ANTES DE TI
Leopold & Ophelia
"Abbiamo
una vita intera di prime volte da fare insieme"
Una promessa che li
aveva visti protagonisti di momenti indimenticabili.
Il loro primo incontro
fuori dal Framework, confusi e scossi da tutto ciò che avevano vissuti.
La prima volta in cui
si erano tenuti per mano, camminando in riva a quella spiaggia che aveva fatto
da sfondo alla loro decisione di stare insieme.
Il loro primo bacio,
quando Leopold l'aveva scelta contro ogni previsione e ogni logica.
Il loro primo San
Valentino in quell'angolo di Australia che adesso li aveva accolti.
Il loro primo "Ti
Amo" sussurrato a fior di labbra dopo la loro prima notte d'amore nel
mondo reale.
Adesso tra tutte quelle
prime volte si era aggiunta l'aver creato insieme un luogo da chiamare
"casa".
La villa sorgeva sulla
sabbia dorata in quel paese di sole e calore 365 giorni all’anno, così diversa
dall’amata Inghilterra di Leopold, ma non per questo meno affascinate. Il suo
sentirsi felice non dipendeva dal luogo, ma da chi lo condivideva con lui.
Ophelia però in quel momento
era sola e seduta nella veranda stava vagliando alcuni fogli dell’A.I.M., la
grande compagnia che con Leopold aveva costruito e che in poco tempo aveva
sparso in tutta Australia industrie e laboratori di ricerca avanzata nel campo
tecnologico. Tutto era iniziato quasi casualmente quando giunti in Oceania e
decisi a rifarsi una vita Leopold aveva trovato lavoro come assistente di
laboratorio in una famosa azienda di computer e facilmente aveva fatto carriera
fino a potersi lanciare nel tentativo di usare le sue innate capacità e
conoscenze per mettere su qualcosa di proprio, grazie alle amicizie strette e
anche all’aiuto di Ophelia che era divenuta sua
assistente, braccio destro e socia. Era come se entrambi sentissero la
necessità di usare tutto ciò che era nel loro campo di conoscenza per fare
ammenda per quello che avevano fatto nel Framework. A parti inverse insieme
avrebbero fatto tanto bene, quanto male avevano creato.
La donna si era portata
una ciocca di capelli dietro l’orecchio, mentre Mari le cambiava il bicchiere
ormai vuoto con un altro di limonata fresca.
«Lavora troppo…»
«Solo il dovuto, grazie
Mari!» disse Ophelia prendendo il bicchiere e
dandogli un sorso, mentre sorridendo osservò la domestica allontanarsi. Da
quando l’aveva conosciuta e aveva iniziato a lavorare per loro aveva capito
cosa volesse dire avere una madre.
Mari era una donna
maori, dai tratti tondi e anziana che avevano conosciuto in quanto uno dei
dispositivi dell’A.I.M. aveva salvato suo fratello e desiderosa di conoscerli
era finita nella loro casa. Non aveva un lavoro e viveva di stenti, ma la sua
bontà era tale che lei e Leopold non potevano non aiutarla e così iniziò a
lavorare da loro divenendo in pochissimo tempo una persona di famiglia considerando
come lei li trattava da figli, come facesse più del dovuto e quanto bene le
volevano…
Sospirando di felicità
tornò ai suoi fogli se non fosse stato che si sentì osservata. Alzò lo sguardo
questa volta non rivolta verso la casa, ma verso la piscina e dall’altro lato
della stessa si trovò occhi negli occhi con Jemma. Avrebbe potuto chiederle
come aveva fatto a trovarli, ad entrare e raggiungerla, ma erano domande
inutili e così semplicemente si alzò in piedi andandole incontro, mentre lei
faceva lo stesso. La mano stretta sulla pistola e lo sguardo ricolmo d’odio.
«Jemma…» tentò di dire Ophelia a mo di saluto, ma quella
piegò il capo socchiudendo appena gli occhi come se uno stridulo l’avesse
stizzita.
«Non osare chiamarmi
per nome…»
Lo disse a denti
stretti, mentre dal canto suo Ophelia a disagio
abbassò lo sguardo. Non sapeva come gestire la situazione, non adesso che
l’A.I.M. era in espansione e che grazie alla stessa lei e Leopold erano finiti
per collaborare con i più grandi eroi della terra, come gli Avengers.
