Meriggio

di Sileno
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Un bimbo fuoriuscì alla luce dalla boscaglia di pini, nell'aria calda e ferma sulla piana di sabbia che declinava sul mare.
Camminando sulla spiaggia i suoi piedi affondavano scottandosi, così decise di procedere sul limite dell'ombra degli alberi, dove il terreno conservava ancora la durezza della terra e parte dell'umidità della notte sotto la pianta dei suoi piedi.
Il piccolo, mentre camminava, guardava l'orizzonte del mare dove si addensavano enormi nuvole bianche.
Il suo naso minuto era arricciato dall'odore di salsedine che veniva da laggiù, portato dal vento insieme all'olezzo di decomposizione di granchi morti e altri molluschi sulla battigia, che marcivano sotto il sole di mezzogiorno.
Camminò a lungo, silenzioso, in quel limitare tra la spiaggia e il bosco. Lontano le onde si fracassavano sulla terra, ma tra gli alberi vi era silenzio. Anche per gli uccelli sembrava essere troppo caldo. Nessun occhio sembrava guardarlo più, sentiva solo la sua presenza e quella della terra.
Passava la mano sugli alberi, passando al loro fianco, sui tronchi lisci degli ulivi salmastri. Tra le loro foglie che pendevano dall'alto.
Sentì d'un tratto un ramo che strisciava sul suo fianco, ma quando si voltò vide solo il tronco di un enorme ulivo.
Sì avvicinò a quell'albero. Ne toccò con la mano il tronco liscio, ne sfiorò una rientranza che gli ricordava un ombelico. Ogni volta che passava la mano sul legno, esso sembrava più liscio, più morbido. La carne coperta da un leggerissimo strato di grasso di una donna prendeva forma sotto le sue dita, bianca come porcellana.

 

Ho scritto questa piccola novella suggestionato da Montale, soprattutto, oltre che dal primo racconto della raccolta “Morte di mezza estate” di Yukio Mishima. Né il plot, né l’atmosfera c’entrano con quel racconto, ma mi ha colpito il particolare rapporto misterioso tra uomo e mare che traspare dall’inizio della storia.
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