Titolo:
La sirena
Personaggi: Tikki, Plagg, Altri
Genere: mistero, sovrannaturale,
romantico
Rating: G
Avvertimenti: Alternative
Universe, longfic, Original Characters
Wordcount: 2.300 (Fidipù)
Note: Ed eccoci qua con un
nuovo capitolo de La sirena (storia per la quale mi sto maledicendo,
perché non è per niente facile muovere un personaggio che non può
parlare) e, per rispondere a chi nei commenti mi aveva chiesto se ci
sarebbero stati anche Marinette e Adrien...beh sì, ci saranno. Non
avranno un ruolo primario, ma ci saranno.
Ma vi lascio subito al capitolo e, come sempre, vi ringrazio tantissimo
perché leggete le mie storie, le commentate (leggo sempre ogni commento
che mi lasciate, anche se sono una pessima autrice e non rispondo mai.
Sono pessima, lo so), le inserite nelle vostre liste e me fra gli autori
preferiti.
Grazie tantissimo e di tutto cuore!
Tikki strinse le labbra, osservando
l’occupante del suo letto mentre la sua mente lavorava alacremente: in
verità era tutta la notte che rimuginava dato che il signorino, dopo aver
detto tutto quello che gli pareva, si era tranquillamente buttato sul suo
letto e si era addormentato.
Senza curarsi di ciò che avrebbe fatto lei.
Era una fortuna che, per una sirena, fosse superfluo dormire.
Tornò di nuovo a prestare attenzione all’ospite non voluto, avvicinandosi
e studiandolo in volto: aveva dei lineamenti molto decisi e la pelle era
bruciata dal sole, significando che passava molto tempo all’aperto. Ma
dove? Nel periodo in cui era rimasta lì, l’aveva visto solamente al bar
del paese.
Inclinò il capo, decidendo sul da farsi e lanciando un’occhiata sfuggevole
alla sua borsa, abbandonata vicino alla porta: era ancora intenzionata ad
andarsene da quel posto e poco le interessava cosa avrebbero pensato di
lei gli abitanti o se il suo ospite indesiderato non guadagnasse nulla.
Non era un problema suo.
Osservò per un’ultima volta il ragazzo e poi, silenziosamente, scivolò
nella camera fino a raggiungere la borsa, si chinò e strinse la presa
sulla cinghia, voltandosi e controllando se il suo guardiano stesse ancora
dormendo; con il sorriso sulle labbra, si issò in piedi e si sistemò la
tracolla sulla spalla, allungando poi una mano verso la maniglia della
porta.
Ancora poco e sarebbe potuta andare via da quel posto.
Ancora…
«Dove stai andando, sirenetta?»
La voce del ragazzo la fermò, Tikki si voltò osservandolo mentre,
comodamente poggiato sui gomiti, la fissava dal letto, con lo sguardo
verde che non era per niente assonato, come quello di una persona che si
era svegliata dal momento: le sorrise, passandosi una mano fra i capelli
scuri, spettinandoli più di quel che erano e osservandola divertito,
quando un’espressione di puro disappunto le apparì in volto.
Plagg era sveglio già da un po’, per quanto la sirenetta fosse silenziosa
a livello di voce, non lo era altrettanto quando si muoveva e lui era
rimasto in ascolto, mentre lei si aggirava per la stanza: aveva trattenuto
il fiato, quando l’aveva sentita avvicinarsi, per poi rilasciarlo quando
si era allontanata.
Aveva socchiuso le palpebre, osservando la figura della ragazza
avvicinarsi alla porta e, solo allora, aveva deciso di intervenire onde
evitare che la sua fonte di guadagno se ne andasse: «Anche oggi sei di
poche parole, noto.» dichiarò, stirando i muscoli delle braccia e
sorridendo all’espressione di puro odio che la ragazza aveva in quel
preciso momento: ah, se uno sguardo poteva uccidere…
Si alzò in piedi, sistemandosi la maglia e osservandola di sbieco: «Non
penso che tu mi abbia detto come ti chiami, vero? Per caso è Ariel, il tuo
nome?» le domandò, osservando lo sguardo blu – lo stesso colore del mare –
fissarsi inespressivo su di lui, poi la ragazza incrociò le braccia,
voltandosi di lato e non degnandolo di una risposta.
