Il principe dei cavalli

di Old Fashioned
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IL PRINCIPE DEI CAVALLI




“Io lo detesto.”
Lo disse pacatamente, aggrottando appena le sopracciglia, senza neppure sognarsi di tirare il telecomando contro il muro come avrebbe avuto una gran voglia di fare.
Sul piccolo schermo stavano scorrendo le immagini di un DVD. Il Principe dei Cavalli, si chiamava, e mostrava una delle innumerevoli performance artistiche di Franz Josef von Seydlitz, giovane promessa del dressage austriaco.
In una pista notturna, sapientemente illuminata da opportuni riflettori, l’affascinante cavaliere dava spettacolo in sella ad un maestoso stallone dal manto candido.
Non si trattava di una ripresa di dressage, e nemmeno di una Kur. No, lui era vestito come una specie di principe delle favole, solo con più lustrini, e faceva muovere il cavallo a tempo con un corpo di ballo di ragazze seminude.
“Lo detesto,” ripeté Holger Neumann, giovane promessa del dressage tedesco.
“Però guarda quel piaffer,” disse sua sorella Ursula detta Uschi, seduta accanto a lui sul divano.
Cosa Rara, l'ormai celeberrimo lipizzano di von Seydlitz, un niveo susseguirsi di michelangiolesche rotondità, stava saltellando sul posto con una grazia che faceva sembrare le ballerine seminude altrettanti sacchi di patate.
“Guarda che bei movimenti eleganti,” gli fece notare il suo allenatore, seduto dall'altro lato rispetto alla sorella.
Holger non replicò.
Non era sua abitudine recriminare con livore, non era ciò che gli era stato insegnato.
Ma certo se nella vita non avesse avuto altro da fare che provare figure di dressage, se avesse potuto scegliere sempre i cavalli migliori, se avesse avuto un rettangolo personale dove andare ogni volta che ne aveva voglia, forse, forse, anche il suo piaffer sarebbe stato un capolavoro di grazia ed eleganza come quello che stava osservando.
“Non farmi vedere gli speciali,” disse soltanto.
Gli speciali contenevano fra le altre cose un'intervista a von Seydlitz.
Il giovane viennese, una specie di fotomodello biondo, con gli occhi azzurrissimi che risaltavano su una perfetta abbronzatura, spiegava all'estasiata giornalista che il suo obiettivo era quello di mostrare ai giovani la disciplina del dressage, fino a quel momento sport elitario e poco conosciuto al di fuori degli ambiti specialistici.
La pronuncia nasale a vagamente cantilenante tipica della sua città era quanto di più altezzoso e snob si potesse immaginare.

E quindi, Franz... ti posso chiamare Franz, vero?”
Ma certamente.” Sorriso patinato da rockstar.
Dicevo, Franz, quindi il tuo scopo è rendere più conosciuta questa bella specialità dell'equitazione?”
Assolutamente sì. Vedi, io ho sempre amato il dressage e credo che la gente lo praticherebbe molto più volentieri se solo riuscissimo a renderlo un po' più... accattivante?”
Sguardo come d'intesa fra i due.
Cosa intendi con accattivante?”
Essenzialmente più adatto ai giovani. Via i completi scuri, via il plastron e quel ridicolo cilindro. Il dressage è arte, e come tale rifugge le costrizioni.”

Holger conosceva quella tiritera ipocrita a memoria. L'aveva vista tutta da cima a fondo almeno cinque volte.
Scempiaggini sulla libertà d'espressione e sull'innovazione, con inquietanti sbandate verso la monetizzazione delle performance artistiche.
Si pagano le belle automobili e i begli abiti, perché non si dovrebbe pagare l'arte?”
Arrivato a quel punto normalmente spegneva con stizza il televisore e se ne andava.
Franz Josef von Seydlitz era un odioso figlio di papà pieno di soldi, la cui principale preoccupazione nella vita era sempre stata essenzialmente spendere i soldi paterni.
Animato da questo nobile intento, aveva inventato una specie di spettacolo che mescolava elementi di alta scuola con coreografie o trovate teatrali di dubbio gusto, come costumi con le paillettes, ballerine e riflettori.
Coadiuvato da un entourage di tecnici, dal costumista dedicato per i finimenti del cavallo all'esperta di immagine che curava il suo look, aveva anche raggiunto una certa notorietà.
Le ragazzine compravano i suoi poster, andava per la maggiore quello dove posava vestito come Legolas in sella al suo cavallo, per l'occasione bardato con finimenti vagamente fantasy, oppure lasciavano sul suo blog commenti che consistevano in file interminabili di faccine estasiate e cuoricini pulsanti.
Si fosse limitato a quello, Holger l'avrebbe disprezzato, magari, oppure avrebbe riso dei suoi spettacoli e se ne sarebbe dimenticato due secondi dopo.
Ma no.
Non si limitava a quello, non era pago di spendere in complete idiozie soldi non suoi.
No, il signorino faceva anche le gare. Quelle ufficiali, col plastron e il ridicolo cilindro.
E le vinceva, pure.

§

“Io lo detesto!”
Lo esclamò con veemenza, mandando il tumbler di cristallo a frantumarsi sul pavimento di marmo policromo.
Subito dopo Franz Josef von Seydlitz spense con un gesto di stizza l'enorme televisore sul quale aveva appena visto un orrendo filmato amatoriale, una miseria mossa e sfocata fatta da qualche parente volenteroso, probabilmente con una videocamera di sottomarca ottenuta coi punti della benzina.
Non era stata comunque la qualità delle immagini a metterlo di cattivo umore.
Holger Neumann, era lui che gli aveva letteralmente rovinato la giornata.
Lui e il suo dannato passage.
Il Prussiano – in realtà era di Braunschweig, ma per un austriaco che si rispetti ogni tedesco è un maledetto Preuße – riusciva a far muovere il suo cavallo con un impulso assolutamente magnifico. Sembrava una molla pronta a scattare da un momento all'altro. Le anche erano semplicemente due blocchi di energia allo stato puro.
E dire che non era certo un cavallo particolarmente pregiato.
O meglio, senza dubbio lo era stato in gioventù.
Era Kaiser Wilhelm, un baio che ai suoi tempi aveva addirittura disputato un'olimpiade, anche se non gli risultava che si fosse piazzato tra i vincitori.
Il cavallo non era neppure suo. Anche se ormai era un animale vecchiotto, coi suoi modesti mezzi Neumann non se lo sarebbe mai potuto permettere.
No, era del suo istruttore, tale Albert Berner, che visto il suo talento gliel'aveva prestato.
Sbuffò sempre più infastidito.
L'odioso, detestabile Holger Neumann era il classico bravo ragazzo di umili origini, straripante di buona volontà e buoni sentimenti.
Nell'unica sua intervista che era riuscito a racimolare, poche frasi approssimative su un giornaletto di provincia, il Preuße raccontava con malcelato orgoglio di quando da ragazzino faceva le pulizie nelle stalle per pagarsi le lezioni di equitazione.

