Celia – The Heart, The Pain, Her Strenght

di RickyChance98
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EPISODE II: Chiunque si sarebbe inchinato, chiunque avrebbe avuto paura

Erano passati due giorni da quella terribile notte. Celia era stata rinchiusa in una cella piccola e buia nei tetri sotterranei  del castello e mai era riuscita a prendere sonno. Riusciva solo a pensare alla terribile fine di Juanita, qualcosa che non si meritava. E se avesse potuto evitarlo? Se non avesse finito di leggere quel maledetto libro quella sera? Magari sarebbe riuscito a evitarlo, sarebbe riuscita a salvarla. Questi pensieri la uccidevano. Ma ciò che la uccideva ancora di più era che era considerata lei stessa l’artefice. Lei, la sua migliore amica. Adesso cosa sarebbe successo? Come avrebbe potuto trovare il suo posto nel mondo senza di lei? Tirò un lungo sospiro e per un attimo trovò un minimo di calma interiore. Proprio in quel momento, però, sentì il portone che si apriva e il rumore di pesanti passi che si avvicinavano. Era Re Nelmo accompagnato da due guardie personali. L’uomo si affacciò alla cella con uno sguardo gelido. Celia aveva ancora il viso umido e lo ricambiò.
Sei la vergogna della mia famiglia. Nulla del genere era mai avvenuto nel mio palazzo.” – disse con un tono sprezzante.
“Non sono stata io, padre. Lei era la mia famiglia, l’amavo tanto.” – replicò singhiozzante la ragazza, senza sforzarsi, consapevole del fatto che non le avrebbe creduto mai e poi mai.
“… e pure bugiarda! Ho trovato questa nella tua stanza…” – l’uomo le fece vedere la parrucca rossa che stava impugnando – “Questi sono i suoi capelli, come osi! Rovini la sua immagine, infanghi il suo ricordo. Non sarai mai come lei, ricordalo!”.
Celia, con le lacrime agli occhi, cercò di prendergliela dalle mani, gridando: “Ti prego dammela, era un regalo!”.
Il vecchio indietreggiò e continuò: “Regalo? Beh, il primo e ultimo che riceverai…”. Si fece passare la torcia di fuoco che impugnava una delle guardie e diede fuoco alla parrucca davanti agli occhi della povera Celia.
“Hai già arredato la tua nuova stanza? Sarà casa tua per il resto dei tuoi giorni. Addio.” – concluse il padre, abbandonandola.
Celia guardò con aria di sconfitta i capelli inceneriti al di là della cella, poi appoggiò la spalle al muro umido di quella sudicia prigione, lasciando scorrere le lacrime di un dolore che non avrebbe mai dimenticato.
 
Nel frattempo Charlotte aveva appena concluso il suo allenamento di danza classica. Non appena fu sola, apparve all’improvviso il perfido Balzeff.
Charlotte non aveva più alcun timore di quel mostro, non aveva più paura di niente. “Cosa posso fare per te, Maestro?” – gli chiese la ragazza.
“Sono qui per passare alla fase successiva. Ho qualcosa per te” – dal nulla Balzeff fece apparire uno bellissimo scettro nero con ricami d’oro. “Questo è lo scettro del male. L’oscurità è potere, e il tuo potere vivrà dentro questo bastone magico. Grazie ad esso potrai usufruire della magia più oscura che esista”.
La ragazza lo impugnò immediatamente, sorridendo. L’essere la bloccò: “Lo scettro dovrà essere alimentato. Dovrai compiere azioni malvagie, se lo scettro non è alimentato il potere si esaurisce e tu tornerai ad essere debole e inutile.”
La ragazza rimase in silenzio per qualche secondo, ma non mollò la presa dell’oggetto magico. Accettò il dono della creatura: “Non fallirò”.
Non appena tenne lo scettro con entrambe le mani, accadde qualcosa di oscuro e magico: una nube si alzò sulla donna, e lo scettro si illuminò di una luce buia e tetra. I suoi capelli brillanti assunsero delle chiome grigie e nere, la sua pelle candida divenne pallida come quella di un cadavere. La ragazza, accecata dalla sete di potere, godette nel vedersi allo specchio così maestosa e potente. Chiunque si sarebbe inchinato, chiunque avrebbe avuto paura.
 