Tony Stark compariva tra i nomi dei loro collaboratori
più stretti e questo aveva causato un’amnestica, più ufficiosa che ufficiale,
da qualsiasi carico che potevano imputare loro. Poteva dunque solo immaginare
come questo poteva infastidire lo Shield, lei…
«Ehm… perchè sei qui?» una domanda legittima, che come risposta
ebbe la pistola che Simmons stringeva nelle mani
puntata diretta alla tempia della sua acerrima nemica.
Ophelia scattò con le mani in
alto, sapeva che non stava giocando, aveva sognato quella scena almeno un
migliaio di volte perché sapeva che prima o poi una cosa del genere sarebbe
accaduta solo che adesso non aveva la freddezza di Aida per affrontarla.
«L-Lo so che… che sei
ferita, per la scelta di Leopold, ma…»
«Non osare metterlo in
mezzo! Lui non c’era nulla con questo… Perché lui ha solo bisogno di vedere le
cose dalla giusta prospettiva e tutto gli sarebbe più chiaro…»
«Ehm… io… perché non
riesci ad accettare che le cose sono andate in modo diverso da quello che pensavi?
Che io sia cambiata davvero? Jemma ho rinunciato a tutto e l’ho fatto per
Leopold… mi sono resa umana e poi fragile e normale…»
«SMETTILA DI MENTIRE!
Tu hai fatto tutto questo solo per renderti migliore agli occhi di Fitz, ma io so chi sei realmente e so che anche l’aver
rinunciato ai tuoi poteri è solo l’ennesima farsa!»
Jemma aveva pazientato
duramente in quei due lunghi anni, nell’accettare di farsi da parte e solo per
poter al momento opportuno agire e così facendo sistemare le cose che in quel
giorno lontano nella cella dello Shield, erano andate
in fumo.
Quante lacrime aveva
versato? Quanto veleno aveva sputato? Troppo. E ora che si era fatta il sangue
amaro ed era arrivata fin lì non sarebbe tornata indietro.
Erano passate appena
tre settimane, ma erano sembrate le più lunghe della sua vita. Non era stato
particolarmente felice Leopold di dover passare quel tempo alla Villa di Malibù di Stark, ma considerando
cosa avevano in ballo non poteva fare altrimenti.
Tuttavia quel viaggio aveva
anche significato, per un brutto tiro meschino di Iron
Man, di rivedere Phil e scoprire che a dispetto di ogni timore, non era stato
così terribile. C’era stato imbarazzo e una nota di nostalgia per i momenti
passati insieme e seppur lui ancora non era riuscito a comprendere e capire le
scelte di Leopold, quanto meno era riuscito a dirgli che non gli riserbava
rancore. Come allo stesso modo grazie a Phil lui aveva realizzato che quello
non era più il suo posto e che un posto da considerare veramente casa ce
l’aveva ed era con Ophelia ovunque fosse. Tornare,
quindi, era stato meraviglioso. Meno lo fu dover affrontare la scena che si
trovò di fronte e che in un primo momento lo gelò sul posto, ma che non lo
fermò dal fare la cosa giusta e correndo al fianco di Ophelia
prendere la canna della pistola di Jemma e abbassarla.
Era pronto a tutto, ma
non a rivederla dopo così tanto tempo. L’aveva amata, dal più profondo del
cuore, con la sua anima intera. L’aveva amata in ogni momento, in ogni singolo
istante di gioia e dolore. Aveva riso per lei, si era sacrificato per lei,
aveva pianto per lei, aveva rischiato la morte per lei. Aveva amato Jemma come
non aveva amato mai nessuno con… follia ed era stato sicuro che mai avrebbe
potuto amare qualcuna che non fosse lei.
Ma le cose cambiano, si
evolvono e le persone anche, le persone crescono.
«Ci puoi lasciare
soli?» lo aveva chiesto con un filo di voce ed estrema delicatezza, mentre
scostando per la prima volta lo sguardo da Jemma lo aveva rivolto a un’Ophelia terrorizzata da quella richiesta, nonostante la
presa di lui sulle sue mani.
«O-Ok…» non riuscì
assolutamente ad aggiungere altro, quando dando un’ultima occhiata alla donna,
si avvicinò a Leopold e dopo avergli dato un bacio a fior di labbra rientrò in
casa. Che fosse giunta alla fine della sua fiaba? Una nella quale per la Regina
Cattiva non era previsto nessun happy ending…
Simmons quando vide Ophelia allontanarsi si sentì più leggera, sapendo che
aveva ragione. Che il suo Fitz era ancora lì e mostrò
il suo entusiasmo lasciando cadere la pistola nella piscina e andandogli
incontro abbracciandolo felice di risentire il contatto con il suo corpo e il
suo odore. Leopold era stato preso alla sprovvista e dunque non poté fare a meno
che di rimanere confuso da quell’improvviso contatto tanto che gentilmente la
scostò da sé. Cercando debolmente di sorriderle.
