Indiana Deons - Caduto dal Cielo

di ArtistaMaeda
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La TV è accesa, e dalla finestra con le persiane accostate filtra la luce del sole mattutino. Il salotto è in penombra e c’è odore di pasta sfoglia sfornata e latte bollito che è strabordato dal pentolino sui fornelli, bruciandosi. Lo schermo ronzante della TV trasmette cartoni animati. Il volume non è troppo alto e si sparge omogeneo nella stanza, coprendo bene quelli un po’ sordi che vengono da fuori, il passaggio delle macchine ed i normali fastidi della vita moderna di una cittadina di provincia. Il divano è comodo, è riscaldato dal corpo rannicchiato del bambino, comodamente disteso, con una larga maglia bianca tutta raggrinzita e spiegazzata che lo copre fino alle cosce, lasciandogli il resto delle gambe scoperte, anche i piedi. Respira profondamente in un ritmo regolare, e dato che ha gli occhi chiusi, è presumibile che stia dormendo.

 

Caduto dal cielo

È una scia di luce, come una stella cadente in una chiara e calda notte di metà agosto. Ma non svanisce nel nero punteggiato di brillantini, continua e continua a scendere, fino a che non illumina in un forte bagliore un bosco fino a quel momento tranquillo e incontaminato. Il fuoco incendia gli alberi circostanti, costringendo gli animali che ci abitano a fuggire spaventati, allarmando le persone nelle case vicine. Intanto un paracadute indisturbato e inavvistato frena la discesa di un esausto viaggiatore, alleviandogli le ultime sofferenze della lunga traversata incidentata. Dovrà passare tutta la notte prima che il viaggiatore stanco e spaesato decida di abbandonare il rifugio tra gli arbusti, perché luci lampeggianti di rosso e blu illuminano l’intera valle e lontane sirene hanno da ore rotto il silenzio della notte.

Con il sole nascente il bosco torna alla tranquillità di sempre, nonostante nel centro abitato che si staglia oltre la collinetta le attività degli umani sono in fermento, ed il luogo dello schianto della notte precedente è circondato da furgoni e macchine. Il viaggiatore s’incammina sfruttando il sottobosco per rimanere celato il più possibile. Dura tre lunghi giorni il suo cammino fino al villaggio successivo, dove la gente neanche è al corrente di cosa è avvenuto, e così lo scricciolo spaesato studia la situazione a distanza di sicurezza, nascosto tra le felci e tra i cespugli, avvicinandosi sempre di più alle case delle persone.

Una sera riesce ad avventurarsi nel giardino di una famiglia intenta a guardare la TV in salotto. Riesce a vederli dall’ampia finestra, e la luce della stanza si riflette sull’erba subito sotto il davanzale, costringendolo ad una distanza di sicurezza per non venire illuminato a sua volta dal fascio di luce.

Un’altra sera spia un ragazzino che abita nella casa accanto, arrampicarsi sulla casetta in legno costruita tra le fronde della robusta quercia nel giardino della sua casa. I suoi occhietti scuri e luccicanti osservano e studiano, e par quasi voler anche lui salire su quella casetta. Per un momento se ne convince e comincia ad avvicinarsi, ma poi ci ripensa, ritenendo possa essere pericoloso, e così indietreggia. Purtroppo però lo scricchiolare di un ramoscello che calpesta nel camminare all’indietro allarma il bambino sulla casetta, il quale si affaccia, adocchiando in soggezione l’erba del proprio giardino.

«Chi c’è?»

chiede, ma nessuno risponde.

Il piccolo viaggiatore non emette un rumore ulteriore, restando immobile, quasi confuso e mimetizzato nell’erba del giardino, resa scura dalla mancanza di luce. In quel momento vorrebbe ringraziare entusiasta la sua tuta da pilotaggio di quel verde scuro. Quando il bambino torna all’interno della casetta, il viaggiatore emette un sospiro di sollievo, e comincia ad arretrare cautamente verso i cespugli, infilandocisi dentro senza curarsi più di far rumore, ed infatti il bambino esce di nuovo allo scoperto per vedere cos’altro succede, se magari stava sognando o c’è davvero qualcosa nel suo giardino che non vuol farsi rivelare.

