Crossed swords

di elenac3
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Era stata una lunga giornata quella per Lady Sharin Liwang, principessa dell’Isola del Sud, passata a fare festa e banchettare con, come ospite d’onore, il ricco e potente Lord Borsnik. Gli antenati di Lord Borsnik erano mercanti e avevano fatto tanti soldi e acquisito tanta potenza da suscitare la paura nei nobili di stirpe, che per non inimicarseli si erano visti costretti a assegnargli un titolo nobiliare. Con il tempo il loro potere aveva continuato ad aumentare e ora era arrivato quasi a superare quello del re stesso, il padre di Lady Sharin. Suo padre, il re dell’Isola del Sud, non si era mai preoccupato molto di loro, ma da quando aveva deciso di fare guerra ai Territori Centrali si era reso conto che la loro ricchezza e il loro prestigio erano indispensabili per intraprenderla. Così aveva preso a fare negoziati per avere il loro appoggio e in fine ci era riuscito, aveva ottenuto tutto quello che voleva e forse anche di più, solo che Borsnik aveva accettato solo a condizione di sposare la sua bella figlia. Quella giornata di festa era in onore del loro futuro matrimonio, un matrimonio che lei non voleva e non solo perché Borsnik aveva superato da molto la mezz’età, non aveva affatto un fisico asciutto ma, anzi, tutto il contrario e aveva già chiarito di volere una moglie docile e sottomessa, entrambe caratteristiche che non facevano affatto parte del suo carattere, anzi, che proprio non conosceva, ma anche perché lei amava un altro ed era lui che voleva sposare. Suo padre non lo sapeva ed era meglio così perché non avrebbe mai approvato dal momento che il suo amato non era un nobile, anzi non era neppure ricco. Ovviamente a lei non  importava, lo amava e sarebbe stata con lui, suo padre e il nobile Borsnik erano solo un ostacolo che lei avrebbe superato a costo di rinunciare al suo titolo. Per quella sera però non si sarebbe preoccupata di quello, era troppo stanca e mentre saliva le scale che portavano alle sue stanze pensava solo a lui, il suo amato, che presto avrebbe incontrato come faceva tutte le notti ormai da tempo. Quello era un altro motivo per cui non si preoccupava tanto del matrimonio; una volta che avrebbe rivelato di non essere più vergine Borsnik non l’avrebbe più voluta e suo padre non avrebbe potuto far altro che accettarlo e trovare un altro modo per finanziarsi la sua stupida guerra. Raggiunse la cima delle scale, aprì la grande porta di legno ed entrò chiudendosela bene alle spalle. La sua stanza era grande e circolare, la luce della luna che la illuminava attraverso le finestre faceva apparire il pavimento in marmo come se fosse stato fatto con l’argento fuso. Le pareti erano ricoperte di arazzi pregiati che però in quel momento erano in ombra. Appoggiato con la testata nella parete difronte alla porta, di fianco a una finestra a sesto acuto, c’era il suo enorme letto a baldacchino ricoperto da lenzuola di pregiata e fine seta. Sulla sinistra c’era una scrivania, che come tutto il restante mobilio era in legno di quercia, e una piccola libreria con i suoi libri preferiti, a destra invece c’era un grosso armadio colmo di eleganti e ricchi abiti e, a fianco, un tavolo da toeletta pieno di profumi e creme. Corse subito alla grande finestra a sesto acuto e l’aprì, un delicato e fresco vento autunnale entrò nella stanza facendo scuotere le fini tende del baldacchino, investendola in pieno e riscuotendola un poco dal torpore e dalla stanchezza. Sorrise guardando la grande volta blu scuro del cielo, punteggiata di preziosi diamanti che brillavano e di una luminosa luna piena che rischiarava quasi a giorno il paesaggio notturno. Le sue stanze erano  in cima a una delle torri e questo gli offriva una vista incredibile di tutta la terra sottostante, la sua terra. Il suo castello, chiamato il Castello Bianco perché costruito con il marmo bianco, brillava ancora di più nella notte illuminata dalla luna di quanto non facesse normalmente. Si allontanò dalla finestra e si andò a sedere sul suo grande e soffice letto, aspettando l’arrivo del suo amato. Come tutte le sere si sarebbe arrampicato su per il muro e sarebbe entrato della finestra che aveva appena aperto. In realtà nella parete destra aveva una finestra che si apriva su un balconcino, un posto migliore per entrare dell’altra angusta finestra, il problema era però che il balconcino era visibile dalle stanze del padre mentre la finestra a sesto acuto no, quindi avevano ritenuto più prudente usare quella. Dopotutto il suo amato  era un membro del mitico Circolo degli Assassini, una confraternita che si occupava di spiare, rubare e uccidere sotto commissione, in pratica dei mercenari molto più addestrati, silenziosi e letali di quelli comuni, specializzati nell’arte dell’agire in silenzio, nascosti e non visti per portare a termine con successo qualsiasi compito loro affidato. Da tempo erano ormai al servizio di suo padre, anche se ogni tanto facevano dei lavoretti anche per altri. Il suo amato, Rained, era uno dei migliori, non era quindi un problema per lui arrampicarsi non visto su per l’alto e liscio muro della sua torre ed entrare dalla finestra, anche in una notte luminosa come quella. 