Diciamo che soldi ne ho sempre avuti pochi, così mi sono adattato a fare un po' di tutto per coltivare la mia grande passione.”
Per esempio?”
Oh, quel che c'era. Quando ero piccolo facevo lavoretti in casa, lavavo i vetri da mia nonna, o raccoglievo le foglie in giardino.”
Quanti anni avevi?”
Sette, forse otto.”
Ma che bravo!”
Poi quando sono stato più grande ho cominciato a dare una mano in scuderia, o a fare lavori durante le vacanze estive.”

E una serie di dolciastri aneddoti da boy scout.

In fondo sono anche contento, facendo così impari a dare alle cose il giusto valore. Ciò che ti guadagni con fatica giorno dopo giorno ha un sapore del tutto diverso da quello che ricevi in regalo senza fare alcuno sforzo per ottenerlo.”

Una frecciata?
La prima volta che la pagina del giornale gli era capitata sottomano l'aveva appallottolata e buttata via, tanto era stato il fastidio che gli aveva procurato.
Se c'era una cosa che non sopportava, era chi si faceva un vanto della propria condizione modesta comportandosi come se la virtù fosse appannaggio esclusivo dei redditi bassi.
Il più delle volte i poveri erano virtuosi solo perché non potevano permettersi i vizi, ma sarebbe bastato fornire loro i mezzi e si sarebbero trasformati in altrettanti gaudenti senza principi morali.
Anche quel Neumann, che raccontava con orgoglio di andare a letto alle nove e di alzarsi alle cinque per andare due ore in scuderia prima del lavoro, avrebbe fatto ben altro se solo ne avesse avuto la possibilità, ne era certo.
Andò in camera, spalancò le ante di un elaborato trumeau Luigi XIV e abbassò la ribalta dello scrittoio, mettendo a nudo una raccolta di foto e ritagli di giornale diligentemente custodita negli innumerevoli anfratti del prezioso mobile.
C'era anche la famosa pagina appallottolata e poi nuovamente stesa. In archivio assieme all'altro materiale.
La tirò fuori, rilesse l'intervista per l'ennesima volta, finendo invariabilmente per provare la stessa sensazione di fastidio.
Perché proprio il dressage? Perché non si era dedicato a sport meno elitari? Cosa voleva dimostrare?
Non poteva sposarsi, mettere su famiglia, fare le cose che fa di solito una persona della sua estrazione sociale? Almeno non l'avrebbe più avuto fra i piedi.
Rimise via il giornale con un gesto di stizza e richiuse le ante del trumeau augurandosi che il mobile fosse una specie di buco nero in grado di inghiottire e cancellare dalla faccia della terra tutta l'inopportuna esistenza di Holger Neumann.

§

“Holger, vieni a vedere. Ho un altro DVD di von Seydlitz.”
“Uno dei suoi stramaledetti spettacoli, signor Berner?”
“No, questa volta è la gara di Innsbrück. Categoria M.”
“Vengo subito allora.”
Holger si sedette accanto all'istruttore sul divano. Immediatamente dopo anche Uschi si unì a loro.
Tutti e tre cominciarono la visione in religioso silenzio.
Ed eccolo, von Seydlitz. Disinvolto, elegante, quel tanto di eccentricità che il rigido regolamento del dressage consentiva in fatto di abbigliamento.
Ma non era la sua tenuta, naturalmente, che teneva i tre con gli occhi incollati allo schermo. Essi seguivano come ipnotizzati i suoi precisi movimenti.
“Signor Berner, guardi quell'alt,” disse Holger, stringendo fra le dita due immaginarie redini per mimare il comando.
“Molto accurato,” fu il sobrio commento dell'istruttore.
Holger non ebbe cuore di rivolgergli la domanda che subito gli era venuta in mente: “È meglio o peggio del mio?”
Temeva che la risposta non gli sarebbe piaciuta.
Lo vedeva da solo, del resto, che von Seydlitz aveva classe. Il suo cavallo si muoveva fluido e preciso, rispondendo magnificamente ai comandi. Sembrava quasi che non toccasse nemmeno terra con gli zoccoli quando trottava.
“Qui ha esagerato con la gamba,” gli giunse di nuovo la voce dell’istruttore, “troppa flessione. Ecco, qui deve correggersi, vedi?”
“Mi fa piacere constatare che almeno non è infallibile” brontolò Holger, al quale comunque il giovane cavaliere sullo schermo continuava a sembrare terribilmente perfetto.
“Che sciocchezze, Holgi, nessuno è infallibile!” protestò la sorella.
Sembrava dannatamente difficile da credere, vedendo quel filmato.

§

“Mi hai portato quello che ti avevo chiesto?”
“Sì, signor von Seydlitz.”
“Molto bene, speriamo che stavolta si riesca a vedere qualcosa di decente.”
Stufo di racimolare spezzoni di filmati amatoriali e foto sgranate su giornali sportivi a bassa tiratura, Franz aveva spedito uno dei tecnici che curavano le riprese dei suoi spettacoli a Hannover con una videocamera professionale, per filmare la ripresa di Holger Neumann in maniera finalmente accettabile.
Chiamò i suoi istruttori, un pool composto da Katherine Hopkins, ex olimpionica, Hans-Gottfried Schmidt, istruttore federale nonché giudice di gara, e Stephan Vogl, a sua volta ex olimpionico sia di dressage che di completo e attualmente istruttore alla Spanische Hofreitschule di Vienna.
Evitò di chiamare i coreografi e gli scenografi dei suoi spettacoli, ci sarebbe stato da parlare di cose squisitamente tecniche che solo chi si intendeva di alta scuola avrebbe potuto capire.
In un religioso silenzio, le immagini cominciarono a scorrere sull’enorme schermo LCD dell’home theatre di von Seydlitz.
Ed eccolo lì Holger Neumann, una patetica giacchetta stretta di spalle, probabilmente prestata dal suo istruttore come il cavallo, i guanti bianchi da poco prezzo, una generica aria dimessa.
Ma tutte le pecche di eleganza e portamento erano ampiamente compensate dalla perizia tecnica.
Very good,” commentò la Hopkins con la sua vocetta acuta quando vide Neumann eseguire un’appoggiata al galoppo.
“Qui c’è penalità,” sentenziò invece Schmidt un attimo dopo, “non ha il cavallo perfettamente alla mano.”
Vogl mantenne un impenetrabile riserbo, limitandosi a seguire con attenzione la ripresa.
Von Seydlitz conosceva bene quella particolare forma di riserbo ed evitò accuratamente di interrogarlo in proposito.

