IL
PRINCIPE DEI CAVALLI
“Io
lo detesto.”
Lo
disse pacatamente, aggrottando appena le sopracciglia, senza neppure
sognarsi di tirare il telecomando contro il muro come avrebbe avuto
una gran voglia di fare.
Sul
piccolo schermo stavano scorrendo le immagini di un DVD. Il
Principe dei Cavalli, si
chiamava, e mostrava una delle
innumerevoli performance
artistiche di Franz
Josef von
Seydlitz, giovane promessa del dressage austriaco.
In una
pista notturna, sapientemente illuminata da opportuni riflettori,
l’affascinante cavaliere dava spettacolo in sella ad un
maestoso
stallone dal manto candido.
Non si
trattava di una ripresa di dressage, e nemmeno di una Kur. No, lui
era vestito come una specie di principe delle favole, solo con
più
lustrini, e faceva muovere il cavallo a tempo con un corpo di ballo
di ragazze seminude.
“Lo
detesto,” ripeté Holger Neumann, giovane promessa
del dressage
tedesco.
“Però
guarda quel piaffer,” disse sua
sorella Ursula detta Uschi,
seduta accanto a lui sul divano.
Cosa
Rara, l'ormai
celeberrimo lipizzano di von Seydlitz, un niveo
susseguirsi di michelangiolesche rotondità, stava
saltellando sul
posto con una grazia che faceva sembrare le ballerine seminude
altrettanti sacchi di patate.
“Guarda
che bei movimenti eleganti,” gli fece notare il suo
allenatore,
seduto dall'altro lato rispetto alla sorella.
Holger
non replicò.
Non era
sua abitudine recriminare con livore, non era ciò che gli
era stato
insegnato.
Ma
certo se nella vita non avesse avuto altro da fare che provare figure
di dressage, se avesse potuto scegliere sempre i cavalli migliori, se
avesse avuto un rettangolo personale dove andare ogni volta che ne
aveva voglia, forse, forse, anche il
suo piaffer sarebbe stato
un capolavoro di grazia ed eleganza come quello che stava osservando.
“Non
farmi vedere gli speciali,” disse soltanto.
Gli
speciali contenevano fra le altre cose un'intervista a von Seydlitz.
Il
giovane viennese, una specie di fotomodello biondo, con gli occhi
azzurrissimi che risaltavano su una perfetta abbronzatura, spiegava
all'estasiata giornalista che il suo obiettivo era quello di mostrare
ai giovani la disciplina del dressage, fino a quel momento sport
elitario e poco conosciuto al di fuori degli ambiti specialistici.
La
pronuncia nasale a vagamente cantilenante tipica della sua
città era
quanto di più altezzoso e snob si potesse immaginare.
“E
quindi, Franz... ti posso chiamare Franz, vero?”
“Ma
certamente.” Sorriso patinato da rockstar.
“Dicevo,
Franz, quindi il tuo scopo è rendere più
conosciuta questa bella
specialità dell'equitazione?”
“Assolutamente
sì. Vedi, io ho sempre amato il dressage e credo che la
gente lo
praticherebbe molto più volentieri se solo riuscissimo a
renderlo un
po' più... accattivante?”
Sguardo
come d'intesa fra i due.
“Cosa
intendi con accattivante?”
“Essenzialmente
più adatto ai giovani. Via i completi scuri, via il plastron
e quel
ridicolo cilindro. Il dressage è arte, e come tale rifugge
le
costrizioni.”
Holger
conosceva quella tiritera ipocrita a memoria. L'aveva vista tutta da
cima a fondo almeno cinque volte.
Scempiaggini
sulla libertà d'espressione e sull'innovazione, con
inquietanti
sbandate verso la monetizzazione delle performance artistiche.
“Si
pagano le belle automobili e i begli abiti, perché non si
dovrebbe
pagare l'arte?”
Arrivato
a quel punto normalmente spegneva con stizza il televisore e se ne
andava.
Franz
Josef von Seydlitz era un odioso figlio di papà pieno di
soldi, la
cui principale preoccupazione nella vita era sempre stata
essenzialmente spendere i soldi paterni.
Animato
da questo nobile intento, aveva inventato una specie di spettacolo
che mescolava elementi di alta scuola con coreografie o trovate
teatrali di dubbio gusto, come costumi con le paillettes, ballerine e
riflettori.
Coadiuvato
da un entourage di tecnici, dal costumista dedicato per i finimenti
del cavallo all'esperta di immagine che curava il suo look,
aveva anche raggiunto una certa notorietà.
Le
ragazzine compravano i suoi poster, andava per la maggiore quello
dove posava vestito come Legolas in sella
al suo cavallo, per
l'occasione bardato con finimenti vagamente fantasy, oppure
lasciavano sul suo blog commenti che consistevano in file
interminabili di faccine estasiate e cuoricini pulsanti.
Si
fosse limitato a quello, Holger l'avrebbe disprezzato, magari, oppure
avrebbe riso dei suoi spettacoli e se ne sarebbe dimenticato due
secondi dopo.
Ma no.
Non si
limitava a quello, non era pago di spendere in complete idiozie soldi
non suoi.
No, il
signorino faceva anche le gare. Quelle ufficiali, col plastron e il
ridicolo cilindro.
E le
vinceva, pure.
§
“Io
lo detesto!”
Lo
esclamò con veemenza, mandando il tumbler di cristallo a
frantumarsi
sul pavimento di marmo policromo.
Subito
dopo Franz Josef von Seydlitz spense con un gesto di stizza l'enorme
televisore sul quale aveva appena visto un orrendo filmato
amatoriale, una miseria mossa e sfocata fatta da qualche parente
volenteroso, probabilmente con una videocamera di sottomarca ottenuta
coi punti della benzina.
Non era
stata comunque la qualità delle immagini a metterlo di
cattivo
umore.
Holger
Neumann, era lui che gli aveva letteralmente rovinato la giornata.
Lui e
il suo dannato passage.
Il
Prussiano – in realtà era di Braunschweig, ma per
un austriaco che
si rispetti ogni tedesco è un maledetto Preuße
– riusciva
a far muovere il suo cavallo con un impulso assolutamente magnifico.
Sembrava una molla pronta a scattare da un momento all'altro. Le
anche erano semplicemente due blocchi di energia allo stato puro.
E dire
che non era certo un cavallo particolarmente pregiato.
O
meglio, senza dubbio lo era stato in gioventù.
Era
Kaiser
Wilhelm, un baio
che ai suoi tempi aveva addirittura
disputato un'olimpiade, anche se non gli risultava che si fosse
piazzato tra i vincitori.
Il
cavallo non era neppure suo. Anche se ormai era un animale
vecchiotto, coi suoi modesti mezzi Neumann non se lo sarebbe mai
potuto permettere.
No, era
del suo istruttore, tale Albert Berner, che visto il suo talento
gliel'aveva prestato.
Sbuffò
sempre più infastidito.
L'odioso,
detestabile Holger Neumann era il classico bravo ragazzo di umili
origini, straripante di buona volontà e buoni sentimenti.
