbe altissima. Quanto tempo ti
servirà per purificare un essere come il Dominus della
Catastrofe? Cosa farai subito dopo? Dove andrai? Trascorrerai il resto
della tua vita con gli umani? Ogni giorno, Sorey, ogni giorno mi
chiedo tutte queste cose», replicò Mikleo con
espressione avvilita, «Tu sai che, per quanto mi capiti di
brontolare per una tua decisione, alla fine non potrei mai voltarti le
spalle e abbandonarti».
«Nemmeno
io», s’intromise un attimo il compagno.
«Quello
che temo non è la nostra distanza spirituale
– che ritengo impossibile –, ma quella fisica.
È una questione di… resistenza, nostalgia,
privazione che potrebbe attanagliarci senza pietà».
Vedendo
il volto del Redentore demoralizzarsi, il serafino poggiò
una mano sopra la sua e la strinse, spinto da
un’irrefrenabile voglia di rassicurarlo.
«Quello
che provi per me… lo sento anch’io per te. Sei
sempre stato una persona speciale», rivelò
accennando un timido sorriso, meravigliandosi della sua stessa
spontaneità, «Proprio perché questo
sentimento è corrisposto… ti chiedo di andarci
con calma, o addirittura aspettare. Se portassimo avanti questa
relazione, rischieremmo di soffrire, qualora ci separassimo in
seguito».
La
mano di Sorey andò a finire su una spalla
dell’albino.
«Non
credi, invece, che ci farebbe soffrire di più mantenerla in
uno stato di stallo? Anche se ci dovessimo separare, non avremmo il
rimorso se la sviluppassimo».
Mikleo
si ritrasse.
«La
fai facile», lo ammonì, «Per me non
è così. Sai quanto mi costerebbe lasciarti
andare?»
«Sai
quanto rimpiangeresti un’opportunità
sprecata?»
Rendendosi
conto della frase avventata e del volto dell’altro farsi
sempre più angosciato, Sorey si morse il labbro inferiore e
strinse l’amico a sé.
«Scusami,
non avrei dovuto dirlo».
«…
Scusami tu. Sono il solito apprensivo», rispose
l’altro dopo un po’.
«Sono
una frana a gestirmi in queste situazioni».
«Sono
messo peggio io».
«Credimi,
io so essere più imbranato».
Sciolto
l’abbraccio, i due si guardarono per qualche secondo e poi
scoppiarono a ridere.
«Dobbiamo
competere anche in questo?», chiese Sorey.
«Se
necessario…», gli comunicò il serafino.
«È
meglio se non complichiamo le cose», concluse
l’altro, «Sappi che voglio assecondarti…
o almeno provarci. Rispetterò ogni cosa che deciderai di
fare. Dopotutto… tu hai sempre avuto tanta pazienza con me,
e mi hai appoggiato in tutte le circostanze difficili».
Senza
attendere qualsiasi accordo o obiezione da parte di Mikleo, si
alzò dal letto.
«Torno
subito», lo avvisò prima di uscire dalla stanza.
Dopo
qualche minuto, rientrò mostrando al compagno un piatto
pieno di biscotti; gli stessi che si stava cimentando a preparare
l’altro giorno.
Mikleo
inarcò le sopracciglia. Aveva completamente dimenticato che
Sorey li avesse cucinati, così come non si era domandato il
motivo per cui non li avesse portati a Phoebe.
Cominciò
a credere di aver frainteso molte cose, e l’interlocutore gli
diede conferma di ciò.
«I
frolli-frolli! Li ho cucinati per noi», lo informò
infatti.
«…
Non erano per lei?», si accertò il serafino con
una certa vergogna.
«No!»,
esclamò l’amico, «Doveva essere una
sorpresa per te. Non volevo che mi scoprissi mentre li stavo
preparando; ecco perché mi ero rimboccato le maniche quando
stavi dormendo. Purtroppo, però, ti sei svegliato a causa
mia. Immaginando una riappacificazione con te, dopo
l’incontro con Phoebe, avevo deciso di mostrarteli una volta
tornati a casa».
Mikleo
incrociò le braccia, e lo scrutò con aria di
sfida.
