Lunedì,
2 luglio 2012
Inspiro
profondamente quando mi ritrovo davanti alla porta dello studio della
Lisandri.
Busso
piano ed attendo che la sua voce mi inviti ad entrare.
Stavolta
mio padre si è imposto ed è voluto entrare insieme a
me.
A
niente sono servite le mie proteste.
Per
una delle prime volte nella sua vita, è stato irremovibile.
E
così adesso siamo seduti davanti alla Lisandri.
E
al dottor Alfredi, il primario di chirurgia.
E
già questo non mi fa presagire nulla di buono.
Né
i loro sguardi hanno niente di rassicurante.
La
Lisandri si è già tolta gli occhiali.
Come
per prepararsi a darmi la cattiva notizia.
Non
provo paura.
Non
molta almeno.
Quello
che mi pervade è più uno strano senso di rassegnazione.
"Non
facciamola tanto lunga" dico con tono canzonatorio accennando un
sorriso: "E' un osteosarcoma?".
Mi
rendo conto di aver esagerato nel momento stesso in cui gli occhi del
dottor Alfredi si sollevano dalla mia cartella clinica per posarsi di
nuovo su di me.
Non
sono più sicuro di voler sentire la risposta, ma in qualche
modo, capisco che ormai è tardi.
"Leo..."
mormora mio padre appoggiandomi una mano sulla coscia e stringendola
per comunicarmi il suo sostegno.
Ma
niente potrà servire a smorzare la gravità di quello
che sta per accaddere.
"Sì,
Leo" risponde la Lisandri sostenendo il mio sguardo. "E' un
osteosarcoma di terzo grado".
"Terzo
grado?"; istintivamente indietreggio verso lo schienale della
sedia. "Tre su quattro? Quindi significa che..."
"E'
piuttosto aggressivo".
Il
silenzio più totale cala sulla stanza mentre cerco ancora di
capire cosa sia appena successo.
Cerco
di calmarmi.
Cerco
di richiamare a me tutte le energie positive che possiedo.
Cerco
di non perdere del tutto la ragione.
Ci
sono così tante domande che vorrei porre, ma non riesco a
parlare.
Perfino
respirare mi sembra stia diventando impossibile.
Trattengo
le lacrime mordendomi il labbro con forza pur di non piangere.
Sento
mio padre sospirare accanto a me.
Sento
la sua presa sulla mia coscia farsi ancora più forte.
Mi
fa quasi male.
Sento
la sua voce rivolgere ai dottori quella domanda che io non oso fare:
"E adesso? Come intendete procedere?".
"Domani
facciamo una pet per verificare lo stadio del tumore, dopodiché
metteremo in atto il piano terapeutico più adeguato"
risponde il dottor Alfredi guardando me anziché mio padre.
"Non
lo operate?" domanda ancora mio padre.
"Sapremo
come procedere esattamente, dopo la pet" spiega la Lisandri.
"Dopo aver valutato eventuali metastasi e coinvolgimenti dei
linfonodi. In ogni caso, con un tipo di tumore così aggressivo
ed esteso, prima di operare si rende necessaria la chemioterapia
neoaduviante per rendere più efficace e meno demolitivo
l'intervento".
Tumore
di terzo grado.
Pet.
Metastasi.
Linfonodi.
Chemioterapia.
Intervento.
Grazie
a mamma ne so abbastanza su queste parole da non poter lasciare
spazio a nessuna forma di illusione.
Abbastanza
da sapere che quelle parole mi fanno una più schifo
dell'altra.
E
riguardano tutte me.
Ho
il cuore in gola e le lacrime sull'orlo di scendere.
Ma
riesco ancora a trattenerle.
"Quando?" riesco
finalmente a chiedere con voce sufficientemente ferma. "Quando
dovrò cominciare la chemio?"
"Se i valori del sangue
che ci interessano sono a posto... direi lunedì" mi
risponde la Lisandri.
"Questo
lunedì?"
"Sì".
Tra quattro giorni?
Non sono pronto.
E poi voglio andare a Londra
con Giulia e gli altri.
Guardo speranzoso la
Lisandri e poi il dottor Alfredi: "Non possiamo rimandare di un
mese?".
La Lisandri solleva le
sopracciglia: "Un mese? Non è assolutamente possibile,
Leo. Non possiamo rimandare nemmeno di una settimana."