Nell'unica
sua intervista che era riuscito a racimolare, poche frasi
approssimative su un giornaletto di provincia, il Preuße
raccontava con malcelato orgoglio di quando da ragazzino faceva le
pulizie nelle stalle per pagarsi le lezioni di equitazione.
“Diciamo
che soldi ne ho sempre avuti pochi, così mi sono adattato a
fare un
po' di tutto per coltivare la mia grande passione.”
“Per
esempio?”
“Oh,
quel che c'era. Quando ero piccolo facevo lavoretti in casa, lavavo i
vetri da mia nonna, o raccoglievo le foglie in giardino.”
“Quanti
anni avevi?”
“Sette,
forse otto.”
“Ma
che bravo!”
“Poi
quando sono stato più grande ho cominciato a dare una mano
in
scuderia, o a fare lavori durante le vacanze estive.”
E una
serie di dolciastri aneddoti da boy scout.
“In
fondo sono anche contento, facendo così impari a dare alle
cose il
giusto valore. Ciò che ti guadagni con fatica giorno dopo
giorno ha
un sapore del tutto diverso da quello che ricevi in regalo senza fare
alcuno sforzo per ottenerlo.”
Una
frecciata?
La
prima volta che la pagina del giornale gli era capitata sottomano
l'aveva appallottolata e buttata via, tanto era stato il fastidio che
gli aveva procurato.
Se
c'era una cosa che non sopportava, era chi si faceva un vanto della
propria condizione modesta comportandosi come se la virtù
fosse
appannaggio esclusivo dei redditi bassi.
Il
più
delle volte i poveri erano virtuosi solo perché non potevano
permettersi i vizi, ma sarebbe bastato fornire loro i mezzi e si
sarebbero trasformati in altrettanti gaudenti senza principi morali.
Anche
quel Neumann, che raccontava con orgoglio di andare a letto alle nove
e di alzarsi alle cinque per andare due ore in scuderia prima del
lavoro, avrebbe fatto ben altro se solo ne avesse avuto la
possibilità, ne era certo.
Andò
in camera, spalancò le ante di un elaborato trumeau Luigi
XIV e
abbassò la ribalta dello scrittoio, mettendo a nudo una
raccolta di
foto e ritagli di giornale diligentemente custodita negli
innumerevoli anfratti del prezioso mobile.
C'era
anche la famosa pagina appallottolata e poi nuovamente stesa. In
archivio assieme all'altro materiale.
La
tirò
fuori, rilesse l'intervista per l'ennesima volta, finendo
invariabilmente per provare la stessa sensazione di fastidio.
Perché
proprio il dressage? Perché non si era dedicato a sport meno
elitari? Cosa voleva dimostrare?
Non
poteva sposarsi, mettere su famiglia, fare le cose che fa di solito
una persona della sua estrazione sociale? Almeno non l'avrebbe
più
avuto fra i piedi.
Rimise
via il giornale con un gesto di stizza e richiuse le ante del trumeau
augurandosi che il mobile fosse una specie di buco nero in grado di
inghiottire e cancellare dalla faccia della terra tutta l'inopportuna
esistenza di Holger Neumann.
§
“Holger,
vieni a vedere. Ho un altro DVD di von Seydlitz.”
“Uno
dei suoi stramaledetti spettacoli, signor Berner?”
“No,
questa volta è la gara di Innsbrück. Categoria
M.”
“Vengo
subito allora.”
Holger
si sedette accanto all'istruttore sul divano. Immediatamente dopo
anche Uschi si unì a loro.
Tutti e
tre cominciarono la visione in religioso silenzio.
Ed
eccolo, von Seydlitz. Disinvolto, elegante, quel tanto di
eccentricità che il rigido regolamento del dressage
consentiva in
fatto di abbigliamento.
Ma non
era la sua tenuta, naturalmente, che teneva i tre con gli occhi
incollati allo schermo. Essi seguivano come ipnotizzati i suoi
precisi movimenti.
“Signor
Berner, guardi quell'alt,” disse Holger, stringendo fra le
dita due
immaginarie redini per mimare il comando.
“Molto
accurato,” fu il sobrio commento dell'istruttore.
Holger
non ebbe cuore di rivolgergli la domanda che subito gli era venuta in
mente: “È
meglio o peggio del mio?”
Temeva
che la risposta non gli sarebbe piaciuta.
Lo
vedeva da solo, del resto, che von Seydlitz aveva classe. Il
suo cavallo si muoveva fluido e preciso, rispondendo magnificamente
ai comandi. Sembrava quasi che non toccasse nemmeno terra con gli
zoccoli quando trottava.
“Qui
ha esagerato con la gamba,” gli giunse di nuovo la voce
dell’istruttore, “troppa flessione. Ecco, qui deve
correggersi,
vedi?”
“Mi
fa piacere constatare che almeno non è
infallibile” brontolò
Holger, al quale comunque il giovane cavaliere sullo schermo
continuava a sembrare terribilmente perfetto.
“Che
sciocchezze, Holgi, nessuno è infallibile!”
protestò la sorella.
Sembrava
dannatamente difficile da credere, vedendo quel filmato.
§
“Mi
hai portato quello che ti avevo chiesto?”
“Sì,
signor von Seydlitz.”
“Molto
bene, speriamo che stavolta si riesca a vedere qualcosa di
decente.”
Stufo
di racimolare spezzoni di filmati amatoriali e foto sgranate su
giornali sportivi a bassa tiratura, Franz aveva spedito uno dei
tecnici che curavano le riprese dei suoi spettacoli a Hannover con
una videocamera professionale, per filmare la ripresa di Holger
Neumann in maniera finalmente accettabile.
Chiamò
i suoi istruttori, un pool composto da Katherine Hopkins, ex
olimpionica, Hans-Gottfried Schmidt, istruttore federale
nonché
giudice di gara, e Stephan Vogl, a sua volta ex olimpionico sia di
dressage che di completo e attualmente istruttore alla Spanische
Hofreitschule di Vienna.
Evitò
di chiamare i coreografi e gli scenografi dei suoi spettacoli, ci
sarebbe stato da parlare di cose squisitamente tecniche che solo chi
si intendeva di alta scuola avrebbe potuto capire.
In un
religioso silenzio, le immagini cominciarono a scorrere
sull’enorme
schermo LCD dell’home theatre di von Seydlitz.
Ed
eccolo lì Holger Neumann, una patetica giacchetta stretta di
spalle,
probabilmente prestata dal suo istruttore come il cavallo, i guanti
bianchi da poco prezzo, una generica aria dimessa.
Ma
tutte le pecche di eleganza e portamento erano ampiamente compensate
dalla perizia tecnica.
“Very
good,”
commentò la Hopkins con la sua vocetta acuta quando
vide Neumann eseguire un’appoggiata al galoppo.
“Qui
c’è penalità,”
sentenziò invece Schmidt un attimo dopo, “non
ha il cavallo perfettamente alla mano.”
Vogl
mantenne un impenetrabile riserbo, limitandosi a seguire con
attenzione la ripresa.