«E
se avessi continuato a mettere il broncio?»
«Avrei
cercato di corromperti con l’aroma dei biscotti»,
affermò il moro.
«Manca
la scorza di limone grattugiata», gli ricordò
l’altro.
«…
Quanto puoi essere noioso!?»
Dopo
l’ennesima risata, si sedettero sul pavimento di legno e
iniziarono a sgranocchiarli. Non erano il massimo della
bontà, secondo Mikleo, ma riferì comunque al
compagno che, per essere la prima volta, aveva fatto un buon lavoro.
«Ti
ringrazio per la sorpresa», aggiunse poi.
In
quel momento, il Redentore si soffermò a pensare a quanto
fosse incredibile il loro rapporto, e ancora acerbo allo stesso tempo.
Si
erano detti di piacersi, ma senza nessuna smanceria in più.
Tornavano sempre a scherzare serenamente dopo ore, giorni passati a
fulminarsi con lo sguardo o affrontare questioni delicate. Risolvevano
determinati problemi con una leggerezza tanto scialba quanto
invidiabile. Si stavano comportando come se non fosse successo niente
di spiacevole o destabilizzante; forse perché troppo uniti,
troppo empatici, troppo fiduciosi l’uno nei confronti
dell’altro.
«Sai,
Mikleo…», cominciò a dirgli,
«… se il rapporto tra umani e serafini potesse
essere spontaneo come il nostro, se ogni rancore si potesse attenuare
con la stessa facilità con cui noi due chiudiamo un
litigio… il mondo sarebbe veramente un posto
migliore».
L’interessato
lo osservò con un certo stupore, soffermandosi ad ammirare
ancora una volta i suoi occhi vivaci e del colore del mare.
Quella
a cui il serafino stava assistendo era l’espressione
dell’autentico Sorey, piena di speranza e zelo per il
susseguirsi della sua missione. In quegli occhi era riflesso lo
splendore del suo futuro e di quello dell’umanità,
un senso di calore e pace interiore che invadeva l’anima di
chiunque contemplasse il volto di quel ragazzo.
«Per
questo ti chiedo…», proseguì il
Redentore, rivolgendogli un dolce sorriso, «… di
continuare a strami vicino ed essere la mia forza e motivazione. Se sto
andando avanti senza cedere è soprattutto grazie alla tua
presenza; perciò, permettimi di stare al tuo fianco fin
quando sarà possibile, per riportare la pace nel
mondo… ed essere felici».
Senza
dire una parola, Mikleo sollevò il braccio destro e lo
incrociò con quello del compagno.
«Insieme,
allora?», confermò Sorey.
«Something
in your eyes, makes me wanna lose myself», proferì
invece l’albino.
«…
Eh?»
«C’è
qualcosa nei tuoi occhi che mi fa venire voglia di perdermi»,
tradusse il serafino, «Perdermi in essi, perdermi in ogni
luogo e in ogni sensazione incontrollabile; non mi importerebbe,
perché ci saresti tu al mio fianco».
Addentò
un altro biscotto e proseguì dicendo: «In
qualsiasi posto mi sono trovato finora, non mi sono mai sentito
totalmente un estraneo; neanche quando mi ero smarrito,
perché ero comunque vicino
a te… e con te mi sono sempre sentito a casa. Basta
guardarti negli occhi per ritrovare me stesso e il mio
coraggio».
Gli
sorrise.
«Sei
capace di fare miracoli alle persone. Hai un grande dono».
Sorey
si grattò istintivamente la nuca.
«Mi
metti in imbarazzo…», mormorò,
«Se continui così…»
Si
bloccò, incerto su come terminare la frase.
«Mi
tappi la bocca?», ipotizzò Mikleo, ostentando
un’incredibile calma che non si addiceva al suo solito
comportamento.
Il
moro decise, a quel punto, di stare al gioco.
«Esattamente,
con un frank kiss»,
replicò con espressione maliziosa, avvicinando il suo viso a
quello del compagno e facendo risalire lentamente una mano lungo il suo
braccio sinistro.
