Nel nostro minaccioso sotterraneo
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Progresso - Campagna No Profit
Ogni
giorno uno scrittore incapace si sveglia e sa che dovrà inseguire una
tastiera che fugge.
Ogni giorno una tastiera si sveglia e sa che dovrà correre più
veloce di uno scrittore incapace.
Che tu sia scrittore
o tastiera, comincia a correre.
Ma se sei un lettore
no! Puoi fermare questo scempio!
Scrivi
una recensione!
Non
restare indifferente, il destino delle tastiere dipende anche da te!
Nel nostro minaccioso
sotterraneo
Respira
l'aria pesante di paura
Respira
con l'ultimo sangue in
gola,
il vomito nascosto
dietro i denti,
sulla lingua acido
bruciante
da cui non ti liberi
neanche con lo sputo.
Parla.
Non parlare,
loro non devono, non
possono sapere.
Ma loro chi?
Loro chi?
Il nemico.
Ma il nemico è buono,
siamo noi i cattivi,
il nemico è clemente.
Forse non più.
L’uomo
con i capelli neri lo fissava
ormai da almeno mezz’ora, si disse Shad. Era fisicamente possibile per
una
persona rimanere perfettamente immobile per tutto quel tempo? Non ne
era certo.
Certo era che quel verde sfavillante degli occhi dell’altro aveva un
che di
accecante non per la sua luminosità ma per la sua intensità, come se
avesse
dovuto risucchiarlo dentro. Shad sentiva il bisogno di guardare altrove
o
almeno socchiudere gli occhi per proteggersi da quel verde, ma allo
stesso
tempo non avrebbe voluto per nulla al mondo farlo e perdere l’occasione
di
esaminare quell’uomo che sedeva di fronte a lui.
All’improvviso,
senza che
nulla fosse cambiato minimamente, l’uomo si alzò dallo sgabello su cui
era
seduto e sparì dalla sua vista. Shad provò a voltarsi per vedere dove
fosse andato,
ma si rese conto di essere legato alla sedia. Strano che non se ne
fosse
accorto prima, quel verde doveva averlo distratto. Strano che la cosa
non lo
facesse agitare per nulla, forse era ancora un po’ intontito.
Sentì
sulla
spalla un tocco leggero, quasi timoroso di fargli male, e sussultò. Una
mano
dalle dita ruvide gli si posò, delicata, sulla nuca: «Calma» disse
l’uomo.
Aveva una bella voce profonda che risuonava in quella specie di
scantinato
anche se stava sussurrando.
«È
sveglio?» chiese una voce metallica da un
altoparlante che Shad riuscì a individuare in un angolo della stanza
nonostante
la penombra che vi regnava. Non distingueva, però, se
si
trattasse di
un
uomo o
una donna.
«Sì»
rispose l’uomo alle sue spalle, con una sfumatura un poco più aspra
nella voce.
Shad
iniziò a rendersi conto che non era normale non essere agitato
per quella situazione. Si trovava legato nello scantinato di qualcuno
con un
uomo che non conosceva e che avrebbe potuto fargli qualunque cosa e per
di più
parlava con un altoparlante collegato a chissà dove, eppure non sentiva
nulla.
Che cosa gli stava succedendo? Gli avevano insegnato a dominare le sue
emozioni, non a non provarne affatto.
Si
ricordò dell’attacco al suo
stabilimento, lo scudo di Capitan America che lo tramortiva – se si
concentrava, poteva ancora sentire il dolore alla schiena per la brutta
caduta
– e poi più niente. Era prigioniero dei Vendicatori? No, era ridicolo,
quella
gente non prendeva prigionieri, al massimo portava i feriti
all’ospedale.
Quell’uomo dai capelli neri era uno di loro? Non gli sembrava di averlo
mai
visto prima. O forse dall’altra parte dell’altoparlante c’era qualcuno
degli
Avengers? Non era normale che la situazione non lo rendesse neanche
nervoso,
continuava a ripetersi.
L’altoparlante
si accese di nuovo: «Collega
la
telecamera. Vogliamo vederlo»
Shad
sentì un po’ di movimento alle sue spalle e
poi un leggero clic. La mano
dell’uomo non aveva abbandonato la sua nuca. Gli dava un senso di
sicurezza,
come una piccola ancora di certezza in quel mare di dubbi.
«Signor
Bradbury» lo
salutò la voce metallica «Speriamo che la sistemazione sia di suo
gradimento.
