I can read you like a book.

di VanessaStew
(/viewuser.php?uid=191535)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


“Nice to meet you, where you been?
I could show you incredible things
Magic, madness, heaven, sin
Saw you there and I thought…”

 

Le giornate diventavano sempre più piacevoli e soleggiate, il desiderio di dirigermi al mare piuttosto che alle lezioni cresceva in me ogni mattina. Mi piaceva ciò che studiavo, così come anche le lezioni, ma odiavo le imposizioni. Una di queste, per me, era l’essere costretti a leggere libri e manuali suggeriti dai professori. La lettura è un piacere che deve maturare da sé, senza obblighi e scelte mirate da parte di terzi…per quanto comprenda l’importanza delle letture consigliate dai professori, ritengo che li si possa apprezzare maggiormente grazie ad una scelta libera e personale. Se fossi una professoressa, stilerei una lista di libri da me consigliati, per poi dare modo ai miei studenti di scegliere tra questi almeno due da cui si sentano attratti. Scoprire la bellezza di una lettura tramite la pura e semplice libertà di scelta, è la strada migliore per conferire all’individuo la voglia di scoprire e di immaginare draghi, cavalieri e streghe maligne.
Per questo spesso desideravo darci un taglio e fuggire in spiaggia.
Quel venerdì mattina però tirai dritto, sopprimendo il mio spirito rivoluzionario, e mi diressi a lezione di storia, dove Mike mi stava aspettando.
< Ultimamente sei spesso in ritardo! >
< Ho perennemente sonno, da quando lavoro in libreria da Betty > risposi. L’aula era piena di gente, sembrava un rave, per quanto fosse piena.
< Sei sicura di poter reggere il ritmo? > chiese Mike preoccupato.
< Ho voglia di farlo, ho soltanto bisogno di abituarmi a questo nuovo ritmo. Sono lontani quei momenti in cui alle 5 del pomeriggio scattava il sonnellino quotidiano! > esclamai divertita.
< Stephen King e George Orwell si sentono profondamente in colpa per essere la causa della tua perenne stanchezza > fece Mike, anch’egli divertito. Non mi annoiavo mai in sua compagnia, era una persona di cui potersi fidare ciecamente ed un ottimo chiacchierone.
< La colpa è della gente che non rimette a posto ciò che prende! Non è necessaria una laurea per capire che Stephen King non vada riposto con i libri di Danielle Steel >
Il chiacchiericcio generale fu interrotto dalla professoressa di storia, una donna di circa sessant’anni intransigente e irritata dal mondo degli studenti, che irruppe nell’aula invitandoci a fare silenzio ancor prima di averci augurato il buongiorno.

Per il venerdì sera, Hope e Paige decisero che avremmo passato la serata in un pub chiamato Blue Eyes, un posto che adoravo. Spesso gli studenti del college passavano le serate lì, grazie alla vasta scelta delle birre, l’atmosfera blu, resa tale dalla carta da parati azzurra e da tavoli e sedie blu notte, e alla vicinanza col mare, che donava al locale una splendida vista notturna.
Quella sera optai per un vestito blu con pois bianchi, abbinato alle mie converse rosse preferite.
Hope aveva invitato 3 suoi amici, Joseph, Andy e Ben, che aveva avuto modo di presentarmi all’università.
< I ragazzi ci stanno aspettando all’ingresso del locale! > fece Hope scendendo dalla macchina di Mike e sventolando nella notte la sua lunga coda scura.
Mi guardai attorno e sul porticciolo del locale notai tanti ragazzi con abiti leggeri e colorati sorseggiare birre e cocktail. Tutti sembravano allegri e spensierati, ricchi e famosi, brilli e vogliosi.
Ispezionando ancora il luogo, mi diressi verso l’entrata del locale, non curante dei miei passi e della gente che ne ostacolava il cammino.
< Attenta! > esclamò la voce maschile di qualcuno che in quel momento mi venne addosso.
Era lui.
Ancora lui.
Perennemente lui.
Non ne potevo più.
< Ma lo fai di proposito?! > domandai spazientita.
< Non è certamente mia la colpa se non guardi dove metti i piedi e pensi al mondo delle favole > rispose divertito.
< Sono una persona curiosa > affermai indispettita dalla sua ultima frase.
< Ritengo tu sia più distratta che curiosa >
Sbuffai irritata. < Non ho tempo da perdere con te >
< Perché la vita in fondo cos'è? Solo l'attesa di qualcosa d'altro, no? >
< Come, scusa? > domandai confusa.
< Oh… niente > rispose. Aveva improvvisamente assunto un’espressione cupa. Lo guardai dubbioso, il suo umore sembrava cambiato nel giro di pochi secondi. < Per un attimo… > aggiunse, sorridendo. Un sorriso lieve.
< James? >
< Buona serata > aggiunse, prima di dileguarsi tra la folla. lo osservai per qualche istante mentre si allontanava sulla spiaggia, per poi assumere un’espressione indifferente e fare irruzione nel locale.