Von
Seydlitz conosceva bene quella particolare forma di riserbo ed
evitò
accuratamente di interrogarlo in proposito.
§
“Guarda,
Holger: su Lissy c'è un articolo che parla di von
Seydlitz!”
“Cosa
sarebbe Lissy?”
“Periodico
per ragazze appassionate di cavalli!”
recitò Uschi facendo la
vocetta da smorfiosa.
Sulla
copertina della rivista c'era un grazioso puledrino in una profusione
di fiori rosa, cuoricini e stelline. Era abbastanza chiaro quale
fosse il target del giornaletto: le stesse ragazzine che con ogni
probabilità intasavano di emoticon trepidanti il blog del Principe
dei Cavalli.
“E
tu
compri questa roba?”
“No,
ma ho visto che parlava di von Seydlitz e ho pensato che ti
interessasse. C’è il titolo in copertina: Eleganza e
stile in
chiave moderna: Franz Josef von Seydlitz.”
“A
me
interessa come avversario in una eventuale gara di dressage,”
ribatté Holger, forse un po' troppo bruscamente,
“cosa vuoi che mi
importi di quale macchina preferisce o di come si chiama la sua
ragazza?”
“E
che ne sai che parla di queste cose?”
“Perché
lo so. Sicuramente sarà andata ad intervistarlo qualche
giornalista
stupida che gli avrà chiesto un sacco di insulsaggini adatte
alle
ragazzine! Mi immagino già il genere: “E
dimmi, Franz – posso
chiamarti Franz, vero? – qual è il tuo gusto di
gelato preferito?”
Uschi
recuperò la rivista. “D'accordo, se non la vuoi me
la guardo io.”
Se la mise sottobraccio e fece per uscire.
“Aspetta!”
Holger la richiamò prima che arrivasse alla porta.
“Aspetta,
forse... c'è qualche foto delle sue gare.”
Distolse
gli occhi per evitare lo sguardo perplesso e vagamente indagatore
della sorella. Sapeva benissimo che non ci sarebbero state foto delle
gare nella rivista, e anche se ci fossero state se ne sarebbe fatto
ben poco. E allora perché aveva richiamato indietro Uschi
con tanta
veemenza? A cosa gli sarebbe servito leggere l'ennesima intervista in
cui von Seydlitz dava sfogo al suo dilagante narcisismo?
“Magari
sapere qualcosa di più su di lui potrebbe essermi
utile,” borbottò
tanto per darsi un tono.
§
“Signor
von Seydlitz, lei non mette la necessaria concentrazione
nell'allenamento,” lo rimproverò freddamente
Stephan Vogl.
Franz
strinse appena le dita sulle redini e Cosa Rara si
fermò in
un alt perfetto.
“Lei
non è concentrato,” ripeté Vogl
imperterrito, “continueremo
domani.”
E se ne
andò piantandolo lì su due piedi. Anzi, su
quattro, visto che era a
cavallo.
Von
Seydlitz sospirò. Era ovviamente indispettito, ma una parte
del suo
cervello riconosceva che l'istruttore aveva ragione: per tutto il
tempo aveva pensato a Neumann.
Aveva
spedito i suoi fotografi a procurargli immagini degli allenamenti del
Preuße. E non
pago di quelle, aveva anche ordinato loro di
portargli ogni genere di foto di Neumann, tutto quello che riuscivano
a trovare. Lui al lavoro, lui in palestra, lui con la sorella e
così
via.
Nessuno
gli aveva chiesto perché, naturalmente, ma era certo che la
domanda
assillasse un po' tutti.
Assillava
anche lui, in effetti. Perché foto della vita quotidiana del
Preuße?
Cosa gliene importava di che lavoro facesse o di come si chiamasse
sua sorella?
Eppure
in camera sua, sul piano della scrivania Luigi XIV che faceva pendant
col trumeau, c'era un mucchio di gigantografie cinquanta per trenta
che ritraevano Holger Neumann in ogni atto della vita quotidiana che
la decenza consentiva di immortalare.
“Sapere
qualcosa di più su di lui mi darà più
elementi per quando lo dovrò
affrontare,” aveva spiegato all'unico che avesse il titolo
per
fargli domande, ovvero l'istruttore federale Schmidt.
La
giustificazione non l'aveva convinto.
Eppure
era quello il motivo. Perché gli altri non volevano capirlo?
“Signor
von Seydlitz, il coreografo è arrivato.” La voce
della sua
segretaria che lo chiamava dal bordo del rettangolo lo distrasse da
ulteriori speculazioni su Neumann.
“Grazie,
gli dica che arrivo subito.”
Il
coreografo, Antonio Morales, era uno spagnolo di Siviglia che
normalmente curava gli spettacoli dei cavalli andalusi. Aveva dovuto
ingaggiarlo a caro prezzo e affiancargli un interprete, dal momento
che il suo tedesco lasciava alquanto a desiderare, ma nessuno sapeva
abbinare i movimenti di Cosa Rara e quelli
del corpo di ballo
meglio di lui.
Forse
lavorare al nuovo spettacolo mi aiuterà a distrarmi,
pensò von
Seydlitz abbandonando il rettangolo da dressage.
§
Holger
si guardò intorno: il capo era fuori, i colleghi con cui
normalmente
divideva l'ufficio erano uno a casa con l'influenza e l'altro in
pausa, così impegnato in una conversazione telefonica che
avrebbe
potuto cadergli il soffitto in testa e non se ne sarebbe nemmeno
accorto.
Rivolse
lo sguardo al suo computer. Sul desktop c'era una foto di von
Seydlitz a cavallo. Un'immagine presa da una gara, l'aveva trovata su
Google.
Frugò
nello zainetto e tirò fuori una rivista arrotolata. Lo fece
con
circospezione, perché si trattava di un periodico per
ragazzine e
non voleva fornire ai suoi colleghi un ulteriore motivo per sfotterlo
fino al giorno del giudizio. Era stata sfogliata innumerevoli volte,
tanto che le pagine erano ormai sgualcite e malconce.
La
aprì
nel mezzo, proprio dove era stato tolto il poster gigante di Legolas
a cavallo.
Eleganza
e stile in chiave moderna: Franz Josef von Seydlitz.
Rilesse
l'articolo, ormai lo sapeva a memoria.
Si era
persino imparato il nome della sua fidanzata, quello dei suoi gatti e
quello del suo primo cavallo. Sapeva di che colore erano le sue
macchine, come si chiamava il suo yacht, dove amava passare le
vacanze e che tipo di abbigliamento preferiva.
Fino a
quel momento però si era imposto un limite: non si vanno
a
vedere il sito internet e il blog (naturalmente c'erano gli indirizzi
alla fine dell'articolo).
Decise
di fare uno strappo alla regola.
Non
c'era nessuno, aveva una mezz'ora libera, il computer era connesso a
internet.
Magari
ci sono delle foto da scaricare, si disse
a mo' di
giustificazione digitando l'indirizzo.