C’era imbarazzo.
Tensione. Incapacità di sapere cosa fosse giusto dire o fare.
«Ho aspettato così
tanto questo momento…» sussurrò Jemma passandosi un braccio sugli occhi
inumiditi dalle lacrime.
«Avevo la necessità di
parlarti…»
L’imbrunire si stava
lentamente avvicinando colorando il cielo di tinte arancio, mentre Simmons si prese un attimo per osservarlo meglio e
riconoscere che era in forma. Più atletico, composto nel suo elegantissimo
abito nero che adesso senza giacca, con solo il gilet e le maniche della
camicia arrotolate fino a metà braccio lo rendevano ancora più sexy. Come i
suoi capelli un poco più corti e i suoi occhi ancora più chiari di quanto li
ricordasse. Non si poteva dire lo stesso per Jemma che portava i capelli
raccolti in una disordinata coda, due profonde occhiaie e l’aspetto di chi non
era molto attenta a cosa indossasse e in che modo.
Leopold sospirò,
ferirla e ridurla in quello stato non era mai stata sua intenzione, tuttavia
l’inevitabile verità che in passato le aveva confidato non sarebbe cambiata.
«Ci ho provato sai?»
chiese improvvisamente la donna tirando su con il naso e cercando di
sorridergli nonostante la situazione.
«A capirti o provare a
mettermi nei tuoi panni. Avere due vite nella testa non deve essere facile, ma…
Non sono riuscita a decifrare i tuoi pensieri e ho finito per abituarmi a
questo dolore perenne al centro del petto…»
Jemma parlava lenta,
mentre premendosi una mano sul costato tentava di fargli capire quanto e tutto
fosse cambiato, ma Leopold da parte sua scosse il capo incapace di risponderle
e rimanendo a fissarla in apnea.
«Dimmi qualcosa… te ne
prego, perché questo tuo silenzio è un inferno! Torna al mio fianco e se sei
tanto forte come credo metti da parte tutto questo…» disse lei indicando la
villa con un gesto plateale della mano e infastidita da tutto quel lusso.
«Affronta quel demonio
che ti sei messo al fianco, vincila, rialzati e torna da me!»
Aveva detto tutto ciò
con estrema disperazione, ma anche un amore che mai aveva smesso di sentire e
che considerando la sua immobilità la spinse ad avvicinarsi e tornare a cercare
un contatto con la sua pelle, ma quando fece per accarezzarlo sul volto,
Leopold le prese una mano e tenendola nella sua gliela scostò.
«Continui a pensare che
io non abbia preso alcuna decisione, che sia vittima di un lavaggio del
cervello e soggiogato al volere di Ophelia e questo,
se possibile, è ciò che più di tutto mi ferisce…» la voce tremava instabile tra
rabbia e delusione.
Lasciò cadere la sua
mano infastidito e le diede le spalle, passandosi una mano tra i capelli, prima
di fermarsi a bordo piscina e osservare i raggi del sole che stava tramontando
nella stessa.
«Sei stata il mio paradiso
e la mia tentazione. Un labirinto nel mio cuore e un tormento nella mia testa…»
e questo per lei significava che tutto non era perduto e forse per questo lo
raggiunse alle spalle, fissandolo, ancora incapace però di fare un passo oltre.
«Ma al contempo sei
stata chi, più di tutti, mi ha considerato debole, incapace di prendere
decisioni proprie e mi hai trattato come l’ultimo dei cretini. Non lo capisci
Jemma?» questa volta Fitz si era voltato e con le
mani in tasca, aveva affrontato il suo sguardo con estremo orgoglio e maturità.
«Non esiste modo di
tornare indietro. Il nostro fuoco si è spento. Ho dimenticato i tuoi baci e dal
mio corpo ti ho cancellato. Ti prego di comprendere ciò che ti dico, non avrei
mai voluto essere così crudele, ma tu non mi hai lasciato scelta. Non siamo
nemici, ma nemmeno amici. Non è stato
facile obliare i ricordi che di te ho, ma l’ho fatto… perché il nostro tempo
ormai è già finito…»
Se le intenzioni di
Jemma fino a quel momento erano state pacifiche e romantiche, ciò che le sue
parole gli causarono era un moto di rabbia pura. Le lacrime scorrevano di nuovo
sul suo viso, figlie di un cuore spezzato, ma al contempo di ira.
