ReggaeFamily
Capitolo
quattro: Darkest
Days
«Ragazzi,
dai, preparatevi. Andiamo a pranzo al chiosco qui accanto»
annunciò Giovanna, rivolta principalmente a Simona, Gabriella
e Nicolò, i quali impiegavano sempre un tempo infinito a
riordinare le loro cose e rivestirsi.
Cercai
di svegliare delicatamente Viola, la quale ancora dormiva in seguito
alla seconda crisi, e lei pian piano parve riprendere conoscenza. La
prima cosa che fece fu regalarmi un sorriso e io capii che forse
stava meglio.
Ma
qualcosa spezzò quel momento idilliaco: infatti, Nicolò
si alzò dal suo telo e lo sollevò per ripiegarlo, ma in
questo modo rovesciò un quintale di sabbia sulla testa della
povera Viola.
«Nicolò!»
gridò lei, passandosi le mani sulla faccia e tossicchiando.
«Mio
dio, ma sei un casino!» lo accusai io, mentre rimettevo il mio
telo in borsa.
Tra
un battibecco e l'altro riuscimmo a sistemarci e a raggiungere il
chiosco. Io mi ritrovai seduta di fronte a Nicolò, con Tamara
alla mia destra e Viola alla mia sinistra. Quest'ultima stava ancora
male, qualcuno le aveva prestato una felpa, ma ancora tremava ed era
evidentemente scossa dalle crisi da poco passate.
«Vivi,
quando torniamo al residence, ti riposi un po'. Va bene?» le
dissi, posandole una mano sul braccio.
«Va
bene Lalli.»
Il
pranzo fu abbastanza lungo ma tranquillo, tranne per il fatto che
Tamara ordinò la cosa sbagliata: infatti scelse di prendere
della pasta alla carbonara, ma doveva trattarsi di qualcosa di
congelato e precotto, perché mia sorella la trovò
disgustosa e disseminata di qualcosa di duro e immangiabile.
«Io
non l'avrei mai presa. Il mio panino invece è buono, e anche
le patatine» le feci notare, ridendo.
Di
fronte a me, Nicolò si era tuffato su una porzione enorme di
patatine fritte che non riuscì poi a finire, così tutti
ci adoperammo per aiutarlo.
Quando
finimmo, aspettammo un tempo indefinito prima che educatori e
istruttori si decidessero a riportarci al residence. Quando
finalmente il primo gruppo salì a bordo del furgoncino, alcuni
di noi si aggirarono accanto ad alcune bancarelle presenti nel
lungomare. Tamara cominciò a cercare un braccialetto di suo
gradimento e io ne comprai uno con i teschi da regalare a un'amica.
Finalmente
anche noi rientrammo al residence e io mi fiondai sotto la doccia,
mentre Viola e Marta riposavano un po'. Verso le sei io e Marco
avremmo cominciato a preparare la cena e io non vedevo l'ora che
tutto finisse, in modo da non averlo troppo attaccato addosso.
Nel
frattempo continuava a scambiare dei messaggi con Danilo e sentivo
ancora la sua mancanza, ma l'atmosfera del campo, come sempre,
riusciva a farmi distrarre da tutti i pensieri negativi che facevano
parte della mia vita esterna a quell'esperienza. Beatrice, intanto,
era rimasta sconvolta e divertita dal fatto che Marco si fosse
proposto per cucinare con me, così aveva incaricato Tamara di
tenerci d'occhio, per poi riferirle qualsiasi cosa sospetta.
Era
buffo come le mie vicissitudini diventassero in fretta e furia
patrimonio dell'umanità.
«A
me le cipolle fanno male agli occhi» sentenziai, mentre Marco
mi domandava di occuparmi io di quell'alimento. «Penserò
all'insalata di riso, ma con quelle non ce la posso fare.»
«Va
bene» borbottò.
«Bene.»
Erano
da poco passate le sei e ci trovavamo all'esterno dell'appartamento
dei ragazzi, ovvero al piano terra. Dei tavoli erano stati allestiti
per facilitare la preparazione della cena ed evitare che rimanessimo
rintanati in cucina.
Mi
diressi dentro a recuperare il formaggio, poi tornai fuori e
cominciai a tagliarlo a tocchetti, mentre l'acqua per il riso era già
stata messa a bollire. Non avevo molta voglia di svolgere quelle
attività, ero un po' stanca e avevo già un mal di
schiena pazzesco. In più, l'odore acre delle cipolle mi stava
distruggendo, e gli occhi mi pizzicavano fastidiosamente.
Sbuffando
ogni tanto, riuscii comunque a compiere il mio dovere e mi occupai
anche di controllare il riso.
A
un certo punto della serata fui telefonata da Danilo e parlai con lui
di fronte a Marco, fregandomene deliberatamente di lui e di ciò
che potesse pensare o provare in merito. Tuttavia, fui costretta a
salutarlo in fretta perché avevo da fare, così gli
promisi che l'avrei richiamato più tardi.
