ReggaeFamily
You're
gonna make me delirious
Scars
On Broadway - Serious
♫ Daron
♫
“Acqua”
farfugliai con la gola completamente secca. Ero talmente stanco e
stravolto che mi reggevo in piedi a fatica. Era sempre così
dopo un concerto: finché stavo sul palco non mi rendevo conto
del mio limite, mi pareva di non averne, ma quando mi ritrovavo nel
backstage all'improvviso la stanchezza mi piombava tutta addosso.
Serj,
sereno e quasi per niente affaticato, mi porse una bottiglietta
d'acqua e ne recuperò una anche per sé.
Dopo
aver tracannato quasi mezzo litro d'acqua in un solo colpo, mi voltai
verso il cantante e biascicai, ancora in preda al fiatone: “Com'è
che tu non sembri un reduce di guerra?”
“Eh?
Perché ti mangi le parole?” ribatté lui,
lanciandomi un'occhiata perplessa.
“Perché
ho fame!” Sbuffai dal naso, spazientito, e mi accinsi a
recuperare l'altra maglietta che avevo appresso per potermi cambiare;
di passaggio presi un tiro dalla canna che Shavo, senza perdere
tempo, aveva già preparato e acceso.
Ero
contento di aver suonato a Los Angeles con i System Of A Down;
avevamo ripreso da poco a esibirci insieme dopo il periodo di pausa e
la maggior parte delle date fino ad allora era stata in Europa. Poi
un noto locale della nostra città, il Troubadour, ci
aveva chiamato per un live in onore del nostro nuovo tour. Eravamo
stati i big della serata; infatti una serie di band emergenti o già
affermate nella scena musicale losangelina aveva aperto il nostro
live.
In
realtà non sapevo chi fossero e che genere suonassero gli
altri gruppi, dato che avevo passato tutto il tempo rintanato nel
backstage o nei camerini e non avevo fatto caso alla loro musica.
“Pronto
per i fans?” mi domandò Shavo con aria esausta.
Anche
il bassista, dopo qualche minuto, mi aveva raggiunto con un cambio in
mano.
“I
tizi della security hanno detto che non faranno passare nessuno”
tagliai corto, asciugandomi il viso e i capelli fradici di sudore.
“E
tu ci credi?” Shavo aveva accennato una risata mentre
pronunciava quelle parole.
“No,
l'ho detto giusto per tirarci un po' su di morale. Io non ne ho
voglia...” mi lamentai.
Ero
grato ai miei sostenitori per tutto il calore che regalavano a me e i
miei amici, ma l'ultima cosa che desideravo appena sceso dal palco
era essere sommerso di abbracci, foto e strilli; mi veniva un
terribile mal di testa solo al pensiero di sentire il mio nome
riecheggiare, passare per le voci di tutte le persone che mi
avrebbero circondato, e dover dare attenzione a tutti. In genere
questo fatto non mi creava grandi problemi, ci avevo fatto
l'abitudine, ma il momento appena dopo un'esibizione per me era
sacro: tendevo a chiudermi in me stesso e a essere intrattabile.
Così,
mentre il mio amico si dirigeva nuovamente dagli altri, io decisi di
trattenermi ancora qualche minuto nel camerino, costruendomi una
canna e cercando di rilassarmi il più possibile.
Quando
mi decisi a tornare nella grande sala appena dietro il palco, notai
subito qualcosa di strano: Serj e John stavano intrattenendo una
conversazione con una ragazza dai capelli castano chiaro legati in
una crocchia.
Un'altra,
quasi identica a lei ma leggermente più bassa e più
formosa, girovagava per la stanza come una trottola, aggirando i
divanetti disseminati sul pavimento con un vassoio di polistirolo in
mano.
Eravamo
soli con loro.
“Daron,
sei completamente pazzo!” mi apostrofò subito passandomi
accanto, come se la nostra conversazione fosse cominciata già
da qualche minuto e lei stesse commentando qualcosa che avevo detto o
fatto.
Trovai
strano che una fan mi si fosse rivolta in quel modo, non mi aveva
neanche salutato e non sembrava granché turbata dalla mia
presenza. Ero confuso.
Mi
strinsi nelle spalle. “Lo prendo come un complimento”,
poi rivolsi un'occhiata a Shavo: “Ma non avevi detto che non
avrebbero fatto entrare nessuno?”
