Planet Hell - Il Pianeta Inferno

di GothicGaia
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Prologo

 
La giovane donna correva con il respiro affannato, non osando neanche pensare di fermarsi, per riprendere fiato. Il suo inseguitore non si sarebbe fermato, e lei non gli avrebbe concesso un vantaggio. Con tutta la velocità che il suo corpo le permise di correre, continuò a muoversi rapidamente, tra le grigie pareti della caverna rocciosa, avvolta dalle tenebre.
Respirava a fatica. La ferita le doleva. Lo squarcio che si apriva sul fianco destro, vicinissimo al ventre, le bruciava come se la bestia stessa che l’aveva colpita, la stesse divorando.  Usciva sangue. Tanto sangue. Con una mano premuta sul profondo taglio, tentava invano di fermarlo. Le sue dita ne erano completamente intrise, mentre un grosso grumo stava formando una crosta sugli indumenti che le aderivano appiccicosi addosso. Nella mano destra invece, reggeva un apparecchio tecnologico, da cui non si sarebbe separata neanche a costo della su stessa vita: un trasmettitore. Da quell’oggetto dipendeva il destino del suo mondo. La Terra. Chi la inseguiva non ne era interessato. Voleva solo lei. Voleva solo la sua carne. Il suo sangue. Forse l’avrebbe uccisa, ma lei non gliela avrebbe data vinta così facilmente. Non gli avrebbe permesso di ucciderla. Non prima di aver portato a termine il suo compito. Ansimando tra le gallerie buie, scavate nella roccia corrosa, dalle acque del mare, continuò la sua corsa, e fuga. Si fermò per un solo istante, senza respirare, o emettere fiato.
Silenzio.
Il suo inseguitore non conosceva movimento che potesse provocare alcun tipo di rumore, in grado di rivelare il suo arrivo. Era come un fantasma. Solo che non era un fantasma. Era reale. Riprendendo a correre, la donna s’infilò in uno stretto cunicolo che s’allargava verso l’alto, mentre una serie di rocce appuntite pendevano dalla volta della caverna. La galleria dalle pareti perfettamente circolari, continuava la sua strada in salita, sempre più in alto, rendendo la sua corsa ancora più faticosa. Ma non le importava. Continuò a procedere al buio, finché non inciampò in un masso spigoloso, che le trafisse una caviglia, scorticandole la pelle. Istintivamente sollevò il braccio, con cui reggeva il trasmettitore, e stendendo il gomito in avanti, lo protesse dalla caduta. Facendo forza sulla mano appiccicosa di sangue si  sollevò sulle ginocchia e si rimise immediatamente in piedi, riprendendo a correre. Il buio totale le impediva di vedere, e ad ogni movimento le veniva la tentazione di fermarsi, per portare lo sguardo verso il basso, nel tentativo di scorgere un qualsiasi segno di vita, da parte del trasmettitore. La salita si fece più ripida, a dopo pochi istanti, alla sua destra, cominciò a intravedere un bagliore luminoso, che rifletteva una luce grigia, sulla parete rocciosa. La creatura era vicinissima. Lo percepiva. La paura glielo diceva. Presto l’avrebbe presa. Con il cuore che le martellava nel petto, si diresse verso quei raggi, in direzione della luce, a seguendo il corso serpeggiante del cunicolo, intravide in lontananza un’uscita, che si apriva circolare nella parete. La luce abbagliante che la riempiva, impediva di vedere qualunque cosa ci fosse oltre. Con un senso di entusiasmo si mise a correre ancora più veloce di prima. Ancora più determinata a raggiungere la meta. L’uscita divenne sempre più gande, man mano che si avvicinava. Il lungo tempo che aveva trascorso nell’oscurità gli impediva di guardarla, e dovette attendere un po’ per abituarcisi. Una volta raggiunto l’ingresso del cunicolo, fu investita da una raffica di vento, talmente potente che la fece oscillare sulle sue stesse gambe, costringendola a piantare saldamente i talloni al suolo, per non essere gettata a terra. Stringendo il trasmettitore con entrambe le mani, osservò il paesaggio che la circondava, mentre il vento le scompigliava i capelli scuri lasciando che alcune sottilissime ciocche le ondeggiassero sul viso.