"Ma... il tredici
dovrei andare a Londra per tre settimane in vacanza-studio!"
"Mi dispiace, ma non
c'è tempo da perdere."
"Londra non scappa"
interviene il dottor Alfredi. "Coraggio, ci andrai l'anno
prossimo".
Se
sono ancora vivo.
Vorrei dirlo a voce alta ma
mi trattengo.
Forse per riguardo verso mio
padre.
Forse perché a dirlo
a voce alta risuonerebbe ancora più terribile.
"Parleremo in maniera
più approfondita la prossima volta" dice il dottor
Alfredi. "Per oggi hai già da metabolizzare abbastanza".
Non riesco a porre
obiezioni.
Non riesco a scaldarmi come
faccio di solito pretendendo di sapere tutto subito e nel modo più
diretto possibile.
Lui ha ragione.
Per oggi non ho più
la forza di sentire altro.
E il ricordo dell'altro
che ha passato mamma è più che sufficiente come
informazione.
"Domattina presentati
in oncologia per la pet alle nove. Devi essere a digiuno dalle nove
di stasera, ma cerca di bere più che puoi" mi spiega la
Lisandri. "Ti verrà somministrato un radiofarmaco tramite
un'iniezione endovenosa, circa tre quarti d'ora prima dell'esame. In
questo lasso di tempo dovrai startene tranquillo a riposo e bere
molto. L'esame dura circa mezzora, più quindici minuti in cui
verrai tenuto sotto osservazione prima di poter tornare a casa. Per
ventiquattro ore sarai radioattivo, quindi dovrai evitare il contatto
con bambini o donne in età fertile. Domande?"
"No."
"Io e il dottor Alfredi
ti aspettiamo qui nel mio studio venerdì alle dieci, per
discutere dell'esito della pet e del piano terapeutico."
"Va bene. Posso andare
adesso?"
"Sì, puoi andare
Leo".
Mi
alzo dalla sedia, stupendomi di essere in grado di camminare, e mi
dirigo verso la porta.
Afferro
la maniglia, ma sento la mano di mio padre trattenermi per un
braccio.
La
sua presa è salda e non accenna a lasciarmi.
Mi
volto a guardarlo e il suo viso mi appare tirato e con gli occhi
lucidi.
Mi
tira a sé e mi stringe in un lungo abbraccio.
Io
mi accoccolo sul suo petto, facendomi cullare dal suo respiro e
dall'odore della sua acqua di colonia.
Restiamo
così per un tempo indefinito, in silenzio, mentre lui mi
accarezza i capelli.
Mi
fa sentire al sicuro e protetto.
Come
non succedeva da tempo.
Come
solo gli abbracci di mamma riuscivano a fare.
Esco
dall'ospedale correndo a più non posso fino al parcheggio
senza guardarmi indietro e raggiungo in fretta l'auto.
Trattengo
ancora le lacrime mentre aspetto che arrivi mio padre, ma appena lui
fa scattare le serrature mi affretto ad entrare e non resisto più.
Mi
prendo la testa tra le mani e piango.
Piango.
Piango
tantissimo.
Piango
fino a che la testa mi fa male.
Mi
appoggio stancamente allo schienale del sedile, girando la testa
verso il finestrino, guardando il paesaggio familiare della strada
verso casa.
Faccio
fatica a prendere fiato.
Le
gambe mi tremano.
Ho
la gola secca e dolorante.
Sono
distrutto.
Distrutto
come mai credevo di poter essere.
La
gamba mi fa male.
Ma
sono quasi grato a questo dolore.
Mi
distrae da tutto quello che sta andando in mille pezzi.
Osservo
le foto alle pareti della mia camera.
Il
borsone della pallanuoto sul pavimento vicino all'armadio.
I
libri e i quaderni di scuola abbandonati sulla scrivania a prendere
polvere.
Il
mio casco.
L'elastico
blu per capelli che Giulia ha dimenticato sul mio comodino.
Tutto,
intorno a me, mi riporta momenti felici.
Rischio
di mettermi a piangere di nuovo.
Non
riesco a credere che il mondo mi stia crollando addosso.
Osteosarcoma.
No.
No.
Non
pensarci.
Non
adesso.
Non
ancora.
Faccio
un respiro profondo.
Osteosarcoma.
Questa
parola indugia, triste e pesante, nella mia testa.
Cerco
disperatamente di tenere a bada le mie emozioni.