§

“Guarda, Holger: su Lissy c'è un articolo che parla di von Seydlitz!”
“Cosa sarebbe Lissy?”
Periodico per ragazze appassionate di cavalli!” recitò Uschi facendo la vocetta da smorfiosa.
Sulla copertina della rivista c'era un grazioso puledrino in una profusione di fiori rosa, cuoricini e stelline. Era abbastanza chiaro quale fosse il target del giornaletto: le stesse ragazzine che con ogni probabilità intasavano di emoticon trepidanti il blog del Principe dei Cavalli.
“E tu compri questa roba?”
“No, ma ho visto che parlava di von Seydlitz e ho pensato che ti interessasse. C’è il titolo in copertina: Eleganza e stile in chiave moderna: Franz Josef von Seydlitz.”
“A me interessa come avversario in una eventuale gara di dressage,” ribatté Holger, forse un po' troppo bruscamente, “cosa vuoi che mi importi di quale macchina preferisce o di come si chiama la sua ragazza?”
“E che ne sai che parla di queste cose?”
“Perché lo so. Sicuramente sarà andata ad intervistarlo qualche giornalista stupida che gli avrà chiesto un sacco di insulsaggini adatte alle ragazzine! Mi immagino già il genere: “E dimmi, Franz – posso chiamarti Franz, vero? – qual è il tuo gusto di gelato preferito?”
Uschi recuperò la rivista. “D'accordo, se non la vuoi me la guardo io.” Se la mise sottobraccio e fece per uscire.
“Aspetta!” Holger la richiamò prima che arrivasse alla porta. “Aspetta, forse... c'è qualche foto delle sue gare.”
Distolse gli occhi per evitare lo sguardo perplesso e vagamente indagatore della sorella. Sapeva benissimo che non ci sarebbero state foto delle gare nella rivista, e anche se ci fossero state se ne sarebbe fatto ben poco. E allora perché aveva richiamato indietro Uschi con tanta veemenza? A cosa gli sarebbe servito leggere l'ennesima intervista in cui von Seydlitz dava sfogo al suo dilagante narcisismo?
“Magari sapere qualcosa di più su di lui potrebbe essermi utile,” borbottò tanto per darsi un tono.

§

“Signor von Seydlitz, lei non mette la necessaria concentrazione nell'allenamento,” lo rimproverò freddamente Stephan Vogl.
Franz strinse appena le dita sulle redini e Cosa Rara si fermò in un alt perfetto.
“Lei non è concentrato,” ripeté Vogl imperterrito, “continueremo domani.”
E se ne andò piantandolo lì su due piedi. Anzi, su quattro, visto che era a cavallo.
Von Seydlitz sospirò. Era ovviamente indispettito, ma una parte del suo cervello riconosceva che l'istruttore aveva ragione: per tutto il tempo aveva pensato a Neumann.
Aveva spedito i suoi fotografi a procurargli immagini degli allenamenti del Preuße. E non pago di quelle, aveva anche ordinato loro di portargli ogni genere di foto di Neumann, tutto quello che riuscivano a trovare. Lui al lavoro, lui in palestra, lui con la sorella e così via.
Nessuno gli aveva chiesto perché, naturalmente, ma era certo che la domanda assillasse un po' tutti.
Assillava anche lui, in effetti. Perché foto della vita quotidiana del Preuße? Cosa gliene importava di che lavoro facesse o di come si chiamasse sua sorella?
Eppure in camera sua, sul piano della scrivania Luigi XIV che faceva pendant col trumeau, c'era un mucchio di gigantografie cinquanta per trenta che ritraevano Holger Neumann in ogni atto della vita quotidiana che la decenza consentiva di immortalare.
“Sapere qualcosa di più su di lui mi darà più elementi per quando lo dovrò affrontare,” aveva spiegato all'unico che avesse il titolo per fargli domande, ovvero l'istruttore federale Schmidt.
La giustificazione non l'aveva convinto.
Eppure era quello il motivo. Perché gli altri non volevano capirlo?

“Signor von Seydlitz, il coreografo è arrivato.” La voce della sua segretaria che lo chiamava dal bordo del rettangolo lo distrasse da ulteriori speculazioni su Neumann.
“Grazie, gli dica che arrivo subito.”
Il coreografo, Antonio Morales, era uno spagnolo di Siviglia che normalmente curava gli spettacoli dei cavalli andalusi. Aveva dovuto ingaggiarlo a caro prezzo e affiancargli un interprete, dal momento che il suo tedesco lasciava alquanto a desiderare, ma nessuno sapeva abbinare i movimenti di Cosa Rara e quelli del corpo di ballo meglio di lui.
Forse lavorare al nuovo spettacolo mi aiuterà a distrarmi, pensò von Seydlitz abbandonando il rettangolo da dressage.

§

Holger si guardò intorno: il capo era fuori, i colleghi con cui normalmente divideva l'ufficio erano uno a casa con l'influenza e l'altro in pausa, così impegnato in una conversazione telefonica che avrebbe potuto cadergli il soffitto in testa e non se ne sarebbe nemmeno accorto.
Rivolse lo sguardo al suo computer. Sul desktop c'era una foto di von Seydlitz a cavallo. Un'immagine presa da una gara, l'aveva trovata su Google.
Frugò nello zainetto e tirò fuori una rivista arrotolata. Lo fece con circospezione, perché si trattava di un periodico per ragazzine e non voleva fornire ai suoi colleghi un ulteriore motivo per sfotterlo fino al giorno del giudizio. Era stata sfogliata innumerevoli volte, tanto che le pagine erano ormai sgualcite e malconce.
La aprì nel mezzo, proprio dove era stato tolto il poster gigante di Legolas a cavallo.
Eleganza e stile in chiave moderna: Franz Josef von Seydlitz.
Rilesse l'articolo, ormai lo sapeva a memoria.
Si era persino imparato il nome della sua fidanzata, quello dei suoi gatti e quello del suo primo cavallo. Sapeva di che colore erano le sue macchine, come si chiamava il suo yacht, dove amava passare le vacanze e che tipo di abbigliamento preferiva.
Fino a quel momento però si era imposto un limite: non si vanno a vedere il sito internet e il blog (naturalmente c'erano gli indirizzi alla fine dell'articolo).
Decise di fare uno strappo alla regola.
Non c'era nessuno, aveva una mezz'ora libera, il computer era connesso a internet.
Magari ci sono delle foto da scaricare, si disse a mo' di giustificazione digitando l'indirizzo.