Mentre aspettava Sharin decise di togliersi quel pesante e ingombrante vestito e di indossare una sottoveste azzurro pallido, leggera, fresca e sicuramente molto più pratica per quello che sarebbe accaduto dopo. Poco dopo si era già cambiata ed era tornata a sedersi sul letto, aspettando impaziente. L’impazienza si intensificò e ad essa si unì una fastidiosa sensazione di inquietudine quando si rese conto che stava tardando. Lui non tardava mai, impaziente come lei,  alle volte arrivava prima ancora che lei aprisse la finestra e aspettava lì appeso. Se invece era in missione glielo faceva sapere così che lei non lo avrebbe aspettato e si fosse preoccupata in vano. Ma quella notte non era in missione, era in ritardo. Impossibile. 

Stava quasi cedendo al panico quando con la coda dell’occhio vide un’ombra scura arrampicarsi sulla finestra goffamente ed entrare nella stanza. Si alzò e si precipitò verso di lui sollevata e con un sorriso stampato sulle labbra. 

- Oh, Rained, cominciavo a preoccuparmi per il tuo ritar... -

Sharin non finì mai la frase perché ormai lo aveva raggiunto e si era accorta che c’era qualcosa che non andava: lui non era dritto e fiero ma piegato su sé stesso, non le corse in contro come faceva sempre ma rimase lì fermo e poco prima che lei lo avesse raggiunto crollò sulle ginocchia.

Sharin emise un urlo strozzato e gli si inginocchiò accanto mettendogli un braccio attorno alle spalle per abbracciarlo e cercando di sollevargli il viso con l’altra mano. 

Lui sussurrò il suo nome e subito dopo emise un gemito, appoggiandosi a lei. Sharin gli tolse il cappuccio dalla testa, gli passò le mani tra i corti capelli castani e infine riuscì a sollevargli il viso. Era pallido, gli occhi infossati e sofferente, come divorato dal profondo del suo essere da una terribile malattia. Lei era scioccata, non aveva mai visto nessuno in quelle condizioni e non riusciva a capacitarsi che il suo amato fosse ridotto così, lui era sempre stato forte e in perfette condizioni fisiche. Nonostante i suoi sforzi per apparire forte di fronte allo sguardo supplicante di lui, non riuscì a trattenere le lacrime che le colarono come fiumi lungo le sue guance bianche. 

- Che cosa ti è successo? -

Lui provò a parlare ma gli uscì solo un gemito e abbassò la testa per sfuggire allo sguardo di lei, che non gli e lo permise perché nonostante il dolore e lo sconvolgimento che provava esigeva spiegazioni. Dopo qualche istante di silenzio e scambi di sguardi tra i due innamorati, Rained riprovò a parlare e questa volta gli riuscì. 