Non
ottenne, però, da lui l’“effetto
stupore” sperato, bensì un riso sornione.
«Un
bacio franco? Allora io te ne darei uno schietto», fu il
commento.
«Io
intendevo “alla francese”!»
«Si
pronuncia french kiss,
ignorantello», lo rimproverò l’albino,
mantenendo un’espressione divertita.
«…
Beh, sarebbe anche franco, perché il bacio è
sincero!»
Sorey
abbassò un attimo lo sguardo per scegliere un altro
biscotto, ma l’unica cosa che vide fu qualche briciola sul
piatto. Piantò di nuovo gli occhi sul serafino, e
notò che stava tenendo in mano l’ultimo
frollo-frollo a forma di mezzaluna.
«Si
può sapere quanti ne hai mangiato?», gli chiese.
«Mmh,
una dozzina», replicò l’altro senza
scomporsi, «Quest’ultimo sarebbe il
tredicesimo».
«Io
solo quattro! Non è giusto!», inveì.
«Tu
cucini, io assaggio».
«Assaggi? Hai per
caso il verme solitario, o li hai trovati squisiti e non vuoi
ammetterlo?»
«Se
sei troppo lento, non è colpa mia», rispose
rigirando la questione.
Il
Redentore curvò le labbra in una smorfia infastidita.
«Quando
mi darai una soddisfazione?», gli domandò.
Per
tutta risposta, Mikleo infilò il biscotto fra i denti, senza
però morsicarlo, mostrandolo in quello stato
all’amico con espressione vittoriosa.
“Ormai è di
mia proprietà, e non lo divido con nessuno”,
era il messaggio che trasudava dai suoi occhi vispi.
Fu
in quell’attimo che Sorey, sentendosi un’altra
volta sfidato, si affidò all’istinto. Con uno
scatto fulmineo delle gambe, si avvicinò al viso del
serafino, passò una mano fra i suoi capelli chiari e dietro
il suo collo per evitare che indietreggiasse, e posò
i denti sulla metà esterna del biscotto che il
compagno stava tenendo in bocca; nel farlo, unì per pochi
secondi le sue labbra a quelle morbide di Mikleo, muovendole
timidamente per tastarle, assaporarle, confermare ciò che
aveva sempre fantasticato a proposito di esse. Dopodiché,
non appena avvertì queste ultime muoversi – non
seppe se per assecondarlo o per tentare di emettere qualcosa di simile
a un “Ma che diavolo…?” –, si
affrettò ad addentare la parte che voleva rubare ed
interruppe quel contatto.
Il
viso imporporato della vittima,
la sua espressione intontita, gli occhi sgranati e le labbra ancora
dischiuse lo divertirono oltremodo, e pensò a quanto fosse
carino.
«In
tal caso, sarò io a
crearmi queste soddisfazioni»,
proferì mentre masticava, orgoglioso di avergli fatto
gettare la maschera da scaltro.
Mikleo
si sfiorò le labbra con l’indice e il medio della
sua mano lievemente tremante.
«Mi
hai appena dato un bacio?», fu la sua domanda retorica,
«Un bacio al
biscotto?»
«Qualcosa
del genere», replicò Sorey ridendo, «Un cookiss».
«Che
squallida…», commentò il serafino,
lasciandosi contagiare dal suo buonumore.
«Ti
è piaciuto?», si accertò poi il
compagno.
«Come
inizio non è male», giudicò
l’interessato, tentando di mostrarsi di nuovo sereno,
«Molto… bizzarro e creativo».
«Posso
fare di meglio», sostenne l’altro, sentendo
un’improvvisa euforia scorrergli nelle vene.
«Contieni
i tuoi ormoni», lo ammonì Mikleo alzandosi in
piedi, prendendo il piatto vuoto e dirigendosi alla porta.
«Se
vuoi, possiamo darci il prossimo con una fetta di pizza!»,
propose Sorey seguendolo.
«Condividere
la pizza? Giammai».
«Uno
spaghetto?»
«Pecca
di originalità».
«Un
marshmallow?»
«Niente
cibo. Mi farebbe, inoltre, un tantino schifo».