Foto ce n'erano a profusione. Non solo di lui a cavallo, ma anche di lui in ogni possibile situazione. Lui in piscina col costume da bagno e il cocktail con gli ombrellini, lui in smoking ad una serata elegante, lui con la sua ragazza – un'altra rispetto a quella dell'articolo – lui in sella ad una potente moto e così via.
Scaricò tutto.
Compulsivamente, senza nemmeno domandarsi se una foto di von Seydlitz da bambino su un cavallino di legno avrebbe mai potuto essergli di qualche utilità.
Scaricò anche la preview del suo nuovo spettacolo, Fairy Tales, e se la guardò, giungendo alla conclusione che la performance artistica raggiungeva apici di Kitsch e cattivo gusto fino a quel momento mai toccati nemmeno nelle sue fantasie più perverse.
Cosa Rara era stato equipaggiato con due grottesche ali di tulle bianco tutte piene di lustrini, che ad ogni movimento andavano leggiadramente su e giù.
Von Seydlitz era a sua volta dotato di ali ed era vestito tutto di bianco, con un giubbetto di paillettes e una calzamaglia come se avesse dovuto danzare il Lago dei Cigni.
“Mio Dio,” commentò Holger con disgusto, ma nonostante tutto non riusciva ad interrompere la visione del filmato.
Si soffermò a considerare che von Seydlitz era bello. E che la calzamaglia aderente gli disegnava perfettamente i muscoli delle cosce.
“Ancora a guardare internet, Neumann?”
La voce del suo capo gli fece fare un salto di mezzo metro sulla sedia. Chiuse precipitosamente la pagina.
“Mi scusi, io...” balbettò imbarazzato.
“Sì sì, i tuoi soliti filmati dei cavalli. Ma in questo c'era una ragazza, o sbaglio?”
Probabilmente il viso d'angelo e i capelli lunghi di von Seydlitz l'avevano tratto in inganno.
Holger colse la palla la balzo. “Sì... una ragazza, certo.”
“Beh, mi fa piacere che ogni tanto anche tu guardi le ragazze,” tagliò corto il principale, e la questione fu archiviata così.

§

“Sarebbe anche bello, se curasse un po' di più il suo aspetto.”
“Sì, signor von Seydlitz,” rispose la segretaria. Anni di professionalità l'avevano addestrata a rimanere impassibile di fronte alle esternazioni più strane, ma anche lei faticava a nascondere lo stupore che quella frase le aveva procurato.
Imperterrito, il giovane prese una delle sue gigantografie e la osservò. Rappresentava Holger Neumann a figura intera, con un semplice maglione scuro e uno sdrucito paio di jeans. Aveva un bel fisico, era alto e snello.
Ovviamente non si era accorto del fotografo, per cui aveva un'aria assorta, un po' trasognata, molto diversa dall'espressione tesa che aveva durante le gare.
Sembrava quasi che sorridesse fra sé e sé con aspettativa. Forse stava pensando a qualcosa di molto piacevole, magari alla sua ragazza.
“A proposito, ha una ragazza Neumann?” chiese a voce alta.
“Non saprei, signor von Seydlitz.” La segretaria era sempre più stupita.
“Mi mandi il signor Jevremovic, per cortesia.”
“Sì, signor von Seydlitz.”

Dragan Jevremovic, un ex militare serbo responsabile del servizio d'ordine degli spettacoli di von Seydlitz, era stupefatto. “Mi ha chiesto di andare in Germania a prendere informazioni su un tizio. Vuole sapere se ha la ragazza,” diceva a Milan Koljevic, un suo connazionale che lavorava nelle scuderie.
“Quello si è bevuto il cervello,” fu il commento di Koljevic, proferito dopo una mezza sigaretta di silenzio.
“Tanto a posto non è mai stato. Potrebbe passare la vita a godersi i suoi soldi e invece va a fare quella roba ridicola col cavallo.” Pausa. “Ma finché mi paga, quel che fa sono affari suoi.”
“Bah.” La sigaretta finì. “Io dico che è finocchio.”
“No, ha un sacco di donne. Tutte gli stanno dietro, arrivano quintali di lettere di ragazze che lo vogliono sposare.”
“E allora perché ti manda fino in Germania per cercare informazioni su un uomo?”

§

“Basta Holger! Questa cosa sta diventando morbosa!”
Era da un po’ che Uschi sopportava in silenzio, ma l’acquisto dell’ultimo gadget di von Seydlitz, nella fattispecie la palla con la neve con dentro lui a cavallo, era stata troppo. “Basta! Sembra di entrare in camera di Gabi!”
Gabi era una cuginetta tredicenne maniaca dei Tokio Hotel.
Schiacciato dalla colpa, Holger non replicò.
“Che te ne fai di tutta questa roba?” insisté la sorella, indicando con ampio gesto i poster che tappezzavano la stanza e lo scaffale con tutti i DVD delle performance artistiche di von Seydlitz. “Buttala via! Tu devi concentrarti sul dressage, l’infatuazione per questo tizio ti sta facendo rincretinire!”
“Non è un’infatuazione!” esclamò Holger con inaspettata violenza “E tu fatti gli affari tuoi! Sembra quasi che mi abbia ingaggiato tu per fare dressage!”
“Io lo dico per te! Sei ai minimi storici, Berner dice che non sei mai stato così poco concentrato sugli allenamenti! Se vuoi davvero vincere il Prix St. Georges sarà meglio che la pianti con queste idiozie e cominci a lavorare seriamente!”
Inaspettatamente, Holger le si rivoltò contro come un leone, con il viso rosso di collera e le giugulari che sembravano corde: “L’avversario da battere sarà lui, capisci? Quando arriverà lui, col suo bel cavallo da cinquecentomila euro e una squadra di trenta persone che gli puliscono anche il culo, non ci sarà più spazio per nessun altro! E se io non lo conosco a fondo, se non so come pensa, non ho speranze!”
“Credi che guardarlo mentre si comporta come un idiota vestito da Nureyev ti aiuti a capire come pensa?” replicò furiosa la sorella. “A te piace lui! Lo guardi perché è bello!”
Detto questo si arrestò all’improvviso, mettendosi una mano sulla bocca nell’improbabile tentativo di cancellare qualcosa che non avrebbe mai dovuto essere proferito.
Da rosso che era, Holger divenne bianco come un cencio. “Vattene,” sibilò in preda a un’ira gelida, “esci di qui. E ringrazia che sei mia sorella e non voglio metterti le mani addosso.”
Chiuse la porta con un colpo secco e vi si appoggiò contro vagamente ansante.
Dalle pareti innumerevoli versioni di von Seydlitz – elfo, cowboy, motociclista, principe delle favole e altre – lo fissavano ammiccanti.