«Guarda, non ho nessun problema a chiamarti Ariel, sirenetta. Oppure
Rossa, eh? Che ne dici?»
La ragazza alzò gli occhi al cielo, tenendo sempre le labbra sigillate e
sciogliendo le braccia intrecciate, si avvicinò al tavolino ove la sera
precedente aveva abbandonato il bloc notes e, chinandosi, scrisse
velocemente una parola, mostrandogli poi il foglio: «Tikki…» lesse Plagg,
facendo scivolare lo sguardo dalla parola, vergata velocemente, al volto
della ragazza: «E’ il tuo nome?»
La rossa annuì e Plagg la imitò, rileggendo il nome e poi sorridendole:
«Tikki. Perfetto. Io mi chiamo Plagg.» si presentò, posandosi il palmo
aperto sul petto e osservandola mentre piegava le labbra in un sorriso,
mentre una nota ilare le illuminava lo sguardo: «Trovi buffo il mio nome,
rossa?»
Tikki scosse il capo, chinandosi e, dopo aver girato il foglio, scrisse
velocemente qualcosa: «Mi chiamo Tikki, non rossa. E sì, il tuo nome è
buffo.» lesse Plagg, quando lei gli mostrò la pagina, imbronciandosi: «Non
è buffo, è un nome…beh, particolare.» La ragazza lo fissò per un secondo,
scuotendo la testa e andando verso la sua borsa: «Ehi, ti ho detto…»
iniziò Plagg, zittendosi quando lei alzò l’indice destro verso di lui,
come a intimarlo di stare in silenzio.
Il ragazzo sbuffò, osservandola mentre recuperava una felpa e la
indossava, facendo notare solo in quel momento che lei era stata con una
canotta per tutta il tempo in cui avevano parlato, aveva anche pensato di
uscire in quel modo e fuori, per quanto non fosse ancora freddo, non c’era
certo la temperatura ideale per andarsene in giro con le braccia
completamente nude: «Ma non hai freddo?» le domandò, incrociando le
braccia e osservandola, mentre indossava il capo di vestiario: «Ok, il
fatto che tu abbia messo una felpa dovrebbe essere una risposta
affermativa, giusto?»
La ragazza sorrise, annuendo con la testa e poi legandosi i lunghi capelli
rossi in una coda di cavallo e pettinandola poi con le dita, lasciandola
adagiata sulla spalla sinistra: «Sai, penso che abbiano inventato una cosa
chiamata pettine. Dovresti provarlo, fa miracoli contro i nodi…» Tikki
l’osservò, alzando poi le spalle e recuperando il bloc notes: «Posso
uscire?» lesse Plagg, quando lei gli mostrò la pagina: «Ovviamente, finché
non lasci il paese, puoi fare quello che vuoi. Ed io sarò la tua fedele
ombra.»
Vorrei andare in un posto. Da sola.
«Sarò la tua fedele ombra.» ripeté Plagg, sorridendo di fronte
all’espressione furente che aveva assunto nuovamente Tikki: «Anzi, sai che
ti dico: andiamo a fare colazione, offro io.»
La ragazza l’osservò, rimanendo ferma al suo posto mentre lui si
avvicinava alla porta e l’apriva: Plagg si voltò, sostenendo lo sguardo
dell’altra e, dopo una buona manciata di minuti di quella guerra, sospirò:
«Senti, non è che ti chiedo di rimanere qui in eterno. Una settimana,
niente di più. Il dottor Fu vuole solo che le acque si calmino e che Marie
accetti che la morte del padre sia stato solo un incidente: è un villaggio
piccolo questo e sono molto – diciamo – suscettibili per quanto riguarda
gente estranea e cose nuove, soprattutto se combinate con la morte di uno
del posto. Solo una settimana e poi potrai andartene dove più ti piace e
dire addio a questo posto, mentre io intasco un po’ di soldi.»
Solo una settimana?, scrisse
Tikki mostrando poi il foglio e fissandolo, in attesa di una risposta.
«Solo una settimana. Te lo prometto.» dichiarò Plagg, facendole cenno di
uscire: «E ora andiamo, perché sto veramente morendo di fame.»
Tikki annuì, infilandosi il bloc notes e la penna nella tasca della felpa
e, dopo aver recuperato la chiave della camera, lo seguì nel corridoio,
chiudendosi la porta dietro di sé: solo altri sette giorni in quel luogo,
quindi, e poi sarebbe stata libera di andarsene.