“Ehi,
ti faccio notare che io sono un membro di una delle band che ha
suonato prima di voi, ho tutto il diritto di stare qui! Volete
qualcosa da mangiare?” esclamò la ragazza, piazzandosi
di fronte a me e al mio amico con un sorriso appena accennato e il
vassoio proteso verso di noi; dopo una breve occhiata notai che
conteneva vari dolcetti e stuzzichini salati alquanto invitanti.
In
quello stesso istante il mio stomaco brontolò e fui
immensamente grato a quella strana ragazzina. Tuttavia in quel
momento non ero dell'umore giusto per dimostrarglielo.
Aggrottai
le sopracciglia, sempre più sbalordito. “Ah. Cosa stiamo
festeggiando?” mi informai, afferrando distrattamente qualcosa
e mandandola giù senza neanche assaporarla.
“Mmh...
boh, stiamo festeggiando un concerto, nulla in particolare. O il
Natale in anticipo, vedi tu!”
“Ti
dispiace se accetto? Potrei mangiare anche il vassoio” commentò
Shavo esaminando con attenzione gli spuntini, indeciso su quale
scegliere.
“Se
mi dispiacesse, non te li avrei neanche offerti!” lo rimbeccò
prontamente lei in tono ovvio con una scrollata di spalle.
Esuberante
la ragazza! Cominciava a starmi simpatica e allo stesso tempo la
trovavo troppo simile a me.
Cominciai
a scrutare la mia interlocutrice con più attenzione: indossava
un maglione bordeaux leggermente largo, un paio di semplici jeans e
delle scarpe da tennis bianche; i capelli ondulati le ricadevano
sulle spalle e le scendevano fino alla vita.
Afferrai
un altro stuzzichino e presi a osservare l'altra ragazza, quella che
parlava con gli altri due membri della band. Sicuramente le due erano
sorelle perché si assomigliavano tantissimo: l'unica
differenza stava nella sfumatura dei capelli, che nella mia
interlocutrice tendevano leggermente al rosso, e la statura.
“Buona
questa roba! Dove l'avete presa?” commentò Shavo,
contemplando l'ennesimo cupcake in miniatura che stava per azzannare.
“Li
abbiamo preparati io e mia sorella! Ti piacciono? Non immagini il
casino per ottenere quella forma: non siamo riuscite a trovare degli
stampini così piccoli e ci siamo dovute ingegnare, infatti
sono orribili! Ma chi se ne frega, l'importante è il sapore,
no?”
“Io
non ho sentito nemmeno quello” ammisi.
Gradualmente
mi stavo aprendo alla conversazione e stavo cercando di mettere da
parte la mia riservatezza. O forse era solo uno dei miei soliti
sbalzi d'umore, chissà.
Lei
scosse la testa e mi mollò una pacca sul braccio.
“Avvicinatevi, così offro da mangiare anche a loro!”
ci invitò poi, avviandosi dagli altri e facendo cenno di
seguirla.
Io
e Shavo ci lanciammo un'occhiata perplessa e obbedimmo. Quando fui
accanto a Serj, mi lasciai cadere sul divanetto alle mie spalle e
allargai gambe e braccia in modo da occuparlo tutto.
Era
una situazione surreale: le due sorelle interagivano con noi come se
ci conoscessero da anni e non avessero fatto altro che parlare con
noi fino ad allora, eppure le avevamo conosciute solo quella sera.
Presi
a osservare Shavo e quella tizia. Mi sorpresi della differenza
d'altezza tra i due; lei forse non superava il metro e
sessantacinque, il bassista la sovrastava di almeno venti centimetri.
Mi ritrovai a ridacchiare da solo senza motivo... probabilmente per
effetto dell'erba.
“Buonanotte
Daron!” esclamò lei notando la mia posizione, mentre
John la ringraziava per essere stata così gentile da averci
portato uno spuntino.
“Come
ti chiami?” le domandò Shavo.
“Johanna.
E lei è la mia gemella Ellie. Ve la presenterei, ma ora mi sa
che ha preso a parlare di cose di musica e pianoforte con Serj e chi
la ferma più?” spiegò, abbandonando il
contenitore di polistirolo ancora mezzo pieno in una poltroncina poco
distante e occupando lo spazio ridotto rimasto accanto a me.
Notai
infatti che Ellie era completamente assorbita dalla conversazione e
le brillavano gli occhi, mentre Serj gesticolava e sproloquiava con
passione come al solito e John ascoltava con interesse, intervenendo
ogni tanto.
“E
avete suonato prima di noi... quindi siete un duo?” indagò
ancora Shavo. Il mio amico aveva la curiosità di un bambino e
tra tutti era quello che sapeva maggiormente come prendere i fans e
le persone che incontravamo in giro.