Infine
il momento della cena giunse e il risultato fu eccellente, tranne per
il fatto che il riso avrebbe necessitato di qualche minuto in più
di cottura.
«Peccato,
perché per il resto è tutto buonissimo» disse
Tamara, facendo comunque il bis di insalata di riso.
«Se
ti piacesse davvero, faresti il tris?» la punzecchiai.
«Probabile!»
Gli
anelli di cipolla in pastella fecero faville: ne mangiammo veramente
un sacco e tutti li apprezzarono, contrariamente a quanto avessi
pensato. C'erano delle persone molto viziate nel nostro gruppo, una
delle quali era Simona.
«Questo
riso è freddo. Chi me lo scalda?»
«Simo,
l'insalata di riso si mangia fredda» le fece notare Giovanna in
tono pacato.
«Ma
a me non piace freddo! Voglio che sia caldo!» si lagnò
ancora la ragazza, agitandosi sulla sedia e alzando la voce.
«Simo,
non fare così... si mangia fredda l'insalata di riso, calda
non è buona» tentò di tranquillizzarla Marta.
«Invece
sì che è buona!»
«Simona...»
intervenne Lucrezia.
«Non
la mangio se non è calda!»
Insomma,
si lamentò e piagnucolò così tanto, che alla
fine qualcuno prese il suo fiatto e lo infilò nel microonde
per far sì che si scaldasse.
Neanche
a dirlo, Simona lasciò che il cibo si freddasse di nuovo,
asserendo che era troppo caldo, e alla fine ne mangiò sì
e no quattro forchettate.
Ero
basita. Io non le avrei mai permesso di comportarsi in quel modo, se
fosse stata mia figlia, probabilmente l'avrei data in adozione dopo
due ore.
Dopo
cena, Giorgio, Nicolò e Gabriella presero a parlare con il
cellulare, facendo un casino assurdo e mandandomi fuori di testa.
Oddio, ma come potevano trascorrere il loro tempo a fare gli automi
di fronte a un telefono? Anche Viola aveva un cellulare come il loro,
ma non lo usava allo stesso modo e si unì al casino generale
solo perché stava parlando con sua madre.
Effettivamente
non si capiva niente, se qualcuno ci avesse visto dall'esterno, ci
avrebbe preso per pazzi furiosi e si sarebbe domandato perché
non ci avessero ancora rinchiuso in un reparto psichiatrico; come
avrei potuto dargli torto? Anche io ogni tanto mi ponevo certe
domande, ma poco dopo non ci pensavo più e mi dicevo che in
fondo noi eravamo così e basta, eravamo un gruppo eterogeneo
in cui ognuno faceva valere le proprie stranezze senza rifletterci
su.
Prima
di andare in camera mia, appresi che la mattina seguente io e Marco
avremmo avuto nuovamente un'attività in coppia. Possibile che
gli istruttori stessero cercando di accoppiarci anche in un altro
senso? Non ne potevo già più.
Dopo
aver mandato la buonanotte a Danilo e alle mie amiche, rimasi un po'
a chiacchierare con Viola mentre si cambiava, ma entrambe eravamo
troppo stanche, così presto ci addormentammo senza neanche
accorgermene.
Anche
il giorno successivo cominciò nel modo sbagliato: dopo aver
preparato il caffè, presi la caffettiera per portarla in
tavola e mi bruciai un dito. Cominciai a imprecare mentalmente e non,
correndo a infilare la mano sotto l'acqua corrente.
Feci
colazione in fretta con caffè e grissini al sesamo, poi mi
resi conto che fuori stava piovendo. Io e Marco ci saremmo dovuti
spostare nella città vicina per fare orientamento e mobilità
con Lorenzo, e io ne avevo già le scatole piene.
Fortunatamente avevo portato l'ombrello, ma avevo come la sensazione
che sarebbe stata una mattinata difficile.
Quando
infine uscimmo dal residence per recarci alla vicina fermata
dell'autobus – e io avevo fatto lo stupido errore di infilare
ai piedi un paio di infradito – mi accorsi che si era alzato il
vento e stava cominciando a piovere più forte. Aprii
l'ombrello e cercai di riparare sia me che Marco, dato che ero stata
costretta a farmi guidare da lui vista la poca luce che le nuvole
quasi nere lasciavano filtrare.
Ma
una folata d'aria più forte delle altre fece ribaltare
l'ombrello e questo si ruppe, strappandosi. Imprecai per l'ennesima
volta durante quelle poche ore e capii che sarebbe stato un vero
casino per noi spostarci a piedi, se la pioggia non fosse diminuita.
