Le cronache di Aveiron: Vittime e complici

di Emmastory
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Capitolo III

Spaccati di vita

Il pomeriggio ci aveva colto tutti di sorpresa, e con l’inverno appena iniziato, il freddo continuava a esistere. Della neve neanche la candida ombra, ma nonostante questo, un’aria così gelida da impedire al caldo sangue di scorrerti nelle vene. Volendo unicamente evitare di congelare, mi sono da poco seduta accanto al caminetto acceso, e con un libro in mano, leggo ascoltando il crepitio delle fiamme. La storia che leggo parla di Aveiron e delle bellezze che può riservare a degli eventuali visitatori, ma alzando gli occhi, mi rendo conto di quanto questo libro sia vecchio e ormai datato. Mia madre me l’aveva passato quando avevo quindici anni, così che leggendolo imparassi ad apprezzare la città e il regno per ciò che erano, ed io l’avevo fatto imparando ad amarli entrambi, ma ora, per la nera sfortuna di tutti, le cose sono cambiate. Le orribili bestie che chiamiamo Ladri ora dormono, e ne siamo felici, ma dal mio canto, sono certa che torneranno. Nessuno sa quando, ma torneranno. Ad ogni modo, voglio godermi ogni attimo di tranquillità che ora la vita mi concede, e rimettendo quel libro al suo posto in un ligneo scaffale, sposto lo sguardo su mio figlio Aaron. A soli dieci anni, gioca con alcune macchinine regalategli dallo zio, e Chance, non più giovane ma sempre arzillo, lo guarda attento. Muto come un pesce, segue ogni suo movimento con gli occhi e la testa, e volendo giocare, il bambino gli mostra la sua palla. Seppur consumata, rappresenta ancora il passatempo preferito del cane, che ogni tanto la tira fuori dalla cesta dei suoi giochi per mordicchiarla tenendola ben ferma fra le zampe. “Andiamo Chance? Andiamo a giocare?” lo incita mio figlio, ingenuo e desideroso di trascorrere del tempo con il suo migliore amico. A quelle parole, gli occhi del cane si illuminarono, e agitando la coda, questo si sedette davanti alla porta chiusa, uggiolando per l’impazienza. “Va bene, allora andiamo.” Continuò Aaron, battendo l’animale in una corsa fino al giardino. Una volta arrivato, mio figlio aspettò con pazienza il cane, che muovendosi lentamente per via dell’età, lo raggiunse camminando e non correndo come era solito fare. Ferma sulla soglia di casa, li controllavo entrambi, così da poter intervenire qualora fosse successo qualcosa. I minuti passarono veloci, e improvvisamente, vidi Terra avvicinarsi e salutare il fratellino. Felice di vederlo, lei l’abbracciò, notando una vena di tristezza nell’espressione che aveva dipinta in volto. “Chance non vuole la sua palla.” Si lamentò, fissando lo sguardo sul terreno ora privo d’erba. “Hai provato a lanciargliela? Gli chiese la sorella, attendendo in silenzio una sua risposta. “Sì, ma non vuole.” Rispose il bambino, in tono mesto. “Sicuro? Guarda qui.” Continuò Terra, prendendo quel giocattolo in mano e mostrandolo al cane, che in quell’istante, parve rianimarsi. Di lì a poco, Terra gli lanciò la palla, e correndo, Chance la riportò subito indietro. “Hai visto? Basta saper lanciare.” Disse lei all’indirizzo del fratello, che felice come mai prima, sorrideva. “Terra, grazie. Sei grande!” le disse infatti, abbracciandola ancora. “Anche tu sei grande, sappilo, campione.” Fu la risposta della sorella, che sciogliendo quell’abbraccio, si avvicinò a me. Guardandola, non feci che sorriderle, e rientrando in casa, dovetti ammettere di essere come sempre davvero orgogliosa di lei. Sin dal giorno della nascita di Rose, aveva imparato a ricoprire perfettamente il ruolo di sorella maggiore, e ora che la sorella era cresciuta, riversava le sue conoscenze sul fratellino. Fra di loro c’era una differenza di ben sei anni, ma a me non importava. Quel che contava era che si volessero bene, così da permettermi di assistere, nei momenti di calma, a quelli che definivo spaccati di vita.




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