Ma
l'enormità di questa parola mi sommerge a poco a poco.
Osteosarcoma.
È
un dolore straziante.
Tutte
le mie difese crollano di nuovo.
Le
lacrime sono inarrestabili.
Mi
accascio sul letto e piango.
Soffoco
un urlo contro il cuscino.
Poi
un altro e un altro ancora.
La
rabbia dentro di me cresce sempre più.
È
un dolore indescrivibile.
Il
dolore alla gamba non è niente.
Niente
in confronto a questa devastazione.
Mi
rannicchio.
Stringo
disperato il cuscino.
Mi
abbandono alla disperazione.
E
all'improvviso so, senza alcun margine di dubbio, che se anche
riuscirò a sconfiggere la Bestia e ad uscire vivo da questa
storia, una parte di me è già morta per sempre.
Giulia
controlla ancora una volta il telefono, nel caso non l'abbia sentito
squillare, ma niente: nessun messaggio e nessuna chiamata di Leo.
Comincia
ad essere molto in pensiero.
Sono
già le sei di pomeriggio e a quest'ora Leo dovrebbe già
essere a casa, dal momento che aveva l'appuntamento in ospedale alle
tre.
Resiste
all'istinto di chiamarlo, per non risultare invadente, ma non riesce
a non essere in ansia. "Dai
facciamo questo test!" esclama Arianna prendendo dalla scrivania
di Giulia una biro. Giulia
dà un'occhiata alla rivista aperta sul letto: "Che test
è?!"
"Qual
è il tuo ragazzo ideale!"
"Dai
Ari, non mi va".
Giulia
ce l'ha già, il suo ragazzo ideale e non le interessa fare uno
di quegli stupidi test che piacciono tanto ad Arianna.
"Dai!"
insiste Arianna. "Lo so che tu l'hai già trovato, ma è
divertente farlo insieme!"
"E
va bene, su. Leggi la prima domanda!".
Magari
servirà a distrarla.
"Primo
appuntamento: a) cinema; b) passeggiata romantica; c) aperitivo in
centro."
"Non
c'è il centro commerciale?" domanda Giulia sorridendo.
"No!"
le risponde Arianna scuotendo la testa. "Io scelgo l'aperitivo.
Tu?"
"Mah...
non lo so! Forse il..."; lo squillo del cellulare che le
annuncia un messaggio WhatsApp la fa sussultare e la interrompe di
botto; è Leo: "Sono a casa. Puoi venire?".
"Arrivo
subito" gli risponde mettendoci un sacco di tempo perché
le tremano le mani e deve di continuo cancellare gli errori che fa.
"Giuli,
che c'è?" le chiede Arianna allarmandosi. "Devo
andare da Leo. Subito. Scusami ma..." dice alzandosi dal letto e
calzando i sandali.
"Brutte
notizie?"
"Non
lo so. Ho paura". Giulia è in preda all'angoscia e
trattiene le lacrime a stento. "Vuoi che ti accompagni fino a
casa sua?"
"No,
no, vado da sola".
È
Asia
ad aprirle la porta: "Ciao Giulia...".
Giulia riesce a rispondere
al saluto a stento: Asia ha gli occhi rossi, deve aver pianto molto e
questo non fa che alimentare la sua paura.
"Ciao..."
risponde con un filo di voce. "Leo è nella sua stanza?"
"Sì,
è in camera sua, ma non so se sia sveglio..."
"Mi
ha appena scritto."
"Ah, ok, vai pure
allora".
Giulia sta per bussare alla
porta della stanza di Leo ma poi si volta di nuovo verso Asia: "Cosa
gli hanno detto in ospedale?".
Asia prova ad accennare un
sorriso rassicurante, ma non le viene molto bene. "È
meglio se te ne parla lui".
Giulia cerca di farsi
coraggio e bussa alla camera di Leo per poi entrare e richiudere la
porta.
La stanza è in
penombra e Leo è sdraiato sul letto, ma si tira su a sedere
non appena lei entra. Giulia si avvicina al letto titubante: Leo
appare stravolto e lei dubita di essere in grado di sostenere tutta
quell'angoscia.
"Amore..." lo
chiama piano.
"Ciao... vieni qui"
le dice con la voce rotta, battendo la mano sul materasso.
Giulia si avvicina a lui col
cuore che le batte fortissimo: sembra stare peggio di quando in preda
all'incubo le ha dato un calcio sul naso; si siede sul letto, vicino
a lui, e aspetta.