Deve capire, c’è stato bisogno di sistemare tutto di fretta»
Shad
avrebbe
voluto rispondere, ma non avrebbe saputo cosa dire e poi si sentiva
come
incapace di articolare qualsivoglia suono. Non riusciva proprio a
muovere le
labbra, che nonostante i suoi sforzi rimanevano appena dischiuse,
abbastanza da
far passare l’aria. Stava respirando con la bocca: se ne accorse in
quel
momento, ma non poté farci nulla.
«Non
si preoccupi se non può rispondere. Non
è colpa sua, si tratta del sedativo che le ha somministrato Edward. Ha
degli
effetti diversi dai normali farmaci di questo genere, ma d'altronde
viene
direttamente dal nostro laboratorio»
Shad
non riusciva neanche più a pensare
coerentemente e tutto si riduceva a frasi sconnesse nella sua testa, ma
di
emozioni neanche l’ombra. Soltanto confusione, come una maledetta
spirale in
cui vorticavano i suoi pensieri.
Edward.
Quindi si chiamava così l’uomo che
c’era nella stanza con lui.
Gli
aveva somministrato un sedativo. Questo
spiegava perché non riuscisse a muoversi.
Ma
non gli riusciva di capire perché
l’avessero portato lì.
Chi
fossero.
Cosa
volessero da lui.
No,
anzi, quello lo
sapeva.
Edward
si allontanò da lui e tornò a sedersi sullo sgabello dov’era
quando Shad si era svegliato. Qualcosa gli si attorcigliò dentro quando
sentì
la mano di Edward lasciare la sua nuca: non era esattamente nervosismo,
era
molto più blando, una sorta di inquietudine
che lo riportò bruscamente alla realtà, ma era già
qualcosa. Era ancora in grado di provare emozioni.
«In
attesa
che ritorni abbastanza cosciente da poter rispondere alle mie domande,
mi
presento e ti spiego un paio di cose» disse Edward, fissandolo con gli
occhi di
chi avrebbe potuto benissimo strappargli il cuore a mani nude e non
perdere
neanche un filo del proprio autocontrollo. Shad sentì come un tremito
interiore
quando incrociò il suo sguardo, ma riuscì a controllarlo.
«Innanzitutto,
mi chiamo
Edward Devlin» continuò l’altro, mentre gli si dipingeva sul volto un
sorriso
che a Shad non piacque per nulla «O comunque ti basti conoscere questo
nome.
Puoi chiamarmi signor Devlin, niente di più. Spero che ci siamo intesi»
La
sua
voce continuava a mutare di tono, come quella di un attore che cerca
l’intonazione migliore da dare a un testo che legge per la prima volta.
Nelle
ultime frasi, Shad aveva percepito una specie di larvata minaccia,
benché
pronunciata con il sorriso. Era come se i suoi occhi si fossero
illuminati
pronunciando le ultime parole, con una punta di divertimento su cui
Shad non ci
teneva per nulla a indagare oltre.
«Com’è
andata con l’altra, Edward?» chiese
la voce dell’altoparlante. Quella volta Shad fu quasi sicuro che si
trattasse
di un uomo.
Il
signor Devlin sbuffò: «Mi ha fatto quasi perdere la pazienza e
non mi è piaciuto il metodo che abbiamo dovuto usare, anche se era
evidentemente il più adatto. Mi è dispiaciuto per lei, ma era fragile,
troppo
fragile»
«L’abbiamo
scelta apposta»
«Lo
so, anche se aveva poco da dire è stata
una buona scelta, non me ne pento. Ma lo sapete che mi diverto di più
se la
situazione è un po’ diversa» di nuovo quel tono strano di voce. Shad
sentì il
bisogno di distogliere lo sguardo da quegli occhi verdi che
scintillavano
troppo e lo inquietavano.
Da
un lato continuava a ripetersi che era
meraviglioso tornare a provare emozioni: si era sentito quasi menomato
allo
scoprire che non riusciva neanche a innervosirsi. D’altro canto, però,
avrebbe
preferito non potersi agitare perché gli sembrava una situazione in cui
i nervi
saldi avrebbero potuto aiutarlo.
Edward
si alzò e si accovacciò vicino a lui in
modo da incrociare di nuovo il suo sguardo: quella volta Shad non osò
guardare
altrove. «Conosci Nancy Daniell?» chiese Edward, piegando appena la
testa di
lato come un bambino.