«Uffa,
volevo essere meno monotono…»
~
♦ ~
Due
settimane dopo
La
notizia che all’interno del palazzo reale si stessero
deliberando piani loschi e trattative inconsuete, oltretutto senza la
completa supervisione della regina – data per malata
–, si era diffusa come voce di corridoio con una
celerità impressionante.
Tutti
gli abitanti della città ne discutevano nei luoghi di
ritrovo, e i loro discorsi pieni di apprensione erano arrivati anche
alle orecchie delle guardie reali; tuttavia, queste ultime, i vari
funzionari e alcuni membri di quella grande famiglia continuavano a
smentire alcune dicerie
e tentare di tranquillizzare il popolo.
Sorey
sentiva che era arrivato il momento di agire, di farsi notare in
qualsiasi modo da quelle persone, per permettere che venisse accolto
tra le mura di quell’imponente edificio e gli fosse data
l’opportunità di conversare con loro –
com’era consuetudine quando visitava una città
della sua terra natia e patria delle Cronache Celesti. In quel caso,
però, non poteva essere riconosciuto e appoggiato
da nessun uomo rilevante o qualcuno che detenesse cariche di
alto rango.
L’occasione
di rivelarsi gli si presentò poco dopo quella riflessione,
in un pomeriggio di vento impetuoso e pioggia incessante
dall’odore asprigno, quando si imbatté in un drago
di notevoli dimensioni, dalle squame raggrinzite e paonazze, e dallo
sguardo feroce e spietato. Quella creatura stava sorvolando il palazzo
reale, e Sorey ebbe immediatamente la conferma che il fulcro della
malevolenza cresceva proprio fra quelle mura.
Le
persone che si trovavano nelle vicinanze non poterono vedere il
dragone, ma restarono immobili, quasi impietrite, appena videro la
figura del Redentore illuminarsi di una luce quasi divina ed essere
investita da un’onda di energia anomala ai loro
occhi.
“Per
purificare le anime di quelle persone, devi essere pronto a rivelarti
ed affrontare qualsiasi ingiuria nei tuoi confronti.”
Il
ragazzo scrutò per un attimo tutti gli spettatori, e
notò una Phoebe e un signor Collins alquanto sbalorditi in
mezzo alla folla.
“Se
ogni rancore si potesse attenuare con la stessa facilità con
cui noi due chiudiamo un litigio… il mondo sarebbe veramente
un posto migliore.”
Si
voltò poi verso Mikleo, il quale era accanto a lui, alla sua
destra, e aveva dipinta in volto un’espressione risoluta ma
smorzata da un sorriso premuroso che il Redentore ricambiò
all’istante.
«Sorey-san,
è il momento», lo richiamò Lailah.
«Non
perdiamo altro tempo», aggiunse Edna.
“Permettimi
di stare al tuo fianco fin quando sarà possibile, per
riportare la pace nel mondo… ed essere felici.”
«Sei
pronto, Mikleo?», domandò dunque
all’interessato.
«Quando
lo sei tu», fu la risposta.
E
il cuore di Sorey cominciò a battere con frenesia; non per
il terrore di affrontare quella creatura, ma perché pervaso
improvvisamente di gioia e fiducia in se stesso e nel serafino.
Colui
che amava e con il quale aveva appena intrapreso un cammino delicato
quanto la sua missione.
Colui
con il quale era fiero di combattere, poiché sicuro della
loro invincibile unione.
Le
sue dita sfiorarono quelle affusolate di Mikleo; i loro mignoli si
incrociarono, e il Redentore sollevò il capo, pronto a
pronunciare il vero nome del suo compagno di vita come un grido di
battaglia.
«Luzrov
Rulay!»
~*~
Angolo dell’autrice
Salve a tutti gli utenti
di questo fandom!
Dunque, confesso che
bazzico quest’ultimo già da mesi. Se,
però, mi sono decisa a postare qualcosa di mio
(“traslocando” momentaneamente dal fandom in cui
pubblico di più), è grazie a questo grazioso
contest che ho avuto la fortuna di scoprire.