- Tuo padre sta creando un esercito indistruttibile con l’aiuto di uno stregone, prende i soldati migliori dal suo esercito e li consegna allo stregone che li trasforma. Li rende insensibili al dolore, senza sentimenti, immortali, inumani, con il solo pensiero di obbedire ai suoi ordini e disseminare la morte. Diventano macchine da guerra e perdono tutto di loro stessi, i ricordi, l’amore, la propria vita; con questo. - Rained si scoprì a fatica il lato sinistro del petto: all’altezza del cuore aveva uno strano tatuaggio infuocato inciso nella pelle, da esso partivano delle venature dello stesso colore che gli solcavano tutta la pelle e bruciavano. Riprese a parlare - Tuo padre sapeva di noi, ti ha fatto spiare da uno dei miei confratelli, sapeva tutto e ha detto che non poteva permetterti di far fallire i suoi piani. Ha detto che questo avrebbe dovuto farti tenere la bocca chiusa sulla tua verginità. 

Rained lanciò un urlo e si piegò fino al pavimento mentre cercava di sopportare il tremendo dolore del tatuaggio di fuoco che si estendeva. 

- Ha detto che quello che mi ha fatto è per punire te, che devi fare quello che dice d’ora in poi se non vuoi fare soffrire altre persone a te care. Non preoccuparti per me, per quello che mi hai dato posso pagare anche questo prezzo, ma non mi devi più cercare, non ti devi più avvicinare a me perché una volta che mi sarò trasformato non mi ricorderò più di te e non voglio sporcare le mie mani con il tuo sangue. Ormai manca poco ... ricordati che ti amo, tuo padre mi può togliere tutto ma in fondo continuerò ad amarti, per sempre. 

Rained guardò per l’ultima volta la sua amata, che lo fissava senza parole, sconvolta per tutto quello che le aveva appena rivelato, poi si alzò di scatto, sottraendosi all’abbraccio di lei, e si buttò fuori dalla finestra. 

Sharin rimase in ginocchio a guardarsi le mani, senza avere la forza di alzarsi e seguirlo, ancora cercando di capire quello che era successo e che le era stato detto, mentre il suo mondo le crollava addosso. Non seppe per quanto tempo rimase lì, in silenzio, mentre si svuota di tutti i pensieri, di tutti i sentimenti. Le lacrime smisero di scorrere e si asciugarono sulle guance, gli occhi si persero nel vuoto. In quel momento, non provando più niente, non era molto diversa dal suo amato appena diventato un mostro. L’unica differenza e che lei non sarebbe rimasta così per sempre, se ne accorse all’improvviso; dopo un tempo indefinito di sconfitta e vuoto qualcosa si risvegliò dentro di lei, un fuoco che prese ad ardere e che non si sarebbe spento finché non fosse stato saziato. 

 

