Gli angeli di Daniel

di Dakota Blood
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-Perché Dio è così crudele?-
 
Questo è l’ultimo ricordo che ho del mio migliore amico prima che accadesse. Prima che gli uomini con le divise antipatiche con sopra degli strani simboli lo chiudessero in un enorme stanza assieme ad altri bambini, uomini che gridavano e donne dall’altro lato che piangevano chiamando i propri mariti.
Ricordo di aver sentito quelle ultime parole, urlate a squarciagola, mentre io, un bambino di soli otto anni lo guardavo da dietro un filo spinato, osservando il fumo che fuoriusciva da quella grande fornace, convinto che qualcuno stesse per prepararci dei buoni dolci fatti in casa.
Il fumo era ovunque, annebbiava la vista, ricordo che mi pizzicavano forte gli occhi ma continuavo a guardare dritto davanti a me, nell’orrore, nella fine di milioni di vite spezzate solo perché ritenute di razza inferiore.
Gli uomini cattivi, comunemente chiamati nazisti, davano ordini con le loro facce schifate, come se stessero guardando dei vermi e non uomini straziati e strappati alle loro famiglie.
Il mio migliore amico, Frank, era tra quelle persone sfortunate che non si son potute difendere e hanno dovuto abbandonare per sempre questa terra troppo giovani.
Quando chiudo  gli occhi, dopo trent’anni, posso ancora rivedere il colore di quel cielo nero e le facce terrorizzate delle vittime innocenti, e piangere nel cuore della notte mentre mi sembra di udire nel silenzio assoluto, i richiamare tremendi dei soldati privi di coscienza e pietà.
Il telefono che squilla mi riporta alla realtà, al presente, nel mio studio ampio e ventilato in questa calda mattinata di luglio del 1975, dove i ricordi si mischiano con i pensieri della vita di tutti i giorni.
Alzo la cornetta che, nonostante qua dentro ci siano solo 15 gradi, scotta.
-Chi è?-
-Dan, sono io, Michael-
Michael è un mio caro amico, vive a più di trenta chilometri dal mio paese, Welzerz, e non sta passando un bel periodo. Vive costantemente in ansia per esser stato abbandonato dai suoi genitori biologici alla nascita, e l’ha scoperto solo qualche giorno fa. Gli starò vicino.
-Dimmi tutto, ti ascolto-
-Ecco, so che non è facile per te…-
Alzo gli occhi al soffitto e vedo un ragno enorme che cerca di tessere la sua ragnatela sul grande lampadario di Swarosky luccicante. Ha scelto il posto meno adatto.
-Michael, ci sono eh, dimmi-
Un attimo di silenzio, sento solo il suo respiro lento e in lontananza qualcuno che alza troppo la voce verso di lui. Detesto le persone che comandano sulle altre, che invece  di parlare civilmente urlano come se si sentissero in diritto di obbligare qualcuno a obbedirgli.
Li detesto da quando ho sentito quegli uomini, tanti anni fa, che gridavano con ferocia contro delle persone che per paura di esser picchiate, stavano zitte e subivano ogni sorta di maltrattamento. Se non avanzavano verso quei grandi forni che non producevano niente di buono.
-Ecco, con mio grande rammarico, sono obbligato a darti questo incarico, da parte del generale Hans Zaner, da oggi sarai convocato come membro ufficiale della ‘Deutchland Union soldiers. So che per te è un duro colpo, ma non posso fare altro che riferirti gli ordini del superiore-
Mi cade quasi la cornetta di mano. No, la Union no. Non voglio commettere gli stessi errori di mio padre  e di tanti altri uomini, colpevoli di aver distrutto vite valorose e di aver seminato morte e disperazione. Non voglio dover rivivere tutto.
Mi sembra già di sentire l’odore di bruciato, di vedere una giovane sposa che viene allontana dal suo uomo perché le donne devono stare da una parte e i maschi da un’altra, vedo già gli occhi tristi di un bambino che vuole abbracciare il papà che è lontano, forse già in paradiso... mentre lui lo aspetta con occhi speranzosi, si, perché i bambini non dovevano sapere niente, per loro è come un gioco dove vince il migliore, il più coraggioso quello che non ha paura di diventare cenere nel vento.
-Ci sei?-
La voce di Michael mi fa quasi trasalire e ci manca poco che faccio cadere sul tappeto il posacenere di vetro regalatomi dalla mia ex Helena. Lo trattengo con la punta delle dita e riesco a non frantumarlo in mille pezzi.
-Ci sono… io, dove possiamo vederci? Ho bisogno di parlare con qualcuno al più presto-
Trattengo a stento le lacrime, guardo di fronte a me e vedo una foto che ritrae due bambini molto piccoli che sorridono mentre si abbracciano come due fratelli.
Due bambini simili tra loro, entrambi biondi e con qualche graffio sulle ginocchia, qualche dente spezzato e una ruota ai loro piedi con cui giocare.
Due bambini uguali, se non fosse per il loro abbigliamento diverso. Uno indossa dei normali pantaloncini che possono sembrare da calcio assieme ad una maglietta a maniche corte, l’altro invece non ha potuto scegliere cosa indossare perché è ebreo.
Ha dovuto mettere una divisa sudicia a righe con un numero cucito sulla tasca sinistra.
Un numero.
Le persone  non sono dei numeri! Eppure quel bimbo sorride all’obiettivo proprio come fa l’altro, perché in fondo sono uguali e poi giocheranno assieme e si dimenticheranno di non appartenere alla stessa nazionalità.
0815.
Un numero tra tanti, eppure per me era speciale e non ho mai visto alcuna differenza tra me e lui.
-Ci vediamo al ‘Sonne und Nacht’ di James Herverz, tra un ora. Ciao-
-Ciao, a dopo Michael-
Appoggio la cornetta e mentre fuori inizia a piovere, una pioggia leggera estiva e piacevolissima, sorrido a quei due bambini e quasi non li riconosco più.




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