“In
realtà no, abbiamo altri due pazzi invasati come noi alla
chitarra e al basso, ma non sono voluti venire qui perché non
hanno le palle di rivendicare il diritto al backstage. Io suono la
batteria ed Ellie è la cantante; suona anche le tastiere e il
pianoforte, ma non nel gruppo.”
Johanna
parlava in tono allegro ed entusiasta e spolverava ogni frase con una
punta di ironia. La inquadrai come una dal carattere forte; sembrava
avere sempre la battuta pronta, glielo si leggeva negli occhi. Mi
colpì molto il fatto che fosse struccata, come se anche in
quel modo volesse mostrarsi per quello che era, senza veli, in
maniera diretta e schietta.
“Ciao
ragazzi, scusate se non vi ho salutato! Piacere, Ellie”
intervenne a quel punto l'altra, tendendo la mano prima a me e poi a
Shavo. Mi accorsi subito che lei, rispetto a sua sorella, aveva un
atteggiamento più dolce e contenuto, nonostante l'allegria e
l'energia che sprigionava.
“Ciao
cantante” la salutai con un sorriso. “John, qui c'è
materiale per te!” attirai poi l'attenzione del batterista,
accennando con il mento a Johanna.
“Il
cibo o la ragazza?” scherzò lui.
“Guarda
com'è serio quando fa le battute” commentò
Johanna, scambiando un'occhiata divertita con sua sorella.
“Because
you're too serious, you're gonna make me delirious”
canticchiai, allungando un piede per dare dei piccoli calcetti al
batterista.
Mi
ero preso quell'abitudine quando avevo composto Serious per il
cd con gli Scars On Broadway: quando qualcuno risultava troppo serio
per i miei gusti, lo apostrofavo con il ritornello di quella canzone.
John
mi ignorava deliberatamente, così gli tirai un calcio più
forte senza smettere di sghignazzare e dissi: “Parlavo della
ragazza che è una batterista come te!”
La
diretta interessata scoppiò a ridere di gusto. “Grazie
chitarrista, quel come te mi ha davvero onorato, ma non credo
proprio di essere all'altezza!”
Io
intanto ero entrato in una di quelle fasi in cui dovevo e volevo per
forza risultare irritante e disturbare qualcuno. La presenza di
quelle due tizie mi aveva irrimediabilmente portato sulla via del
vaneggio, non era colpa mia!
♫ Johanna
♫
Non
avrei mai creduto che i System fossero così simpatici e
disponibili; me li ero sempre immaginati un po' snob, forse perché
erano tanto famosi. O forse bisognava solo saperli prendere e
trattarli come delle semplici persone.
E
così, appollaiata su un divanetto accanto a Daron, avevo preso
a chiacchierare con John di ritmi e tecniche della batteria. Io lo
ammiravo tantissimo e di sicuro era incluso nella lista dei miei
batteristi preferiti, ma cercai di non far emergere troppo questa
cosa per non metterlo in soggezione.
“Ho
studiato anche percussione araba su vari strumenti: infatti
l'apertura del nostro live è un mio assolo con la darbuka”
stavo raccontando con passione, come mi capitava sempre quando la
finivo a parlare degli strumenti che suonavo.
Intanto
Daron stava blaterando e importunando Serj. Non sapevo quale strana
forza divina mi trattenesse dal rivoltarmi e buttarlo giù dal
divanetto.
“Davvero?
Anche io sono influenzato dai ritmi arabi, sai? Solo che io li suono
sulla batteria!” esclamò John entusiasta.
“Aspetta
un attimo.” Mi sollevai e corsi in un angolo, presi la mia
darbuka e feci appena in tempo a voltarmi per assistere a una scena
epica.
“Quei
due idioti che suonano con noi ci hanno chiesto di lasciare loro
qualcosa da mangiare, ma non se lo meritano, quindi aiutateci a
finire questa roba!” stava dicendo Ellie a Shavo.
Il
bassista si voltò verso Daron e gli chiese: “Ecco! Non è
che potresti allungare la tua manina per prendermi uno di quei
crostini con il pomodoro?”
“Ma
certo capo!” esclamò il chitarrista: afferrò ciò
che il suo amico gli aveva chiesto, poi gridò: “Odadjian,
al volo!” e glielo lanciò addosso.
Shavo
non fece in tempo ad accorgersi di ciò che stava capitando che
si ritrovò i tocchetti di pomodoro in faccia e il crostino ai
piedi.
Non
potei fare a meno di scoppiare a ridere, seguita da Daron e John.
