Time after time

di Claire_Rose
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La sua mano era così calda, i suoi occhi così rassicuranti. Dimenticarli era impossibile.
La serata era finita e io arrivata a casa mi buttai sul letto ancora vestita, guardai l’orologio erano le 3.30 a.m e io l’indomani sarei dovuta andare all’università. Al solo pensiero avevo i brividi, mi sarei dovuta alzare tra tre ore e mezzo. Mi tolsi le scarpe, indossai il mio pigiama e crollai in un sonno profondo.
La sveglia suonò presto, ancora assonnata con una spinta la buttai giù dal comodino e misi la testa sotto il cuscino. Non avevo voglia di alzarmi, stavo facendo un bel sogno. Una spiaggia, un mare limpido come uno specchio, una musica latina come cornice e lui. 
“Clara, alzati devi andare all’università” mia madre entrò in camera e aprì la finestra. 
“Non ho voglia” la mia testa era ancora sotto il cuscino.
“Ve bene passerò alle maniere forti” tolse con violenza il cuscino da sopra la mia testa e mi ritrovai accecata dalla luce del nuovo mattino.
“Sei folle mamma”
“Lo sai bene, la follia è la parte migliore della nostra famiglia”
Con gli occhi ancora impastati dal sonno, le lanciai uno sguardo di disapprovazione misto a disperazione.
“La colazione è pronta” uscì dalla mia camera con aria soddisfatta.
Mi vestì con zero voglia e mi truccai in modo tale che non si vedesse così tanto che la sera prima avessi fatto i bagordi. Bevvi un succo e mangiai due biscotti in croce. Di solito non sono una che mangiava tanto, ero sempre stata la ritardataria della situazione, perciò mangiare non era la prima cosa a cui pensassi.
Il bus arrivò in orario ed io mi misi a sedere in uno dei posti liberi, misi le cuffie e entrai in un’altro mondo.
La serata di ieri era stata così strana, ma bella. Mai avrei pensato che quel tipo di ballo mi sarebbe piaciuto, prima o poi. Aveva ragione la mia amica, che mi sarei divertita. E poi lui, il suo modo gentile di invitarmi a ballare e il suo difendermi. Non ero una a cui serviva essere difesa, me la sono sempre cavata da sola, ma mi piacque per una volta che qualcuno avesse preso le mie parti. I suoi occhi mi avevano squadrata per tutta la sera, tant’è che avevo pensato che avessi qualcosa che non andava nel viso o nel vestito.
A fine serata lo cercai, ma non lo trovai più. Avrei voluto scambiarci qualche parola in più, conoscerlo. 
Arrivai qualche minuto in ritardo alla lezione di psicologia dello sviluppo, del Prof. Bellardi. L’aula era piena ed erano tutti intenti a prendere appunti ed il professore spiegava animatamente la psicologia dell’adolescente medio. Mi sedetti accanto ad una ragazza con un cesto di capelli rossi e la pelle bianca, quasi albina. Presi dalla borsa un quaderno ed una penna e mi concentrai sulla lezione.
Finita la lezione mi recai alla macchinetta del caffè e lì trovai Carlotta che con un sorrisone mi abbraccio e nell’orecchio mi sussurrò “Te l’ho detto che ti saresti divertita”. le sorrisi.
Passò veloce la settimana, e un timido calore si stava facendo avanti, Giugno era alle porte e anche gli esami. Nell’ultimo periodo non avevo studiato molto. Ero sempre stata brava a scuola e anche il primo anno di università era andato bene con voti quasi sopra la media, mia madre era contenta e mio padre quando c’era, mi dimostrava tutto il suo orgoglio. Per i miei genitori è sempre stato importante che io studiassi e che avessi una buona cultura su tutto. Mia madre era un infermiera e mio padre un comandante dell’esercito ed era sempre in giro o in missione. Mi avevano sempre tasmesso dei valori e dei principi importanti, di fedeltà, onore, rispetto, unione familiare e amore. Quest’ultimo aspetto non è mai mancato. Ero la loro unica figlia, mi hanno sempre tenuto nell’ovatta, ma nello stesso tempo volevano che fossi forte perchè “il mondo non è tutto rose e fiori”. 
Una domenica mattina, decisi di andare a correre, avevo bisogno di adrenalina e di lasciare andare un pò di tensione. Infilai le cuffie nelle orecchie e iniziai la mia corsa. Entrai in un parco e continuai. Nelle orecchie suonava un pezzo Rock dei Foo Fighters, ‘Learn to Fly’. 
Ad interrompere la mia corsa, fu un flash. Poco lontano da me due ragazzi stavano litigando animatamente, uno di loro tirò una spinta all’altro e l’altro di tutta risposta lo prese per il colletto e gli disse qualcosa, che io non riuscì a capire. Ad un certo punto, un fischio li fermò, si girarono verso di me e riuscì a riconoscere uno di loro, era il ragazzo che avevo conosciuto al locale.
Si avvicinò a me con passo veloce.
“Ci stavi spiando?”
“No, stavo correndo e voi intralciavate la strada”
“E avevi paura che ti avremmo fatto del male solo perchè siamo stranieri”
“Non ho pensato questo”
“E perchè non sei passata oltre?”
“Devo giustificarmi con te?” Ero un fascio di nervi, nessuno doveva permettersi di mancarmi di rispetto. 
“Hai l’aria di una bambina tanto per bene” il suo tono era strafottente quasi provocatorio.
“E tu hai l’aria di un bullo che non sa fare bene la sua parte”
Scoppiò a ridere e questo fece aumentare in me il nervoso.
“Cosa c’è da ridere?”
“Sei molto sicura di te, mi piace “. 
Era serio, aveva l’espressione sicura. I suoi occhi fissavano i miei, eravamo a pochi centimetri di distanza ed ero agitata, mi metteva in soggezione il suo sguardo, così lo abbassai.
“Clara” pronunciò il mio nome e con la mano prese il mio viso e fece in modo che tornassi a guardarlo.
“I tuoi occhi sono così innocenti” ero arrossita, imbarazzata e in difficoltà.
“Devo andare...”
“Non avere paura di me”
“Non ho paura”.
“Tu sei l’unica che può dirlo”.




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