La sera successiva il bambino torna sulla sua casetta tra i rami della quercia, stavolta solo ed esclusivamente per scoprire se “la cosa” tornerà nel suo giardino o meno. Rimane immobilizzato sia dalla paura che dall’eccitazione quando sente i cespugli frusciare, trovando ragione nella sua supposizione. Lo sventurato viaggiatore ha deciso di tornare a spiare quel giardino, quella casetta, seguendo lo stesso istinto di curiosità che ha spinto il bambino a tornare lì per attenderlo. E quando i due s’incontrano con lo sguardo restano col fiato sospeso, senza sapere cosa fare, cosa dire o cosa pensare.

È il bambino il primo a muoversi, provando lentamente a scendere dalla casetta, giù per la scaletta a pioli inchiodata al tronco. Lo scricciolo in tuta verde si allarma e comincia ad arretrare in un mugugno insicuro, ed il bambino, che ancora discende la scala, richiama la sua attenzione, tendendo un braccio verso il riflesso di luce sui contorni della tuta del “coso”.

«Aspetta! Non andare»

Il viaggiatore esita allora, restando lì più per la curiosità di scoprire, e quando il bambino lo raggiunge restano diversi minuti in silenzio a guardarsi l’uno di fronte all’altro.

«Io m-mi chiamo N-nélo, e t-tu?»

Esordisce il bambino, non poco spaventato, e ancora agitato, ma c’è quella forza dentro di lui, che sia curiosità o generosità verso il prossimo, che lo spinge ad andare ancora più avanti, se pure un piccolo passo alla volta. Il viaggiatore non risponde dapprima.

«N-non avere paura, io non t-ti farò del male, c-capisci quello che dico?»

Il viaggiatore annuisce allora, ed il bambino sorride apertamente, venendo attraversato da un senso di elettricità. Riesce a smettere per lo meno di balbettare.

«E come ti chiami? Sai parlare?»

L’alieno annuisce di nuovo. Poi prende parola, finalmente, rivelando la sua vocetta rauca e timida.

«Io Yubi, io viene da lassùùùù…»

Punta il dito, coperto come gli altri dai guanti della tuta, verso il cielo stellato, inquinato qua e là da qualche nuvola illuminata dalla luce lunare.

«Da lassù?» chiede scettico Nelo.

Alza anche lui gli occhi al cielo.

«Sei un viaggiatore spaziale?»

Yubi annuisce, restio a parlare. Nelo allora parte con le domande.

«E da quanto sei qui?»

«Alcuno giorni, io viene e cade in tanti alberi, poi io scappa da luci e fischi»

«Ah si? E come mai sei caduto? Sei precipitato?» Yubi annuisce di nuovo.

«Ma allora sarai stanco. Vieni, vieni con me, non avere paura» dice dolcemente Nelo.

Lo invita in casa, nascondendolo sotto al suo letto, così da offrirgli alcune merendine, dei succhi di frutta e pure una tazza di cereali con il latte.

La mattina seguente Nelo viene sgridato da sua madre per il disordine nella sua stanza e per averci mangiato. Egli non può far altro che tacere e subirsi il rimprovero, mentre Yubi resta nascosto sotto al letto ed osserva i piedi della madre muoversi qua e là sul pavimento della stanza e poi condurla all’esterno, al che tira un sospiro di sollievo ed esce fuori.

Nel suo tempo libero, invece di andare a giocare con gli amici al parco, con la sorellina, o accendere i videogames, Nelo resta nella sua stanza a parlare con Yubi, il quale gli racconta la sua storia di pilota spaziale che ha perso la rotta ed è precipitato sulla Terra. Poi Yubi comincia a fare domande su ogni cosa, su ogni oggetto che vede, sulle abitudini del suo nuovo amico Terrestre, il quale risponde prontamente a tutto, istruendolo sulle più abitudinarie attività di tutti i giorni, che descrive con meticolosità, e mima con gesti del corpo sfruttando lo spazio della stanza e i suoi giocattoli per ricreare le varie scene.