Foto ce
n'erano a profusione. Non solo di lui a cavallo, ma anche di lui in
ogni possibile situazione. Lui in piscina col costume da bagno e il
cocktail con gli ombrellini, lui in smoking ad una serata elegante,
lui con la sua ragazza – un'altra rispetto a quella
dell'articolo –
lui in sella ad una potente moto e così via.
Scaricò
tutto.
Compulsivamente,
senza nemmeno domandarsi se una foto di von Seydlitz da bambino su un
cavallino di legno avrebbe mai potuto essergli di qualche
utilità.
Scaricò
anche la preview del suo nuovo spettacolo, Fairy
Tales, e se
la guardò, giungendo alla conclusione che la performance
artistica
raggiungeva apici di Kitsch e cattivo gusto fino a quel momento mai
toccati nemmeno nelle sue fantasie più perverse.
Cosa
Rara
era stato equipaggiato con due grottesche ali di tulle
bianco tutte piene di lustrini, che ad ogni movimento andavano
leggiadramente su e giù.
Von
Seydlitz era a sua volta dotato di ali ed era vestito tutto di
bianco, con un giubbetto di paillettes e una calzamaglia come se
avesse dovuto danzare il Lago dei Cigni.
“Mio
Dio,” commentò Holger con disgusto, ma nonostante
tutto non
riusciva ad interrompere la visione del filmato.
Si
soffermò a considerare che von Seydlitz era bello. E che la
calzamaglia aderente gli disegnava perfettamente i muscoli delle
cosce.
“Ancora
a guardare internet, Neumann?”
La voce
del suo capo gli fece fare un salto di mezzo metro sulla sedia.
Chiuse precipitosamente la pagina.
“Mi
scusi, io...” balbettò imbarazzato.
“Sì
sì, i tuoi soliti filmati dei cavalli. Ma in questo c'era
una
ragazza, o sbaglio?”
Probabilmente
il viso d'angelo e i capelli lunghi di von Seydlitz l'avevano tratto
in inganno.
Holger
colse la palla la balzo. “Sì... una ragazza,
certo.”
“Beh,
mi fa piacere che ogni tanto anche tu guardi le ragazze,”
tagliò
corto il principale, e la questione fu archiviata così.
§
“Sarebbe
anche bello, se curasse un po' di più il suo
aspetto.”
“Sì,
signor von Seydlitz,” rispose la segretaria. Anni di
professionalità l'avevano addestrata a rimanere impassibile
di
fronte alle esternazioni più strane, ma anche lei faticava a
nascondere lo stupore che quella frase le aveva procurato.
Imperterrito,
il giovane prese una delle sue gigantografie e la osservò.
Rappresentava Holger Neumann a figura intera, con un semplice
maglione scuro e uno sdrucito paio di jeans. Aveva un bel fisico, era
alto e snello.
Ovviamente
non si era accorto del fotografo, per cui aveva un'aria assorta, un
po' trasognata, molto diversa dall'espressione tesa che aveva durante
le gare.
Sembrava
quasi che sorridesse fra sé e sé con aspettativa.
Forse stava
pensando a qualcosa di molto piacevole, magari alla sua ragazza.
“A
proposito, ha una ragazza Neumann?” chiese a voce alta.
“Non
saprei, signor von Seydlitz.” La segretaria era sempre
più
stupita.
“Mi
mandi il signor Jevremovic, per cortesia.”
“Sì,
signor von Seydlitz.”
Dragan
Jevremovic, un ex militare serbo responsabile del servizio d'ordine
degli spettacoli di von Seydlitz, era stupefatto. “Mi ha
chiesto di
andare in Germania a prendere informazioni su un tizio. Vuole sapere
se ha la ragazza,” diceva a Milan Koljevic, un suo
connazionale che
lavorava nelle scuderie.
“Quello
si è bevuto il cervello,” fu il commento di
Koljevic, proferito
dopo una mezza sigaretta di silenzio.
“Tanto
a posto non è mai stato. Potrebbe passare la vita a godersi
i suoi
soldi e invece va a fare quella roba ridicola col cavallo.”
Pausa.
“Ma finché mi paga, quel che fa sono affari
suoi.”
“Bah.”
La sigaretta finì. “Io dico che è
finocchio.”
“No,
ha un sacco di donne. Tutte gli stanno dietro, arrivano quintali di
lettere di ragazze che lo vogliono sposare.”
“E
allora perché ti manda fino in Germania per cercare
informazioni su
un uomo?”
§
“Basta
Holger! Questa cosa sta diventando morbosa!”
Era da
un po’ che Uschi sopportava in silenzio, ma
l’acquisto
dell’ultimo gadget di von Seydlitz, nella fattispecie la
palla con
la neve con dentro lui a cavallo, era stata troppo. “Basta!
Sembra
di entrare in camera di Gabi!”
Gabi
era una cuginetta tredicenne maniaca dei Tokio Hotel.
Schiacciato
dalla colpa, Holger non replicò.
“Che
te ne fai di tutta questa roba?” insisté la
sorella, indicando con
ampio gesto i poster che tappezzavano la stanza e lo scaffale con
tutti i DVD delle performance artistiche di von Seydlitz.
“Buttala
via! Tu devi concentrarti sul dressage, l’infatuazione per
questo
tizio ti sta facendo rincretinire!”
“Non
è un’infatuazione!” esclamò
Holger con inaspettata violenza “E
tu fatti gli affari tuoi! Sembra quasi che mi abbia ingaggiato tu per
fare dressage!”
“Io
lo dico per te! Sei ai minimi storici, Berner dice che non sei mai
stato così poco concentrato sugli allenamenti! Se vuoi
davvero
vincere il Prix St.
Georges
sarà meglio che la pianti con
queste idiozie e cominci a lavorare seriamente!”
Inaspettatamente,
Holger le si rivoltò contro come un leone, con il viso rosso
di
collera e le giugulari che sembravano corde:
“L’avversario da
battere sarà lui, capisci? Quando arriverà lui,
col suo bel cavallo
da cinquecentomila euro e una squadra di trenta persone che gli
puliscono anche il culo, non ci sarà più spazio
per nessun altro! E
se io non lo conosco a fondo, se non so come pensa, non ho
speranze!”
“Credi
che guardarlo mentre si comporta come un idiota vestito da Nureyev ti
aiuti a capire come pensa?”
replicò furiosa la sorella. “A
te piace lui! Lo guardi perché è bello!”
Detto
questo si arrestò all’improvviso, mettendosi una
mano sulla bocca
nell’improbabile tentativo di cancellare qualcosa che non
avrebbe
mai dovuto essere proferito.
Da
rosso che era, Holger divenne bianco come un cencio.
“Vattene,”
sibilò in preda a un’ira gelida, “esci
di qui. E ringrazia che
sei mia sorella e non voglio metterti le mani addosso.”
Chiuse
la porta con un colpo secco e vi si appoggiò contro
vagamente
ansante.
Dalle
pareti innumerevoli versioni di von Seydlitz – elfo, cowboy,
motociclista, principe delle favole e altre – lo fissavano
ammiccanti.
§
“Signor
von Seydlitz, se ha deciso di cambiare sport me lo dica pure
serenamente, io saprò organizzarmi, ma così non
si può lavorare.”