Raggiungemmo
la fermata e ci rendemmo conto che l'autobus che avremmo dovuto
prendere a momenti, in realtà non sarebbe passato, così
fummo costretti ad aspettare per almeno venti minuti che arrivasse il
successivo. Fortunatamente la pioggia si era calmata e io sperai
vivamente che in città ci lasciasse un po' in pace.
Il
viaggio in autobus fu abbastanza rapido, ma quando scendemmo nei
pressi della stazione dei pullman, ci rendemmo conto che stava ancora
piovendo e aveva nuovamente aumentato.
La
mattinata mia e di Marco fu più o meno un sodalizio, poiché
fummo costretti a cercare più di una volta un riparo per non
trascorrere tutta la mattinata sotto il diluvio universale. Mi
ritrovai a pensare che neanche Noè con la sua arca sarebbe
sopravvissuto a tutto quel disastro, tenendo conto che anche il vento
era forte e spazzava via ogni cosa, facendo sì che la pioggia
ci raggiungesse anche sotto i blandi ripari che riuscivamo a trovare.
Fummo
costretti a fare un percorso per andare alla stazione dei treni a
chiedere informazioni sugli orari, dato che Marco qualche giorno dopo
sarebbe partito ad affrontare un test d'ingresso per l'università,
e io ne approfittai per informarmi sul servizio navetta che Danilo
avrebbe potuto usare per raggiungermi, in caso fosse venuto a
trovarmi.
Poi
dovemmo, ovviamente, fare il percorso inverso e fummo grati a
Lucrezia che, anziché farci tornare in autobus, ci venne a
prendere in macchina e ci riportò al residence sani e salvi,
più o meno.
Quando
arrivammo, mi precipitai a cambiarmi e indossai dei vestiti puliti,
per poi ridiscendere e raggiungere la stanza dei ragazzi, dove Viola
e Tamara erano intente a preparare il pranzo. Lì mi imbattei
in una ragazza che non conoscevo, la quale si presentò come
Gloria, ma io non capii minimamente di chi si trattasse o che cosa ci
facesse con noi.
«Che
ruolo ricopre quella?» chiesi a Tamara.
«Tu
lo sai? Io no» replicò confusa quanto me.
Il
pranzo fu abbastanza buono e consistette in pasta al sugo e caprese.
Tamara, per l'occasione, aveva preparato una versione della caprese
con un formaggio diverso dalla mozzarella, dato che a nessuna delle
due piaceva tanto quel latticino.
«Quella
cosa non ha nessun sapore» spiegai a Viola, riferendomi alla
mozzarella.
«Allora
voglio assaggiare la vostra versione con il formaggio alternativo»
disse la mia amica, che stava decisamente meglio rispetto al giorno
precedente.
Non
aveva avuto altre crisi e si era ripresa completamente, riposandosi e
prendendosi cura di sé, per quanto i ritmi del campo lo
permettessero.
Lei
e Tamara mi raccontarono che avevano trascorso parte della mattinata
chiuse in camera; Viola e Giorgio si erano adoperati per insegnare a
mia sorella un po' di scrittura braille, e lei era orgogliosa di
essere già capace a scrivere il suo nome.
«Brava!»
le dissi con un sorriso, poi raccontai via SMS a Danilo le mie
disavventure della mattinata.
Mi
ritrovai a pensare ai momenti in cui io e Marco ci eravamo ritrovati,
soli e vicini, sotto i ripari in città, aspettando che la
pioggia ci lasciasse un po' di tregua. Era stato veramente difficile
stargli accanto in quel modo, perché c'era qualcosa che mi
faceva pensare ai vecchi tempi, qualcosa che mi suggeriva che non mi
sarei mai davvero staccata da lui.
Mi
era anche venuto in mente che quelle scene sarebbero potute essere
romantiche, se solo tra noi due le cose fossero andate diversamente,
o se ancora io fossi stata la Laura di un tempo. Invece ora era tutto
diverso, non sentivo più il desiderio di costruire qualcosa
con lui, perché non si poteva proprio fare, nella maniera più
assoluta.
Mi
riscossi da quei pensieri e mi alzai. «Chi mi ama mi segua, io
vado in camera a preparare il caffè!» affermai,
accostandomi a Marta per prendere le chiavi della nostra stanza.
«L'importante
è che alle quattro e mezza siate tutti qui, verrà un
ospite speciale a parlarci di una sorpresa, ma non vi anticipiamo
nulla» ci informò Lorenzo.
Conoscevo
le loro sorprese e non riuscii ad aspettarmi niente di buono, come al
solito, nonostante alcuni dei ragazzi parvero entusiasti e
insistettero per cercare di estrapolare delle informazioni in
anteprima.
La
giornata, che già era cominciata male, peggiorò
ulteriormente non appena io, Tamara, Viola e Marco ci ritrovammo ad
aspettare di bere il caffè che avevo da poco preparato.
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