Il vuoto che resta

di Silviaria3
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cap 6 Al suono della campanella mi fiondai fuori verso la macchinetta che erogava caffè, mi misi in fila, ma attraverso un'azione scorretta, che non ero abituata a fare, passai avanti. 

Mi tirai i capelli indietro mostrando i piercing all'orecchie e, cercando di sembrare il più minacciosa possibile, guardai con insistenza e arroganza due ragazzi del primo anno che mi fecero passare con un
-"P-prego"impaurito. 
Decisi che era la prima e l'ultima volta che facevo una cattiveria del genere. In realtà non credevo di avere più diritto di loro solo perché ero più grande. 
Poi andai in bagno, nel punto di incontro tacitamente stabilito con le mie amiche.  
-"Mia!!" gridai di gioia e le corsi incontro abbracciandola, cercando di evitare che il caffè le cadesse addosso. 
-"Andra, ma dov'eri??"mi disse con aria frustrata -"Finora ho visto tutti! Tutti tranne te!" 
Le riassunsi le mie ore precedenti e gran parte della mia estate, poiché non ci eravamo viste per nulla nei mesi trascorsi. 

Mia era più alta di me, era più alta di tutte noi (seconda solo a Camilla) e magra come un chiodo. Aveva la pelle bianca e i capelli neri, tagliati di recente a caschetto. 
Un contrasto che la faceva ironicamente sembrare un orientale. Se l'avessi dovuta descrivere l'avrei paragonata ad una forza della natura. 
Era capace di cose bellissime, ma anche di cose orribili. A caratterizzarla erano sopratutto la sua forza e la sua determinazione celate sotto un aspetto così minuto. 
Da bambina avevo un film preferito "Peter Pan", e mi ricordo che c'era la fata, Campanellino o Trilli, che mi ricordava enormemente Mia. 
"Le fate", diceva Peter, "non sono cattive, ma sono tanto piccole che possono provare una sola emozione per volta." 
Così era Mia, veniva invasa dalle sue emozione e non ce la faceva a domarle. Per questo spesso sembrava una bambina. 
Se era felice era capace di saltarti addosso di abbracciarti, baciarti e fare mille feste, ma se era arrabbiata era altrettanto capace di strattonarti. graffiarti e farti davvero male, anche se non avevi provocato tu la sua rabbia se ti aveva a tiro ne subivi le conseguenze. 
Era molto strana sì. Diversa. Come tutte noi. 