L’istruttore
e giudice di gara federale Schimdt fissava il suo allievo con
espressione decisamente scontenta.
Fino a
pochi mesi prima addestrarlo era stato un compito prodigo di
soddisfazioni. Imparava tutto subito e lo metteva in pratica al
meglio. Un’incredibile sintonia con il cavallo,
un’eleganza
innata, un senso del ritmo e una grazia più unici che rari.
Poi era
arrivato Holger Neumann.
“Mi
scusi, ero distratto,” gli giunse la voce del giovane
cavaliere.
“Cerchi
di porre la necessaria attenzione in quello che sta facendo, per
favore, altrimenti perdiamo tempo in due senza ottenere
nulla.”
“Ha
ragione, signor Schimdt.”
“Mi
faccia rivedere una serie di cambi di galoppo al volo, prego. Ogni
due tempi.”
“Sì,
signor Schmidt.”
L’istruttore
osservò critico, massaggiandosi il mento come faceva sempre
quando
una figura di dressage era talmente mal eseguita che non sapeva da
che parte cominciare ad elencarne i difetti.
“Se
lei intende partecipare al Prix St.
Georges in queste
condizioni, è mio dovere avvertirla che avrà una
grande delusione,”
proferì infine lapidario.
“Questo
non
deve
accadere,” replicò von Seydlitz con voce
tagliente, “lui arriverà là col suo
cavallo in prestito, con la
sorella che gli fa da groom e con i vestiti smessi
dell’istruttore,
non posso fare la figura di essere sconfitto da uno
così!”
“Eppure
è lui l’uomo da battere,” fu la spietata
risposta di Schmidt. E
prima che l’altro potesse replicare aggiunse:
“Smetta di guardare
i filmati dei suoi allenamenti, sta acquisendo tutti i suoi
difetti.”
“Non
ne ha di difetti,” rispose d’impulso von Seydlitz,
“se solo
avesse un cavallo migliore non avrebbe rivali!”
Subito
dopo arrossì violentemente. Le parole gli erano
letteralmente uscite
di bocca da sole, come spinte da una volontà che non gli
apparteneva.
L’istruttore
preferì non infierire oltre.
§
Kaiser
Wilhelm
sbuffò, sgroppò ed emettendo un nitrito rabbioso
fece
una mezza impennata.
“Ehi,
che ti prende?” gli chiese Holger preoccupato, cercando
faticosamente di calmarlo.
“Te
lo dico io cosa gli prende,” disse Albert Berner
avvicinandosi,
“gli hai dato una tirata in bocca.”
“Ma
non ha mai fatto così.”
“Perché
tu non hai mai avuto le mani così pesanti. Hai mosso quelle
redini
come se fossero il manubrio della bicicletta.”
Holger
chinò la testa pieno di vergogna. Possibile che non si fosse
accorto
di nulla? Gli sembrava di non aver fatto niente di diverso dal
solito.
L’istruttore
lo fissò critico.
“Scendi
da cavallo, Neumann,” ordinò.
L’altro
obbedì contrito, consapevole che se l’istruttore
lo chiamava per
cognome e gli diceva di smontare da cavallo doveva averla fatta
veramente grossa.
Quando
fu a terra, l’altro gli mise paternamente un braccio intorno
alle
spalle. “Tu hai sempre avuto una grande passione per il
dressage,”
cominciò, “e hai la fortuna di avere anche una
grande attitudine a
questo sport. Possiedi potenza, controllo e coordinazione. Ecco
perché ho accettato di addestrarti gratis e ti ho affidato
addirittura il mio cavallo.”
Silenzio
sempre più contrito da parte di Neumann.
“Quindi
capisci che vederti gettare tutto alle ortiche per una stupida
infatuazione è per me una delusione davvero
enorme.”
Holger
non rispose. Anche sua sorella, che peraltro a due settimane dalla
lite ancora non gli rivolgeva la parola, aveva parlato di
infatuazione.
Ma non
avevano capito niente, lui odiava e detestava von Seydlitz.
Raccoglieva materiale su di lui solo per avere un quadro più
preciso
della sua personalità. Conoscere il nemico è
fondamentale.
“Ebbene,
cosa intendi fare?” la voce del signor Berner, non scevra di
una
certa severità, lo richiamò ai suoi doveri.
“Vuoi lavorare
seriamente per cercare di portare a casa quel premio o preferisci
continuare a fare lo sciocco?”
Il
ragazzo sospirò afflitto. “Farò come
dice lei, signor Berner,”
rispose, “mi scusi se mi sono comportato male.”
“Molto
bene. Allora per prima cosa butta via tutti i DVD di von Seydlitz, a
forza di guardarli stai acquisendo tutti i suoi difetti.”
“Non
ne ha di difetti!” replicò Holger con insolita
aggressività, “Io
posso solo imparare da lui!”
L'altro
fece un sospiro paziente. “Cosa abbiamo appena detto,
Holger?”
“Mi
scusi, signor Berner.”
§
“E
così, Franz, le voci che ti danno come partecipante al Prix
St.
Georges di Bordeaux sono vere?”
“Non
me lo perderei per nulla al mondo!”
“Ci
sarà anche la tua fidanzata a vederti?”
“Oh,
no. Temo che si annoierebbe. E poi ho bisogno di stare concentrato
sulla gara.”
“Ma
certo, capisco. E dimmi, sono vere anche le voci che danno per
imminente il vostro matrimonio? È vero che vi sposerete a
cavallo
nel parco del Castello di Schönbrunn?”
“Su
questo non posso dire niente, non vorrei rovinare la sorpresa ai miei
fans!”
“Dio
che str...” Si interruppe, non era abituato a dire parolacce.
Chiuse
la pagina di Youtube sulla quale aveva guardato l'intervista a von
Seydlitz.
Per far
sì che il signor Berner e sua sorella smettessero di
rendergli la
vita impossibile aveva dovuto raccogliere tutto ciò che
aveva su di
lui e portarlo in cantina, ma gli rimanevano sempre le pause al
lavoro. Lì Uschi non poteva controllarlo.
C'era
solo il suo principale, peraltro ancora convinto che von Seydlitz
fosse una bella ragazza e quindi contento del fatto che lui la
guardasse.
§
La
giornalista mostrò un sorriso incoraggiante.
“Ebbene, Holger –
posso chiamarti Holger, vero? – lo sai che ti definiscono la
promessa del dressage tedesco?”
Neumann
si guardò intorno terribilmente imbarazzato, sembrava che
stesse
ancora cercando un modo per sottrarsi con discrezione all'intervista,
tanto che la sua interlocutrice lo richiamò:
“Guarda nella
videocamera, per favore. Ecco, così, bravo. Dicevamo: lo sai
che ti
chiamano la promessa del dressage tedesco?”
“Beh,
io non saprei, signora,” rispose Holger indeciso,
sogguardando il
volto della ragazza in cerca di approvazione, “Diciamo che il
dressage è la mia passione.”
