Friendship Is Love Without His Wings

di Lady I H V E Byron
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Note dell'autrice: stavolta ho voluto pubblicare di sabato sera, a venti minuti da mezzanotte sai che io ti penserò... Ovunque tu sarai sei mia... E stringerò il cuscino... Ehm... scusate, ho divagato, di nuovo. Oh, beh, tanto nessuno segue questo ciclo di storie... Già vi dico che qui difendo noi "artisti", anche se inutilmente...
 

Mimo

 
Solitamente, quando una persona comincia un discorso con “C’erano un inglese e un italiano”, sembra raccontare l’inizio di una barzelletta.
Ma quanto verrà raccontato non sarà una barzelletta.
Forse non completamente.
-Parlatemi ancora del libro che avete scritto, professore…-
Per alcuni può sembrare strano, ma ad aver detto “professore” era un uomo sulla cinquantina, rivolto ad un giovane di circa ventun anni di meno di lui.
L’altro sorrise a quella richiesta.
-Ne vado particolarmente orgoglioso, mio caro…- disse l’altro; il suo italiano era grammaticalmente corretto, ma lo parlava con accento anglo sassone –Perché parlo della mia gente, di cosa siamo costretti a vivere ogni giorno e che, spesso, basta un attimo per comprendere la nostra intera vita. Ma anche voi, se non sbaglio, avete intenzione di scrivere qualcosa di simile, no?-
Il più anziano nascose la bocca dietro una mano, mentre con l’altra girava lo zucchero nel caffè.
-Credo di sì, ma non ne sono sicuro…- disse, storcendo la bocca –Ma dicono che i miei scritti siano troppo complicati da comprendere. Anche voi li avete letti, professore, voi cosa ne pensate?-
-Per quello che vale, mi sono piaciuti molto. Siete riuscito ad entrare nelle teste dei vostri personaggi, mostrando ai lettori la loro vera natura, un po’ come ho fatto io in “Dubliners”…-
-Ma anche voi avete subito critiche di questo tipo, mi sbaglio?-
-Sì, effettivamente non avete tutti i torti…- notò il più giovane, mettendosi più comodo sulla propria sedia –Perché la gente non comprende ciò che noi scrittori vogliamo mostrare loro? Siamo noi che usiamo un linguaggio non adatto alla gente comune, o non trattiamo di un argomento facile di cui conversare con gli amici, oppure sono loro che non hanno abbastanza cervello per i nostri scritti?-
Nemmeno l’uomo più anziano sapeva dare una risposta a quella domanda.
Restò qualche istante a fissare il vuoto, prima di bere il suo caffè, ormai tiepido.
Distrattamente, si voltò verso la piazza: un discreto numero di persone si erano accerchiate intorno ad un artista di strada.
Un mimo.
Li stava intrattenendo con la sua arte, un’arte che sembrava gradita ai propri spettatori.
Persino lui sorrise.
-Professor Joyce, guardate quel mimo…- intimò al più giovane –Il suo mestiere, come dice il nome, è quello di mimare. Mimare la vita, piccoli gesti della vita quotidiana. Una cosa che, a parer mio, sembra eseguire molto bene. Ciascun artista descrive il mondo con la propria arte. Lui quella visiva, noi quella letteraria. Facciamo tutti del nostro meglio per spiegare alla gente quello che vogliamo descrivere, mostrare, esporre, con quello che sappiamo fare meglio. E se non veniamo subito compresi, pazienza, sono i lettori, in fondo, a perdere…-
Il professore rifletté qualche istante su quelle parole. Poi sorrise lievemente, ritrovando un’altrettanta lieve speranza.
-Vi ringrazio, signor Schmitz…-




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