In quel momento dal bagno uscì Illa 
-"Hello stranger!"disse alzando le braccia al cielo a mo' di saluto.
Poi si diresse verso il lavandino mentre Mia mi parlava dei manga che aveva letto e io dei film che avevo visto, e ci consigliavamo dei libri a vicenda.
Iniziavamo con "Ti devi assolutamente vedere, ti devi assolutamente leggere!" Anche Illa partecipava alla frenesia nerd, ma io e Mia condividevamo così tante serie TV che ci vergognavamo a enumerarle tute. Quando dal corridoio giunse un 
-"Ti devi assolutamente stirare quei capelli!!!!"
Eccola. La travolgente. L'appariscente. L'eccentrica : Barbara !!  -"l'attrice"- 
Si buttò addosso a Illa spingendola contro la pianta dietro di lei, poi diede un bacio a Mia sulla guancia e si fermò davanti a me con aria disgustata e preoccupata.
-"Ma che hai fatto ai tuoi capelli?! Ti sei messa a correre?" 
Cominciai a pettinarmi i capelli con la mano destra e a guardarmi intorno imbarazzata. Guardai Illa con aria di rimprovero, ma lei disse
-"Ma non le dare retta! Lo sai che è esagerata." 
Barb si voltò verso di lei e le diede un finto spintone. 
Vabbè, Illa non faceva molto caso all'aspetto esteriore, potevo benissimo andare in giro vestita di stracci e lei non l'avrebbe notato. Ma Mia? 
La guardai e lei abbassò lo sguardo. Troppo pudore, non mi avrebbe mai detto di pettinarmi che sembravo una matta.
Ah che pazienza che ci vuole.
-"Ciao Barb, anche tu mi sei mancata." dissi sarcastica.
Un po' di meno delle altre in effetti.
Le volevo bene ma la mia personalità e la sua erano totalmente agli antipodi, io mi nascondevo nel silenzio e nell'ombra mentre lei bramava per ottenere un palcoscenico, o anche solo un pubblico. Era molto bella, piena di energia vitale, alta e "formosa" (non avrei saputo come altro descriverla). 
Ultimamente si stava impegnando molto per ricolmare la mancanza di cultura degli anni passati, si faceva consigliare film da vedere e libri da leggere, andava ancora più spesso a vedere spettacoli e spulciava tutto quello che poteva sul teatro. Voleva diventare un' attrice e inseguiva il suo sogno. 
-"Oggi non devi andare dalla psicologa scolastica?" mi chiese, mentre cercavo di legarmi i capelli in una coda alta. 
Scoppiamo tutte a ridere. Era da tanto che non ridevamo così. 
-" Si è vero...me ne ero dimenticata" dissi fiacca.
-" Cosa le sparerai stavolta?!", mi chiese curiosa Mia asciugandosi una lacrima.
-"Potresti dirle che ti senti molto "rigenerata" da quando fai meditazione e bevi le tisane che ti ha consigliato lei..."proseguì con un tono cospiratorio. 
Uno scoppio di risa.
-" No ragazze. E'  il primo giorno. Devo per forza versare qualche lacrima, lo sapete. Altrimenti lei penserà che mi tengo tutto dentro e che la terapia che stiamo adottando non funziona." continuai io con aria accondiscendente, felice che le mie disgrazie servissero almeno a farle ridere.
-" Oddio ma perché queste sedute non possono essere aperte al pubblico?!" chiese Barb tenendosi un fianco. 
-"Abbraccio!!!"urlò subito dopo, imitando la voce nasale di una ragazza del nostro anno, e ci circondò tutte con le sue lunghe braccia buttandosi di sopra. 
Dissi loro che ho intenzione di saltare l'assemblea, e ci separiamo. 