La prima notte insieme trascorre serena, sotto una leggera ma battente pioggia estiva, che dura quasi tutto il tempo, e regala un risveglio fresco al mattino seguente, con la luce opaca di un sole nascosto. Nelo nasconde una ciotola di plastica piena di cereali ed il cartone del latte dentro al suo zaino di scuola e porta tutto nella sua stanza, per far cosi’ mangiare l’affamato Yubi, che lo ringrazia. Poi Nelo gli mostra un cartellone dapprima arrotolato, che stende sul letto, il quale illustra nel dettaglio il Sistema Solare, con didascalie informative. Naturalmente non è in scala e Yubi rimane assorto a studiare l’illustrazione

«Ma… Mio computer… Ecco perché io non trova rotta, mio computer manca pianeta Marte…»

«Nel tuo computer non c’è Marte? Oh, eh , allora ti sei proprio perso

«Yubi mostra una cosa a Nelo»

Yubi tende la mano verso il bambino. Questo la prende

«Che cosa?» chiede insicuro Nelo.

Quando si sente investire da una forte emozione, che lo spinge a chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare, capisce.

Lo trasporta in una dimensione fatta di luci e nebbia colorata, viaggiando ad una velocità impressionante, ma non la percepisce appieno, non si sente investire dal vento o pizzicare gli occhi da insetti vaganti o granelli di polvere: scorre tutto fluido come a gravità zero. Gli mostra da lontano un trio di pianeti che indica come “casa”, e poi lo porta a fare un giro attorno alla grande stella lucente che risplende maestosa illuminando i tre pianeti. Ritornano a gran velocità dov’erano prima, ed il viaggio termina sul tappeto di foglie di un bosco, di notte, con i grilli ed i gufi ed il sapore dell’erba bagnata.

Tornano nella stanza di Nelo, e al bambino servono diversi minuti per riprendersi dalle forti emozioni. Poi decide di mostrare all’extraterrestre i luoghi che frequenta, ma aspettano alla sera per andarci. Lo porta all’interno della sua casetta sull’albero, quella stessa sera, e lo scricciolo ancora in tuta da pilotaggio gli insegna a orientarsi con le costellazioni, ad immaginare forme e disegni tra i vari puntini.

La sera successiva Nelo lo accompagna nel vicino parco giochi, mostrandogli i diversi intrattenimenti.

«Su questi ci stanno i bambini quando escono e vengono al parco, così le mamme possono restare sedute sulle panchine e parlare con le altre mamme» gli spiega orgoglioso.

Yubi prova l’altalena e la trova divertente, mentre invece Nelo inciampa sulla radice esposta di un albero, non vedendola al buio, e si fa male al ginocchio e al gomito. Si rintanano sotto allo scivolo e Yubi gli esamina il ginocchio per prima cosa. Dalla tasca della sua tuta tira fuori una bustina infagottata, che apre e dalla quale preleva un pizzico di una strana polvere luccicante, che spolvera sopra al ginocchio di Nelo, mentre questo stringe i denti e soffre un leggero dolore. Yubi ripete la stessa cosa per il gomito e nel giro di mezz’ora Nelo non sente più dolore. Il sangue fuoriuscito si coagula in fretta. Nelo lo abbraccia forte, affettuosamente, e lo ringrazia.

«Io felice che tu sta bene» risponde Yubi.

La sera successiva Nelo lo accompagna di nuovo fuori, ma nell’uscire sua sorella minore li scopre sgattaiolare da fuori la finestra della stanza al ramo della quercia del giardino

«Dove vai, Nelo?» Gli sussurra la bambina

«Mania! Torna a letto!»

«No! Chi è lui?»

«È un mio amico, ora fila!»

«Ma com’è vestito? Lo dico a mamma che esci di notte se non fai venire anche me»

«No! Ma… Okay, vieni, ma non fare rumore!»