“Sì,
questo lo immagino,” la giornalista parve delusa,
“e quindi
parteciperai anche tu al Prix St. Georges di Bordeaux?”
“Sarebbe
la mia intenzione, sì. Sempre che il mio allenatore mi
giudichi
sufficientemente preparato.”
“Dio
che pena!” sospirò von Seydlitz. “E
quell'accento della Bassa
Sassonia è quanto di più abominevole abbia mai
sentito in vita
mia!”
Si
soffermò comunque a pensare che era la prima volta che
sentiva la
sua voce. Era gentile, quasi sommessa, eppure dava l'idea di una
volontà adamantina.
Spense
il televisore prima che Schmidt e Vogl, di cui sentiva i passi in
corridoio, entrassero nel salone. Sicuramente gli avrebbero fatto una
solfa insopportabile se lo avessero sorpreso a guardare qualcosa che
aveva a che fare con Neumann.
Gli
avevano proibito di mandare i fotografi ad immortalare gli
allenamenti del Preuße, pena il rifiuto di continuare a
seguirlo
nella sua preparazione per il Prix St. Georges.
La
Hopkins gli aveva addirittura requisito le
gigantografie con
un atteggiamento da maestra vittoriana che sorprende un alunno a
guardare le immagini sconce.
§
E venne
finalmente il grande giorno.
Uschi
frullava dappertutto come una trottola, occupandosi delle valigie,
dei documenti, del van per Kaiser
Wilhelm e di
tutto quello
che sarebbe servito durante il viaggio.
Per
spendere meno avevano deciso che si sarebbero spostati via terra,
tutti sul furgone del cavallo alternandosi alla guida.
I
genitori di Holger gli avevano comprato per la gara uno splendido
completo da dressage e i suoi colleghi di lavoro, del tutto
inaspettatamente, si erano messi d'accordo di nascosto con Uschi e
gli avevano regalato una bella coperta nuova per il cavallo.
I
finimenti che avrebbe usato erano quelli con cui Berner anni prima
aveva disputato l'Olimpiade. Da allora l'istruttore non li aveva
più
tolti dal baule in cui li conservava gelosamente.
Era un
grande onore, che Holger accettò commosso.
Quando
tutto fu pronto partirono allegramente alla volta della Francia
seguiti dai saluti di tutta la famiglia Neumann, raccolta sulla
soglia di casa per solennizzare l'avvenimento.
Dopo un
po' che viaggiavano, il signor Berner alla guida e Kaiser Wilhelm che
dilatava le froge alla ricerca di refoli d'aria fresca, Uschi sorrise
e tirò fuori dalla borsa un voucher dall'aspetto decisamente
prestigioso, custodito in un'elegante cartellina color seppia.
“Per
te,” disse porgendolo a Holger.
“Cos'è?”
“Guardalo.”
Hotel
Savoy, cinque
stelle lusso. Una camera singola per una settimana.
Holger
la fissò stupefatto. “E voi? E Willi?”
“Noi
staremo in un altro albergo, più vicino alle scuderie,
così Willi
avrà tutto quello che gli serve.” Poi, notando il
suo smarrimento,
affettuosamente aggiunse: “Volevo che per una volta stessi
nel
lusso anche tu.”
“Io...
grazie, è meraviglioso, ma non dovevi.”
“Sciocchezze,
hai lavorato sodo e te lo meriti. E poi mi hanno dato una mano anche
zia Lise e zio Peter.”
§
“Signor
von Seydlitz, è tutto pronto.”
“Grazie,
signorina.”
Franz
prese posto sul sedile posteriore della lussuosa Mercedes nera, che
immediatamente si avviò senza una scossa, il motore non
più
rumoroso delle fusa di un gatto.
Era
alla testa di una piccola colonna diretta all'aeroporto.
Seguivano,
nell'ordine: un'altra Mercedes per gli istruttori, il van di Cosa
Rara, due
camion di attrezzature varie, una macchina e un pickup
per gli spostamenti sul posto e un pullman con il personale che si
sarebbe occupato di tutto.
Aveva
per l'occasione noleggiato un cargo. Certo gli era costato qualcosa,
ma così facendo aveva avuto il tempo di fare un'ultima
rappresentazione di Fairy Tales prima di
partire per la
Francia. Era stato come sempre un vero trionfo, il pubblico era
impazzito per le ali di tulle.
“Signorina,
l'albergo?” chiese alla segretaria, immancabilmente seduta al
suo
fianco.
“Hotel
Savoy, signor
von Seydlitz.”
“Molto
bene.”
“E
la
troupe
starà al Joli Coeur, vicino
alle scuderie. Solo
io e i suoi istruttori saremo con lei al Savoy.”
“Direi
che è una sistemazione perfetta.”
“Grazie,
signor von Seydlitz.”
§
Vigilia
della gara.
Seduto
su una poltrona della sua suite principesca, Holger guardava
distrattamente la TV. Non sapendo il francese teneva il volume al
minimo e i programmi erano essenzialmente un susseguirsi di immagini
più o meno colorate.
Nei
giorni precedenti aveva provato sul rettangolo per abituare Kaiser
Wilhelm al nuovo
terreno e alla presenza di altri cavalieri,
sebbene l'animale, attempato e già abituato alle
competizioni
internazionali, fosse decisamente meno nervoso di lui.
Aveva
visto i concorrenti di varie nazioni, molti francesi naturalmente, e
poi inglesi, altri tedeschi, olandesi, un danese e anche un italiano,
ma non aveva mai incontrato von Seydlitz.
In un
certo senso ne era stato sollevato.
Probabilmente
si sarebbe emozionato vedendolo, magari avrebbe fatto qualche errore
banale proprio davanti ai suoi occhi. E poi preferiva non assistere
alle sue prove, aveva il dubbio che l'avrebbero alquanto
demoralizzato.
Ma ora
di prove non ce ne sarebbero più state.
“Domani
si fa sul serio,” disse fra sé e sé.
Provò
a coricarsi, ma il sonno non voleva arrivare. Eppure sapeva che
avrebbe dovuto essere riposato in vista della competizione. Rimpianse
che in albergo non ci fosse Uschi, magari parlare un po' con lei
l'avrebbe aiutato a calmarsi.
Dopo un
po' che si rigirava nel letto, sempre più nervoso man mano
che
l'orologio sul comodino gli mostrava l'inesorabile scorrere del
tempo, decise di alzarsi e andare a fare un giro nella hall.
Si
vestì è andò giù.
Nonostante l'orario non eccessivamente tardo,
il posto era deserto e l'unica persona presente a parte lui era un
concierge
sonnolento alla reception.
Holger
ne fu stupito, ma solo perché non conosceva le usanze della
provincia francese, dove dalle diciotto in poi diventa difficile
anche trovare qualcuno per la strada.
Passeggiò
un po', sfogliò distrattamente qualche rivista,
mandò un sms a
Uschi e andò all'ascensore per tornare in camera.
Stava
aspettando con aria assorta quando dalle porte d'acciaio lucidato a
specchio uscì Franz Josef von Seydlitz.