Mi trascinai stanca, perché il caffè non aveva fatto alcun effetto, verso i sotterranei. Mentre camminavo furtiva controcorrente nella fiumana di studenti che si dirigevano verso la palestra esterna., fuori dalla porta della biblioteca, incontrai Michele, il fratello di Vince. 
Stava parlando con una ragazza, che dal pallore e dal modo in cui le tremano le mani,  non sembrava stare molto bene. 
Le lasciò scivolare una bustina nella mano e con un sorriso e un ammiccamento la congedò. Quando si accorse della mia presenza gli scappò un "Cazzo"spaventato. 
La mia faccia divenne di ghiaccio, mi avvicinai con passo marziale pronta a dirgliene quattro.
-"Che cazzo fai?!"sibillai a denti stretti.
-"Senti Andra, non sono fatti che ti riguardano.", disse lui e facendo per andarsene. 
Lo afferai per un braccio e lo riportai davanti a me con un strattone. 
-"Magari non sono fatti miei, ma non credo che Vince sarà contento di sapere che il suo "fratellino" sta combinando qualcosa di illegale." lo minacciai decisa.
-"Non glielo dirai!"esclamò sicuro studiandomi, tradendo però un briciolo di incertezza.  
Sapeva che Vince gli avrebbe fatto il culo.
-"Vuoi vedere?!"
-"Ok senti, non è niente di illegale. Vendo solo pillole, sigarette e stronzate per l'ansia e gli attacchi di panico, una cosa pulita. Mi sono inventato questo spaccio. Non faccio male a nessuno, e sopratutto non devo pagare nessuno." dice, cercando di convincermi. 
Ma non mi convince. E non solo per il fatto che io non approvavo nessun genere di sballlo, ma anche perché quando si trattava dei nostri fratelli  provavo quel genere di ansia mista ad apprensione che provano in genere le madri.
-"Lo sai che è sempre pericoloso.", (sottolineo la parola sempre con particolare cura.)
-" Potrebbero beccarti! E sopratutto, ti stai mettendo contro altri giri. Non vale la pena che tu lo faccia!" ma anche io tradì un pizzico di  incertezza, perché nella loro famiglia le cose non andavano bene, ed erano i figli che portavano il pane a casa.
-"Ti prometto che starò attento, anzi attentissimo! E che ti terrò al corrente di tutto." disse, e mi sentì già più tranquilla.
-"Voglio un resoconto quasi giornaliero. E che sia sincero. O così o niente." 
Vince mi avrebbe ucciso se mi avesse scoperto, Prima me e poi Michele.
 Era da una vita che mi diceva che preferiva mille volte spacciare lui e rischiare lui pur di sapere i suoi fratelli al sicuro. 
-"Va bene, va bene." fece lui accondiscendente. -"Vuoi una stecca di sigarette? Offre la casa per sta volta." mi propose affabile.
-"No, lo sai che non fumo" risposi secca.
Gli feci segno che lo tenevo d'occhio ed entrai in biblioteca. 
Il bibliotecario, un uomo anziano e malaticcio, stava dormendo. Così mi diressi senza fare rumore verso la sezione più nascosta. Quella dei saggi storici.  
E mi addormentai. 
Finalmente.
Mi svegliò un rumore di gola che raschiava e grattava. Il Sign. Siem si era svegliato. Guardai l'orologio, era passata un'ora e mezza e non ero stata beccata, questa era la prima, e sicuramente l'ultima gioia della giornata. 
-"Oooooooh Cassandra!"gridò lui quando mi vede, poi rise. -"Quando sei entrata?" mi chiese.
-"Prima....avevo bisogno di silenzio." risposi, stringendogli la mano. Era un tipo che ci teneva a queste cose. 
Era un soggetto alquanto strano, ma mi voleva bene, voleva bene a tutti i ragazzi. 
-"E certo, e certo. Ma ora vai che il preside mi fa il bordello, se passa di qui e ti trova." 
-"Vado. Tanto è ora di pranzo. Ci vediamo dopo." lo saltai.
Ma prima che potessi uscire mi avvisò dell' apparizione di un nuovo arrivato a scuola, e che l'aveva per giunta già conosciuto. 
Questa scuola è così dannatamente piccola da dare sui nervi.
-"Meraviglioso"gli risposi secca. Lui rise di rimando notanto il mio improvviso cambiamento d'umore.
-" Perché quella faccia? È un bel ragazzo sai? Ed è anche molto educato, sarà il figlio di qualche ministro..." 
Sì, del presidente!
-"Va bene, devo andare. Arrivederci." 

Il mio essere praticamente invisibile era fantastico. Certo tutti mi conoscevano, la scuola era quella infondo, ma io non avevo alcuna importanza quindi passavo meravigliosamente inosservata, e questo mi dava un grande margine di libertà. 
Gli unici professori che potevano associare il mio volto al mio nome erano quella di italiano, che amava i miei temi, e quelle di greco, che vedeva in me una delle studentesse più interessate alle sue lezioni. C'era anche il prof di educazione fisica anche se l'assenza pressoché totale della mia voglia di competere in generale era talmente in contrapposizione con la sua persona che lui non riusciva ad assimilarla. 
Ogni anno provava ad inserirmi in corsi sportivi nuovi, in cui il gioco di squadra era essenziale. E ogni anno io abbandonavo o addirittura venivo cacciata dalla squadra entro il primo trimestre, l'unico altro sport che mi aveva convinto a fare, oltre alla corsa, era il nuoto, una scoperta dell'anno passato.
Per lui questo era stato un successo tale che mi lasciò in pace e non mi iscrisse ad alcuna gara (a cui comunque non avrei partecipato) per tutto l'anno. 

Queste erano anche le materie che preferivo, e in cui era quindi difficile per me simulare apatia come facevo per tutte le altre. Facevo i compiti, andavo alle interrogazioni, qualche volta partecipavo con interventi e domande, ma ero pressoché  invisibile. Avevo voti medio altri e nelle materie in cui andavo più male come  matematica e arte i professori si unificavano a fine anno alla media generale, senza farsi poi tante domande sulla mie carenze.  
Mentre quella di inglese..quella di inglese mi odiava propio. Però il suo odio nei miei confronti non era personale bensì l'effetto di un odio generale.
Lei odiava tutti gli studenti, quindi anche me. Solo che con me aveva un bersaglio perfetto. 
Mentre il professore che ci faceva storia e filosofia, materie speculative e che richiedevano riflessione e dialogo, era paradossalmente un bigotto, ignorante e idiota, fermamente convinto che i ragazzi non potessero capire la complessità degli argomenti trattati e ancora di più delle sue effervescenti spiegazioni. 
Questo era il mio mondo scolastico, e considerato che passavo a scuola gran parte delle mie giornate e non avevo molta vita sociale all'infuori di essa, costituiva in pratica il mio unico mondo. 
Bella schifezza.