Leo impiega qualche secondo
prima di decidersi a parlare e quando lo fa non riesce comunque a
guardarla e fissa un punto indistinto della parete: "Non potrò
venire a Londra..."
"Ma... cosa vuoi che me
ne freghi adesso di Londra?!" esclama esasperata mentre lui le
rivolge uno sguardo angosciato, cercando la forza per dirle la
verità.
E ad un tratto Giulia la
intuisce, la verità: "Oh mio Dio… Perché
non puoi venire...?! No..., ti prego..."
"Sì..."
sospira Leo. "Ho un osteosarcoma e pare che ne avrò per
un bel po'...".
Giulia è sconvolta.
Lo
guarda negli occhi e all'improvviso il mondo le crolla addosso.
Non riesce a credere a
quelle parole.
La
consapevolezza di quello che lui ha appena detto la schiaccia senza
pietà.
Vorrebbe essere forte.
Vorrebbe almeno
atteggiarsi forte.
Sa che l'ultima cosa di cui
lui adesso ha bisogno è di vederla crollare.
Ma fallisce miseramente.
Si
rende conto di tremare mentre la prima lacrima le scende sul viso.
Ne
seguono molte altre.
Non
riesce a muoversi.
Leo
la stringe forte fra le braccia e lei si abbandona contro il suo
petto.
Vorrebbe urlare a
squarciagola.
Non può rischiare di
perderlo.
Piange ancora più
forte.
Lui le prende il viso
bagnato tra le mani e la guarda negli occhi: "Guarda che non
ho nessuna intenzione di morire, eh?!" esclama sorridendo.
Giulia sorride tra le
lacrime: "Me lo prometti?"
"Te lo prometto. Non mi
perderai. Perderai solo i miei capelli" dice cercando di
sdrammatizzare.
Si stringe a lui.
Vorrebbe non pensare più
a nulla.
Vorrebbe poter fermare
quest'istante per sempre.
Prima che la catastrofe li
travolga.
Restano
abbracciati per parecchio tempo.
Leo
la tiene stretta a sé, accarezzandole la testa e baciandole i
capelli finché lei non smette di piangere.
"Dormi qui stasera?"
le chiede rompendo il silenzio all'improvviso.
Giulia si stacca
dall'abbraccio per guardarlo: "Eh?!"
"Dico sul serio.
Domattina devo fare la pet e sarò radioattivo per ventiquattro
ore quindi non potremo vederci."
"Non credo che i miei
sarebbero molto dell'idea."
"Neanche se gli dici
che ho un osteosarcoma?"
Giulia scuote la testa:
"Credo che anche tuo padre non sarebbe d'accordo."
"Mio padre in questo
momento esaudirebbe qualsiasi mio desiderio, fidati! Dì ai
tuoi che dormi da Arianna o da Cecilia."
"Controllano sempre
quando mi fermo da loro...".
E,
rassegnato, Leo non insiste oltre.
Asia
tentenna prima di bussare alla porta della stanza di Leo. Sa bene
quanto sia meglio stare alla larga dal Leone quando è ferito e
arrabbiato col mondo.
"Avanti!"
dice Leo quando lei finalmente si decide a bussare.
Lui e Giulia sono sdraiati
abbracciati sul letto ad ascoltare la musica dall'i-pod di Leo, con
una cuffia ciascuno nell'orecchio.
"Scusate il disturbo,
ragazzi. Io sto andando a fare la spesa. Vi porto un bel gelato?"
chiede loro restando ferma sull'uscio.
Solitamente Leo si
infastidisce quando sua sorella lo tratta come un ragazzino,
soprattutto davanti agli altri, ma non oggi.
Oggi no.
Oggi la sua premura lo fa
sorridere.
"Sì, grazie"
le risponde. "Il solito per me. Cioccolato e biscotto per
Giulia".
"Perfetto! Vado,
allora!"
"Grazie" sorride
Giulia un po' imbarazzata.
"Papà?"
domanda Leo quando Asia sta per richiudere la porta.
"E' andato a lavoro".
Asia non ha bisogno di dire
altro. Leo sa che suo padre si è preso parecchi permessi,
ultimamente, per accompagnarlo in ospedale e sa che molti altri ne
dovrà prendere e che quindi quando può deve andare in
caserma, anche in un giorno come questo.