Appena ho letto le
parole chiave “primo bacio”, ho subito pensato che
sarebbe stato intrigante ideare una trama del genere con Sorey e Mikleo
come protagonisti. Dopotutto, la Sormik è una delle mie
coppie preferite della saga.
Tuttavia, non nascondo
che calare quei due in un’atmosfera romantica è
stato alquanto faticoso; e mi sono resa conto di questa
difficoltà solamente durante la stesura.
I problemi principali di
questi personaggi – che, comunque, adoro – sono i
seguenti: nella storia originale non sono stati sufficientemente
analizzati per quanto riguarda la sfera sentimentale, e –
soprattutto – sono entrambi…
“uke”. *ride*
Tenete conto che non ho
ancora avuto l’occasione di giocare al videogioco (pur avendo
letto molti spoiler, inseriti tra l’altro in maniera
“occulta” in questa one-shot), e non so se in esso
siano presenti momenti più
“gratificanti” fra i due. Per ora posso rifarmi
solo alle vicende dell’anime, che – sarò
sincera – mi hanno entusiasmato pochissimo. I personaggi, a
mio parere, hanno molto da offrire allo spettatore, ma non è
stata data loro la possibilità di essere meno
“bidimensionali”.
Tornando a noi, ho
trovato arduo “far avvicinare” Sorey e Mikleo
perché entrambi hanno determinati comportamenti/fissazioni
che io considero “ostacoli” per lo sviluppo della
loro relazione. Ho evidenziato di proposito certi momenti di
immaturità, confusione, goffaggine, e ho reso le scene
più “intime” molto leggere, spontanee;
questo proprio perché nel mio immaginario non li vedo ancora
pronti al 100% per impegnarsi.
Per il resto, avendo
scelto il pacchetto Inghilterra, ho ambientato la storia a Londra
(città che ho fortunatamente visitato anni fa;
perciò, ho potuto “parlarne” rifacendomi
ai miei ricordi, le sensazioni provate e alcune foto). Ho inserito nel
testo le parole “tè” e
“kiss” richieste dal pacchetto, così
come la citazione inglese – più la sua traduzione
– pronunciata da Mikleo alla fine (che ho scoperto provenire
dal testo di una canzone che parla proprio di “sentirsi a
casa quando si è assieme ad una determinata
persona”).
I nuovi personaggi e
tutte le circostanze che hanno portato i due a darsi il tanto
agognato(?) bacio (bizzarro, tra l’altro *ride*) sono
un’aggiunta non esplicitata nel pacchetto, ma che ho ritenuto
indispensabile e interessante inserire per una buona maturazione
psicologica dei protagonisti, per dare – appunto –
un senso all’ambientazione richiesta ed un perché
al fatto che si trovassero in un luogo diverso dal
“solito”.
Non ho inserito tutti i
personaggi, poiché non era d’obbligo per lo
sviluppo delle vicende.
Infine, il titolo della
storia è “Iris” per due
motivi/sfaccettature:
- questo fiore
è simbolo di sentimenti profondi e positivi. Nello
specifico: l’assoluta fiducia, il trionfo della
verità, la promessa della speranza (elementi trattati nella
one-shot). Fiorisce specialmente in primavera, ossia in questo periodo.
-
“iris” è una parola inglese (e di
origine greca) che in italiano si traduce con
“iride”, la parte della membrana vascolare
dell’occhio. Ciò si ricollega alle volte in cui
Mikleo si è soffermato a contemplare gli occhi di Sorey
(elemento importantissimo della citazione contenuta nel pacchetto).
Hanno notevole importanza anche gli occhi del serafino,
poiché il loro colore rimanda all’iris viola che
simboleggia la sapienza (caratteristica del personaggio).
I crediti della fanart
vanno alla rispettiva autrice, che purtroppo non sono riuscita a
identificare. *sospira*
Spero abbiate gradito
questo racconto, così come spero di non avervi annoiato con
queste delucidazioni e di aver gestito bene i personaggi.
Tornerò da
queste parti (non so quando). Intanto, spero di essere la benvenuta. ^^
Vi ringrazio per essere
arrivati fin qui. Recensite, fatemi sapere!
Alla prossima,
Scarlet
|