Il sole di quel mondo brillava di una luce bianca. Pallida e fredda, come quella di un ricordo sbiadito, lasciando che il cielo in basso all’orizzonte apparisse quasi nero, mentre dense nuvole grigie si ammassavano come le creste d’un’onda oceanica.
Lì nulla era come sulla Terra.
“E qui che morirò?” si chiese la giovane donna, che osservò le onde infrangersi sulla scogliera alta, con tanta violenza che alcuni frammenti di roccia si sgretolarono, disperdendosi nella spuma increspata.
Alla sua destra un sentiero serpeggiava lungo la costa, conducendo su un’alta roccia, che formava una lunga scala scavata nella pietra. Quella scala raggiungeva un isola, circondata da quelle onde, dove sorgeva un tempio antico, dalle alte colonne per metà distrutte e consumante, di una civiltà perduta, morta con la sua storia ormai da millenni. Correndo in direzione del sentiero ansimando, raggiunse la scalinata in pietra. Stringendo il trasmettitore che mai come in quel momento, le era parso un oggetto morto privo di qualsiasi vita deglutì, osservando l’enorme precipizio che si apriva nello strapiombo, sotto la scalinata. Era un altezza superiore ai venti metri, e le onde che superavano i primi dieci, si schiantavano con tale violenza da schizzare perfino lei e le scale.
Cominciando a salire le scale con lentezza sollevando un piede alla volta, mentre piccole gocce d’acqua salata le bagnavano le caviglie ferite, procurandole un bruciore tremendo. In cima alla scala torreggiavano due antiche statue risalenti a un epoca sconosciuta, dalla civiltà aliena che le aveva costruite. I loro corpi dalle pance gonfie, erano piegati sulle ginocchia, mentre i loro volti dalle labbra eccessivamente carnose, aperte per mostrare i denti appuntiti, erano un ghigno malevolo, quasi demoniaco.
Raggiunse la cima della scalinata con il vento che le fischiava nelle orecchie, e attraversando un lungo ponte che sorgeva anche esso su un alto strapiombo, si introdusse nelle rovine del tempio.
Correndo tra una moltitudine di colonne spezzate e capitelli infranti al suolo, raggiunse l’ampio piazzale che sorgeva nel centro: un enorme cortile di pietra, dalla planimetria ovale. Scendendo un paio di gradini arrivò fino al centro e si gettò al suolo con le lacrime agli occhi.
Poggiò l’apparecchio e tentò di attivarlo.
“Avanti! Avanti!” implorò, non smettendo di guardare il piccolo vetro della luce che avrebbe dovuto captare il segnale.
“Avanti! Ti prego!” implorò ancora. Nulla. Il trasmettitore, che aveva protetto con la sua stessa vita, era inerme. Freddo, come un cadavere in decomposizione, che non si ha il coraggio di seppellire.
Il suo inseguitore stava arrivando. L’avrebbe trovata. Il sangue delle sue ferite bagnò la pietra grigia su cui era inginocchiata.
“Dannazione!” La donna si portò le mani al viso in un gesto disperato.
Era finita. Era morta, insieme alle sue speranze che aveva riposto in quell’antico luogo, e in quell’oggetto così piccolo, che mai più avrebbe preso vita, troppo lontano dal luogo in cui era stato creato. Troppo lontano dalla Terra.
La donna scoprendosi il viso per portare la mano alla ferita sanguinante, pensò che sarebbe morta lì su quel pianeta, dove il girono era grigio anche quando il cielo era scoperto. Dove le onde erano troppo grandi per poter farsi i bagni, come nelle splendide estati calde sulla Terra. Dove il vento era talmente forte da trascinarti via. Dove un enorme luna invadeva l’orizzonte anche di girono, così vicina che superava la grandezza di un monte. Ora sorgeva poco distante dalla superficie del mare, nero di tenebre, come un enorme sfera che dava un senso d’oppressione a chiunque la guardasse.  Come se potesse collassare sul pianeta da un momento all’altro.
E pensò se ne valesse la pena. Valeva la pena portare l’umanità lì, in quell’incubo? Quel pianeta rappresentava davvero una speranza di salvezza per l’umanità? Valeva la pena portare l’umanità in un luogo dove non si sarebbe mai sentito a casa, come un tempo s’era sentito sulla Terra, prima che finisse l’acqua?