Shad
ancora non riusciva a rispondere, ma a sentire quel
nome aveva aperto gli occhi appena un po’ di più: l’altro capì che si
trattava
di un sì. Edward spiegò che aveva parlato anche con lei. «È una brava
ragazza»
aggiunse «Un peccato. Davvero un peccato»
Si
rialzò in piedi e con un enorme
sforzo Shad riuscì a seguirne con la testa il movimento, chiedendosi a
cosa si
riferisse l’altro. Aveva ripreso controllo almeno dei muscoli del
collo: poco
per volta ce l’avrebbe fatta.
«Ancora
qualche minuto e riuscirai a parlare»
disse Edward, notando il suo movimento. Shad si chiese se
quell’informazione
fosse per lui o piuttosto per l’uomo dall’altra parte dell’altoparlante.
«Ora,
io immagino che tu abbia firmato un qualche accordo di segretezza con
la tua
azienda» vedendo che l’altro annuiva lentamente, continuò «e suppongo
che noi
siamo quanto di più simile a un concorrente la CloaK possa avere.
Nonostante
ciò, io non mi preoccuperei eccessivamente di quell’accordo e di cosa
potrebbe
farti l’azienda, se fossi in te, perché a breve ne rimarrà così poco
che avrà
certamente altro per la testa che venire a cercare te»
Shad
deglutì, cercando
di ritrovare la voce. Quella minaccia non era velata. Non era stata
pronunciata
con un qualche tono accomodante o con il sorriso sul volto, come le
precedenti.
Era semplicemente un’affermazione: loro avrebbero ridotto in briciole
la CloaK,
e lui non aveva alcuna voce in capitolo.
«Voi…
chi?» riuscì infine a dire, strappando
al signor Devlin un sorriso compiaciuto dalla sua ritrovata capacità di
parlare.
«Sono
stato così scortese da non presentarmi come si deve?» chiese
fingendo stupore Edward, poi, senza aspettare la risposta continuò «I
Vendicatori naturalmente, lavoro per loro»
«Lavora?»
ripeté Shad, sillabando la
parola come un bambino alle prime armi con la lettura.
«Sicuro,
mi pagano per
ottenere le informazioni che servono loro. Poi che io ami il mio lavoro
è una
questione totalmente secondaria»
«Informazioni…
da me?»
Edward
annuì, poi gli
si avvicinò e gli prese una mano. Era piacevole il contatto con le sue
dita,
notò nuovamente il prigioniero, nonostante la ruvidezza della pelle
avevano
qualcosa di rassicurante. Ce n’era proprio bisogno, visto che tutto il
resto
era l’esatto opposto.
«Prima
che tu dica qualcosa di stupido, ad esempio che
non tradirai mai la CloaK o qualcosa del genere, lascia che ti spieghi
una
cosa. Tu mi dirai quello che mi serve, che tu lo voglia o meno. Non è
qualcosa
che dipenda da te. Ciò che puoi decidere è la quantità di dolore che
vuoi
sopportare prima di iniziare a parlare»
Shad
sorrise, notando che i movimenti
sembravano farsi più facili di secondo in secondo. Con la stessa
rapidità lo
stavano inondando le emozioni e ormai era certo che quello non gli
faceva
altrettanto piacere. Aspettò che il cuore rallentasse un poco, poi
rispose:
«Soltanto per curiosità: c’è mai stato qualcuno che abbia ceduto dopo
questa
presentazione? Perché non è la prima volta che sento un discorso simile»
«Alla
fine
mi dirai se sarà stata tutta roba già vista» concluse il signor Devlin
«Direi
che possiamo considerare i convenevoli terminati»
«Sì,
nonostante la buona
compagnia non vorrei rischiare di annoiarmi» sorrise ancora Shad.
«Adoro
il
buon umore» rispose Edward, con la voce scesa ancora di un tono.
Edward
aveva
detto di volerlo conoscere meglio, poi era tornato a sedersi di fronte
a lui e
aveva tirato fuori da chissà dove una serie di appunti inquietantemente
simili
a una cartella clinica.
