1x3 Prova di coraggio
Westchester, Istituto Xavier
Moira Kinross sta tenendo
una
delle sue lezioni nell’aula F. Oltre a Jean Grey e Scott
Summers, è presente
un’altra ventina di studenti, tutti in età media
tra i diciassette e i
diciannove anni.
Uno di loro, Terence
Coleman, sta
chiacchierando con i suoi amici, senza ascoltare una benché
minima parola della
lezione della signora Kinross.
Terence scrive qualcosa su
un
biglietto, dopodiché con un gesto della mano lo fa sparire.
Inaspettatamente,
il biglietto compare sul banco di Jean, due file più avanti.
Conoscendo il potere di
Terence,
Jean si volta verso il ragazzo e lo guarda, incuriosita, ma lui fa
cenno di
aprire il biglietto.
La ragazza obbedisce e
legge le
seguenti parole:
“Preferirei
essere tra le tue
braccia e tra le tue labbra anziché in quest’aula.
Ogni giorno mi togli il
fiato”.
Jean scuote la testa,
spazientita,
ma si lascia sfuggire anche un sorriso divertito. Conosce bene gli
intenti di
Terence.
Scott Summers, seduto
accanto a
lei, si avvicina alla ragazza e le sussurra, in tono concitato per non
farsi
sentire dalla signora Kinross: «Cosa succede?
Perché ridi?»
«Oh, ma
niente!» risponde Jean,
evasiva. «È solo quell’idiota di
Terence».
Scott si volta indietro,
verso la
fila di Coleman e dei suoi compagni; quest’ultimo gli
risponde con un
occhiolino strafottente. Scott decide di ignorarlo, trattenendosi dal
togliersi
gli occhiali.
«Che
cos’ha fatto?» chiede a Jean.
«Nulla di
preoccupante. Siamo
usciti due volte, qualche mese fa» spiega Jean, mostrando il
foglio a Scott.
«Da allora Terence non fa altro che perseguitarmi, sperando
in un terzo
appuntamento.»
«Oh,
capito» commenta Scott,
accigliato, leggendo le parole sul biglietto e alzando gli occhi
sull’amica.
«Beh, sarà difficile che smetta se continui a
sfoggiare quel sorrisetto
complice.»
Jean si volta verso Scott,
scura
in volto: «Cosa vorresti insinuare?»
«Che
così sembra che tu gli dia
spago»
«Io non gli do
spago!»
«Vuoi riuscirci o
no?»
«Io…
beh… ma che t’importa?»
«Quando il signor
Summers e la
signorina Grey avranno finito di scambiarsi i loro
convenevoli…!» interviene
Moira, alzando la voce. «Saranno così cortesi da
ripetermi in sintesi la
struttura della camera di Pall?»
Sia Jean che Scott alzano
lo
sguardo sull’insegnante, disorientati.
Cala il silenzio.
«Non sapete
dirlo?» incalza Moira.
«No? Eppure è alla base della costruzione della
nostra Cerebro. Ne abbiamo
parlato per almeno mezz’ora.»
Jean e Scott non rispondono.
«Signorina Grey,
se vuole
continuare a mantenere il ruolo di coordinatrice di dipartimento le
consiglio
vivamente di fare più attenzione durante le lezioni su
Cerebro, specialmente se
sta valutando seriamente l’ipotesi di intraprendere il ramo
della medicina. Non
diventerà dottoressa scambiandosi bigliettini con i compagni
di classe, sa?»
«Mi scusi,
signora Kinross»
mormora Jean, rossa in volto più dei suoi capelli. Non
è abituata ad essere
sgridata.
«E lei, signor
Summers» continua
Moira, implacabile. «Se pensa che essere l’ultimo
arrivato le possa dare una
situazione di vantaggio o di prestigio, si sbaglia di grosso. Veda di
non
distrarre nessun altro, o la butto fuori. Non mi aspetto certo che
impari a
memoria le tecniche di difesa strutturale della camera, anche
perché comunque
nessuno riuscirebbe a forzarla senza il permesso del professor Xavier,
ma avere
qualche nozione di base potrebbe giovarle comunque.»
«Ma noi non
stavamo…!»
«Non stavate
attenti» Moira taglia
corto.
Dopodiché la
lezione riprende.
Jean rimane concentrata sul
libro,
ma Scott si rivolta indietro verso Terence, che sorride con astuzia.
Istituto Xavier, alloggio
dei
fratelli Summers
Alex sta bevendo una coca,
steso
sul letto, e sta guardando un poliziesco alla TV. Attorno a lui vi
è il caos
più totale.
Lattine accartocciate sul
pavimento, indumenti sporchi negli angoli più disparati
della camera, briciole
ovunque, e anche un discreto strato di polvere sulle superfici
più alte.
La porta della stanza si
spalanca
di botto e Alex alza la testa per vedere chi sia. È Scott.
«Ehi,
scemotto» lo saluta. «Non
sei a studiare, giocare, o fare quello che fanno… boh, tutti
gli altri?»
«Non ho voglia di
studiare»
brontola Scott, lanciando lo zaino sul letto e togliendosi le scarpe.
Accigliato, raccatta due lattine da terra e le getta nel cestino:
«Non potresti
essere un po’ più ordinato?»
Alex lo ignora. Anzi,
scoppia a
ridere a una battuta che probabilmente è stata fatta in TV.
«Questo telefilm
è una figata» ridacchia
Alex. «La vita del poliziotto deve essere veramente dura, ma
questi stereotipi
sono intramontabili!»
«Ehi, ti ho
chiesto una cosa,
cazzo!» urla Scott. «Almeno tu che sei mio fratello
vuoi ascoltarmi per una
fottutissimo volta?!»
A quel punto, Alex si volta
verso
Scott, poggiando il toast che stava mangiando proprio in quel momento.
Si rende
conto che suo fratello è molto arrabbiato.
«Che è
successo?» chiede Alex,
ancora con il boccone in bocca. «Tutto bene?»
Scott, tuttavia, si
è già calmato.
Si lascia cadere sul suo letto, poco distante da quello del fratello e
sospira.