E se il Mare, in quel breve lasso di tempo, le avesse richiesto un’altra
vita?
Gli aveva dato Gustav, il giorno prima, quindi non sarebbe successo
niente: di solito ci voleva un po’, prima che il Mare chiedesse un altro
essere umano e sette giorni erano veramente un periodo molto breve.
Non sarebbe successo niente.
Seguì Plagg fuori dall’albergo e lungo la strada principale del paese,
cercando di pensare: sette giorni in cui sarebbe stata con quel tipo e ciò
significava che non avrebbe potuto toccare l’acqua, altrimenti avrebbe
scoperto la sua vera natura; sarebbe dovuta anche stare attenta a non
emettere il più piccolo suono o Plagg sarebbe stato il prossimo pasto del
Padre.
A cosa altro doveva stare attenta poi?
Che non la toccasse e sentisse quanto fredda era, rispetto a lui.
Nessuna ferita, altrimenti si sarebbe accorto delle sue capacità
rigenerative.
E poi?
Ah, giusto. Niente lacrime, dato che si tramutavano in perle.
Poi? Poi cos’altro? Ah, ma perché non la lasciava stare in pace? E perché
il dottore del luogo gli aveva imposto una guardia del corpo?
Socchiuse gli occhi, cercando di reprimere la voglia di piangere e urlare
che aveva addosso; infilò invece le mani nella tasca della felpa, toccando
il bloc notes che si era portata dietro e sorridendo: certo, doveva stare
attenta a tante cose ma era bello avere di nuovo un contatto abbastanza
lungo con un’altra persona.
Era bello poter parlare – per quanto quello che aveva poteva essere
definito conversazione – con qualcun altro.
«Ehi, bella addormentata. Dove stai andando?»
Tikki si fermò, osservandosi attorno e notando che Plagg si era fermato
parecchi metri prima di lei e la stava fissando, la mano destra ferma
sulla maniglia della porta del negozio: «Ammettilo, eri già persa in
chissà quale sogno ad occhi aperti, dove m’immaginavi padre dei tuoi figli
e…» il bloc notes contro la faccia lo interruppe dal continuare la frase e
Plagg si portò le mani al volto, osservandolo irato: «Ma che problema
hai?»
Tu, scrisse velocemente Tikki,
mostrandogli il foglio e poi superandolo ed entrando nella panetteria del
paese, regalando un timido sorriso all’uomo corpulento al di là del
bancone: «Plagg l’ha fatta arrabbiare?» le domandò una voce giovane e
femminile: la rossa si voltò, incontrando un ragazzina dai capelli scuri e
gli occhi azzurri che fissavano ilare il giovane uomo fuori dalla porta.
«Di sicuro è la prima che non gli cade ai piedi.» sentenziò l’uomo nel
negozio, mentre si lisciava i baffi: «Gli serve qualcuna che lo rimetta al
proprio posto. A proposito, io sono Tom Dupain.»
«Ed io mi chiamo Marinette.»
«E sei anche in ritardo per la scuola.»
Tikki sorrise, recuperando la pagina in cui aveva scritto il proprio nome
e mostrandola ai due, abbozzando un sorriso agli sguardi che dalla parola
scritta si spostavano al suo volto: «Piacere di conosceeee…» Marinette
scivolò sul pavimento, nel tentativo di avvicinarsi e Tikki si lanciò in
avanti, afferrandola per un braccio e impedendole così di rovinare a
terra: «Grazie mille!» esclamò la ragazzina, regalandole un sorriso
luminoso e abbassando poi lo sguardo sulla mano che la teneva per il
polso: «Uao, sei veramente fredda.»
La rossa ritrasse di scatto, portandosela al petto e chinando lo sguardo:
«Io vado a scuola.» dichiarò Marinette, sorridendole: «Spero di rivederti
presto, Tikki. E parlare un po’ con te…cioè io parlo e tu…beh, hai
capito.»
«Vai a scuola, signorina.» esclamò Plagg, entrando nella panetteria: «E mi
raccomando: anche oggi balbetta davanti ad Adrien Agreste!»
«Co-co-co-cosa? I-io n-non…»
«Uh, oggi cominci prima del previsto! E non l’hai ancora visto!»