«Allora»
cominciò a leggere «Shad Bradbury, quarantuno
anni, orfano dall’età di ventuno, figlio unico con nessun legame con il
mondo
che ti circonda. Niente fidanzate o fidanzati, niente amici, non
frequenti
abitualmente neanche un pub»
«Mi
piace cambiare. E sono astemio»
Il
signor
Devlin continuò, sollevando appena un angolo della bocca alla sua
risposta:
«Congedato dall’esercito per problemi psicologici, hai abbandonato
completamente quell’ambito per entrare nella CloaK»
«Sì,
conosco il mio
curriculum»
«Peccato
che di norma la tua azienda assuma personale altamente
specializzato in campi che non c’entrano niente con il tuo. Biologi,
ingegneri,
medici e infermieri… Tu cosa hai da spartire con tutta questa gente?»
«Serve
sempre qualcuno che faccia il lavoro manuale, anche con tutti gli
ingegneri del
mondo a tua disposizione»
«Che
cosa contempla questo lavoro manuale?» era
ridicolo, ma Shad ebbe come l’impressione che la questione interessasse
veramente all’altro, che non stesse soltanto raccogliendo le
informazioni che
gli avevano chiesto.
«Montaggio
e smontaggio di parti meccaniche. Lavoro da
operaio, niente di più» Edward annuì e Shad abbassò gli occhi a
guardarsi le
mani legate, chiedendosi se fosse suonato abbastanza convincente.
Prima
che
potesse rendersi conto di cosa fosse successo, sentì il respiro
mozzarsi, ma
quando aprì la bocca per riprendere aria scoprì che qualcosa gli
stringeva la
gola. Alzò lo sguardo solo per incrociare gli occhi verdi di Edward che
scintillavano come non mai.
«Non
vuoi mentirmi, Shad» bisbigliò l’altro, la
stretta d’acciaio attorno alla gola di Shad era così ferma che sembrava
esserci
sempre stata «Davvero, non vuoi vedere cosa succede se lo fai»
Shad
cercò di
muovere il collo all’indietro, ma lo schienale della sedia lo bloccava.
I
secondi scorrevano inesorabili, era troppo tempo che non respirava, si
sentiva
la testa esplodere. Provò a far forza sulle braccia, ma riuscì soltanto
a
strappare a Edward un sorriso divertito. Quando iniziò a vedere macchie
nere
davanti agli occhi, li chiuse e si abbandonò all’indietro.
Fu
allora che
l’altro mollò la presa. Prima ancora che Shad se ne fosse accorto,
aveva
spalancato la bocca e cominciato ad ansimare: il suo corpo aveva un
istinto di
sopravvivenza decisamente migliore di lui. Gli girava la testa e si
sentiva
cadere anche se sapeva perfettamente di essere seduto.
Quando
riprese il
controllo, vide che l’altro era tornato a sedersi e aveva preso a
scrivere
sulla cartella. Era mancino, notò, con una lucidità che lo stupì.
«Riproviamo»
disse Edward alzando gli occhi su di lui. Shad sentì di nuovo un
tremito dentro
di sé. È brutto avere paura, pensò.
«Parlami
del progetto Terminator» chiese il
signor Devlin.
Shad
gli sorrise, rispose «Non ne so nulla», e prese fiato,
preparandosi a sentirsi di nuovo strangolare. Non avvenne niente di
simile.
Edward rimase immobile a fissarlo per quella che a Shad parve
un’eternità.
Forse gli stava dando il tempo di cambiare idea.
Quando
infine era giunto alla
conclusione che niente sarebbe più mutato e sarebbero rimasti in quello
scantinato per tutti i giorni a venire, Edward lo colpì. Non che Shad
non se lo
aspettasse del tutto, ma pensava che l’altro avrebbe mirato al viso,
invece gli
diede una ginocchiata all’imboccatura dello stomaco.
Il
suo riflesso naturale
sarebbe stato di piegarsi in avanti e indietreggiare, ma era legato e
l’unica
conseguenza del colpo che aveva ricevuto fu che la sedia su cui era
seduto
oscillò pericolosamente all’indietro a causa dell’impatto. Ebbe la
sensazione
di stare per vomitare e sentì in bocca un sapore acido che gli diede
ancora più
la nausea. Cercò di prendere fiato per riprendere il controllo e fu
colto da un
accesso di tosse.
Non
si accorse del secondo colpo in arrivo perché gli
lacrimavano gli occhi e li aveva socchiusi per via della tosse: sentì
soltanto
la testa voltarsi verso la spalla sinistra e subito dopo il dolore al
volto e
al collo. Sputò per terra nel tentativo di liberarsi dell’acido che
sentiva
sulla lingua. Sollevò lo sguardo verso Edward e vide la tranquillità
con cui
l’altro lo guardava, come se invece di dargli un pugno gli avesse
appena
assegnato un progetto di scienze per la settimana successiva.