Il giovane si toglie gli
occhiali
per massaggiarsi gli occhi, rigorosamente chiusi, dopodiché
li inforca
nuovamente.
«Tranquillo, non
ti ammazzo»
bofonchia Scott, vedendo il fratello sul chi va là.
«Anche se senza di te
sicuramente questa camera sarebbe più in ordine.»
«Perché
oggi sei così
amorevolmente simpatico?» domanda Alex.
«Dì, hai le tue cose?»
«Ma smettila, non
ti ci mettere
anche tu» brontola Scott, lanciandogli una lattina.
«Probabilmente, se fossi
donna sarei così sfortunata che avrei anche le mestruazioni
laser. Il lato
positivo è che almeno potrei far fuori un bel po’
di idioti.»
«Ehi, ehi, sento
dell’astio!»
ridacchia Alex, accendendosi una sigaretta.
Scott lo osserva rabbuiato:
«Sai
che non ci è permesso fumare all’interno
dell’istituto.»
«Chi è
che ti da noia?» domanda
Alex, imperterrito, alzandosi dal letto e sedendosi sul davanzale della
finestra che si affaccia sul parco.
«Nessuno mi da
noia» spiega Scott,
grattandosi la testa, imbarazzato. «O meglio, nessuno mi dice
nulla. Tanto ci
sono altri bell’imbusti senza cervello da prendere come
esempio, a quanto
pare.»
«Aspetta,
aspetta, aspetta!
Fermati un attimo!» Alex alza le braccia, sgranando gli
occhi. «C’è una donna?»
«Che?»
«C’è
una donna di mezzo, giusto?
Hai adocchiato qualcuna?!»
«Ma che
stai…» tenta di ribattere
debolmente Scott, ma niente riesce a frenare la contentezza del
fratello
maggiore, che lancia un lungo fischio di giubilo, addirittura
avvampando di energia
solare per pochi istanti.
«Fermati! Vuoi
dar fuoco a tutta
la scuola?!» lo brontola Scott, ancora più
immusonito.
Ma Alex non sembra
badargli: «E
chi è?» gli chiede invece. «È
carina? Com’è messa a tette?»
«Falla
finita» ribatte Scott,
esasperato. «Tanto è inutile. Ha già
qualcuno per la testa.»
«Oh, beh, ci sono
tanti modi per
ovviare a questo problema» spiega Alex, spegnendo la
sigaretta e gettandosi di
nuovo sul letto, accanto al fratello. «Dimentica subito gli
insegnamenti della
mamma. Fiori, cioccolatini e poesie di porteranno soltanto a
masturbarti
ossessivamente, crogiolandoti nel ricordo di quella figa che non te
l’ha mai
data.»
«Sei un poeta,
Alex» dice Scott,
in tono piatto.
«Non importa
quanto bello, brutto,
alto o basso tu sia» prosegue l’altro.
«Devi riuscire a coinvolgerla
mentalmente. Se il suo cervello sarà tuo, allora anche il
suo corpo sarà tuo. È
molto semplice!»
«Semplicissimo»
«Devi fare
qualcosa per attirare
la su attenzione» consiglia Alex, quasi come se fosse un
coach di una squadra
di football e si stesse preparando all’arringa pre-partita.
«Devi imporre la
tua presenza. Qualcosa che attiri la sua attenzione su di te. Devi
entrarle
nella testa. Così poi potrai anche entrarle
nella…»
«Sì,
okay, Alex, basta!» lo mette
a tacere Scott. «Sono già abbastanza incazzato
senza che tu mi dia i tuoi
stupidi consigli!»
«Stupidi
consigli?» ribatte Alex,
bofonchiando. «Ah! Vedremo! Tu prova a seguire il mio
consiglio, poi ne
riparleremo.»
«Non credo che lo
farò» ammette
Scott, afferrando le cuffie dal comò e collegandole al
cellulare.
«Allora rimani
nell’ombra, mentre
altri si pastrugnano la tua amata» conclude Alex, facendo
spallucce. «Vado al
bagno!» annuncia, con un rutto.
Rimasto solo, Scott
comincia a
rimuginare. Qualcosa per attirare la sua attenzione. Qualcosa per
attirare la
sua attenzione…
Città del
Messico, paese
periferico di Las Vargas
Logan, Tempesta e Jorgen
sono da
poco arrivati al villaggio di Las Vargas, ormai assorbito dalla
dilagante
periferia di Città del Messico.
Vi è un caos
degno di una
metropoli, per le strade del paese, animate di venditori ambulanti,
mercanti,
taxista, cittadini intenti a far compere, bambini intenti a rubare.
La giovane Tempesta fatica
a
mantenere il passo di Logan e Jorgen.
«Ehi, fottuta
bestia! Quando è
stato deciso che io dovessi portare anche il tuo zaino?» si
lamenta la ragazza,
spostandosi dal volto i lunghi capelli albini, madidi di sudore.
«Quando ho deciso
di non sgozzarti
e di pararti il culo» mormora Logan, aiutando il vecchio
Jorgen ad attraversare
la strada trafficata. I tre passano attraverso il traffico, in
direzione della
stazione per la frontiera.
«Ho alcuni amici,
alla frontiera»
spiega Jorgen. «Non avranno problemi a fornirci un visto
falso per me e per
Ororo.»
«Ecco, almeno mi
evito la galera.
Un’altra volta» brontola Tempesta, sempre al
seguito dei due. «Adesso possiamo
riposarci?»
«No, non ci
fermiamo» ordina
Logan, guardandosi intorno, innervosito.
«Che problema
c’è? Nessuno oserà
attaccarci in mezzo alla folla, no?» chiede Jorgen, forse
più per rassicurare
se stesso che non per esporre una domanda.
«Non
saprei» ammette Logan. «Ma
sicuramente se volessero attaccarci passerebbero inosservati, in tutto
questo
casino.»
«Porca
troia» impreca Tempesta.
«Ho capito, non ci fermiamo. Fanculo».
I tre si rimettono in
marcia.