I due
si trovarono faccia a faccia. Si squadrarono muti per qualche secondo
poi, citando l'immortale frase di Henry Morton Stanley, l'austriaco
disse: “Il signor Neumann, presumo.”
Holger
rimase interdetto. Sulle prime non seppe fare altro che assentire col
capo, troppo stupito per rispondere a tono, poi finalmente
riuscì a
proferire: “E lei è il signor von Seydlitz, non
è vero?”
“Proprio
così.” Franz tese signorilmente la mano, secondo
il principio che
definisce squisita la cortesia del re.
L'altro
la strinse. “Ero ansioso di conoscerla,” non
poté fare a meno di
dire.
“Anch'io.”
Altri
secondi di imbarazzato silenzio, quindi von Seydlitz propose:
“Io
stavo andando a bere qualcosa, perché non mi fa
compagnia?”
Neumann
ebbe un attimo di panico. Oddio,
adesso mi porterà al bar e
ordinerà uno di quei cocktail dal nome assurdo con gli
ombrellini e
le cannucce. Cosa mi inventerò quando mi chiederà
cosa voglio bere?
Terrorizzato
all'idea di fare la parte del bifolco ignorante, fu tentato di
rifiutare.
“Io
non credo sia il caso...” cominciò esitante.
“La
prego, non le ruberò più di venti
minuti,” insisté von Seydlitz.
Gli sorrise quasi con aria di scusa. “Sa, temo di essere un
po'
nervoso per domani.”
Allora
sei umano anche tu,
pensò il tedesco. La constatazione gli fece
vedere di colpo il suo avversario sotto una luce completamente
diversa. “D'accordo,” rispose sorridendo a sua
volta, “anch'io
ho voglia di bere qualcosa.”
Sicuramente
Uschi e il signor Berner non avrebbero approvato, lo pensò
con un
vago senso di colpa seguendo tuttavia l'austriaco verso il bar.
Cominciarono
a darsi del tu alla fine del primo cocktail e all'arrivo del terzo
parlavano già protendendosi l'uno verso l'altro come vecchi
amici
che si ritrovassero dopo una lunga separazione.
Nel
frattempo erano passati alcuni multipli dei venti minuti di von
Seydlitz.
Chiacchierando
amabilmente, i due si studiavano a vicenda. Non era però la
curiosità voyeuristica e morbosa che li aveva animati fino a
quel
momento, era piuttosto un genuino interesse, alimentato dal fatto che
il procedere della conversazione li rivelava inaspettatamente
gradevoli l'uno per l'altro.
Von
Seydlitz, più piccolo ed esile di come Neumann lo
immaginasse e
molto, oh molto più bello dal vero che in fotografia, era
cortese,
attento, aveva modi affabili e raffinati. Addestrato da anni di alta
società, aveva una conversazione leggera e gradevolissima,
che
metteva perfettamente a suo agio l'interlocutore.
Anche
Neumann era sembrato a von Seydlitz assai più interessante
dal vero
che nei filmati carpiti dai suoi fotografi. Aveva una bella
espressione aperta, che faceva venire voglia di rivolgergli la
parola, e non aveva per nulla l'atteggiamento di superiorità
morale
del bravo ragazzo di umili origini che si è guadagnato le
cose da
solo senza l'aiuto di nessuno.
Nonostante
fosse un Preuße, e quindi come tutti i suoi connazionali
ossessionato dal senso del dovere e incapace di godersi la vita, era
decisamente simpatico. Aveva sense of humour, una certa autoironia e
fra parentesi anche degli stupendi occhi verdi.
“Cosa
Rara
è un gran bel cavallo.”
“Oh,
ha un caratterino! Devi stare attento anche a come lo guardi,
altrimenti si offende! E Kaiser
Wilhelm
com'è?”
“È
bravo. Mi piacerebbe avere la possibilità di comprarlo un
giorno.”
“È
un Holsteiner, vero?”
“Sì,
e Cosa
Rara
è un lipizzano, se non sbaglio.”
“Già.”
Per un
po' parlarono di cavalli. Razze e attitudini, ognuno dei due
piacevolmente colpito dalle competenze dell'altro. Poi passarono alle
rispettive famiglie. Holger sapeva che i genitori di von Seydlitz
erano separati e vivevano in due nazioni diverse, nella fattispecie
il padre a Vienna con lui e la madre a New York, e Franz sapeva di
Uschi e di come facesse da groom per il cavallo di Holger.
“Tua
sorella pratica il dressage?” s'informò
cortesemente.
“No,
preferisce gli ostacoli. Dice che il dressage richiede troppa
precisione.”
“In
effetti non ha tutti i torti.” Pausa pensosa. “Un
altro drink?”
“L'ultimo,
eh?”
“L'ultimo.”
In un
perfetto francese, von Seydlitz chiamò il barman:
“Due white lady,
per favore.” E poi, rivolto a Neumann: “Spero che
ti piaccia. Io
amo i cocktail a base di gin.”
“Andrà
benissimo,” rispose l'altro, vergognandosi di ammettere che
non
sapeva cosa fosse un white lady.
Gli
girava un po' la testa, per la verità, dal momento che non
era
abituato a bere, ma anche su quello mantenne un dignitoso silenzio.
La
testa girava anche a Franz. Trovarsi così vicino a Holger
Neumann
gli faceva davvero uno strano effetto, tanto che per darsi un po' di
coraggio aveva bevuto più del solito.
Nonostante
tutto, quando i white lady finalmente arrivarono, i due sollevarono i
bicchieri dicendo prosit e bevvero.
“Sei
davvero un principe?” chiese a un tratto Holger
giocherellando
distrattamente con la coppetta dei salatini.
“Assolutamente
no,” rispose Franz, “credo che siamo baroni o
qualcosa del
genere. La mia famiglia ha avuto il titolo nobiliare alla fine
dell'ottocento, non so neanche per quale motivo. Mia madre non
è
nemmeno di famiglia nobile. Mio padre l'ha sposata perché ai
suoi
tempi era una modella bellissima.”
“E
allora perché ti fai chiamare Principe dei
Cavalli?”
“Esigenze
pubblicitarie,” rispose l'altro disinvolto, “come
le ragazze.”
“Cosa?”
“Le
ragazze, le fidanzate. Tutta pubblicità, fanno parte del
personaggio.”
“Vuoi
dire che Veronika von Kirchbach non è la tua fidanzata? Non
vi
sposerete a cavallo nel parco di Schönbrunn?”
“Ma
figurati! Io sono gay.”
Holger
alzò stupito gli occhi su di lui. “Cosa?”
“Sempre
stato.”
Seguirono
almeno dieci secondi di silenzio.
“Oh.
Capisco,” mormorò infine Neumann.
“Se
la cosa ti imbarazza possiamo parlare d'altro,”
replicò
cortesemente von Seydlitz.
“No,
no. Non mi imbarazza affatto,” si affrettò ad
assicurargli Holger,
certo di essere arrossito fino alle orecchie.
“Sicuro?”
“Certo.
Tranquillo.” Bevve una generosa sorsata del suo cocktail.