Forse soprattutto in
un giorno come questo.
Giulia tiene la testa
appoggiata sul petto di Leo, godendosi le sue carezze, mentre i Sum41
cantano With me.
I want you to know: with
everything, I won't let this go These words are my heart and
soul I'll hold on to this moment, you know 'Cause I'd bleed my
heart out to show that I won't let go.
Leo
si scosta un po', girandosi verso di lei: "Ti amo, lo sai?"
"Sì,
lo so. Ma tu dimmelo lo stesso" sorride Giulia baciandolo sulle
labbra. "Ti
amo" le ripete afferrandole il viso con entrambe le mani,
guardandola negli occhi.
Le
labbra di Leo si avventano sulle sue.
Lei
le schiude e lui la bacia con passione cieca, quasi con violenza,
come se stesse
riversando in quel bacio tutta l’angoscia e il dolore degli
ultimi giorni.
E'
come se dentro questa passione tutto possa svanire.
Tutto.
L'angoscia.
Il
dolore.
La
paura.
Tutto.
Rimangono
solo loro e la passione che li pervade.
Giulia
gli affonda le mani nei capelli, non riuscendo a non pensare al fatto
che a breve non potrà farlo più, per chissà
quanto tempo, mentre sente la mano di Leo scendere lungo il proprio
corpo, fino ad afferrarle una coscia, attraverso il vestitino.
Leo
interrompe il bacio ansimando.
I
suoi occhi sono febbricitanti di desiderio.
Lei
cerca di riprendere fiato mentre lui la bacia sul collo, scendendo
poi lungo lo sterno; lo lascia fare mentre le abbassa le spalline del
vestitino e del reggiseno, mentre la scopre, mentre ammira ancora una
volta la perfezione del suo seno: così rotondo, così
bianco, così morbido.
Gli
si mozza il fiato in gola a quella vista e rimane ad ammirarlo finché
si accorge che lei è arrossita per l'imbarazzo; smette allora
di guardarla e si avvicina
piano
a baciarle i capezzoli che nel frattempo si sono inturgiditi.
Comincia a leccarne uno, lo mordicchia, lo succhia, fino a sentirla
gemere, mentre con una mano le accarezza l'altro seno. Il corpo di
Giulia è attraversato da mille brividi caldi.
Il
suo respiro accelera, mentre Leo prosegue il suo frenetico assalto:
le sue mani sono ovunque, la sua bocca è inarrestabile.
Insaziabile.
Vuole,
con tutte le sue forze, mandare via quel dolore che lo attanaglia
Ha
bisogno di trovare un senso a quello che gli sta capitando.
Ha
bisogno di non pensare più a niente.
Ha
bisogno di distogliere la mente da questo fottuto incubo da cui non
riesce a svegliarsi.
Ha
bisogno di trasformare questo giorno orribile nel più bello
della sua vita.
Si
toglie in fretta la maglietta, come se fosse in fiamme.
Giulia
intreccia le mani sulla sua nuca e lo attira verso di sé per
baciarlo ancora; le sembra
di stare precipitando in un vortice da cui non potrà più
uscire.
Vi
sta cadendo dentro in modo inesorabile.
Leo
è stretto al suo corpo.
La
sua pelle nuda è calda.
Le
sue braccia la stringono.
Si
aggrappano a lei come se fosse l'unica cosa che gli è rimasta
al mondo.
Come
se lei fosse l'unico appiglio nella tempesta che lo ha travolto.
Lo
sente muoversi su di sé.
Il
vestito è salito, scoprendole completamente le gambe.
Sente
chiaramente la sua erezione premere insistente in mezzo alle proprie
gambe, attraverso le mutandine e capisce di stare definitivamente
perdendo il controllo.
Gli
accarezza il petto nudo, compatto, liscio;
lo guarda negli occhi senza riuscire a distogliere lo sguardo, in un
miscuglio di eccitazione e paura, di istinto e desiderio.
Esiste
solo lui.
Lui
e i suoi occhi verdi che la guardano tradendo l'impaziente
eccitazione.
Lui
e tutto il suo dolore, la sua devastazione, che in questo momento
sembra voler dimenticare.
Lui
e la sua pelle calda che lei accarezza piano, scendendo dal petto
all'addome e poi più giù, sempre più giù,
superando l'elastico dei boxer, fino a slacciare il primo bottone dei
jeans, e poi
il secondo, e il terzo, e il quarto.