§

“Signor von Seydlitz, se ha deciso di cambiare sport me lo dica pure serenamente, io saprò organizzarmi, ma così non si può lavorare.”
L’istruttore e giudice di gara federale Schimdt fissava il suo allievo con espressione decisamente scontenta.
Fino a pochi mesi prima addestrarlo era stato un compito prodigo di soddisfazioni. Imparava tutto subito e lo metteva in pratica al meglio. Un’incredibile sintonia con il cavallo, un’eleganza innata, un senso del ritmo e una grazia più unici che rari.
Poi era arrivato Holger Neumann.
“Mi scusi, ero distratto,” gli giunse la voce del giovane cavaliere.
“Cerchi di porre la necessaria attenzione in quello che sta facendo, per favore, altrimenti perdiamo tempo in due senza ottenere nulla.”
“Ha ragione, signor Schimdt.”
“Mi faccia rivedere una serie di cambi di galoppo al volo, prego. Ogni due tempi.”
“Sì, signor Schmidt.”
L’istruttore osservò critico, massaggiandosi il mento come faceva sempre quando una figura di dressage era talmente mal eseguita che non sapeva da che parte cominciare ad elencarne i difetti.
“Se lei intende partecipare al Prix St. Georges in queste condizioni, è mio dovere avvertirla che avrà una grande delusione,” proferì infine lapidario.
“Questo non deve accadere,” replicò von Seydlitz con voce tagliente, “lui arriverà là col suo cavallo in prestito, con la sorella che gli fa da groom e con i vestiti smessi dell’istruttore, non posso fare la figura di essere sconfitto da uno così!”
“Eppure è lui l’uomo da battere,” fu la spietata risposta di Schmidt. E prima che l’altro potesse replicare aggiunse: “Smetta di guardare i filmati dei suoi allenamenti, sta acquisendo tutti i suoi difetti.”
“Non ne ha di difetti,” rispose d’impulso von Seydlitz, “se solo avesse un cavallo migliore non avrebbe rivali!”
Subito dopo arrossì violentemente. Le parole gli erano letteralmente uscite di bocca da sole, come spinte da una volontà che non gli apparteneva.
L’istruttore preferì non infierire oltre.

§

Kaiser Wilhelm sbuffò, sgroppò ed emettendo un nitrito rabbioso fece una mezza impennata.
“Ehi, che ti prende?” gli chiese Holger preoccupato, cercando faticosamente di calmarlo.
“Te lo dico io cosa gli prende,” disse Albert Berner avvicinandosi, “gli hai dato una tirata in bocca.”
“Ma non ha mai fatto così.”
“Perché tu non hai mai avuto le mani così pesanti. Hai mosso quelle redini come se fossero il manubrio della bicicletta.”
Holger chinò la testa pieno di vergogna. Possibile che non si fosse accorto di nulla? Gli sembrava di non aver fatto niente di diverso dal solito.
L’istruttore lo fissò critico.
“Scendi da cavallo, Neumann,” ordinò.
L’altro obbedì contrito, consapevole che se l’istruttore lo chiamava per cognome e gli diceva di smontare da cavallo doveva averla fatta veramente grossa.
Quando fu a terra, l’altro gli mise paternamente un braccio intorno alle spalle. “Tu hai sempre avuto una grande passione per il dressage,” cominciò, “e hai la fortuna di avere anche una grande attitudine a questo sport. Possiedi potenza, controllo e coordinazione. Ecco perché ho accettato di addestrarti gratis e ti ho affidato addirittura il mio cavallo.”
Silenzio sempre più contrito da parte di Neumann.
“Quindi capisci che vederti gettare tutto alle ortiche per una stupida infatuazione è per me una delusione davvero enorme.”
Holger non rispose. Anche sua sorella, che peraltro a due settimane dalla lite ancora non gli rivolgeva la parola, aveva parlato di infatuazione.
Ma non avevano capito niente, lui odiava e detestava von Seydlitz. Raccoglieva materiale su di lui solo per avere un quadro più preciso della sua personalità. Conoscere il nemico è fondamentale.
“Ebbene, cosa intendi fare?” la voce del signor Berner, non scevra di una certa severità, lo richiamò ai suoi doveri. “Vuoi lavorare seriamente per cercare di portare a casa quel premio o preferisci continuare a fare lo sciocco?”
Il ragazzo sospirò afflitto. “Farò come dice lei, signor Berner,” rispose, “mi scusi se mi sono comportato male.”
“Molto bene. Allora per prima cosa butta via tutti i DVD di von Seydlitz, a forza di guardarli stai acquisendo tutti i suoi difetti.”
“Non ne ha di difetti!” replicò Holger con insolita aggressività, “Io posso solo imparare da lui!”
L'altro fece un sospiro paziente. “Cosa abbiamo appena detto, Holger?”
“Mi scusi, signor Berner.”

§

E così, Franz, le voci che ti danno come partecipante al Prix St. Georges di Bordeaux sono vere?”
Non me lo perderei per nulla al mondo!”
Ci sarà anche la tua fidanzata a vederti?”
Oh, no. Temo che si annoierebbe. E poi ho bisogno di stare concentrato sulla gara.”
Ma certo, capisco. E dimmi, sono vere anche le voci che danno per imminente il vostro matrimonio? È vero che vi sposerete a cavallo nel parco del Castello di Schönbrunn?”
Su questo non posso dire niente, non vorrei rovinare la sorpresa ai miei fans!”

“Dio che str...” Si interruppe, non era abituato a dire parolacce.
Chiuse la pagina di Youtube sulla quale aveva guardato l'intervista a von Seydlitz.
Per far sì che il signor Berner e sua sorella smettessero di rendergli la vita impossibile aveva dovuto raccogliere tutto ciò che aveva su di lui e portarlo in cantina, ma gli rimanevano sempre le pause al lavoro. Lì Uschi non poteva controllarlo.
C'era solo il suo principale, peraltro ancora convinto che von Seydlitz fosse una bella ragazza e quindi contento del fatto che lui la guardasse.

§

La giornalista mostrò un sorriso incoraggiante. “Ebbene, Holger – posso chiamarti Holger, vero? – lo sai che ti definiscono la promessa del dressage tedesco?”
Neumann si guardò intorno terribilmente imbarazzato, sembrava che stesse ancora cercando un modo per sottrarsi con discrezione all'intervista, tanto che la sua interlocutrice lo richiamò: “Guarda nella videocamera, per favore. Ecco, così, bravo. Dicevamo: lo sai che ti chiamano la promessa del dressage tedesco?”
Beh, io non saprei, signora,” rispose Holger indeciso, sogguardando il volto della ragazza in cerca di approvazione, “Diciamo che il dressage è la mia passione.”
Sì, questo lo immagino,” la giornalista parve delusa, “e quindi parteciperai anche tu al Prix St. Georges di Bordeaux?”
Sarebbe la mia intenzione, sì. Sempre che il mio allenatore mi giudichi sufficientemente preparato.”