Adesso sono in tre a scendere la quercia e a camminare poi verso la collinetta che s’affaccia sul bosco e sul ruscello, e sul ponte sul ruscello. Da là sopra si vede bene tutto il quartiere e si può stare comodi a guardare il cielo, o il panorama. Dopo le presentazioni Mania comincia a fare domande

«Da dove vieni?»

«Dallo spazio Mania»

Risponde il fratello al posto del diretto interessato, il quale si limita a guardare la bambina, dapprima preoccupato che possa reagire male, ma poi si rende conto che una mocciosetta come Mania non pare essere un pericolo concreto.

«Allora sei un marziano!»

«No, non è un marziano Mania, viene da molto più lontano!» ancora Nelo risponde.

«E perché sei venuto qua?» chiede Mania

«Perché è precipitato» ancora Nelo risponde. Poi Yubi interviene

«Yubi viene in sbaglio, però felice qui»

Zittisce entrambi i suoi amici, che restano interessati a guardarlo, sperando che continui a parlare

«Yubi perde casa e persone care, io scappa via e cade su pianeta Terra»

«Hai perso la tua famiglia, Yubi?»

Chiede tristemente Nelo. Il viaggiatore comincia a togliersi la parte superiore della tuta da pilotaggio, rimanendo nudo della sua pelle scura del colore del terriccio dal quale crescono i fili d’erba, ma liscia e striata. Annuisce.

«Voi ha fortuna, voi ha casa e mamma, voi felice, voi non scappa»

I due bambini restano zitti ad ascoltarlo e fissarlo, senza sapere come comportarsi, il più emozionato è Nelo, che se pur ha imparato a conoscerlo rimane comunque sorpreso di questo discorso.

«E tu scapperai di nuovo?» chiede Mania dopo qualche attimo di silenzio.

Yubi risponde

«Io non scappa da voi, io scappa da altri persone che non piace che io qui»

La sera successiva tornano sulla collina. Yubi ha deciso di portare anche Mania a far vedere il suo mondo lontano, così Nelo resta ad osservarli, mentre si tengono per mano a guardare la luna, come una coppia di innamorati. Non succede nulla di magico, nulla di appariscente, niente luci accecanti, niente psichedeliche luccicanti, niente onda d’urto e niente frattura spazio-temporale o portale dimensionale. Ci sono soltanto la sua sorellina e l’extraterrestre che si tengono per mano.

«È bellissimo Yubi, è bellissimo! Andiamoci di nuovo»

Mania esulta d’un tratto, girandosi a guardare l’amico spaziale, che risponde.

«Non possibile, Mania»

«Perché, Yubi?»

Intanto Nelo li guarda confuso, non capisce dove possano essere andati se non si sono mossi di lì. Yubi risponde

«Perché loro cerca me, io scappa ora»

«Chi? Yubi, chi?»

«Altri persone, ora io scappa, voi torna a casa»

Troppo tardi! Un fascio di luce accecante li illumina tutti e tre, ed un momento dopo una voce di megafono li spaventa.

«Allontanatevi bambini, è tutto a posto!»

Continua a ripeterlo più volte, ma né Nelo né Mania capiscono cosa stia succedendo. Invece Yubi comincia a fuggire, così i due bambini lo rincorrono, chiamandolo per nome, nella speranza che rallenti, che li attenda, che possano fuggire insieme. Qualcuno li rincorre a loro volta, e si aggiungono altri, e altri ancora, luci lampeggianti, rosse e blu, gente adulta, sanno il fatto loro, organizzati, con i cani che abbaiano, sirene fischianti e poco dopo anche il fragore di un elicottero che agita le fronde degli alberi del bosco e sventola i fili d’erba del prato.

Yubi fugge in preda al panico ed i due bambini lo rincorrono, seguendolo nel bosco, tra gli arbusti, dove trovano nascondiglio temporaneo. Tutte quelle persone perdono le loro tracce e continuano la ricerca altrove, così che il trio di amici possa seminarli.

«Andiamo a casa nostra, lì ti potrai nascondere fino a che non smettono di cercarti» gli supplica Nelo

Ma Yubi non è convinto.