A pochi metri di distanza,
dall’altro lato della strada, una misteriosa figura, avvolta
in un lungo
impermeabile color castagna, dal volto nascosto dietro a un grosso paio
di
occhiali scuri e a un grande cappello, li osserva incuriosito.
Ha un’auricolare,
all’orecchio.
«Non perderli di
vista, Calibano.
Non devono lasciare il paese. Uccidili se necessario.»
«Con piacere,
signor Di Mauro»
risponde il mutante, con un’orrenda voce sibilante.
Westchester, Istituto Xavier
Scott si trova nel
corridoio che
conduce a Cerebro, il grande portone circolare nascosto dietro alla
finta
parete dove si trova un grande quadro dei cavalieri della Tavola
Rotonda.
Scott guarda assorto la
parete,
preoccupato.
«Scott?»
Il ragazzo si gira,
sorpreso nel
sentir pronunciare il suo nome. È Jean.
Scott sorride, imbarazzato.
Quel
pomeriggio la ragazza è, se possibile, più carina
del solito. Indossa una
maglietta gialla, molto attillata, jeans bianchi e ha i capelli ramati
raccolti
in una coda. Lo fissa con gentilezza, bloccandolo con i suoi grandi
occhi
verdi.
«Oh, ciao,
Jean» mormora lui,
arrossendo.
«Che ci fai
quaggiù tutto da
solo?» chiede la ragazza.
«Potrei chiederti
la stessa cosa»
ridacchia Scott, suscitando una risata in Jean, che risponde:
«Touché».
I due si guardano in
silenzio per
qualche momento.
«Io stavo
cercando il professor
Xavier» mente Scott, guardandosi intorno in modo vago.
«Ma non l’ho trovato.
Credo che tornerò agli alloggi.»
«Capito»
annuisce Jean. «Io invece
ho dato appuntamento qui a Terence.»
Le parole non arrivano
subito al
cervello di Scott. Quando questi si rende conto di ciò che
ha detto la ragazza,
ammutolisce.
«Ah…»
Jean sfoggia
un’espressione
piuttosto strana, che Scott non riesce e non vuole decifrare.
«Allora vuoi
uscirci». Non è una
domanda. Per Scott, è una constatazione.
Jean arrossisce:
«B-beh, perché
non dovrei. Lo conosco da un bel po’, è
carino»
«Ah,
già è carino» la schernisce
Scott, sogghignando. «Allora è tutto apposto, che
stupido che sono!»
«Ma si
può sapere cosa ti prende?»
«Niente, anzi
è meglio se me ne
vado, almeno ti lascio da sola con quel deficiente.»
Jean si infiamma:
«Non so che
problemi hai, Summers, ma puoi rimanere tranquillamente. Me ne vado io!
Almeno
non ti impongo la mia presenza!»
Detto questo, Jean gira i
tacchi e
si allontana.
Rimasto solo, Scott stringe
i
pugni, mentre una voce nella sua testa gli grida “fermala!
Fermala!”
Sembra esitare, fin quando
dal
corridoio non fa capolino Terence Coleman.
«Summers?»
sembra sorpreso. «Che
ci fai come un cretino tutto solo? Senti, hai mica visto
Jean?»
Scott rimane in silenzio.
«Okay, grazie
comunque!» così
Terence fa per andarsene.
Scott digrigna i denti,
poi,
sempre più risoluto richiama il ragazzo.
«Ehi,
Coleman!»
«Che vuoi,
Summers? Sono parecchio
impegnato, adesso» spiega quest’ultimo.
«Ho visto Jean in
camera sua»
racconta Scott, sperando che il suo tono risulti più
disinvolto possibile. «Ha
detto che non ha voglia di incontrare un idiota come te»
Dopo un breve attimo di
esitazione, Terence si riprende: «Ehi, ma come ti permetti,
quattr’occhi?»
«Stai fermo dove
sei o ti faccio
saltare in aria» lo minaccia Scott, portando la mano agli
occhiali.
Terence si blocca
istintivamente,
preoccupato.
«Guarda che mi
sono accorto che ti
piace la
Grey»
commenta Terence, sempre più incupito. «Quindi
vedi di levarti da qui e non
fare stronzate. Lei è mia, ho un appuntamento con lei
perché lei ha scelto me.
Puoi far saltare in aria tutte le persone che vuoi, questo non cambia
nulla,
Summers.»
«Perché
non sa che razza di idiota
sei» controbatte Scott, sfidandolo.
Terence scoppia a ridere:
«Avanti,
Summers, non essere ridicolo. Cosa speri di fare?»
Scott non osa rispondere.
Non si
muove.
Quando Terence vede che il
ragazzo
non cede, decide di sfoggiare il suo sorriso più snervante:
«D’accordo,
facciamo così. Sfidiamoci. Chi vince ottiene Jean. Che ne
dici?»
Scott deglutisce,
innervosito. Sa
che Jean non approverebbe.
«No?»
insiste Terence. «Allora
adesso fai l’uomo e lasciami andare. E accetta la
sconfitta.»
«Va bene, accetto
la sfida» si
affretta a dire Scott, abbassando la mano dagli occhiali.
«Sei mai entrato in
Cerebro?»
La scena è
completamente buia. Non
esiste più niente. O forse niente è mai esistito.
A un certo punto compare un
albero
e sotto di esso una panchina, poi due ragazzini; tutt’attorno
a loro vi è un
enorme parco verdeggiante.
«Perché
stamani non sei venuto a
scuola?» chiede uno dei due ragazzini all’altro.
Il più alto dei
due gli risponde:
«Non credo continuerò a frequentare quella classe.
Mia madre dice che quelli
come noi non meritano più di stare in una classe di biondi.
I soldati hanno
portato via anche mio zio, pochi giorni fa. Mia madre dice che noi
saremo i
prossimi.»
«Nessuno ti
porterà via, Erik»
commenta aspramente Charles Xavier.
«E chi ha detto
che ho intenzione
di andarmene?» ridacchia l’altro ragazzino.
«Che ci provino pure. Non ho paura
di ucciderli. Se si avvicinano a casa mia li ammazzo tutti. Li ammazzo
con le
mie mani.»