Celia teneva la testa fra le ginocchia. La visita del padre l’aveva distrutta e adesso i pensieri che le frullavano in testa erano ancora più di prima. In quel momento sentì un rumore familiare che si avvicinava alla sua cella. Non appena lo vide riuscì a sorridere per la prima volta da giorni: “Oh, Piffy sei tu non ci credo!”, esclamò non appena il suo coniglietto entrò dalle sbarre. La bestiola si lasciò prendere e abbracciare dalla sua padrona. “Sei arrivato fin qui, hai superato tutte le guardie! Sei il più coraggioso di tutti!” – disse baciandolo sul musetto. Piffy era uno dei pochi amici che le rimanevano e la sua visita le aveva ridato una piccola gioia in tutta quella disperazione. Quell’attimo di spensieratezza, tuttavia, durò ben poco. Da lontano Celia, udì infatti Charlotte, pronta a farle visita per la prima volta. La donna portava con una mano l’oscuro scettro, con l’altra un vassoio con alcuni viveri non troppo invitanti. Piffy si nascose subito dietro la schiena di Celia, che invece era pronta ad affrontarla.
“Che cosa vuoi?” – le chiese, abbastanza turbata dal suo nuovo aspetto.
“Ti porto da mangiare, sorella cara.” – le rispose, ponendole il vassoio da sotto. Celia con una manata lo cacciò via, rovesciando i cibi sul pavimento.
“Che stupida, miserabile!” – gridò Charlotte “Mangerai gli insetti della tua lurida cella!”.
“Digiunerò volentieri piuttosto che mangiare qualcosa che mi porti tu” – disse sfrontata Celia.
“Puoi benissimo morire di fame dopo quello che hai fatto.”
“Come puoi averla uccisa? Come? Guardati, sei diventata un mostro!”
“Dovresti guardarti da sola, tesoro. Sei sola, sei uno straccio vivente! Sei sporca e vivi in una cella per aver ucciso una povera inserviente! Vuoi dirmi che non l’hai uccisa tu? Puoi dirlo fino alla morte, nessuno ti crederà mai. E io invece sono dall’altra parte, ho tutto. Tutto!” – disse sprezzante Charlotte alla sorella.
Celia tornò nell’angolo della cella ignorando la sorella, che intanto si allontanava.
Piffy tornò davanti all’amica, che non riuscì a trattenere le lacrime. Charlotte le aveva praticamente ammesso che era stata lei! Che aveva fatto tutto questo per farla soffrire e ci stava riuscendo dannatamente bene. Le ore passarono, così come le lacrime. Celia si addormentò, così come Piffy che appoggiò il tenero musetto in braccio all’amichetta.
 
Il mattino successivo Celia e Piffy furono svegliati di soprassalto dal chicchirichì di un gallo. Dalla minuscola finestrella della cella entravano lucenti raggi di sole che illuminavano il viso della ragazza. Intanto i due cominciarono a sentire fame, Celia si pentì parzialmente di aver rifiutato il cibo della sorella. Quanto avrebbero dovuto aspettare, adesso, per avere un pasto decente? Proprio in quel momento di riflessione, Celia notò che la cella accanto alla sua era occupata da qualcuno. Riuscì a scorgere un buco nel muro che collegava le due celle, avvicinò quindi la bocca ad esso e cercò di farsi sentire.
“Hey, ps! C’è qualcuno qui?” – Celia non ricevette risposta. Riprovò altre due volte ma non fu più fortunata. Chiunque fosse il suo vicino di cella non voleva farsi sentire.
“Ho fame! Non è che avresti da qualcosa da mangiare?” – provò a chiedere senza aspettative di risposta la ragazza.
Pochi minuti dopo dal buco una timida mano le porse un pezzo di pane. “Ti ringrazio, sei molto gentile!” – disse subito Celia, ma neanche stavolta l’individuo silenzioso si degnò di rispondere.
Celia, senza pensarci due volte, addentò la pagnotta. Le sembrò la pietanza più buona del mondo. In quell’istante un senso di malinconia le si piombò addosso. Juanita era una fantastica cuoca e i suoi biscotti erano la fine del mondo. Erano solite a leggere e a chiacchiere le sere d’estate gustandosi quei dolcetti fino alla nausea. Quelli erano momenti felici, momenti che non sarebbero tornati mai più. Cercò di trattenere le lacrime e si sforzò di tornare alla realtà. Cominciò a pensare a un modo per far parlare chiunque si trovasse in quella cella. Poi avrebbero studiato una via di fuga. Era ancora confusa, ma una cosa la sapeva: quelli sarebbero stati i suoi primi ma anche i suoi ultimi giorni in quella lurida cella

(continua...)

 




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