“Dio che pena!” sospirò von Seydlitz. “E quell'accento della Bassa Sassonia è quanto di più abominevole abbia mai sentito in vita mia!”
Si soffermò comunque a pensare che era la prima volta che sentiva la sua voce. Era gentile, quasi sommessa, eppure dava l'idea di una volontà adamantina.
Spense il televisore prima che Schmidt e Vogl, di cui sentiva i passi in corridoio, entrassero nel salone. Sicuramente gli avrebbero fatto una solfa insopportabile se lo avessero sorpreso a guardare qualcosa che aveva a che fare con Neumann.
Gli avevano proibito di mandare i fotografi ad immortalare gli allenamenti del Preuße, pena il rifiuto di continuare a seguirlo nella sua preparazione per il Prix St. Georges.
La Hopkins gli aveva addirittura requisito le gigantografie con un atteggiamento da maestra vittoriana che sorprende un alunno a guardare le immagini sconce.

§

E venne finalmente il grande giorno.
Uschi frullava dappertutto come una trottola, occupandosi delle valigie, dei documenti, del van per Kaiser Wilhelm e di tutto quello che sarebbe servito durante il viaggio.
Per spendere meno avevano deciso che si sarebbero spostati via terra, tutti sul furgone del cavallo alternandosi alla guida.
I genitori di Holger gli avevano comprato per la gara uno splendido completo da dressage e i suoi colleghi di lavoro, del tutto inaspettatamente, si erano messi d'accordo di nascosto con Uschi e gli avevano regalato una bella coperta nuova per il cavallo.
I finimenti che avrebbe usato erano quelli con cui Berner anni prima aveva disputato l'Olimpiade. Da allora l'istruttore non li aveva più tolti dal baule in cui li conservava gelosamente.
Era un grande onore, che Holger accettò commosso.
Quando tutto fu pronto partirono allegramente alla volta della Francia seguiti dai saluti di tutta la famiglia Neumann, raccolta sulla soglia di casa per solennizzare l'avvenimento.

Dopo un po' che viaggiavano, il signor Berner alla guida e Kaiser Wilhelm che dilatava le froge alla ricerca di refoli d'aria fresca, Uschi sorrise e tirò fuori dalla borsa un voucher dall'aspetto decisamente prestigioso, custodito in un'elegante cartellina color seppia.
“Per te,” disse porgendolo a Holger.
“Cos'è?”
“Guardalo.”
Hotel Savoy, cinque stelle lusso. Una camera singola per una settimana.
Holger la fissò stupefatto. “E voi? E Willi?”
“Noi staremo in un altro albergo, più vicino alle scuderie, così Willi avrà tutto quello che gli serve.” Poi, notando il suo smarrimento, affettuosamente aggiunse: “Volevo che per una volta stessi nel lusso anche tu.”
“Io... grazie, è meraviglioso, ma non dovevi.”
“Sciocchezze, hai lavorato sodo e te lo meriti. E poi mi hanno dato una mano anche zia Lise e zio Peter.”

§

“Signor von Seydlitz, è tutto pronto.”
“Grazie, signorina.”
Franz prese posto sul sedile posteriore della lussuosa Mercedes nera, che immediatamente si avviò senza una scossa, il motore non più rumoroso delle fusa di un gatto.
Era alla testa di una piccola colonna diretta all'aeroporto.
Seguivano, nell'ordine: un'altra Mercedes per gli istruttori, il van di Cosa Rara, due camion di attrezzature varie, una macchina e un pickup per gli spostamenti sul posto e un pullman con il personale che si sarebbe occupato di tutto.
Aveva per l'occasione noleggiato un cargo. Certo gli era costato qualcosa, ma così facendo aveva avuto il tempo di fare un'ultima rappresentazione di Fairy Tales prima di partire per la Francia. Era stato come sempre un vero trionfo, il pubblico era impazzito per le ali di tulle.
“Signorina, l'albergo?” chiese alla segretaria, immancabilmente seduta al suo fianco.
Hotel Savoy, signor von Seydlitz.”
“Molto bene.”
“E la troupe starà al Joli Coeur, vicino alle scuderie. Solo io e i suoi istruttori saremo con lei al Savoy.”
“Direi che è una sistemazione perfetta.”
“Grazie, signor von Seydlitz.”

§

Vigilia della gara.
Seduto su una poltrona della sua suite principesca, Holger guardava distrattamente la TV. Non sapendo il francese teneva il volume al minimo e i programmi erano essenzialmente un susseguirsi di immagini più o meno colorate.
Nei giorni precedenti aveva provato sul rettangolo per abituare Kaiser Wilhelm al nuovo terreno e alla presenza di altri cavalieri, sebbene l'animale, attempato e già abituato alle competizioni internazionali, fosse decisamente meno nervoso di lui.
Aveva visto i concorrenti di varie nazioni, molti francesi naturalmente, e poi inglesi, altri tedeschi, olandesi, un danese e anche un italiano, ma non aveva mai incontrato von Seydlitz.
In un certo senso ne era stato sollevato.
Probabilmente si sarebbe emozionato vedendolo, magari avrebbe fatto qualche errore banale proprio davanti ai suoi occhi. E poi preferiva non assistere alle sue prove, aveva il dubbio che l'avrebbero alquanto demoralizzato.
Ma ora di prove non ce ne sarebbero più state.
“Domani si fa sul serio,” disse fra sé e sé.
Provò a coricarsi, ma il sonno non voleva arrivare. Eppure sapeva che avrebbe dovuto essere riposato in vista della competizione. Rimpianse che in albergo non ci fosse Uschi, magari parlare un po' con lei l'avrebbe aiutato a calmarsi.
Dopo un po' che si rigirava nel letto, sempre più nervoso man mano che l'orologio sul comodino gli mostrava l'inesorabile scorrere del tempo, decise di alzarsi e andare a fare un giro nella hall.