«Non ce la
faresti mai» risponde
Charlie. «E poi non è una cosa carina da
dire.»
«No, ma
è la cosa giusta da fare»
taglia corto Erik, stringendo la mano a pugno. Uno spillo si alza da
terra e
fluttua proprio davanti il volto del ragazzo.
Istituto Xavier, ufficio
del
preside
Charles Xavier apre gli
occhi.
Sente la sua stessa fronte madida di sudore.
Il sole sta tramontando,
oltre il
parco dell’istituto, gettando i suoi ultimi bagliori
aranciati sulla scuola,
illuminando le aule di una luce morente.
Moira sta trascrivendo
alcuni
documenti, seduta alla scrivania del marito.
«Accidenti, Hank
dovrà portarci a
cena fuori non so quante volte, non appena questa campagna elettorale
sarà
finita. Queste scartoffie da promoter e sponsor sono
interminabili» commenta la
donna.
Quando però il
marito non le
risponde, ella alza lo sguardo: «Che succede?»
Xavier rimane impassibile.
Non ha
voglia di parlare, ma proietta i suoi pensieri nella mente della moglie.
«Erik?»
esclama Moira. «Ancora?»
«Ancora»
sospira l’uomo,
preoccupato.
Moira si alza, attornia la
scrivania e si avvicina a Charles, ponendogli la mano su una spalla.
«Che cosa credi
che possa
significare?»
Xavier scuote la testa
calva,
disorientato: «Non lo so, ma quello che so è che
Erik LenSherr è in pericolo.»
Moira guarda il marito con
un
misto di tristezza e compassione: «Ma, Charles…
Erik è morto.»
Xavier alza lo sguardo
sulla
moglie: «No, Moira. Erik è vivo. Sento il suo
potere. Erik LenSherr è ancora
vivo.»
Moira e Charles si
guardano, in
silenzio. Non c’è bisogno di parole. Gli anni
della gioventù in cui Charles
Xavier, Erik LenSherr e Moira Kinross giocavano tutti e tre insieme al
parco
sembrano riaffiorare con prepotenza nella mente dei due coniugi.
A un certo punto Xavier
geme. Un
coltello sembra penetrargli nella testa.
«Argh!»
«Charles!»
esclama Moira. «Che
succede?»
Xavier si massaggia le
tempie,
lacrimando dal dolore: «Cerebro. Qualcuno sta violando
Cerebro…»
La scena si sposta nel
corridoio
che porta a Cerebro.
Alex e Moira camminano
fianco a
fianco. Alex conduce la sedia a rotelle del professor Xavier.
«Lei è
sicuro che sia mio
fratello?» chiede Alex, nervoso. «Perché
mai avrebbe dovuto violare Cerebro?»
«Non lo so, ma
è la mente di tuo
fratello che avverto. Ne sono sicuro» afferma Xavier.
«Stupido
ragazzo» commenta Moira,
ansiosa. «Se la stanza non verrà liberata dagli
intrusi il prima possibile,
finirà per uccidere i suoi stessi ospiti.»
«Uccidere?!»
Alex è incredulo.
«State scherzando?!»
I tre si arrestano di
fronte la
parete con il quadro dei cavalieri della Tavola Rotonda.
«Cerebro
è un prototipo che vanta
un primato di connessione mentale in tutto il mondo» spiega
il professore. «È
il fiore all’occhiello di questa scuola e deve essere
custodito come un tesoro
di inestimabile valore. Io stesso ho ideato le trappole della stanza,
per far
sì che essa possa difendersi da sola, qualora né
io né Moira fossimo nei
paraggi.»
Qualcuno corre attraverso
il
corridoio: «Professore! Professor Xavier!»
È Jean Grey.
«Jean?»
Alex è incuriosito nel
vederla lì. Xavier invece non batte ciglio: «Hai
sentito anche tu?»
«Sì,
professore» afferma la
ragazza, ansimando e reggendosi un fianco. Evidentemente deve aver
attraversato
mezza scuola a corsa, pur di raggiungerli. «Sono Scott e
Terence. Quei due
idioti.»
«Jean, che cosa
sta succedendo?!»
chiede Moira, sempre più spazientita. «Si
può sapere cosa state combinando?»
«Inutile che se
la prenda con me!»
grida Jean, altrettanto alterata. «Non è colpa mia
se gli uomini sono dei
completi imbecilli!»
A quel punto, Alex sembra
comprendere tutta la situazione.
La sua espressione di
sorpresa,
però, dura poco; sostituita subito dopo da una nuova ondata
di preoccupazione.
«Che razza di
idiota che sono. A
volte do dei consigli veramente stupidi…»
«Non
c’è tempo» Xavier li mette a
tacere tutti, premendo un tasto sotto il bracciolo della sua sedia.
«Cerebro
sta continuando a difendersi. E quei due ragazzi moriranno se no ci
sbrighiamo.
Il quadro si sposta di
lato,
lasciando scoperto un pannello di sicurezza. Moira si avvicina e digita
un
codice.
A quel punto
l’intera parete si fa
da parte, mostrando la grande porta circolare di Cerebro.
Il gruppo fa per entrare,
ma
Xavier li ferma: «No. Entreremo soltanto io e Jean. Le vostre
menti non sono
abbastanza allenate per sopportare un tal peso.»
Alex si fa da parte,
incerto.
Anche Moira si arresta, ma
fissa
insistentemente il marito: «Charles, stai attento.»
Jean e il professore
entrano nella
stanza, che si richiude alle loro spalle.
Al di là di
essa, regna il
silenzio più assoluto. Non sembra che successo assolutamente
nulla.
Tuttavia, in fondo alla
pedana,
Terence Coleman e Scott Summers sono immobili, bloccati a
mezz’aria, i volti
contorti in strane espressioni di dolore, la bocca schiumante di saliva
e gli
occhi sbarrati.
Jean conduce Xavier al
casco di
Cerebro. Il silenzio regna ancora sovrano. I ragazzi, in preda alle
allucinazioni mentali di Cerebro, sembra quasi non respirare.