Prima che smettesse di piovere. Prima che gli animali e le piante corressero il rischio d’estinguersi.
Il mare non era azzurro come sulla Terra. Era nero, e profondo, come l’inchiostro. Il sole non era doro. Era bianco. Quel sole non era caldo come quello che risplendeva sulla bellissima Terra. Le montagne, erano tutte così alte, che ognuna di loro era perennemente ricoperta di ghiaccio, sulla cima. Ma soprattutto le creature che dimoravano su quel pianeta, rappresentavano un pericolo per l’umanità.
Con la mente piena di dubbi, resa folle dalla solitudine e dai pericoli che aveva affrontato in quegli ultimi mesi, la donna gettò un ultima occhiata all’trasmettitore, che per un attimo lampeggiò con la sua luce rossa.
La guardò senza neanche rendersi conto di quello che aveva appena visto. Solo a un secondo guizzo di luce, le sue palpebre si spalancarono. Ma poi non accadde più nulla. Era stata solo un illusione. Una illusione della sua folle disperazione.
Era impazzita. Ne era convinta.
Il trasmettitore si accese, brillando.
La donna si rese conto solo allora di avercela fatta. In quel momento tutti i suoi dubbi scomparvero dalla sua mente. C’era una speranza di salvare l’umanità! Lei avrebbe dato una speranza all’umanità di salvarsi!
Con le lacrime agli occhi, armeggiò con il trasmettitore in modo da aumentare le frequenze.
“Mi sentite?” gridò con tutta la voce che aveva in gola. “Mi sentite? Sono Kate Nolan! Ripeto! Sono Kate Nolan, l’assistente del Dottor James York! Sono viva, anche se non per molto! Sono atterrata insieme al resto dell’equipaggio della Dedalo, quattro anni fa, sul pianeta Neo Terra! Vi sto inviando questo messaggio per riferirvi che il pianeta Neo Terra è abitabile! Ripeto il pianeta Neo Terra è abitabile! Anche se è molto pericoloso! Non è come la Terra! Qui la tecnologia non funziona! Abbiamo provato a scoprirne la causa, ma non ci siamo riusciti! Resta un mistero! Questo è uno dei motivi per cui la Dedalo ha perso completamente funzione nel momento in cui ha attraversato la atmosfera della Neo Terra! Il sole fa dei giri più lunghi, le ore sono maggiori, e come anche le stagioni. In quattro anni ho visto solo due inverni, tanto freddi che uno di questi ha ucciso la metà di noi. Ma non è stato solo il freddo ad ucciderci! Molti di noi sono morti contraendo malattie che sulla Terra non conoscevamo. Altri sono morti mangiando bacche e frutti velenosi. Ma soprattutto sono stati uccisi da bestie selvagge. Bestie dalle fattezze simile a quelle dell’uomo che si cibano di carne viva. Sono sopravvissuta al pianeta Neo Terra, finora. Ma è un pianeta pericoloso! Affermo senza mezzitermini che il pianeta è pericoloso, e se vi sto inviando questo messaggio e per dirvi che dovete assolutamente cambiare il programma inziale e il progetto di James York, morto divorato da un demone a cui non è stato attribuito alcun nome! Per salvarsi su questo pianeta non occorrono degli architetti in grado di costruire grandi città come quelle della Terra! Né politici in grado di istaurare un governo! Occorrono persone in grado di adattarsi a una natura ostile che cercherà di respingerle! Se volete preparare i vostri figli a un nuovo futuro, insegnategli a vivere senza l’uso della tecnologia! Insegnategli ad andare a caccia! Insegnategli ad accendere il fuoco! Insegnatile a trovare l’acqua! Insegnategli a costruire con il legno e la pietra! Insegnategli a combattere con le lame! Se davvero volete offrigli una possibilità di salvarsi preparateli ad affrontare questo realtà! La verità è che questo pianeta è l’Inferno!”
Kate chiuse il trasmettitore. L’unico luogo dove la strumentazione era in grado di funzionare era lì in quel tempio.
Un luogo morto come lo sarebbe stata lei molto presto.
Il suo inseguitore l’aveva raggiunta.
Kate si voltò e pur essendo consapevole che nessuno l’avrebbe sentita, né salvata, non poté fare a meno di lanciare un grido, tirando fuori tutto quello che si prova in punto di morte.




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