Si vestì è andò giù. Nonostante l'orario non eccessivamente tardo, il posto era deserto e l'unica persona presente a parte lui era un concierge sonnolento alla reception.
Holger ne fu stupito, ma solo perché non conosceva le usanze della provincia francese, dove dalle diciotto in poi diventa difficile anche trovare qualcuno per la strada.
Passeggiò un po', sfogliò distrattamente qualche rivista, mandò un sms a Uschi e andò all'ascensore per tornare in camera.
Stava aspettando con aria assorta quando dalle porte d'acciaio lucidato a specchio uscì Franz Josef von Seydlitz.
I due si trovarono faccia a faccia. Si squadrarono muti per qualche secondo poi, citando l'immortale frase di Henry Morton Stanley, l'austriaco disse: “Il signor Neumann, presumo.”
Holger rimase interdetto. Sulle prime non seppe fare altro che assentire col capo, troppo stupito per rispondere a tono, poi finalmente riuscì a proferire: “E lei è il signor von Seydlitz, non è vero?”
“Proprio così.” Franz tese signorilmente la mano, secondo il principio che definisce squisita la cortesia del re.
L'altro la strinse. “Ero ansioso di conoscerla,” non poté fare a meno di dire.
“Anch'io.”
Altri secondi di imbarazzato silenzio, quindi von Seydlitz propose: “Io stavo andando a bere qualcosa, perché non mi fa compagnia?”
Neumann ebbe un attimo di panico. Oddio, adesso mi porterà al bar e ordinerà uno di quei cocktail dal nome assurdo con gli ombrellini e le cannucce. Cosa mi inventerò quando mi chiederà cosa voglio bere?
Terrorizzato all'idea di fare la parte del bifolco ignorante, fu tentato di rifiutare.
“Io non credo sia il caso...” cominciò esitante.
“La prego, non le ruberò più di venti minuti,” insisté von Seydlitz. Gli sorrise quasi con aria di scusa. “Sa, temo di essere un po' nervoso per domani.”
Allora sei umano anche tu, pensò il tedesco. La constatazione gli fece vedere di colpo il suo avversario sotto una luce completamente diversa. “D'accordo,” rispose sorridendo a sua volta, “anch'io ho voglia di bere qualcosa.”
Sicuramente Uschi e il signor Berner non avrebbero approvato, lo pensò con un vago senso di colpa seguendo tuttavia l'austriaco verso il bar.

Cominciarono a darsi del tu alla fine del primo cocktail e all'arrivo del terzo parlavano già protendendosi l'uno verso l'altro come vecchi amici che si ritrovassero dopo una lunga separazione.
Nel frattempo erano passati alcuni multipli dei venti minuti di von Seydlitz.
Chiacchierando amabilmente, i due si studiavano a vicenda. Non era però la curiosità voyeuristica e morbosa che li aveva animati fino a quel momento, era piuttosto un genuino interesse, alimentato dal fatto che il procedere della conversazione li rivelava inaspettatamente gradevoli l'uno per l'altro.
Von Seydlitz, più piccolo ed esile di come Neumann lo immaginasse e molto, oh molto più bello dal vero che in fotografia, era cortese, attento, aveva modi affabili e raffinati. Addestrato da anni di alta società, aveva una conversazione leggera e gradevolissima, che metteva perfettamente a suo agio l'interlocutore.
Anche Neumann era sembrato a von Seydlitz assai più interessante dal vero che nei filmati carpiti dai suoi fotografi. Aveva una bella espressione aperta, che faceva venire voglia di rivolgergli la parola, e non aveva per nulla l'atteggiamento di superiorità morale del bravo ragazzo di umili origini che si è guadagnato le cose da solo senza l'aiuto di nessuno.
Nonostante fosse un Preuße, e quindi come tutti i suoi connazionali ossessionato dal senso del dovere e incapace di godersi la vita, era decisamente simpatico. Aveva sense of humour, una certa autoironia e fra parentesi anche degli stupendi occhi verdi.

Cosa Rara è un gran bel cavallo.”
“Oh, ha un caratterino! Devi stare attento anche a come lo guardi, altrimenti si offende! E Kaiser Wilhelm com'è?”
“È bravo. Mi piacerebbe avere la possibilità di comprarlo un giorno.”
“È un Holsteiner, vero?”
“Sì, e Cosa Rara è un lipizzano, se non sbaglio.”
“Già.”
Per un po' parlarono di cavalli. Razze e attitudini, ognuno dei due piacevolmente colpito dalle competenze dell'altro. Poi passarono alle rispettive famiglie. Holger sapeva che i genitori di von Seydlitz erano separati e vivevano in due nazioni diverse, nella fattispecie il padre a Vienna con lui e la madre a New York, e Franz sapeva di Uschi e di come facesse da groom per il cavallo di Holger.
“Tua sorella pratica il dressage?” s'informò cortesemente.
“No, preferisce gli ostacoli. Dice che il dressage richiede troppa precisione.”
“In effetti non ha tutti i torti.” Pausa pensosa. “Un altro drink?”
“L'ultimo, eh?”
“L'ultimo.”
In un perfetto francese, von Seydlitz chiamò il barman: “Due white lady, per favore.” E poi, rivolto a Neumann: “Spero che ti piaccia. Io amo i cocktail a base di gin.”
“Andrà benissimo,” rispose l'altro, vergognandosi di ammettere che non sapeva cosa fosse un white lady.
Gli girava un po' la testa, per la verità, dal momento che non era abituato a bere, ma anche su quello mantenne un dignitoso silenzio.
La testa girava anche a Franz. Trovarsi così vicino a Holger Neumann gli faceva davvero uno strano effetto, tanto che per darsi un po' di coraggio aveva bevuto più del solito.
Nonostante tutto, quando i white lady finalmente arrivarono, i due sollevarono i bicchieri dicendo prosit e bevvero.
“Sei davvero un principe?” chiese a un tratto Holger giocherellando distrattamente con la coppetta dei salatini.
“Assolutamente no,” rispose Franz, “credo che siamo baroni o qualcosa del genere. La mia famiglia ha avuto il titolo nobiliare alla fine dell'ottocento, non so neanche per quale motivo. Mia madre non è nemmeno di famiglia nobile. Mio padre l'ha sposata perché ai suoi tempi era una modella bellissima.”
“E allora perché ti fai chiamare Principe dei Cavalli?”
“Esigenze pubblicitarie,” rispose l'altro disinvolto, “come le ragazze.”
“Cosa?”
“Le ragazze, le fidanzate. Tutta pubblicità, fanno parte del personaggio.”
“Vuoi dire che Veronika von Kirchbach non è la tua fidanzata? Non vi sposerete a cavallo nel parco di Schönbrunn?”
“Ma figurati! Io sono gay.”
Holger alzò stupito gli occhi su di lui. “Cosa?”
“Sempre stato.”
Seguirono almeno dieci secondi di silenzio.
“Oh. Capisco,” mormorò infine Neumann.
“Se la cosa ti imbarazza possiamo parlare d'altro,” replicò cortesemente von Seydlitz.
“No, no. Non mi imbarazza affatto,” si affrettò ad assicurargli Holger, certo di essere arrossito fino alle orecchie.
“Sicuro?”
“Certo. Tranquillo.” Bevve una generosa sorsata del suo cocktail.
La notizia non l'aveva lasciato sconvolto per inusitate motivazioni moralistiche, il suo disagio era di tutt'altra origine.
Se prima aveva considerato von Seydlitz come un cantante o un attore, ovvero come una specie di creatura irraggiungibile sulla quale fantasticare e basta, ora scopriva che non era così: il Principe dei Cavalli era a meno di un metro da lui, era di carne e sangue ed era gay.