«Plagg, sei uno stupido!» sentenziò la ragazzina, uscendo dal negozio e
quasi scivolando appena fu fuori, suscitando l’ilarità del moro e un
sospiro da parte del padre.
«Quella ragazza...» sospirò Tom, scuotendo il capo e portando tutta
l’attenzione su Plagg: «Il solito?»
«Sì, grazie.» sentenziò il moro, poggiandosi al bancone e osservando Tom
incartargli i due cornetti che erano stati messi da parte: «Ancora nessuno
li vuole?»
«Sei l’unico che mi chiede cornetti salati al camambert, Plagg.»
«Non sanno quel che si perdono questi miscredenti. Come sta Sabine?»
«E’ di sopra. Ah, ti ha già parlato del problemino che abbiamo con la luce
del bagno?»
«Non funziona di nuovo?»
«Va a intermittenza.»
Plagg annuì, voltandosi verso Tikki e sospirando: «La controllerei anche
ora, ma il dottor Fu mi ha dato un lavoro da babysitter.» spiegò,
indicando la rossa: «Posso venire…» Tikki si avvicinò, picchiettandogli un
dito sulla spalla e mostrandogli un foglietto: «Davvero? Non ti da
problemi aspettare?»
La ragazza scosse il capo, fissandolo seria: che problemi poteva avere ad
aspettare che aggiustasse la luce del bagno di quella famiglia? Nessuno,
non aveva niente da fare in quel posto, quindi poteva tranquillamente
rimanere in attesa e permettere a Plagg di aiutarli.
Il moro sorrise, recuperando il sacchetto con i due cornetti e indicando
la porta dietro il bancone: «Di sopra, allora.» sentenziò, osservandola
entrare dall’altra parte e osservare le scale che portavano al piano di
sopra.
«E’ la ragazza che Marie ha accusato per la morte del padre?» domandò Tom,
non appena Tikki fu uscita dalla stanza: «Povera ragazza, si vede lontano
un miglio che non farebbe del male a una mosca.»
«Fu ha paura che le possano fare qualcosa, quindi mi ha chiesto di tenerla
sotto controllo fino a che Marie non si calmi un po’.»
«Mh. L’ho vista stamattina, quando ho portato le brioches al signor Kubdel
in negozio e continuava a dire che è colpa della straniera.»
«Quella donna…»
«Non è del posto e sai cosa pensa la maggior parte della gente…» Tom
sospirò, scuotendo il capo: «Poverina, non parla nemmeno. Chissà cosa le è
successo per farla giungere fin qua.»
«Chissà…» sentenziò Plagg, sospirando e scuotendo il capo, prendendo la
stessa porta dalla quale era uscita Tikki: si fermò, osservandola in
attesa vicino alle scale che portavano al piano superiore e rimase a
fissare gli occhi blu mare che lo guardavano seri: «Che c’è?» le
domandò, superandola e salendo i primi gradini: «Sono così bello che non
riesci a togliermi gli occhi di dosso, rossa?»
Plagg sorrise, osservandola mentre tirava fuori il foglio dove aveva
scritto il proprio nome e glielo mostrava: «Rossa mi piace di più.»
dichiarò, vedendola gonfiare le guance indispettita: «Ah, prima che mi
dimentichi. Non farti incastrare da Sabine, la moglie di Tom…» sentenziò,
mentre lei chinava il capo e un’espressione confusa le appariva in volto:
«Vorrà cercare di farti mangiare e…beh, per quanto tu abbia degli
argomenti decisamente interessanti, sei un po’ troppo magra…»
Tikki abbassò lo sguardo, sentendo il volto avvampare quando notò cosa il
giovane stava guardando e, recuperato il bloc notes, lo uso per colpire in
faccia al moro: «Ma la pianti di sbattermelo in faccia?»
Avrebbe cantato.
Oh, lo avrebbe fatto.
«Andiamo, rossa. Non ho tutta la giornata.» sbottò Plagg, massaggiandosi
il volto e sorridendo, mentre saliva le scale: «Ah, non guardarmi il
sedere.»
Sì, lo avrebbe portato in barca, al largo, e poi avrebbe cantato.
«Ehi, ti ho detto di non guardarmi il sedere.»
Oh, avrebbe cantato.
Sette giorni in compagnia di quel tipo significavano un pranzo extra per
suo Padre a breve termine.
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