Giulia
si spinge più in là, dove non ha mai avuto il coraggio
di spingersi
prima di adesso.
A
Leo sembra di impazzire quando sente la sua mano insinuarsi oltre
l'elastico dei boxer e sfiorarlo con le dita, per poi iniziare ad
accarezzarlo con sempre più confidenza.
Si
avvicina per baciarla, mentre Giulia è ormai padrona della
situazione e lo tocca con sicurezza sempre maggiore.
Più
il tocco di Giulia diventa sicuro, più il bacio di Leo diventa
impaziente.
Sentirlo
così famelico e appassionato la fa impazzire.
La
paura si arrende, per lasciare spazio solo al desiderio.
Lo
libera dai jeans.
Gli
abbassa i boxer.
Non
desidera altro che sentirlo dentro di sé.
Lo
vuole.
Non
ha mai voluto niente di più in tutta la sua vita.
Leo
scende con la bocca sul suo seno, prende un capezzolo tra le labbra,
cercando ancora disperatamente di evadere dal proprio incubo.
Ma
il dolore è ancora lì.
Preme
con violenza per uscire.
E
lui non vuole soffermarcisi.
Non
desidera altro che affondare dentro di lei.
La
vuole.
Non
vuole più pensare ad altro.
Le
mani si dirigono verso le sue mutandine.
Gli
basta poco per rendersi conto che sono completamente bagnate. La
sfiora con le dita, facendola gemere. Il respiro di Giulia si
blocca di colpo quando sente le mani di Leo afferrare i bordi delle
sue mutandine e farle scivolare lentamente giù.
Lo
guarda negli occhi e, oltre il desiderio, vede ancora angoscia e
dolore.
E
ha paura.
Ha
paura di annegare anche lei in tutto quel dolore.
Ha
paura di non riuscire più a riemergerne.
"Fermati,
Leo" gli dice afferrandogli le mani per fermarle.
Lui
la guarda perplesso. "Che c'è?" le chiede dolcemente
baciandola sul viso. "Hai paura?"; le sue labbra scendono
lungo il collo, mentre le sue mani riafferrano il bordo delle
mutandine. "Ti giuro che farò piano..."
"No!"
esclama Giulia spostandolo con forza e tirandosi su a sedere.
Leo
rimane fermo a guardarla, accigliato, in ginocchio, ignorando il
dolore alla gamba.
Al
momento, la ferita all'orgoglio brucia molto di più: "Scusa
tanto, eh?! Mi sembrava ne avessi voglia!"
"Sì,
ne avevo voglia. Ne ho
voglia. Ma la nostra prima volta non può essere così..."
"Così
come?!" chiede lui con tono evidentemente risentito, mentre
cerca i propri vestiti. "Non capisco dove sta il problema!"
"Siamo
devastati da quello che ci sta capitando! Non voglio che fai l'amore
con me per distrarti, per non pensare. Voglio che tu sia sopraffatto
da
me
mentre facciamo l'amore, non dall'angoscia!".
Leo
scende dal letto e indossa i boxer e la maglietta: "Tutto quello
che ci
sta
capitando?!" esclama alzando la voce. "E' a
me
che sta capitando tutto! Sono io
che ho appena perso mia madre, dopo averla vista stare male e lottare
inutilmente! E sono io
che adesso sto male e dovrò lottare senza sapere che fine
farò! Sì, sono angosciato! Sì, non so nemmeno
come cazzo mi reggo ancora in piedi! Ma ti assicuro che ero riuscito
a mettere da parte tutto ed è da
te che
ero sopraffatto! E se ci riesco io
non vedo perché non devi riuscirci tu!".
Finito
lo sfogo, Leo, come svuotato, si lascia ricadere sul letto, con le
mani incrociate dietro la testa, a fissare il soffitto, provando a
regolarizzare il respiro.
Giulia
rimane in silenzio mentre si mette a posto il reggiseno e il vestito;
quando finalmente è sicura di riuscire a non piangere, si
decide a parlare: "Non sta capitando solo a
te.
Sta capitando anche a me,
a tuo padre, a tua sorella, ai tuoi amici. Non sentirti in diritto di
essere l'unico a soffrire!".
Si
era sbagliata.
Non
riesce a non piangere.
Ma
stavolta Leo non la consola.
Stavolta
Leo non riesce ad essere forte anche per lei.
|