“Daron
Vartan Malakian, considerati un uomo fottuto!” lo minacciò
il povero malcapitato, per poi avventarsi verso il chitarrista
pestifero. Ma Daron con uno scatto fu in piedi e riuscì a
sfuggire all'assalto; si appese poi a John e lo supplicò:
“Amico mio, ti prego: tu che sembri un armadio con i piedi,
proteggimi!”
John,
ancora in preda alle risate, se lo scrollò di dosso e ne
approfittò per occupare il divanetto.
“Brutto
stronzo, quello è il mio divano!” si lagnò allora
Daron, esibendosi in una serie di smorfie che fecero scoppiare a
ridere me e mia sorella.
“No,
è del locale, a meno che non decidano di vendertelo. E poi chi
alza il culo perde il posto!” replicò prontamente il
batterista.
Io
e Serj ci scambiammo un'occhiata esasperata e io mi avvicinai a lui.
“Ma cos'è che ti ha spinto a tornare con questi qui dopo
tutti quegli anni di pace?”
“Non
lo so, forse l'istinto paterno! Su bambini, tutti seduti composti con
le braccia conserte!” esclamò il cantante, battendo le
mani per attirare l'attenzione degli altri.
“Cos'è?”
mi domandò Daron curioso, indicando la custodia in similpelle
che stringevo tra le braccia.
“Una
darbuka!” Mi tuffai nel divano accanto a John e portai fuori il
mio strumento con cura. Daron occupò il bracciolo del divano
accanto a me mentre Ellie quello dalla parte del batterista.
Shavo
nel frattempo si puliva il viso con un fazzoletto.
“Cosa
suono?” chiesi, guardandomi attorno.
Il
fatto di essere al centro dell'attenzione e avere i membri dei System
Of A Down come pubblico mi metteva addosso un'agitazione mai provata
prima, ma cercai in tutti i modi di non darlo a vedere. Solo Ellie in
quel momento capiva come mi sentivo: io e lei condividevamo la
passione per la musica di quei quattro ragazzi e per noi quello era
un momento importantissimo.
“Perché
non suoni l'assolo di introduzione dei vostri concerti?” mi
suggerì John con un sorriso incoraggiante.
Avevo
uno strumento a percussione in mano e stavo per suonare di fronte a
John Dolmayan. Non ci dovevo pensare: puntai lo sguardo su mia
sorella.
Le
mie dita presero a muoversi sullo strumento senza che me rendessi
conto: avevano ormai imparato quel codice segreto che solo io e la
mia darbuka conoscevamo e lo rispettavano senza che io lo decidessi.
E
fu magia.
♪ ♪ ♪
Ciao
a tutti!!! ^^
Visto
che ultimamente bazzico spesso in questa categoria e l'ispirazione ha
deciso di bussare alla mia porta, eccomi a pubblicare il primo
capitolo della mia long sui System Of A Down! Sono davvero
contentissima di poter dare una mano per ripopolare questa sezione
che tanto amo! *-*
Allora,
che ne pensate di quest'inizio? Vi piacciono Johanna ed Ellie? ;)
Sono
qui anche per spiegare un paio di cose: la storia è
ambientata, almeno per il momento, a fine 2010; non so di preciso
quando i System abbiano ricominciato a suonare dopo la pausa, ma mi
pare di ricordare fosse in questo periodo.
Tutti
i riferimenti ai loro futuri concerti e spostamenti saranno
inventati, in quanto ho deciso di non seguire il loro vero tour per
questioni legate alla trama :)
Il
Troubadour esiste davvero, è un locale in cui si sono esibiti
molti artisti rock. Non so bene come sia e mi sono divertita a
immaginarmelo!
Poi...
la darbuka è uno strumento a percussione diffuso soprattutto
in Nord Africa e Medio Oriente; è un tamburo che si tiene
orizzontalmente sulla coscia sinistra e si suona con entrambe le mani
in modi diversi (per i mancini ovviamente è al contrario :D).
Non voglio annoiarvi con lunghe descrizioni, vi consiglio di cercare
qualche foto su Google per farvi un'idea più chiara :P
Ultima
cosa: per il momento penso che posterò un capitolo un
mercoledì sì e uno no, anche se non vi prometto di
essere regolarissima in questo primo periodo, ma spero di riuscire a
conciliare tutti gli aggiornamenti delle mie numerosissime storie!!!
Penso
di aver detto tutto!
Ringrazio
chiunque sia giunto fin qui, chi lascerà una recensione e chi
deciderà di seguire questo mio esperimento di fanfiction! :3
Soul
♥
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