«Non smette di cerca me, Yubi mette in pericolo voi, voi torna a casa ora»

Raggiungono il parcogiochi mentre Yubi cerca di convincere i due bambini a tornare a casa, se pur con rammarico per il dispiacere di separarsi da loro. improvvisamente spunta la madre dei due bambini.

«Che cosa ci fate qui? Vi ho cercato dappertutto, speravo che foste qui, oh mio dio

Preoccupata li rimprovera per lo spavento che ha preso quando non li ha trovati nelle loro rispettive stanze. E quando si accorge del terzo individuo, di Yubi, del suo aspetto insolito e non appartenente a niente di ciò che conosca essere abitante del Pianeta Terra, acquista ulteriore spavento e arriva a constatare il motivo di tanta agitazione delle forze dell’ordine

«Oh mio dio, bambini, venite via

«No, mamma! Non ti fa del male, lui è buono»

«Mamma! Non farlo!»

Li trascina via per le rispettive braccia, mentre Yubi li osserva dispiaciuto, ma non fa nulla. Nelo allora si dispera.

«Yubi! Non lasciarci! Vieni con noi

«Nelo, sta tranquillo, ti proteggo io!» dice Mamma.

«Mamma, ma non mi devi proteggere da lui! È lui che devi proteggere da loro!» ribatte Nelo.

Yubi interviene.

«È giusto così, Nelo, addio amico mio»

Fugge via verso i cespugli, sparendo rapidamente dentro il bosco. La madre dei due bambini rimane sospresa della capacità dell’extraterrestre di parlare, e gli sfugge dalla presa il figlio, che rincorre l’amico spaziale. Nelo corre a perdifiato, attraversa cespugli e aggira tronchi d’albero, inciampa e cade, ma si rialza. Sbatte contro rami e rovi, ma continua a correre. Scivola sul breccino, ma si tira su e riprende l’inseguimento. Da quanto è determinato nulla potrà fermarlo da ritrovare il suo amico. Anche le sirene e le luci lampeggianti sono in fermento e si danno da fare per ritrovare l’extraterrestre. Quando Yubi comprende le intenzioni di Nelo gli va incontro, ed i due amici si ritrovano, con felicità del bambino ma rammarico del viaggiatore.

«Nelo, io dispiace, ma tu deve andare»

«No Yubi, io vengo con te, non ti lascio andare senza di me, io ti voglio bene, non te ne andare senza di me! Non ti voglio lasciare solo!»

«Anche io ti voglio bene, Nelo, tu amico di Yubi»

«Ti prego, Yubi, lasciami venire con te!»

«Io non può, Nelo, tu deve torna a casa da mamma»

«Voglio venire con te! Fammi vedere casa. È così bello quel posto! Portamici!»

«E poi mio astronave distrutto, non può anche se vuole»

«Allora resto qua con te, ci nascondiamo»

«Nelo…»

Yubi gli si avvicina, gli posa la manina dal tocco delicato e gentile, sulla spalla, e lo guarda dritto negli occhi, come due bambini che si confidano.

«Io piace che rimane con te. Ma non può. Se può io felice di nuovo, ma non può. Capisce?»

«Sì. Capisco. Ma non c’è nessun modo?»

Yubi lo guarda, e sospira. Qualcosa c’è. E così chiudono gli occhi uno dopo l’altro e riprendono il viaggio nella dimensione colorata alla velocità folle, tra nubi viola e rosse, fasci di luce gialla e verde e detriti di pietra fluttuanti. Improvvisamente tutto esplode in una forte e accecante luce fucsia, in un assordante fragore simile al passaggio di un treno ad alta velocità udito da sotto un ponticello di campagna.

 

Nelo si risveglia e trova il volto di sua madre che lo fissa piangente. Dalla finestra della stanza filtra una luce chiara, non troppo forte, che suggerisce un’ora giovane. C’è odore di medicinale, di spirito, e man mano che gli torna a fuoco la visuale riconosce particolari come la sacca della flebo, i passanti di acciaio del letto, una sedia con un camice bianco piegato sopra e una porta con una finestrella di vetro, che abbina ad una generica stanza d’ospedale.