Mentre sorseggiavo una Stella Artois ghiacciata, ripensavo alle parole di James. - Perché la vita in fondo cos'è? Solo l'attesa di qualcosa d'altro, no? –
“Cosa avrà voluto dire? È perché mai ha assunto quell’espressione quasi turbata, quando gli ho rivolto la domanda confusa, in merito a quello che ha detto? E perché diamine sto pensando a James Heat?”!
< Terra chiama Katie! > sentii Monique esclamare.
< Scusatemi, ragazzi. Ero sovrappensiero…>
< A che pensi? È da quando ti sei seduta che sembri concentrata in altro > chiese Hope sotto gli occhi attenti degli altri seduti al tavolo.
< Ho incontrato James Heat fuori dal locale e mi ha detto qualcosa che ricordo di aver già sentito o letto altrove, ma non riesco a scavare a fondo nella mia mente per riuscire a ricordarlo. >
< Che intendi per “qualcosa”? Una citazione? > chiese ancora Hope, incuriosita.
< Esatto, è sicuramente una citazione! > affermai
< Perché non provi con Google? > domandò divertito Ben.
Non volevo cercare semplicemente la frase su Google o chiedere loro se la conoscessero. Volevo capire con la sola forza della mia mente da cosa fosse tratta quella frase…lo dovevo al mio orgoglio ferito, che proprio non si capacitava del fatto che uno come James Heat potesse farla sentire stupida.
< Niente Google, mi verrà in mente prima o poi. Balliamo? Adoro Panic Station! > feci agli altri del gruppo, non appena riconobbi le note della canzone dei Muse. Per quanto amassi Matt Bellamy e il suo seguito, cercai di distrarre i ragazzi per sviare il discorso. Avevo dedicato fin troppo tempo a James Heat.
Ballai tanto, con la birra nella mano destra e la sinistra che librava nell’aria del pub.  Mi divertii davvero, quella sera. Ballare non era tra le attività che mi riuscivano meglio, ma con la buona musica, la giusta compagnia e la birra in corpo, lo scoordinamento perenne diventava quasi irrilevante.

La vita universitaria riprese il lunedì, tra studenti reduci da sbornie, nottate in bianco per lo studio e altri per il sesso, ragazzi pimpanti e rumorosi e professori sempre più irritabili ed irritanti.
Durante la lezione di letteratura inglese, suggerii a me stessa che, per poter riconoscere la frase di James, avrei potuto perlustrare la libreria della mia stanza e capire magari ad occhio se la frase provenisse da uno dei miei libri.
Provai a cercare James nell’aula di lezione, ma c’era troppa gente e poca voglia da parte mia di capire perché mai stessi cercando Heat.

“Joseph Conrad no, le sorelle Brontë nemmeno…Conan Doyle, forse?” mi chiesi osservando il libro giallo nella mia libreria contenente tutte le avventure di Sherlock Holmes. Ormai ero seduta sul pavimento della mia camera da quasi mezz’ora, perlustrando dettagliatamente e ripetutamente tutti i miei libri.
“Dannazione, alla fine scoprirò che mi sono sbagliata e che magari quella frase provenga dalla sua mente bacata o da un episodio di Doraemon!” pensai esasperata, riguardando i miei libri. Finché il mio sguardo non si posò con più attenzione su Dracula di Bram Stoker.
“Stupida. Che stupida!” pensai. “Sta leggendo Dracula, presumo… è venuto in negozio l’altro giorno e l’ha comprato. Che stupida che sono! E se mi sbagliassi?”
Per soddisfazione personale, non intendevo ancora cercare su Google la famosa frase che martellava nella mia testa, così decisi di rileggere Dracula per poter scovare la frase.
Lo lessi fino all’ora in cui dovetti andare da Betty. Quando il negozio era in ordine e con nessun cliente all’orizzonte, prendevo in prestito Dracula dalla libreria di Betty e, sotto i suoi occhi curiosi, continuavo a divorare la storia.
A lezione di storia, il giorno seguente, proseguii la mia lettura sotto gli occhi confusi di Mike. Il pomeriggio da Betty, ripetetti la stessa routine: divoravo quelle pagine, bramante di una stupida citazione che sentivo che avrei trovato tra le pagine di quel libro letto 3 anni prima. Alle volte, presa dalla lettura, non mi rendevo conto dell’arrivo dei clienti. Betty continuava a guardarmi sorpresa, ma anche divertita.
< Ami così tanto leggere da non poterne fare a meno neanche quando lavori? > domandò divertita Betty.
< E’ per una giusta causa > risposi ripensando al mio orgoglio ferito. Non poteva finire così. Mi sentii particolarmente stupida, in quel momento, pensando che probabilmente James avesse già rimosso l’accaduto, mentre io continuavo a disperarmi per avere la rivincita.
Per un attimo posai il libro su una mensolina del bancone di Betty, sentendomi ridicola e credendo per un attimo che non valesse la pena sprecare così tanto il tempo. Dopo pochi minuti, però, scrutai le due ragazze infondo alla sezione dedicata ai romanzi rosa, che ogni settimana visitavano il negozio e che sapevo sapessero cavarsela da sole, e ripresi Dracula tra le mani. La voglia di continuare a leggerlo era incontenibile. La consapevolezza di essermi focalizzata fin troppo sull’accaduto del venerdì al Blue Eyes non riuscì ad arrestare la mia voglia di primeggiare mentalmente su quel ragazzo.

