Pezzi di ricordi

di simocarre83
(/viewuser.php?uid=459073)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


IL COMPITO DIMENTICATO

Si sa… il giorno più difficile dell’anno, spesso incomincia nel modo più normale: con una bellissima giornata. Simone si era alzato, tranquillo e felice. Medie riposte in cassaforte, maturità sempre più vicina, tesina e progetto di impianti già finiti e, almeno per il progetto, perfettamente funzionante.
Mentre si incamminava verso la scuola, posta a quei quindici minuti a piedi, iniziava già a sudare, in quel giorno di fine maggio. Con Alessandro si era messo d’accordo che si sarebbero visti agli spazi per bere il caffè insieme prima di entrare.
Alle otto meno cinque, come Pierino, prima di incontrare il lupo, saltellando beato, entrò in quel grande atrio, che collegava gli ingressi delle tre scuole dell’istituto omnicomprensivo dove aveva passato quasi completamente quegli ultimi 5 anni.
A parte le cuffie antirumore, obbligatorie in quel marasma di più di mille studenti, la mascherina per chi, come Simone, era allergico a cannabis e derivati, ed una mazza chiodata nel momento in cui qualche bullo si fosse avvicinato troppo (almeno negli anni precedenti), Simone aveva lo zaino quasi vuoto: penna, diario, quaderno multidisciplinare, libro di matematica perché non aveva fatto i compiti e li avrebbe recuperati all’intervallo tra la seconda e la terza ora, tanto erano equazioni differenziali semplici e non ci voleva molto per farle.
Vide Alessandro in fondo, vicino alla porta del bar che lo aspettava. Guardandolo. Osservandolo, da lontano, come se avesse un problema. Si! Alessandro aveva un problema!
“Vabbè!” pensò “nulla che non si possa risolvere fermandoci un pomeriggio a scuola a studiare insieme, disse!” e, allegramente, si avvicinò al suo compagno.
“Ciao Ale!” disse.
“Ti odio!” rispose costui.
“P-Perché?” chiese Simone, stavolta curioso di sapere come sarebbe andata a finire. Si rese conto che Alessandro lo stava prendendo in giro, quindi, mentre si avvicinavano al bar, Simone volle stare al gioco.
“Come fai ad essere così tranquillo!?” chiese.
“Come ‘tranquillo’… perché ?”
“Come “perché”?” aggiunse “con quello che c’è oggi tu sei così tranquillo e beato!”
In quel momento, chiunque avesse visto Simone, a parte Alessandro, l’avrebbe scambiato per il buon caro vecchio “Neo” di “Matrix”, quando si faceva installare nel cervello le istruzioni per l’utilizzo delle armi. Dico “a parte Alessandro” perché lui lo conosceva e sapeva che faceva così quando ripassava mentalmente qualcosa.
Avete presente quei talent-show, in cui un ragazzo assiste impaziente al giudizio (“Continui” di colore verde o “Eliminato” di colore rosso, che risaltano su un maxischermo installato nello studio televisivo) per sapere se può continuare a rimanere nella scuola o se deve andarsene? Ecco, Simone in quel momento si sentiva come se fosse lo studente ballerino (anche se lui in calzamaglia stava malissimo) nella scuola e stesse per liberarsi nella sua mente l’assoluzione o la condanna.
Lo schermo diventò rosso e la condanna fu una sola: TDP.
Ora, per quella mia decina di lettori che non lo sapessero, TDP è un acronimo che sta per “Tecnologia, Disegno e Progettazione elettrica”, una delle materie del triennio di specializzazione di Elettrotecnica nell’Istituto Tecnico Industriale, La scuola che faceva Simone.
Nel frattempo, all’allegra compagnia si erano aggiunti anche “Carlo”, “Giangi”, “Marte” e “Labarbara”, suoi altri compagni di classe.
E fu proprio in quel momento che Simone realizzò. O meglio, in quel momento, un Alessandro più che preoccupato di vedere Simone in quella condizione, svelò il mistero, coinvolgendo, contemporaneamente, anche gli altri compagni appena arrivati.