«Mamma…» rantola debole.

«Tesoro!»

Risponde lei, felice, ma anche stanca e devastata, in una maschera di lacrime.

«Da quanto sono qui?»

Dopo aver recuperato le forze per parlare lei gli stringe la mano e gli carezza la pancia.

«Non da molto»

Anche lei cerca il tempo di ricomporsi.

«Ti hanno trovato sulla collinetta, dormivi»

Quasi sorride, ma non perché ci sia qualcosa di divertente.

Subito Nelo si preoccupa.

«E Yubi

«Chi

«Dov’è andato? È riuscito a fuggire?»

«Stai parlando di quel mostro?»

«Non è un mostro, mamma!»

«Tu sei vivo, amore mio, sei qui, con me, non importa il resto, riprenditi!»

L’infermiere si prende cura di lui per un’oretta, e lo visita per accertarsi che stia bene. Poi appunta qualcosa su una cartella e si rintana fuori della stanza con la madre a parlare, probabilmente del suo stato di salute. Quando lei torna c’è anche Mania, che sorride e piange allo stesso tempo. Entrambi sono felici di rivedersi, poi Mania ci rinuncia e torna fuori tra le braccia di papà, tornato da poco, che l’accoglie tra le braccia e saluta il figlio dalla finestrella.

«Ricordi qualcosa?»

Chiede sua madre, interrompendolo dal suo desiderio di uscire fuori ad abbracciare il padre. Nelo risponde.

«Una forte luce, e un rumore fortissimo, e poi mi sono svegliato»

«Nient’altro?»

«Stavamo nel bosco, io e Yubi, e io gli chiedevo di restare, lui invece mi diceva di tornare a casa, e poi mi ha portato in giro nello spazio, alla velocità della luce»

«Nel bosco?»

«Sì. Perché? Che è successo mentre non c’eravamo?». È evidentemente difficile per lei spiegarglielo, e infatti non sa da dove cominciare, s’inumidisce le labbra, sposta lo sguardo qua e là sul tessuto candido del lenzuolo, e continua a carezzare la pancia del figlio, da sopra il lenzuolo.

«Ecco… Quando il tuo mostro…»

«Non è un mostro!»

«Okay, okay, quando questo…»

«Yubi!»

«Yubi, è scappato via, con quel coso…»

«La sua astronave?»

«Già»

«Ma lui mi aveva detto che era rotta…»

«Non lo so tesoro, comunque quello che so è che i militari lo hanno abbattuto»

«Noooo

Già sta per piangere, ma la curiosità lo tiene lucido.

«Non so dove sei stato nel frattempo, avevo paura che ti avesse portato con te nella sua… cosa, e infatti abbiamo… abbiamo informato i militari, giù alla base, e ci siamo rivolti alla polizia e…»

Suo padre interviene, entrando nella stanza, prendendo parte attivamente al discorso, mentre si siede fianco al letto, accanto alla moglie.

«Scimmiotto, temevamo ormai che un effe-diciotto vi avesse abbattuti con tutta la navicella spaziale. Invece per fortuna sei qui sano e salvo»

«E Yubi?»

«Non lo so tesoro»

«L’hanno preso, se è ancora vivo, e se pure è morto l’hanno preso lo stesso, vero?»

«Non lo so, tesoro. Ma di sicuro è qualcosa di incredibile che… insomma, una persona dello spazio sia arrivata fino a qui e… insomma, sia venuta da te. Penso che vorranno vederci chiaro i militari»

«Sì, e aprirlo in due per guardarlo dentro… è solo un bambino! Come me! Non è un soldato o… o… un terrorista. Si è perso. Magari era a bordo di una grossa astronave piena di persone della sua razza e… e… hanno avuto un problema e… e… ha dovuto prendere la scialuppa di salvataggio, perché alla fine, quella, quella era una come una scialuppa, no?»

Nelo riprende a piangere. I suoi genitori si guardano increduli e confusi dal farneticare del figlio, ma decidono di lasciarlo riposare.

Tre giorni dopo viene dimesso.