Se
ne accorse in
quel momento: il suo carceriere assomigliava decisamente a un
professore delle
superiori di cui Shad non aveva un ottimo ricordo. Non che questo
migliorasse
la situazione, pensò, ma almeno aveva finalmente identificato di chi
fosse
quell’immagine che riemergeva nella sua memoria ogni volta che guardava
Edward.
Il
secondo pugno seguì al primo non appena Shad alzò di nuovo gli occhi a
incrociare quelli del signor Devlin. Il terzo arrivò senza neanche
dargli il
tempo di rendersi conto di che cosa gli stesse accadendo. Così avvenne
con il
quarto, il quinto, il sesto, fino al decimo, dopo il quale perse il
conto. Era
troppo concentrato ad analizzare quanto precisamente si sovrapponessero
i colpi
l’uno sull’altro. Era troppo occupato a non chiedergli di fermarsi, a
non
dichiararsi pronto a dirgli tutto.
Non
era un debole, continuava a ripetersi
quando prendeva fiato dopo aver ricevuto un altro pugno, non era come
Nancy.
Era davvero una brava ragazza, Nancy, non sarebbe mai dovuta finire là
dentro.
Shad, invece, lui era stato addestrato per quello, il dolore non
avrebbe dovuto
neanche intaccarlo. E allora come mai gli sembrava sempre più difficile
non
iniziare a raccontare ciò che sapeva su quel progetto? Era psicologico,
pensò,
era tutta quell’atmosfera. Doveva staccarsi da quella pressione che
Edward gli
stava facendo e ricordarsi che aveva una missione, un compito.
A
un certo punto
Edward si arrestò, senza un vero motivo. Shad non sapeva da quanto
andassero
avanti. Tutto ciò che poteva capire in quel momento era strettamente
legato
alle sue percezioni sensoriali: sapeva che a un certo punto i colpi
avevano
iniziato ad arrivare da entrambe le parti, che non riusciva a sollevare
le
palpebre e che sanguinava in viso. Il resto gli era oscuro. Isolarsi
dall’ambiente circostante portava anche a quello.
«Sai»
la voce di Edward
sembrava arrivare da chilometri di distanza «Un po’ mi dispiace. Voglio
dire,
questa specie di pestaggio… non te lo meritavi veramente. Non era parte
dell’interrogatorio, in realtà. È il genere di tortura che si rivela
tendenzialmente inutile: se qualcuno cede per questi quattro colpi,
probabilmente avresti potuto farlo cedere senza alzare un dito, che se
permetti
è molto più divertente. In tutti gli altri casi, è stato abbastanza
inutile,
no?
Devo
ammetterlo, in realtà l’ho fatto per sfogarmi, stavo accumulando
troppa tensione a causa del comportamento della tua amica. Mi piace il
mio
lavoro, davvero, ma a volte le condizioni non sono ottimali» Shad non
comprendeva veramente il discorso di Edward, ma era bello avere un
suono a cui
aggrapparsi «Voglio essere onesto con te: mi stai simpatico, mi piaci,
anzi. In
altre circostanze avremmo potuto chiacchierare, forse ti avrei chiesto
di
uscire.
Credo
di aver capito come ragioni, perciò lascia che ti spieghi subito
la situazione in modo più conciso di prima: non sono un mafioso di un
qualche
film, né un torturatore dilettante. I pestaggi, i classici tagli sul
corpo,
persino gli stupri e le altre cose un po’ più elaborate… non fanno per
me. Io
prendo molto seriamente il mio lavoro, non do spettacolo per una
telecamera»
Shad
aprì piano gli occhi e lo guardò, confuso: non riusciva a capire dove
volesse
arrivare.
«Sai
molto più di quanto dici» continuò Edward, passandogli un dito
sul labbro inferiore per poi pulirlo su uno straccio. Uno dei pugni
doveva
averlo tagliato, perché Shad sentiva il sangue continuare a fuoriuscire
«di
certo sei un minimo informato su questo genere di cose. Te lo dico
chiaro e
tondo: c’è una stanza, vicino a questa, con l’attrezzatura per una
tortura
specifica»
«Che
tortura?» riuscì ad articolare Shad tra le labbra spaccate,
sentendo sulla lingua il sapore del proprio sangue.