Che faccio, ci provo? Mi ha anche detto che è gay, più esplicito di così... Però magari è uno che lo dice a tutti, tanto per fare conversazione. Ciao, mi chiamo Franz e sono gay. Che ne so io?
Che bel ragazzo, quello che non gli farei...
Lo sbatterei sul letto, gli strapperei i vestiti e...

Le dita di Franz che sfioravano le sue lo fecero sussultare così violentemente che per poco non cadde dallo sgabello del bar.
Lo fissò stupefatto, ma lui non ritrasse la mano. Accarezzò lentamente il palmo della sua, anzi, facendogli correre un brivido di desiderio lungo la spina dorsale.
Infine propose: “Che ne dici se andiamo a bere qualcosa in camera?”

§

Teoricamente il mattino dopo ci sarebbe stata una gara internazionale da disputare, e sempre teoricamente Neumann e von Seydlitz avrebbero dovuto dormire un congruo numero di ore per svegliarsi ben riposati e in forma.
In pratica i due erano nel letto di von Seydlitz nudi e avvinghiati, e si baciavano con la frenesia di due adolescenti alla prima cotta.
Erano anche un po' brilli, cosa che sicuramente aveva favorito quell'insolito sviluppo della situazione e li rendeva nel contempo singolarmente disinvolti nei confronti l'uno dell'altro.
Si erano letteralmente saltati addosso appena messo piede in camera. Eccitato a morte, Holger aveva afferrato Franz per le spalle, l'aveva sbattuto contro il muro e l'aveva baciato ficcandogli prepotentemente la lingua in bocca.
Di solito non faceva così. Normalmente era dolce, gentile, pieno di premurose attenzioni.
Stavolta invece un cinghiale in calore si sarebbe comportato con maggiore delicatezza.
L'altro però evidentemente non era stato scontento di quella virile presa di possesso, perché gemendo di piacere gli aveva ceduto subito, morbido e arrendevole di fronte a tanta irruenza.
Poi si erano freneticamente liberati dei vestiti ed erano crollati sul letto mugolanti e ansimanti.

“Hai un condom?” chiese Holger non appena i frettolosi preliminari furono esauriti.
“Qui dentro.” Franz gli porse una scatola, e già che c’era anche un flacone di lubrificante grosso come un estintore.
L'altro sollevò il coperchio del contenitore e vi infilò la mano. “Per caso avevi intenzione di andare a letto con tutti i concorrenti del Prix St. Georges?” s'informò stupito.
“Perché?”
“Qui dentro ce ne saranno almeno duecento!”
“È meglio essere previdenti.”
“Ho capito, ma...”
“Vuoi deciderti a farne l'uso per cui sono stati inventati o discutiamo fino a domattina di quanti condom mi porto dietro quando viaggio?”
Senza attendere risposta si allungò voluttuosamente sulle lenzuola di seta, rigirandosi poi con un movimento sensuale fino a mostrargli un paio di natiche che sembravano scolpite da Fidia, rotonde e sode, dal colorito appena rosato, lisce e senza dubbio vellutate come pesche.
Si puntellò poi sui gomiti sollevandosi appena, e da sopra la spalla gli rivolse uno sguardo che riusciva ad essere al tempo stesso impudico e modesto.

§

“Sei il ragazzo più bello con cui sia mai andato a letto,” confidò Holger a Franz scostandogli delicatamente un ricciolo ribelle dalla fronte. Ora che la passione si era un po' calmata, stava ritrovando la sua abituale dolcezza.
“Anche tu sei bello.”
“Davvero?”
“Hai dei bellissimi occhi e un corpo da favola.” Franz rievocò con un fremito di piacere gli addominali scolpiti del tedesco. “Fai palestra?”
“Mi piace tenermi in forma.”
Attimo di silenzio, gioco di sguardi, qualche carezza languida.
“Si è fatto tardi, che ne dici di dormire un po'?”
“Non sarebbe una cattiva idea.”

§

Franz si stirò voluttuosamente e si staccò con riluttanza dal fianco di Holger. Rivolse uno sguardo assonnato all'orologio sul comodino.
“Merda!” esclamò a dispetto di tutte le sue ascendenze aristocratiche non appena ebbe messo a fuoco le lancette.
Svegliato di soprassalto, Holger si girò di scatto e guardò a sua volta l'orologio.
“Cazzo!” imprecò, nonostante ogni suo buon proposito di astenersi dal turpiloquio.
Era tardissimo.
I due si alzarono come se l'albergo stesse andando a fuoco, poi Holger sgattaiolò furtivamente nella sua camera con l'involto dei suoi vestiti sottobraccio e un asciugamano a coprirgli le pudenda.
Si prepararono freneticamente, doccia, barba, completo da gara, stivali lucidi calzati saltellando su un piede solo nel tragitto verso l'ascensore.

Nella hall c'erano, nell'ordine: Uschi, il signor Berner, il signor Schmidt, il signor Vogl e miss Hopkins, tutti furibondi.
“Muoviamoci.” dissero soltanto, non appena li videro uscire dall'ascensore.
Dallo stesso ascensore.
Era abbastanza chiaro cosa fosse successo, entrambi portavano i segni delle poche ore di sonno, dei cocktail bevuti e degli amplessi consumati.
Il modo in cui si guardavano, poi, lasciava ancora meno dubbi sull'accaduto.

§

La storia ha anche un epilogo, sebbene non particolarmente edificante.
I due giunsero in tempo al rettangolo, riuscirono a disputare la gara ma pagarono lo scotto di tutto quello che l'aveva preceduta, e non ci riferiamo solo alla notte di passione.
Le giovani promesse del dressage diedero delle loro capacità una prova francamente imbarazzante.
Vinse un altro tedesco, un tale Erich Voss, secondo fu un olandese e terzo un danese. Neumann e von Seydlitz finirono al contrario piuttosto in basso nella graduatoria finale.
La stampa sportiva giustificò la questione tirando in ballo la giovane età e l'inesperienza dei due, quindi archiviò il fatto e si dedicò ad altro.

E le due giovani promesse?
Sopportarono pazientemente, consci di meritarli, tutti i rimproveri dei vari istruttori e rientrarono rispettivamente in Austria e in Germania con la coda fra le gambe, ma una settimana dopo erano di nuovo insieme. Nella fattispecie a Minorca, dove erano andati a trascorrere il week end col jet privato di von Seydlitz.




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