«Lei ti ha avvelenato
la testa!» gli urlò contro picchiettandosi la tempia con ferocia.
«Tutto il dolore che
qui mi hai lasciato… dopo che hai scelto… lei…» sputò battendosi la mano sul
petto.
«Ed eccoti! Di nuovo a
distruggere quel poco che di me era rimasto! Perché non è una questione di
egoismo sai? Sì perché a differenza di quella COSA io non ti voglio per
capriccio… però tu vuoi che giochiamo a questo gioco mh?
Vuoi che io non smetta di correrti dietro? Di fare l’impossibile per
recuperarti?»
«Non te l’ho mai
chiesto e mai te lo chiederei! Jemma per l’amor del cielo… Ophelia
non c’entra nulla lo vuoi capire? Si tratta di ME! Di NOI! Di nessun altro! Ed
IO, solo IO ho deciso di rimanere con lei e non l’ho fatto per ferire TE, ma
solo perché sono stato costretto a scegliere…»
Adesso Leopold le stava
tenendo le mani sulle spalle come per scuoterla e rinsavirla, mentre lei
liberandosi dalla sua presa lo spinse all’indietro riluttante alle sue parole.
«Scegliere cosa?»
«Con chi passare la
vita! Non si possono amare due persone allo stesso tempo…»
«E tu hai scelto un mostro
invece che me?»
«No ho solo scelto chi
amo…»
Jemma stava assentendo
furiosa, mentre ridendo tra le lacrime si mordeva il labbro inferiore.
«Sai che ti dico? Alla
fine la vita riesce sempre a mettere ognuno nel posto che merita… Quindi vuoi
continuare a giocare con il fuoco? FAI pure, ma quando ti brucerai e accadrà,
non venire da me… perché non ti aspetterò in eterno!»
Era chiaro che quello
scontro finì lì perché Simmons non desiderava
rimanere un momento di più, fece dietrofront e se ne andò da dove era arrivata.
Avrebbe ripreso lo zephyr e sarebbe andata avanti con
la sua vita. Leopold rimase a guardarla, deciso a non fermarla, ferito da come
tutto fosse finito, ma sussurrando qualcosa tra sé e sé in riferimento alla sua
ultima frase.
«E non devi farlo… Meriti
di essere amata, come io non sono stato in grado di fare…»
Ophelia era rimasta per tutto
il tempo della conversazione tra Leopold e Jemma chiusa nella loro camera da
letto. Non voleva guardarli. Non voleva sapere cosa si stavano dicendo e adesso
temeva che la porta si sarebbe aperta e che l’uomo che amava sarebbe entrato
dicendole che era finita, che tutte le prime volte che si erano promessi di
condividere lei le avrebbe dovute affrontare da sola.
Stretta nel suo
elegante tubino grigio chiaro, era scesa dai tacchi e seduta sulla poltrona che
dava sulla finestra verso il giardino opposto alla piscina, teneva le gambe
strette al petto e il viso nascosto sulle ginocchia. Voleva impedire alla sua
mente di continuare a formulare scenari o ipotetici dialoghi che da lì a poco
ci sarebbero stati, ma non aveva controllo sui suoi pensieri, tanto che quando
la porta della camera da letto scattò, lo fece anche lei. Alzò il capo e
voltandolo incontrò lo sguardo affranto di Leopold che andandole incontro si
inginocchiò di fronte a lei, prendendole una mano e baciandogliela.
«Perdonami…» aveva solo
sussurrato, facendole temere il peggio, mentre già le lacrime stavano facendo
capolino dai suoi occhi fondenti.
«Perdonami perché non
riesco a renderti sicura del mio amore…» e per quello davvero lui si sentiva
dispiaciuto, non poteva ogni volta che Jemma apparisse nella loro vita che
fosse in una frase o in carne ed ossa, farla titubare così. Non dovevano
esserci dubbi tra loro, non dovevano esserci incertezze…
«Perché lo è eppure
riesco sempre a ferirti…» quando lui cercò la sua guancia, accarezzandola, lei
piegò un po’ il volto di lato per approfondire quel contatto, prima di poggiare
i piedi a terra e prendere il viso di lui tra le sue mani.