«Gli
americani la chiamano waterboarding»
rispose Edward,
rivolgendo un angelico sorriso ai suoi occhi traboccanti di terrore
«Deduco che
tu lo conosca»
«Guantanamo
Bay» sussurrò Shad.
«Precisamente»
Il
prigioniero
scosse lentamente la testa: «Non ci credo»
«Mi
sottovaluti» rise il signor
Devlin «Ma capisco che tu non ti fidi. Ti porterò a vederla. Puoi
fermarmi
quando vuoi e raccontarmi ciò che sai, ricordatelo»
Dopo
un tempo che Shad non
seppe quantificare, ma immaginò essere stato molto breve, la porta si
aprì e
due persone entrarono. Erano uomini, alti, con il genere di fisico in
grado di
fargli rinunciare a qualunque pensiero di fuga, se mai fosse stato in
grado di
formularne alcuno. Uno dei nuovi arrivati aveva i capelli biondi, quasi
gialli,
lunghi fino alle spalle, l’altro invece li aveva corti, non riusciva a
vederne
il colore. Per il resto, gli sembravano uguali da dietro le palpebre
socchiuse.
«Ti
aspetto qui» gli mormorò all’orecchio Edward. Shad non riuscì a
sorridergli in
risposta.
-Nancy?
Sono qui per aiutarla-
Lizzy's
Magic Corner:
Ciao a
tutt*!
Vi chiedo
innanzitutto scusa per il mostruoso ritardo. Ho avuto una serie di
casini, interrogazioni terrificanti e viaggi vari che si sono
sovrapposti, ma la verità è che questo capitolo non mi andava di
scriverlo e quindi ho temporeggiato moltissimo. Perché? Beh, perché la
tortura non mi va per nulla. Da un lato volevo farvi vedere quanto in
basso stessimo cadendo, dall'altro una parte di me piangeva al pensiero
di cosa stessi scrivendo.
Per prima cosa, lasciate che vi dia un consiglio: se non sapete che
cosa sia il waterboarding
(e vi auguro di non saperlo) non e ripeto NON andate a cercarlo. Ho
fatto fatica a dormire dopo aver scoperto di che cosa si trattasse. Vi
basti sapere che è abbastanza da far ammettere qualunque cosa a
chiunque. No, davvero, fatevelo bastare, lo dico per voi, gente.
Eeeh Loki aveva ragione, forse gli ospiti dell'Avengers Facility in
questo momento vorrebbero trovarsi da tutt'altra parte! Wanda farebbe
meglio ad ascoltarlo, la prossima volta.
Poi... vediamo un po', che altro c'è da dire? Ah sì, volevo comunicarvi
che in un universo parallelo che esiste soltanto nella mia testa i due
protagonisti di questo capitolo vivono felicemente sposati con prole
(non entro nel merito di che cosa fanno in camera da letto), nel senso
che per come li ho immaginati i loro caratteri sono perfettamente
compatibili, se non fosse che le circostanze hanno portato uno a
diventare un torturatore professionista e l'altro... Beh, non voglio
fare troppe anticipazioni!
Riguardo al nuovo capitolo (che spero di portare a termine molto più in
fretta di questo, ma purtroppo ultimamente l'ispirazione e la voglia di
scrivere litigano...) posso dirvi che sarà quasi certamente l'immediato
seguito di questo. Pensavo di spiegarvi qualcosa sulla CloaK
(nonostante dare spiegazioni non sia per nulla nel mio stile, ehm
ehm...) e magari presentarvi l'adorabile Nancy, ma per ora è tutto
molto nebuloso.
So che non vi interessa, ma volevo soltanto bearmi del fatto che il
primo capitolo di questa storia ha superato le 1000 visualizzazioni e
io sono una bimba felice.
Stiamo ritornando ai livelli delle Note dell'Autrice più lunghe del
capitolo, quindi sarà meglio che tagli corto: grazie a GreekComedy che
è tipo il centro nevralgico della mia esistenza da fangirl (questo è
l'ombelico del mondoooo), a Pouring_Rain11 per la sua pazienza
nell'attendere gli aggiornamenti e recensire sempre tutto (imparate,
gente, imparate), alle 11 persone che seguono la storia e ai 6 che
l'hanno messa tra le preferite nonché a tutt* voi che leggete :)
Basta, mi sto annoiando da sola: ci si sente (spero) il mese prossimo,
nel frattempo vi ricordo che recensioni e MP sono totalmente gratuiti ^^
Che gli dèi siano con voi!
-Liza
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