Maschere

di Little_Rock_Angel5
(/viewuser.php?uid=1009827)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Maschere


A volte sembra non esserci compagnia migliore di semplici maschere, ricordi sfocati di uomini ingannevoli, bellissimi e traditori, e allora ci si accontenta. Ci si accontenta di molte, tantissime cose in realtà, nel corso della vita.
Sembra bella a volte, sapete? Ma è esattamente come le persone che la vivono: subdola e, in alcuni casi, violenta.
Più che violentare il corpo stesso, violenta l’animo; cosa c’è da ferire in un corpo immortale, sempre giovane, sempre uguale?
La vita ti lascia senza preavviso appesa a un filo e, anche se in apparente pericolo, in quell’attimo senti di star vivendo realmente. Poi, come se niente fosse, da un momento all’altro ti molla giù, abbandonandoti alla monotonia delle situazioni, degli eventi, che sembrano quasi avere qualcosa di astratto tanto sono stati visti e rivisti e rifatti.
È buffo come questo pensiero raccolga un po’ la mia esistenza: in poche righe, ecco che avvengono secoli. Dopotutto, di un’esistenza triste è difficile parlarne a lungo, a meno che tu non voglia ripeterti, esattamente come fa la tua routine. È buffa l’espressione ‘intrappolato nella propria routine’: non ho mai pensato che fosse giusta al cento per cento.
Credo, piuttosto, che siamo proprio noi ad indentificare la routine di noi stessi: ci affoghiamo e non ce ne accorgiamo nemmeno.
Come se fossimo automi, siamo estremamente legati alla nostra esistenza, e quasi ci piace accontentarci, appunto. Beh, a me non piace per nulla, e non me ne sono nemmeno accorta subito: anche a me, come a tutti, sono serviti dei secoli.
L’unica differenza tra me e gli altri è che, sfortunatamente, quei secoli non sono un’indicazione temporale figurata.
A volte mi fa paura realizzare come passassi le notti a contare le stelle, e le conchiglie che raccoglievo durante il giorno, e i fiori che tanto curavo e le posate d’argento e poi di nuovo le stelle, perché era già notte. Difficile classificare il sentimento di odio e profondo rancore e ancora irrazionale e odiosa, misera speranza che le cose potessero aggiustarsi: ci sono passati tutti da quest’isola, anche il ‘valoroso Percy Jackson’, l’altruista e fedele fidanzato più testardo che vedessi da un po’ di tempo a quella parte.
Non è mai stato difficile ammettere la mia sorte a me stessa, io volevo fare solo una cosa a riguardo: porle fine, in un modo o nell’altro, ma non ho avuto nemmeno questa possibilità. E mai mi pentirò abbastanza della mia inutile, fatale, sciocca scelta. *
Ho mandato maledizioni, a tutti. Ho augurato loro che un giorno provassero tutta la mia disperazione, che anche loro fossero abbandonate per sempre. Era successo ad Annabeth nel Tartaro, così mi raccontò Leo poi, molto tempo dopo. E così, prima che lui arrivasse e mi salvasse, ero diventata la maschera vuota di me stessa e nessun sentimento mi riempiva se non il dolore.
Mi facevano compagnia solo delle maschere, ricordi sfocati di uomini ingannevoli, bellissimi e traditori, e allora mi accontentavo.
 
§


Note: schieratasi coi Titani nella prima guerra. Vincenti gli dei, fu esiliata.




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3667727