< Allora, ce l’hai fatta? Hai trovato la citazione? > fece una voce maschile. Quando sorpresa e presa alla sprovvista alzai lo sguardo, i miei occhi color nocciola si scontrarono con i piccoli occhi azzurri di James. Aveva i gomiti poggiati sul balcone, i capelli biondi che distrattamente gli ricadevano sulla fronte e un sorriso leggermente accennato e divertito sulle labbra.
Lo guardai imbarazzata, posando il libro e gli occhi sul bancone. < Allora l’hai letto davvero questo libro? > chiesi cercando di nascondere l’imbarazzo dell’essere stata beccata, che in quel momento cercava di impadronirsi della mia capacità di intendere e di volere.
< Sì, per quanto possa sembrarti strano, l’ho letto. Non sei l’unica del college a cui piace leggere > disse divertito.
< Punto primo, non ho mai affermato o anche solo pensato ad una cosa così sciocca – forse. Punto secondo, come fai ad essere perennemente divertito?! > domandai con volto basito ed infastidito.
< E’ il tuo spirito di superiorità nei miei confronti che mi diverte. >
Beccata in pieno.
< Mi diverte, però, anche la consapevolezza di quanto tu sia incredibilmente simile a me, sotto certi punti di vista. > aggiunse.
< A quali punti di vista ti riferisci, per l’esattezza? > domandai confusa da tale affermazione.
< Non ho voglia di spiegartelo > rispose sollevandosi dal balcone.
< Te la tiri un po’ troppo per i miei gusti >
< Senti chi parla! > esclamò divertito.
Sentii una risata provenire dalla mia destra. Betty, con una mano sulla bocca e gli occhi puntati su di noi, squittì. Le mie labbra si contorsero per la confusione e la sorpresa, dopodiché ripuntai lo sguardo sul James.
< Perché sei qui? > gli domandai per cambiare argomento.
< Ti ho visto oggi a lezione, mentre leggevi Dracula. Tutta questa attenzione da parte tua mi lusinga. >
Ritornò il suo ghigno divertito.
< Cercavo di preservare il mio orgoglio di lettrice accanita. Perché sei qui? > ripetetti la domanda con più foga.
< Vorrei leggere un altro libro, ma non ho idea di quale dovrei scegliere > rispose assecondando finalmente la mia voglia di cambiare argomento.
< Posso darti una mano a scegliere > affermai sospirando, rassegnata dalla sua presenza, indicando gli scaffali. Non mi ero accorta del fatto che il negozio fosse nuovamente vuoto.
Iniziai a perlustrare gli scaffali, individuando soprattutto titoli e nomi di autori che più mi piacevano. Non mi ci volle tanto per individuarne uno che potesse fare al caso suo.
Gli porsi Amleto di William Shakespeare.
< Pensi ne valga la pena? >
< Fidati del mio buon gusto. >
< E’ uno dei tuoi libri preferiti? >
< Cosa te lo fa pensare? > gli domandai sulla difensiva.
Poggiò lo sguardo sulla copertina rossa di Amleto e sospirò, con ancora quel sorriso divertito sulle labbra su cui avrei tanto voluto stampare un bel p…
< Grazie per il consiglio, la prossima volta ti faccio sapere se mi è piaciuto o meno. Magari alla fine scopro di non dovermi fidare dei tuoi gusti! > esclamò mentre indietreggiava divertito, in direzione della cassa.





Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3660132