In tutto quel dolore si era lasciata sfuggire l’elemento chiave di tutte le sue sventure, il colpevole di tutto quello: suo padre. Suo padre non voleva altro che il potere, non gli interessava nient’altro, né sua figlia né i suoi soldati né il suo popolo. Per i suoi stupidi giochetti lei aveva pagato il prezzo più alto ma sarebbe stato anche l’ultimo: non aveva nessuna intenzione di continuarlo a servire, a fare quello che lui voleva per accontentarlo. Lui le aveva portato via la cosa che più amava al mondo, ora era ora che lei ricambiasse il favore. Il dolore venne sostituito dalla sete di vendetta, che prese a bruciare come fuoco vivo in lei, esigendo di essere alimentato. La sua mente prese a ragionare freddamente e con logica come mai aveva fatto prima d’ora. Aveva sbagliato suo padre a credere che dopo quello che le aveva fatto lei gli avrebbe obbedito, e di molto, se l’avesse conosciuta avrebbe dovuto immagine che lei avrebbe voluto solo vendetta. Si alzò con una nuova luce che gli brillava negli occhi. Si diresse decisa al suo armadio; aveva deciso di andarsene, fuggire quella notte stessa, ma per farlo aveva bisogno di abiti comodi e comuni che non la intralciassero e non la facessero riconoscere. Ma frugando nel suo armadio si accorse che non aveva abiti comuni e comodi, solo lunghe gonne di sete preziose e con ricami elaborati. Richiuse l’armadio e si guardò attorno, non si sarebbe lasciata fermare, il fuoco che ardeva in lei non glielo avrebbe permesso. Poi gli venne in mente che i servi dovevano avere il tipo di abiti che le servivano, si precipitò fuori della sua stanza, senza curarsi di essere ancora in sottoveste, e raggiunse correndo le stanze della servitù. Aprì la porta cercando di fare il minimo rumore, sapeva che tutti dovevano essere ancora indaffarati a sistemare dopo la festa ma voleva essere prudente. Per fortuna non c’era davvero nessuno, si avvicinò a uno dei bauli dove i servi tenevano le loro cose, lo aprì e tirò fuori il primo abito che trovò: una semplice camiciola bianca e pantaloni di lana marrone. Li indossò immediatamente, raccolse da terra la sua sottoveste e corse fuori dalle stanze, raggiunse un corridoio con una piccola finestra e buttò la sua sottoveste. Non voleva in alcun modo collegare il povero servitore con lei per paura della punizione del padre, lei al contrario suo aveva sempre amato e rispettato i suoi sudditi. Continuò a correre finché non raggiunse le stalle, attenta a non farsi vedere, assicurandosi a ogni angolo che non ci fosse nessuno. Le stalle erano buie e non c’era nessuno, gli stallieri erano andati a dormire già da tempo, ma a lei non serviva la luce per sapere dove andare, sapeva perfettamente dove si trovava la stalla del suo cavallo preferito, una cavalla. La raggiunse in breve tempo e lei la riconobbe subito, alzò la sua testa fiera e sbuffò in segno di saluto. Lei le accarezzò il muso vellutato poi entro nella stalla. La sua cavalla era alta, palomina dorata, fiera e indomita, giudicata da molti impossibile da cavalcare perché troppo focosa. Ma non per lei. Le montò in groppa senza sella e la spronò fuori dalle stalle al galoppo, senza bisogno di redini per guidarla. Cavalcarono attraverso l’ampio corridoio della scuderia, la paglia che ricopriva il pavimento attutiva il rumore degli zoccoli, si fermarono davanti alle porte affinché lei le potesse aprire e poi di nuovo al galoppo attraverso il cortile e il ponte levatoio, che in tempi di pace era tenuto abbassato, e infine nei campi che circondavano il castello. Le guardie che sorvegliavano la porta non ebbero il tempo di fermare il possente cavallo dorato che gli sfrecciò davanti e non osarono sparargli perché non sapevano chi era il cavaliere, per quanto ne sapevano poteva essere la principessa stessa. 

Sharin decise di abbandonare la strada maestra e passare attraverso i campi e i boschi, cavalcò senza meta per tutta la notte, lasciandosi guidare dal suo cavallo e con l’unico scopo di allontanarsi dal castello e da suo padre. Non seppe come ci arrivò ne quanto aveva cavalcato, ma improvvisamente il fitto intreccio del bosco si diradò e lei si ritrovò in un’ampia pianura illuminata dalla luna. Fermò la cavalla e guardò quello che le si presentava davanti agli occhi. Un enorme edificio, grande più del castello stesso si ergeva al centro della pianura. L’architettura era simile a quella di una caserma ma di dimensioni molto più grandi, in tutto: porte, stalle, centro di addestramento. Sapeva perfettamente che cos’era, suo padre ne parlava spesso, era il suo orgoglio. Quello era il posto dove vivevano e si allenavano i cavalieri dei draghi, una parte dell’esercito di suo padre. Mentre guardava quell’enorme caserma, tenuta isolata per via delle sue cavalcature pericolose, capì cosa doveva fare, chi doveva diventare. Suo padre non l’avrebbe mai cercata lì, ovunque tranne che lì, sapeva che la vita militare non faceva per una principessa raffinata come lei. E inoltre non avrebbe mai cercato soldati da trasformare tra i cavalieri dei draghi perché si diceva che tra drago e cavaliere ci fosse un legame speciale e se il cavaliere fosse stato minacciato il drago avrebbe fatto di tutto per proteggerlo, anche uccidere il re, dopotutto i draghi non riconoscono nessuna autorità. Era il posto ideale per nascondersi. Si sarebbe travestita da uomo e sarebbe entrata tra le file dei cavalieri dei draghi, avrebbe affrontato qualsiasi addestramento e qualsiasi pericolo che la scuola gli avrebbe posto di fronte, avrebbe combattuto per suo padre e lo avrebbe portato trionfante sul trono dei Territori Centrali, poi mentre lui si godeva la sua vittoria gli avrebbe portato via tutto. Come lui aveva fatto con lei. 





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