«Jean, io entro
nelle loro teste»
spiega Xavier, afferrando il casco e infilandoselo sul cranio.
«Non appena
avvertirai la presenza mentale di tutti e tre e sentirai allentare la
presa di
Cerebro, tiraci fuori.»
«D’accordo,
professore» Jean
annuisce, risoluta.
«Ah, stai
attenta» aggiunge
Xavier. «Cerebro, a quel punto, potrebbe rivolgere la sua
attenzione su di te.»
Jean sbatte le palpebre,
cercando
di mantenere la calma.
Xavier chiude gli occhi e
si
immerge in Cerebro.
Il caos esplode attorno a
lui.
Vi sono fiamme e boati
ovunque.
Lingue di fuoco blu attorcigliano immediatamente le caviglie di Xavier
che
riesce a liberarsene, respingendole con la mente.
Non appena è
libero, un enorme
artiglio sembra aggrapparsi alla sua testa, cercando di asportargliela
di
forza, ma Xavier sa che è soltanto un’illusione di
Cerebro e resiste.
Non altrettanto fortunati
sono
stati Scott e Terence.
Il primo sta tentando di
liberarsi
da alcuni fili spinati che si stanno attorcigliando attorno e dentro al
suo
corpo. Alcuni cavi lo perforano dalla bocca, dagli occhi. Il ragazzo si
è tolto
gli occhiali: evidentemente ha provatoad usare il suo potere, senza
risultato.
“Inutile”
pensa Xavier. “Tutto
questo non sta accadendo”.
Terence invece è
interamente
avvolto dalle fiamme e sta fuggendo, inseguito da alcune bestie
inferocite,
simili a polipi giganti, ma piumati.
Xavier fa per avvicinarsi
ai due,
ma il pavimento sembra crollare e il professore cade in una voragine
senza fondo,
sentendo il suo stomaco torcersi e il cuore salirgli in gola.
“Avrei dovuto
orchestrare qualcosa
di meno complesso” pensa l’uomo.
Non
c’è modo di arrestare Cerebro.
Xavier continua a cadere, non può aggrapparsi a nulla. E
cade. Cade. Cade.
A un certo punto qualcosa
lo trae
in salvo; sembra un volatile.
Si sente artigliare il
petto e si
rende conto di essere sulla cima di un’enorme torre
tempestata da una pioggia
sferzante.
Scott e Terence sono a
terra, in
preda alle convulsioni. Accanto a loro vi è
un’aura calda e seducente.
«Jean!»
la riconosce Xavier. «Ti
avevo detto di aspettarmi fuori!»
«Lo so, ma non
potevo stare in
attesa! Mi dispiace, professore!» grida la ragazza.
La torre esplode e si
rovescia, cadendo
in un enorme vortice elettrico. I ragazzi sono i primi a scivolare via,
ma
Xavier li afferra al volo.
Dall’altra parte,
però, un’enorme
artiglio cerca di portarli via, di strapparli con forza dalla presa del
professore.
«Jean! Esci da
qui!» grida Xavier,
mentre avverte la sua pelle intorpidirsi e sciogliersi. Non deve cedere
alla
paura; è tutta un’illusione. Eppure sembra
così reale.
«Porta via Scott
e Terence! ESCI!»
Jean afferra i due ragazzi
e
sparisce nel nulla. Xavier è rimasto solo. Adesso
l’artiglio sta traendo lui a
sé.
Xavier si lascia andare e
tutto il
vortice esplode in un’enorme bolla.
Xavier avverte le
sensazioni più
disparate: sembra che della sabbia gli stia entrando dalle narici,
affogandolo,
ma a pensarci bene sembra di essere sott’acqua. No
è totalmente trafitto da
lame acuminate, che gli trapassano la pelle da parte a parte.
“Resisti”
si fa forza Xavier.
“Resisti!”
Cerebro sta gradualmente
riconoscendo il suo padrone. Le difese stanno calando.
La mente di Xavier si fa
sempre
più debole, fin quando tutto il suo mondo si chiude a
riccio, trasformandosi in
una stanza bianca.
Charles Xavier si guarda
attorno.
Ha tutta l’aria di essere la stanza di qualche sorta di
sanatorio.
Davanti a lui, avvolto in
una
camicia di forza, vi è un uomo sulla cinquantina, dai
capelli ingrigiti, ma
dagli inconfondibili occhi gelidi e strafottenti.
Erik LenSherr lo scruta,
sorridendo.
«Erik…»
sussurra Xavier, cercando
di avvicinarsi. Solo allora si rende conto che tra i due vi
è una lastra di
vetro.
«Ciao,
Charlie» mormora Erik.
«Vedo che il tempo è stato impietoso anche con
te.»
«Sei
vivo» sorride Charles,
toccando la lastra di vetro come se sperasse di affondarci dentro.
«Non lo sono mai
stato veramente»
lo corregge Erik. «Ma sì, diciamo che sono
vivo.»
«Mi
dispiace…» Xavier tocca il
vetro con la testa, chiudendo gli occhi. «Se solo avessi
saputo… se solo ti
avessi avvertito prima….»
«Le strisce blu
mi tengono
prigioniero» lo interrompe Erik. «Il magnete
imprigiona Magneto, Charlie.
Aiutami. Liberami da questo palazzo.»
«Cosa? Dove sei?
Quali strisce?
Quale magnete?» chiede Xavier, attonito. «Devi
essere più preciso, Erik. E più
veloce. Non ho molto tempo!»
«Tempo»
mormora Erik, chiudendo
gli occhi. «Anche di quello non ne ho mai avuto.»
«Erik!
Erik!» la scena si ripete
esattamente come decenni prima. Charles Xavier scivola via, lontano dal
suo
amico. Lontano dal mondo.
Quando il professore riapre
gli
occhi, si rende conto di essere caduto dalla sedia a rotelle. La
schiena è
trafitta da dolori lancinanti.
«Charles!
Charles!» grida qualcuno
attorno a lui.
Vi è Moira, e
alle sue spalle,
Xavier avverte la presenza di Alex e di Jean.