La vita di tutti i giorni riprende, anche se la voce si sparge e la famiglia di Nelo diventa piuttosto famosa nella zona. A scuola non fanno altro che guardarlo e fargli domande, alle quali non risponde, restando sempre zitto e in disparte. Assillano anche la povera Mania, che torna spesso a casa piangendo per lo stress accumulato. I genitori decidono infine di prendere una vacanza per allontanare i figli dall’ambiente soffocante, e così partono per un campeggio di due settimane. Al ritorno le acque si sono calmate e lo scoop ha avuto il suo corso.

Passa un’altra settimana e un’altra ancora, fino a quando si dimenticano tutti di Yubi e la sua astronave abbattuta, o almeno chi non se ne dimentica fa finta di niente. Nelo si chiude in sé stesso e smette di parlare. Non risponde a voce, ma solo con i gesti, e solamente quando strettamente necessario, e ai genitori e la sorella, nessun altro.

La sua situazione viene compresa dal personale scolastico che adotta un occhio di riguardo per lui. Il piccolo Nelo si lascia scivolare tutto addosso, gli eventi di tutti i giorni, i discorsi dei docenti riguardo all’accaduto, i consigli di mamma e papà su come superare la questione, le prese in giro dei compagni. Non esiste più nulla che riesca a entrare nel suo mondo nascosto, pare diventare un robot senza più emozioni e sensazioni.

Neanche la venuta del nuovo compagno di classe, Biyu, un mulatto trasferitosi dal vicino paese, come lo presenta l’insegnante, pare stimolare il suo interesse. I due compagni si ritrovano a comportarsi analogamente, isolati dal resto della classe, silenziosi, riservati, impassibili. Per questo comportamento che si ritrovano ad avere in comune, giorno dopo giorno nasce un interesse reciproco, e con una spintarella del fato si trovano seduti vicino, nell’ora di mensa, a commentare sul disgusto delle cibarie. Una volta in cortile, dopo la mensa, Nelo sorride a Biyu e confessa.

«Sono felice che sei venuto»

«E io sono felice che tu sei rimasto»

Sorride ancheBiyu, che cammina di fianco a lui, e rimangono a guardarsi negli occhi come due amici di lunga data che la sanno lunga.

 

FINE

 

Pian piano apre gli occhi e ritrova la TV dove l’aveva lasciata, ricordando che la stava guardando. Ma non ricorda cosa sia successo dopo, c’è un vuoto nella sua memoria. Non difficile però da supporre che si sia semplicemente addormentato. Si rimpasta il palato e si guarda attorno mentre si solleva sullo schienale del divano. La casa gli sembra diversa nonostante sappia che sia identica a prima. Gli sembra sia passata una vita e allo stesso tempo che non siano trascorsi più di pochi secondi da quando guardava la favola del brutto anatroccolo in TV. Adesso su quello stesso canale ci sono i Teletubbies, e in una smorfia di disappunto acciuffa il telecomando e comincia a scorrere i canali, adulti che parlano, altri che si sparano a vicenda, altri ancora che guidano macchine da corsa e ancora un altro dietro ad una scrivania piena di fogli, con alle spalle una parete di schermi TV che tutti assieme in un mosaico formano una grande immagine dinamica, che rappresenta un caseggiato visto dall’alto, forse da un elicottero. E costui spiega il fatto del giorno, con la solita intonazione di voce, sempre solenne, sia che si tratti di una bella o una cattiva notizia.

 

«Ma…» c’è qualcosa che non quadra. Lui non ricorda tutto questo, lui ricorda un banco di scuola, lui ricorda un bosco e ricorda una casetta sull’albero. Si guarda intorno ma non c’è niente di tutto questo. Però gli viene da sorridere, e rimane a guardare il presentatore del telegiornale sorridendo.

«Ti diverte?» chiede una voce adulta, di timbro maschile alle sue spalle. Senza girarsi gli risponde, «Che cosa?»

«Il telegiornale»

«No, non lo stavo guardando»

«E cosa stavi facendo?»

«Stavo sognando!»





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