«Non sei tu a dover
chiedere perdono, non sei tu che deve fare i conti con un’insicurezza di cui
non sarò mai padrona. So che non posso competere contro di lei. Contro una
persona vera, umana dalla nascita e che così importante è stata per te eppure…
Tu adesso sei qui con me, sei tornato da me…»
«E lo farò sempre…»
Ophelia lo guardò e come
sempre si rese conto di come tutto insieme a lui fosse reale, tenero e dolce.
Lui che metteva le ali ai suoi sogni e dava una direzione alla sua esistenza.
«Leopold…» lo pronunciò
gustando il sapore del suo nome come il più dolce dei frutti estivi, per poi
vederlo allontanarsi da lei e per un secondo lasciarla confusa.
«Tu ti sei convertita
nel mio equilibrio. Hai disegnato il mio cammino e tutto era scritto in un
principio sconosciuto che mi avrebbe portato a te…» quando lui aveva iniziato a
pronunciare quelle parole, alzandosi in piedi e dandole le spalle, aveva tirato
fuori dalla tasca dei pantaloni una cosa che aveva preso nel suo viaggio.
Voltandosi verso di lei, quest’ultima immediatamente notò la piccola scatolina
di velluto che stringeva tra le mani, ignorandone il contenuto.
«Tutto è così reale con
te, semplicemente originale. Tu hai messo le ali ai miei sogni e rompendo tutti
gli schemi e le catene ti sei convertita nel mio universo…» fu allora che
Leopold prendendo un gran respiro tornò a inginocchiarsi di fronte a lei e
aprendo la piccola scatola mostrarle l’anello che aveva preso. Semplice, d’oro
bianco e con un piccolo smeraldo che brillava accanto ad un piccolo diamante.
Entrambi rappresentavano la duplicità che aveva contraddistinto il loro percorso
prima e dopo il Framework. Quelle due gemme erano loro due…
«Ophelia
Sarkissian, vuoi sposarmi?»
La donna fece scattare
le mani alla bocca e dopo un istante infinito in cui il tempo si era totalmente
fermato, fu costretta a toccarsi il petto con entrambi le mani quasi volesse
rallentare il battito impazzito del suo cuore. Era in iperventilazione e non
sapeva gestire quella mole di emozioni che mai fino a quel momento aveva
provato. Esisteva una felicità così grande da far male?
Se lo stava chiedendo,
mentre mettendosi in ginocchio di fronte a lui osservava l’anello e come lui
glielo stava infilando al dito.
Sapeva che doveva dire
qualcosa e ci provò, ma la commozione era tale che ci mise parecchio per
trovare le parole giuste. Quelle che esprimessero l’immensità di tutto ciò che
stava provando.
«P-Prima di te…» ma
dovette interrompersi perché le lacrime e l’emozione le stavano facendo tremare
la voce. Guardò il soffitto e cercò quel minimo di stabilità necessaria per
riuscire a dirgli tutto ciò che spingeva per uscire.
«Prima di te non avevo
illusioni, non esisteva un motivo che dava senso al mio esistere. Prima di te
la vita non pendeva a mio favore. Prima di te le circostanze mi hanno costretta
ad essere diversa. Prima di te il mio stare in questo mondo non brillava nel
suo splendore. Quindi sì. Voglio vivere i miei giorni insieme a te, farti una
promessa senza tempo…»
Ophelia ridacchiò perché non
ci credeva di essere riuscita a mettere insieme le parole giuste e quando lesse
il suo stesso coinvolgimento nello sguardo di lui, sapeva di avergli dato il
suo cuore e la sua anima, come fino a quel momento non era mai riuscita a fare.
Leopold ormai rideva e
piangeva senza riuscire a scegliere in che modo esprimere maggiormente la sua
gioia, tanto preso e sconvolto quanto lei.
Fronte contro fronte.
In ginocchio uno davanti all’altra in quella camera da letto, baciata dal sole
morente di luglio, iniziava il loro happy
beginning…
E
con questa ultima fan fiction che chiude questa piccola triologia
di one-shot dedicate a Leopold e Ophelia
do il mio addio a questo personaggio che ho amato tantissimo e saluto la quarta
stagione di Shield appena conclusosi. Sarà difficile
guardare la quinta stagione? Assolutamente sì, quanto dover accettare che non
esista un futuro per questa coppia del mio cuore… Ma loro continueranno ad
esistere nella mia fantasia, in quella villa in riva al mare a Melbourne ove –tutte
le volte che voglio- potrò andarli a trovare e spiare
la loro nuova vita insieme.
Grazie
a chi mi ha seguito e che dire, se siete sognatori come me, spero abbiate il
romanticismo che con Leopold & Ophelia ho voluto
regalarvi.