«Dove sono i
ragazzi?» mormora
Xavier. «Scott e Terence. Dove sono?»
«Sono caduti in
coma, professore»
ammette Jean. «Ma riusciremo a farli riprendere.»
Il coma. Grazie al cielo
Cerebro è
stato molto più caritatevole di quanto Xavier si fosse
aspettato.
«Magneto»
sussurra poi a Moira.
«Magneto è vivo.»
Moira sgrana gli occhi,
incredula.
Si tappa la bocca con le mani.
Xavier annuisce e scoppia a
ridere: «È vivo. E lo
troverò.»
«La smetta di
farneticare,
professore» lo interrompe Alex, issandolo di peso e
portandoselo in collo.
«Adesso usciamo da qui.»
Ma Xavier non ha pensieri
che per
altro se non Erik. Erik è vivo. È
l’unica cosa che conta veramente.
Messico, treno merci
diretto alla
frontiera statunitense
Il vecchio treno diretto
alla
frontiera è appena partito. Non è un treno da
viaggio, non dovrebbe ospitare
passeggeri, ma soltanto casse, attrezzi, cibi e merci varie. I vagoni
di coda
però ospitano tutti coloro che fuggono dal Messico, tutte
quelle anime perse
che vagano alla ricerca di speranza, confidando in un futuro migliore.
Spesso,
vi sono donne e molti bambini; più difficilmente si vedono
anziani, che
arresisi alle loro vite, non attendono altro che morire tra quelle
terre dimenticate.
Quel giorno, tuttavia, vi
sono
solo uomini.
Logan, Jorgen e Tempesta
lasciano
andare le pesanti valigie e si accovacciano a terra, prendendo un
attimo di
pausa dal loro lungo viaggio.
Tempesta poggia la testa
fuori dall’apertura
del vagone, lasciando che la forte velocità e il vento la
avvolgano
completamente. Jorgen le intima di non stare così sporta, ma
neanche prova a
trarla indietro.
Logan invece si accascia
totalmente contro la parete. Si accende un sigaro.
«Credi che ti sia
concesso fumare all’interno
del treno?» domanda Jorgen, accovacciandosi accanto al
mutante.
Logan allunga un secondo
sigaro in
direzione dell’anziano: «Non siamo proprio in prima
classe.»
Jorgen prende il sigaro
offertogli
e se lo fa accendere con lo zippo color bronzo.
Molti uomini li guardano,
seriosi.
«Allora, cosa
faremo una volta
raggiunti gli Stati Uniti?» chiede Jorgen.
L’anziano si volta a guardare
Tempesta, che nel frattempo ha indossato le sue cuffie
dell’Ipod, estraniandosi
dal resto del mondo.
«Niente di
diverso rispetto a ciò
che facevate in quello schifo di baraccopoli» ammette Logan.
«Ma almeno non
sarete più sotto la giurisdizione di Di Mauro».
Jorgen annuisce,
sospirando: «Sarà
dura. Non posso sperare di immergermi nuovamente nel mio lavoro.
Saranno mesi
duri. Già, lo so.»
«Sì,
lo saranno. E state pur certi
che Di Mauro continuerà a darvi la caccia.»
«Soltanto Di
Mauro?» ironizza
Jorgen, voltandosi verso Logan. «Ho sentito che voialtri non
ve la passate
tanto meglio negli Stati Uniti. Alla gente non andate a
genio.»
«I normo
ci vedono come fenomeni da baraccone» afferma Logan,
scuotendo a terra la
cenere del sigaro. «Ma in realtà, se vuoi sapere
come la penso, siete tutti
quanti gelosi delle nostre abilità. Ci vedete come dei
maghetti fantastici che
riescono a cavare conigli fuori dai cappelli.»
Jorgen
Muraz ridacchia: «Forse. Ma provo compassione per le tante
vite che sono state
spezzate. Soltanto perché mutanti.» Logan osserva
attentamente il vecchio
meccanico. Sembra sincero.
«A volte
mi domando cosa ne sarebbe stato di Ororo, se non l’avessi
trovata e accudita»
prosegue Jorgen. «E sempre più spesso mi domando
cosa ne sarà di lei dopo che
avrò smesso di farlo.»
Entrambi
gli uomini rimangono in silenzio.
«Non è
esattamente quella che si dice una ragazzina indifesa»
esordisce Logan, dopo
qualche attimo di esitazione. «Ma pur sempre una ragazzina
rimane» lo
interrompe Jorgen, guardando il volto assente di Tempesta che, a labbra
leggermente dischiuse, sembra cantare una canzone.
«Non
potrà
proteggerla per sempre» ammette Jorgen. «E dove
stiamo andando è una realtà che
non mi appartiene. Forse è un stato bene che ti abbiano
inviato a ucciderla.»
Logan
distoglie lo sguardo dal sorriso del meccanico. Gli uomini continuano a
fissarli.
«Non credo
stiano apprezzando il fumo nel vagone» commenta Jorgen.
Logan non
risponde. C’è qualcosa di profondamente scomodo in
quell’ambiente. Non vi sono
donne. Non vi sono bambini. Non vi sono anziani. Jorgen e Tempesta sono
l’unico
vecchio e l’unica adolescente presenti nel vagone.
Poi Logan
vede un uomo in particolare. Non può vederlo in volto.
Indossa un lungo
impermeabile, un cappello che gli copre parzialmente il volto, spessi
occhiali
rotondi, una sciarpa.
Logan si
guarda intorno: altri uomini li guardano.
«Merda»
sussurra.
L’uomo fa
per estrarre gli artigli, ma l’intera squadriglia del vagone
estrae le armi.
Jorgen
geme e Tempesta strilla di sorpresa, togliendosi immediatamente le
cuffie dalle
orecchie.
Più veloce
di un lampo, Logan balza in piedi, si getta selvaggiamente su un uomo,
sgozzandolo, salta indietro e ne agguanta un secondo per la gamba,
scaraventandolo addosso ad altri due compagni.
Alcuni di
loro fanno fuoco, ma Tempesta li fulmina istantaneamente. I pochi
rimasti fanno
per gettarsi dal vagone in corsa, ma Logan li trafigge, lasciandoli
accasciati
al suolo.