“C’è il compito in classe di TDP, sui trasformatori! Ti ricordi che l’ha detto settimana scorsa!?”
Simone sbiancò.
In quel momento sembrò quasi che tutto l’istituto si stesse fermando. Passarono venti secondi durante i quali, qualcuno avrebbe potuto giurare di vedere rotoli di paglia volteggiare nella corrente creata dalle porte aperte ai due lati dell’atrio in cui si trovavano quei ragazzi.
Accadde tutto in pochi, altri, secondi: Simone ricominciò a muovere gli occhi (che fu decisamente un passo avanti rispetto a poco prima, quando sembrava colpito da una paralisi totale), la gente a parlare, i ragazzini di prima a rincorrersi, le canne a passarsi… insomma, il mondo a funzionare.
“M-ma… n-no-non lo s-sapevo i-i-i-io…” disse, pensando, oltretutto, a quanto assomigliasse a Michele in quel momento.
“Come?! L’ha detto settimana scorsa! Abbiamo tutta la teoria e gli esercizi sui trasformatori!” infierì Ferro.
“Ma io non sono pronto!” continuò Simone.
“Eh! Ma il Prof si!!”.
“NUOOOOOOOOOOO!!!!!!!” urlò Simone.
In quel momento quell’impercettibile susseguirsi di ragionamenti logici che nella sua testa l’aveva già aiutato, anche in situazioni parecchio più difficili, obiettivamente, fece il suo dovere.
Ora, c’è da dire che Simone non era proprio uno scapestrato a scuola: andava bene, molto bene, ma soprattutto era serio, forse anche troppo. Il ragionamento, però, non tardò a prendere una strada; una strada imprevista per lui; una strada imprevista soprattutto per lui.
La faccia di tutti gli altri avreste dovuto vederla: semplice stupore, quando videro Simone girare i tacchi e prendere quella strada che, inevitabilmente, portava verso l’uscita.
“Ma cosa…!” fu l’unica affermazione che Alessandro fu in grado di dire. Poi venne bloccato da Simone, che si fermò, girandosi, contemporaneamente, dalla loro parte.
“ ’Scoltate! Voi fate quello che volete! Io me la zompo! Non so neanche cos’è un trasformatore, è l’ultimo compito in classe dell’anno, ho la media dell’otto, non ci penso proprio a rovinarmela! Io vi saluto!” disse un Simone che intanto si era nuovamente girato e aveva ricominciato a correre verso l’uscita. Camminando a testa alta dritto davanti a sé. Fece solo un cenno a due gemelli, più piccoli di lui di due anni, che lo guardavano interdetti: si chiamavano Vito e Nicola, ma questa è un’altra storia.
Come è ovvio, partito lui, tra i suoi compagni si diffuse il panico.
Simone tornò a casa. rispose per ben due volte alle domande sul suo ritorno affrettato (prima dalla moglie di suo padre, poi da suo padre stesso). Domande alle quali rispose esattamente come aveva fatto ai suoi compagni.
Simone quel giorno capì una cosa: se si viene a scuola, conviene entrare. Altrimenti conviene rimanere a casa o andare da tutt’altra parte. Il motivo? Vedendo quella sua reazione, e una volta diffuso il panico tra i suoi compagni, quel giorno NESSUNO si presentò a scuola. Il Prof spostò il compito di due giorni, e fece comunque una strage.
In compenso Simone si salvò: al compito di due giorni dopo prese 8½ e salvò la media.
Quello fu l’unico giorno di bigiata di Simone: l’unico in cinque anni di scuola superiore. Ma non se lo dimenticò più. 


---

NdA: Buongiorno! Eccovi di nuovo qui...! siete stati in molti a leggere lo scorso capitolo e spero che anche questo possa strapparvi un sorriso (per altro, questo è l'unico pezzo assolutamente autobiografico .... :) ) Grazie anticipatamente per avermi fatto sapere cosa ne pensate!




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3659163