An O'Broden Story (4) Dylan(4) • Fuori copione •
Dylan POV
Ricordo che vedere Hoec riflesso nello specchio scatenò in me e T-Pose una sorta di ammirazione di livelli cosmici.
Non aveva assolutamente nulla
di particolare, giusto una t-shirt bianca (avete notato quanto gli stia
bene quel colore?) ed un paio di pantaloni neri. Niente di pretenzioso
o impegnativo; tartaruga a parte. Ma non ne siamo stati invidiosi.
Per noi ragazzi è tutto più
semplice quando si parla di vestiti: ti ci devi sentire bene
nell’indossarli. Fine. Niente “questo colore non si addice al tuo
incarnato” o “quei pantaloni lasciano intravedere i segni delle
mutande”. Cioè, dai, chi se ne frega!
Non smetto mai di ringraziare
il cielo per essere nato uomo, giuro. Anche perché, molto
probabilmente, da ragazza sarei stato un imbarazzante disastro
ambulante. Almeno così ho una scusa quantomeno plausibile al mio essere
stupido, a detta delle ragazze.
«Vuoi davvero andarci vestito
così?» Ecco che arrivò Super-Tyler a demolire le mie convinzioni da
ragazzetto senza il minimo senso dello stile.
«Perché? Cosa c’è che non va?»
Domandai per l’appunto con un innocente animo ferito cercando supporto
morale dall’altro Tyler, quello che aveva accumulato tutti i punti
appena persi dal suo omonimo. E che era già pronto da ore per l’euforia.
Devo ancora capire cosa avesse contro la mia maglia col teschio, comunque.
«Niente, niente» si tirò
indietro alzando le sopracciglia e sorridendo come fa mio padre quando
mi dava (e dà) dell’incompetente con le ragazze.
Posey alzò le spalle allargando le braccia, facendomi così capire che neanche lui avesse afferrato la natura del problema.
Ma quella sera c’era qualcosa di molto importante in ballo perciò dovevo saperlo.
«Sputa il rospo» dissi diretto seppur la mia voce trapelasse un pizzico di esasperazione.
«Non dovrei incoraggiare
questa follia ma d’accordo» alzò le spalle lui avvicinandosi al mio
misero, disordinato armadio con una faccia a dir poco multi-espressiva.
È curioso come una sola smorfia possa esprimere divertimento,
rassegnazione, fiducia e coraggio tutto nello stesso momento.
Ancora oggi non perde occasione per farmi presente quanto il suo gusto sia stato d’aiuto quella sera.
Raggiungemmo la festa tutti e
tre con la stessa auto e, per il vostro bene, eviterò di dirvi quante
volte Tyler abbia pregato il più grande di passargli sotto banco
qualche alcolico “giusto per festeggiare” o di ripetervi tutti gli
appellativi simpatici che usarono per descrivere la mia unica giacca
sportiva.
Andrò dritto al punto in cui
ringraziai Hoec per esserci stato laddove il mio coraggio era venuto a
mancare e mi spinse (addirittura quasi fisicamente) a cercare Holland
tra la folla.
“Dovevo farlo prima che potesse pensarci qualcun altro”.
Ma io lo vidi semplicemente
come un consiglio spassionato (tipo quello dei vestiti) piuttosto che
come una vera e propria informazione in incognito.
Anche se, col senno di poi, è facile arrivarci ora.
Quando la vidi seduta al
tavolo vicino alla console, la voglia di tornare nella confort-zone
assieme a Scrocco-Alcolici-Posey salì alle stelle. Stavo effettivamente
facendo marcia indietro. Ero nervoso, certo che lo ero! Ma non appena
vidi Crystal alzarsi dal posto accanto a lei per indicare un gruppo di
persone (tra le quali riconobbi di primo acchito solo JR) mi dissi
“Okay, adesso o mai più”.
“Devi farlo prima che possa pensarci qualcun altro”.
E per quanto potesse tentarmi quel mai più, l’adesso vinse su tutto.
«Vuoi ballare?» E neanche un
ciao. Capite ora quanto fossi senza speranza, sì? Perché io lo capii
non appena alzò lo sguardo su di me, scrutandomi da capo a piedi come
se stesse tentando di leggermi nella mente. Passarono altri cinque
secondi di silenzio prima che potesse rispondermi.
Credo di essere morto in quei cinque secondi, per la cronaca.
«Oh, ho capito, ho capito»
annuì con gli occhi chiusi in due piccole fessure indagatrici. «Stai
facendo pratica per la scena della puntata undici, giusto?»
Morto di nuovo. Per questo ci
misi più di qualche istante per realizzare che gli occhi spalancati a
mo’ di triglia fuor d’acqua non fossero l’ideale in quel contesto.
E poi non sapevo cosa rispondere.
«. . . sì! Certo, è ovvio!» Esclamai in maniera davvero davvero poco credibile. «Quindi…»
«Passo» disse Lydia.
Quale altra scelta avevo?
Almeno, assecondando quella scena, avrei avuto la certezza che alla
fine avremmo ballato insieme. Perciò non dire la verità uscendomene con
un fiabesco “Dicevo sul serio: balla con me, Holland” fu un’ottima
mossa.
«Lydia, alza il tuo bel sederino e vieni a ballare con me.»
E benché avesse già indossato la maschera del suo personaggio, intravidi nei suoi occhi verdissimi un accenno di sorpresa.
«Non c’è nessun “bel” nel copione.»
«Lo so» ribattei semplicemente accollandomi tutte le responsabilità possibili immaginabili per quella breve licenza poetica.
La vidi sorridere e dentro di
me, in qualche modo, mi sentì come se il cuore avesse appena tirato un
sospiro di sollievo. Per lo meno non era morto ancora una volta, pur
avendone tutto il diritto.
Perché quel sorriso era suo.
«Bene allora» si tirò in piedi
e, prendendomi per mano, si fece strada verso la pista da ballo, già
animata dai balletti scalmanati di Melissa ed altri cameraman e
coordinatori stunt-man.
Mentre seguivo i suoi passi, fu inevitabile notare le scarpe alte che portava ai piedi.
A quel punto quello a
sorridere fui io poiché, conoscendo il suo pensiero sui tacchi, sentivo
che quella scelta fosse stata presa per me.
Anche se solo come risposta ad una stupida provocazione.
E questo poteva significare solo una cosa: che forse un po’ di me le importava.
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