L’uomo in
impermeabile si avventa su Tempesta, ma Jorgen e Logan cercano di
bloccarlo.
«Chi
diavolo sei?!» grida Jorgen. Quello, per tutta risposta, si
toglie occhiali,
cappello e sciarpa, rivelando una creatura butterata da cicatrici e
scottature,
dalla pelle bianca come la neve.
«Calibano,
segugio schifoso» mormora Logan. «Da quando sei
alle dipendenze di Di Mauro?»
«Da quando
Bentch non elargisce più il compenso che mi
spetta» gracchia la creatura, con
voce disumanamente roca. «Di Mauro è un offerente
ben più consistente. Non puoi
immaginare quanto denaro io abbia preso per seguire la ragazzina fin
qui.»
Logan si
toglie la giacca e si para di fronte a Jorgen e Tempesta.
«Logan!»
esclama Calibano, divertito. «Logan! Logan! Ma che cosa stai
facendo? Davvero
sto vedendo il grande animale selvaggio Logan Howlett pararsi di fronte
un
misero vecchio e una ragazzetta? Che cosa ti è
successo?»
«Non
fraintendere, Calibano» risponde Logan, preparandosi allo
scontro. «Evito che
altri vedano quell’ammasso di merda che ti ritrovi al posto
della faccia.»
Dopodiché
si avventa su di lui. Il killer però si scansa di lato e si
catapulta addosso a
Jorgen e Tempesta. Improvvisando, Jorgen spinge via la ragazza e
ferisce
Calibano con il sigaro.
Il killer
urla di dolore, coprendosi la fronte: «Figlio di
puttana!» Afferra il meccanico
per il collo, lo solleva di peso senza problemi ed estrae
l’altra mano da sotto
l’impermeabile, mostrando un lungo guanto artigliato.
Logan
tenta di saltare addosso a Calibano, ma questo lo calcia via senza
problemi e
l’uomo cade giù dal vagone, sparendo nel deserto
sabbioso, mentre il treno
corre rapido verso la frontiera.
«No!»
Tempesta grida.
La mano di
Calibano trafigge lentamente il vecchio meccanico, che spalanca gli
occhi,
atterrito dal dolore e dalla paura.
Tempesta,
tuttavia, accumula un’enorme sfera di energia elettrostatica,
scagliandola
addosso a Calibano, che lascia andare Jorgen e cade
all’indietro.
Jorgen
stramazza al suolo, ansimante.
«Cosa credi
di fare, stronzetta?» ringhia il killer, digrignando i suoi
denti giallastri.
Senza
attendere ulteriormente, Tempesta si volta e fugge dal vagone,
arrampicandosi
sul tetto del treno. Il vento è molto forte e rischia di
spazzarla via, ma
almeno Calibano starà lontano da Jorgen, che avrà
il tempo di riprendersi.
«Dove
scappi, Ororo?» ride il killer, afferrandola per la caviglia
e cercando di
trascinarla di nuovo all’interno del vagone.
La ragazza
urla, terrorizzata. Sente la mano grinzosa afferrarla e tirarla
giù. La mano è
fredda. Fredda come la morte. A un certo punto, avverte
l’urlo di dolore di
Calibano, che lascia andare la presa.
«Non
abbiamo ancora finito, signor tintarella!» grida Logan,
balzando fuori da sotto
il vagone e artigliando Calibano al petto. Il killer tenta di liberarsi
dalla
presa, ma Logan lo scaglia sul tetto del vagone, balzandovi
anch’egli sopra.
Logan,
Tempesta e Calibano si ritrovano tutti e tre all’aperto, al
vento, mentre il
deserto sfreccia veloce attorno a loro.
«Tempesta!
Torna di sotto e assisti il vecchio!» grida Logan, alzandosi
in piedi. La
ragazza non se lo fa ripetere due volte.
«Che
dolce. Sembri quasi un uomo buono e pieno di principi,
Howlett!» sogghigna
Calibano, estraendo l’artiglio da sotto
l’impermeabile. «Ma per quanto ti
sforzi, non potrai mai essere un uomo. Chi nasce bestia, bestia
rimane!»
«Allora
immagino che, da bestia quale sia, è inutile
parlare» risponde Logan a tono,
correndo verso il killer ad artigli sfoderati.
Calibano
blocca l’impatto con la sua mano artigliata, mentre con
l’altra agguanta Logan
per il collo, sollevandolo senza difficoltà.
«Sai,
è
stato difficile trovare la signorina Munroe» ammette
Calibano, studiando Logan
con il suo sguardo da psicopatico. «Sentivo la tua puzza da
oltre cento chilometri
di distanza.»
«Senti
anche questo, allora!». Logan tira un calcio in pieno volto a
Calibano, che
grida al suono scricchiolante del suo setto nasale, andato in frantumi.
Caduto
a terra, Logan si rialza e afferra Calibano per un braccio
scaraventandolo via.
Il killer oppone una fiera resistenza finché qualcosa non lo
colpisce alle
spalle.
Una
violenta scarica elettrica di Tempesta colpisce il killer tra le
scapole,
mandandolo a gambe all’aria; è la distrazione
perfetta di cui aveva bisogno
Logan, che trafigge le gambe di Calibano con gli artigli.
Il killer
grida di dolore, cercando di allontanarsi dall’uomo,
trascinandosi con le
braccia.
«Finito di
fare lo spavaldo, stronzo?» commenta Logan, avvicinandosi a
Calibano e
voltandolo.
Questo
sogghigna: «Uccidimi… uccidimi pure. Tanto
è l’unica cosa che sai fare nella
vita. Ma sappi che… qualcun altro porterà via la
ragazzina. E qualcuno verrà…
anche… anche per te.»
Logan
sospira, fingendo apprensione: «Quel qualcuno non sarai
certamente tu» detto
ciò, lo scaraventa di sotto dal treno. Gridando di rabbia e
dolore, Calibano
sparisce in un grande polverone di sabbia e sangue.
Logan e
Tempesta tornano di sotto, all’interno del vagone.