La
notizia non l'aveva lasciato sconvolto per inusitate motivazioni
moralistiche, il suo disagio era di tutt'altra origine.
Se
prima aveva considerato von Seydlitz come un cantante o un attore,
ovvero come una specie di creatura irraggiungibile sulla quale
fantasticare e basta, ora scopriva che non era così: il
Principe dei
Cavalli era a meno di un metro da lui, era di carne e sangue ed
era gay.
Che
faccio, ci provo? Mi ha anche detto che è gay,
più esplicito di
così... Però magari è uno che lo dice
a tutti, tanto per fare
conversazione. Ciao, mi chiamo Franz e sono gay. Che ne so io?
Che
bel ragazzo, quello che non gli farei...
Lo
sbatterei sul letto, gli strapperei i vestiti e...
Le dita
di Franz che sfioravano le sue lo fecero sussultare così
violentemente che per poco non cadde dallo sgabello del bar.
Lo
fissò stupefatto, ma lui non ritrasse la mano.
Accarezzò lentamente
il palmo della sua, anzi, facendogli correre un brivido di desiderio
lungo la spina dorsale.
Infine
propose: “Che ne dici se andiamo a bere qualcosa in
camera?”
§
Teoricamente
il mattino dopo ci sarebbe stata una gara internazionale da
disputare, e sempre teoricamente Neumann e von Seydlitz avrebbero
dovuto dormire un congruo numero di ore per svegliarsi ben riposati e
in forma.
In
pratica i due erano nel letto di von Seydlitz nudi e avvinghiati, e
si baciavano con la frenesia di due adolescenti alla prima cotta.
Erano
anche un po' brilli, cosa che sicuramente aveva favorito
quell'insolito sviluppo della situazione e li rendeva nel contempo
singolarmente disinvolti nei confronti l'uno dell'altro.
Si
erano letteralmente saltati addosso appena messo piede in camera.
Eccitato a morte, Holger aveva afferrato Franz per le spalle, l'aveva
sbattuto contro il muro e l'aveva baciato ficcandogli prepotentemente
la lingua in bocca.
Di
solito non faceva così. Normalmente era dolce, gentile,
pieno di
premurose attenzioni.
Stavolta
invece un cinghiale in calore si sarebbe comportato con maggiore
delicatezza.
L'altro
però evidentemente non era stato scontento di quella virile
presa di
possesso, perché gemendo di piacere gli aveva ceduto subito,
morbido
e arrendevole di fronte a tanta irruenza.
Poi si
erano freneticamente liberati dei vestiti ed erano crollati sul letto
mugolanti e ansimanti.
“Hai
un condom?” chiese Holger non appena i frettolosi preliminari
furono esauriti.
“Qui
dentro.” Franz gli porse una scatola, e già che
c’era anche un
flacone di lubrificante grosso come un estintore.
L'altro
sollevò il coperchio del contenitore e vi infilò
la mano. “Per
caso avevi intenzione di andare a letto con tutti i concorrenti del
Prix St. Georges?” s'informò stupito.
“Perché?”
“Qui
dentro ce ne saranno almeno duecento!”
“È
meglio essere previdenti.”
“Ho
capito, ma...”
“Vuoi
deciderti a farne l'uso per cui sono stati inventati o discutiamo
fino a domattina di quanti condom mi porto dietro quando
viaggio?”
Senza
attendere risposta si allungò voluttuosamente sulle lenzuola
di
seta, rigirandosi poi con un movimento sensuale fino a mostrargli un
paio di natiche che sembravano scolpite da Fidia, rotonde e sode, dal
colorito appena rosato, lisce e senza dubbio vellutate come pesche.
Si
puntellò poi sui gomiti sollevandosi appena, e da sopra la
spalla
gli rivolse uno sguardo che riusciva ad essere al tempo stesso
impudico e modesto.
§
“Sei
il ragazzo più bello con cui sia mai andato a
letto,” confidò
Holger a Franz scostandogli delicatamente un ricciolo ribelle dalla
fronte. Ora che la passione si era un po' calmata, stava ritrovando
la sua abituale dolcezza.
“Anche
tu sei bello.”
“Davvero?”
“Hai
dei bellissimi occhi e un corpo da favola.” Franz
rievocò con un
fremito di piacere gli addominali scolpiti del tedesco. “Fai
palestra?”
“Mi
piace tenermi in forma.”
Attimo
di silenzio, gioco di sguardi, qualche carezza languida.
“Si
è
fatto tardi, che ne dici di dormire un po'?”
“Non
sarebbe una cattiva idea.”
§
Franz
si stirò voluttuosamente e si staccò con
riluttanza dal fianco di
Holger. Rivolse uno sguardo assonnato all'orologio sul comodino.
“Merda!”
esclamò a dispetto di tutte le sue ascendenze aristocratiche
non
appena ebbe messo a fuoco le lancette.
Svegliato
di soprassalto, Holger si girò di scatto e guardò
a sua volta
l'orologio.
“Cazzo!”
imprecò, nonostante ogni suo buon proposito di astenersi dal
turpiloquio.
Era
tardissimo.
I due
si alzarono come se l'albergo stesse andando a fuoco, poi Holger
sgattaiolò furtivamente nella sua camera con l'involto dei
suoi
vestiti sottobraccio e un asciugamano a coprirgli le pudenda.
Si
prepararono freneticamente, doccia, barba, completo da gara, stivali
lucidi calzati saltellando su un piede solo nel tragitto verso
l'ascensore.
Nella
hall c'erano, nell'ordine: Uschi, il signor Berner, il signor
Schmidt, il signor Vogl e miss Hopkins, tutti furibondi.
“Muoviamoci.”
dissero soltanto, non appena li videro uscire dall'ascensore.
Dallo
stesso ascensore.
Era
abbastanza chiaro cosa fosse successo, entrambi portavano i segni
delle poche ore di sonno, dei cocktail bevuti e degli amplessi
consumati.
Il modo
in cui si guardavano, poi, lasciava ancora meno dubbi sull'accaduto.
§
La
storia ha anche un epilogo, sebbene non particolarmente edificante.
I due
giunsero in tempo al rettangolo, riuscirono a disputare la gara ma
pagarono lo scotto di tutto quello che l'aveva preceduta, e non ci
riferiamo solo alla notte di passione.
Le
giovani
promesse del
dressage diedero delle loro capacità una
prova francamente imbarazzante.
Vinse
un altro tedesco, un tale Erich Voss, secondo fu un olandese e terzo
un danese. Neumann e von Seydlitz finirono al contrario piuttosto in
basso nella graduatoria finale.
La
stampa sportiva giustificò la questione tirando in ballo la
giovane
età e l'inesperienza dei due, quindi archiviò il
fatto e si dedicò
ad altro.
E le
due giovani
promesse?
Sopportarono
pazientemente, consci di meritarli, tutti i rimproveri dei vari
istruttori e rientrarono rispettivamente in Austria e in Germania con
la coda fra le gambe, ma una settimana dopo erano di nuovo insieme.
Nella fattispecie a Minorca, dove erano andati a trascorrere il week
end col jet privato di von Seydlitz.
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