«Jorgen!»
geme la ragazza, correndo dall’anziano, che respira
affannosamente, immerso in
una pozza di sangue.
Anche
Logan si avvicina a lui: «Vecchio…»
Jorgen
alza lo sguardo affaticato su Logan: «Sembra che…
sembra che dovrai badare a
lei… prima… prima del previsto».
«Zitto.
Adesso troviamo delle bende» mormora Logan, senza avere la
benché minima idea
di dove poterle trovare.
«Ma per
favore…» bofonchia Jorgen.
«Quando… quando un’auto è
vecchia basta poco per
romperla. Dopodiché… anche se si aggiusta mille
volte… prima o poi… prima o poi
andrà rottamata.»
Tempesta
lo abbraccia, tenendolo da sotto la testa, anch’essa
impregnata di sangue
scuro.
«Mi
dispiace, Ororo» sussurra il vecchio, annaspando sempre
più faticosamente alla
ricerca di ossigeno. «Non… ti ho dato il lusso
che… che avrei voluti darti…»
Jorgen
sposta lo sguardo già spento su Logan, che annuisce:
«Starà bene. Penserò io a
lei.»
«Stai
zitto! Non morirà!» grida Tempesta, scoppiando in
lacrime.
«È
già
morto» sentenzia Logan, voltandosi di spalle.
A quel
punto, le lacrime di Tempesta si fanno più silenziose, ma
più copiose e disperate.
Mentre il
treno continua a sfrecciare lungo il deserto, in direzione della
frontiera, il
sole svanisce di punto in bianco, lasciando il campo a enormi nuvoloni
neri,
più neri del demonio, carichi di una tremenda pioggia di
dolore.
Westchester,
Istituto Xavier
Nel parco
dell’istituto, in una bella giornata assolata, Jean sta
studiando chimica su
uno dei tavolini di legno. È da sola, circondata dal profumo
dei fiori e
dall’aria più primaverile che autunnale.
A un certo
punto una figura si para di fronte a lei. È Terence Coleman.
Scott
Summers, da lontano, assiste alla scena: Jean e Terence si scambiano
poche
parole, prima che il ragazzo se ne vada, visibilmente avvilito.
A quel
punto, Scott inspira e prende coraggio; attraversa il parco a grandi
falcate e
si avvicina a Jean.
«Ciao,
Jean» la saluta, imbarazzato. La ragazza alza di nuovo lo
sguardo, sorpresa.
«Ciao»
mormora. «Allora ti sei svegliato anche tu»
«Beh, non
considerando che tecnicamente non mi sono mai addormentato e che il
coma è
durato circa due settimane, sì, mi sono svegliato.»
Jean
scuote la testa, sorridendo amaramente: «Nessuno ti ha detto
di entrare in
Cerebro.»
Scott non
osa controbattere; ha perfettamente ragione.
«Posso
sedermi?» chiede.
«Sì,
puoi»
annuisce Jean, senza guardarlo e continuando a leggere le sue pagine di
chimica.
«Sono
stato un completo idiota» ammette Scott, costernato.
«Ho agito d’impulso,
proprio come mio fratello, e ho fatto la figura
dell’idiota.»
«Vuoi
dirmi che è stato tuo fratello a dirti di entrare in
Cerebro?» chiede Jean,
scettica.
«Non
proprio» cerca di spiegarsi Scott. «Mi ha
consigliato di provare a fare
qualcosa di audace, per…» ma non continua il
discorso.
Jean lo
scruta negli occhi, arrossendo.
«Per
attirare l’attenzione degli altri ragazzi e farseli
amici» mente Scott,
tamburellando con le dita sul tavolo.
«Che cosa
stupida» sentenzia Jean. «Questo è
proprio il genere di cose che si potrebbero
fare per una donna».
«B-beh,
sì. Sarebbe comunque stupido!» sorride Scott,
ancora più imbarazzato di prima.
«O magari
qualcosa di veramente forte» lo corregge Jean.
«Tutti sanno regalare
cioccolatini, fiori e belle parole. Terence ne è
l’esempio lampante. Meno hanno
la creatività di entrare in una stanza psichica e rischiare
di morire per
attirare l’attenzione di una ragazza.»
Scott
rimane allibito e si chiede se per caso non gli abbia appena letto nel
pensiero.
«Dici che
è una cosa forte, quindi?»
«Dico che
è un gran modo di attirare l’attenzione»
ridacchia Jean, lanciandogli
scherzosamente una pallina di carta addosso. «Ma è
comunque la cosa più idiota
a cui abbia mai assistito!»
Entrambi
scoppiano a ridere.
Istituto Xavier, Cerebro
Charles Xavier è
completamente
solo, immerso nel silenzio.
Il professore
s’infila il casco
mentale e chiude gli occhi, tentando di abbracciare tutti coloro che
ama: vede
i giovani Scott e Jean conversare piacevolmente nel parco, i libri di
studio,
abbandonati in un angolo; vede Alex in camera sua, intento a far finta
di
sparare come un vero poliziotto; vede la sua amata Moira insegnare a
una classe
di bambini. Poi il casco fa effetto e amplia i suoi poteri.
Vi sono così
tanti mutanti al
mondo che Xavier perde il conto, rischiando di essere sopraffatto dal
potere di
Cerebro: vede un uomo dall’aspetto selvaggio e una ragazzina
di colore ma dagli
arruffati capelli bianchi intenti a scrutare l’orizzonte di
una pianura, di
fronte a una lapide.
Infine Xavier si ritrova
nella
stanza bianca.
Erik LenSherr lo guarda
insistentemente con il suo sguardo di ghiaccio. E Charlie ricambia lo
sguardo.
Cast
principale:
Logan Howlett
Jean
Grey
Scott
Summers
Alex
Summers
Ororo
Munroe/Tempesta
Charles
Xavier
Moira
Kinross
Erik
LenSherr/Magneto
(Hank McCoy e Elisabeth
Braddock
non compaiono nell’episodio)
Personaggi secondari:
Jorgen Muraz
Calibano
Terence Coleman
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