Quindi a parte le bidelle e il bibliotecario, le professoresse di greco e di italiano, e aggiungiamoci pure il professore di educazione fisica (che comunque non comprendeva assolutamente, e anzi guardava con un certo disgusto, la mia repulsione a qualsiasi tipo di competizione agonistica), associava il mio volto al mio nome anche la psicologa scolastica. Federica Gramsci.

Un' adolescente nel corpo di una signora. la barzelletta degli psicologi, la delusione di Freud (o forse ero io la delusione dell'illustre padre della psicoanalisi e lei faceva esattamente quello che si doveva fare con un caso come il mio). 
Ma dubito fortemente.
Fatto sta che andavo da lei e le raccontavo una marea di frottole per tenerla buona, di modo che avrebbe tenuto buona mia madre, che avrebbe lasciato in pace me. 
E quindi non era poi tutta colpa mia. Si sa: se non non si è messi alle strette nessuno vuole raccontare i fatti propri e analizzarli per individuare la fonte della propria follia. Ok...potevo anche accettare di o rendermi la colpa "fifty-fifty". 
Io lo sapevo di essere pazza, sapevo anche che lo ero doppiamente: in primis per una forma ereditaria (diretta, aggiungerei) e in secundis perché tale forma non era latente come si sperava, ma imperversava in ogni angolo del mio essere, dentro e fuori di me, mi rendeva spesso triste, riflessiva e ansiosa.
Cercavo di non pensarci troppo e di ignorare la cosa finché potevo. 
Tuttavia nonostante l'eccessiva bonarietà e ingenuità della suddetta, era talmente ingenua e simpatica che non potevo dire nulla contro di lei, sarebbe stato come sparare sulla croce rossa. Mi voleva bene, come voleva davvero bene a tutte le persone sulla faccia della terra e forse era propio questo a non permetterle di utilizzare il polso di ferro con noi, suooi pazienti. 
"Perché andavo dalla spicologa allora, se non la prendevo sul serio?"
Non ci andavo perché avevo tentato il suicidio. Niente lamette, niente vasca, niente barbiturici e nessun volo dell'angelo. 
Ci andavo, già da un anno, per colpa mia madre. Mia madre io usavo definirla bipolare, (non ho mai capito se lo fosse davvero), ma per spiegare com'è fatta non c'è  esempio migliore del bipolarismo.

Mia madre se ne fregava di tutto e di tutti, le importava solo di se stessa: i suoi divertimenti, le sue storie d'amore, le sue amicizie, la sua vita. Io e mio fratello siamo cresciuti praticamente orfani da una parte e abbandonati dall'altra.
Non potevo farci niente se era così, era mia madre e le volevo bene comunque. Non sapeva nulla di me, cosa mi passava per la testa, cosa mi preoccupava o quale fosse il mio cibo preferito. Se si presentava un problema lei involontariamente lo schivava, si sentiva incapace di affrontare le disgrazie. Sopratutto dopo la morte di mio padre.
La guardavo e mi sembrava fragile psicologicamente. Eppure al contempo era una delle persone più buone e generose che conoscevo, oltre che una delle più forti, aveva dovuto superare moltissime avversità eppure era ancora in piedi.
Era intraprendente, piena di vita e coraggiosa, affermava di fare tutto sempre e solo per me e mio fratello (e a volte mi piaceva crederle), condividevamo lo stesso amore per il cinema, i libri o la musica, e a volte ci ritrovavamo a parlare del senso della vita e a scambiarci opionioni sugli argomenti più svariati.
Come fosse possibile che dentro di lei esistessero e coesistessero queste due persone io non fui mai capace di capirlo.

Tornando al motivo per cui andavo dalla psicologa, era un periodo in cui ero più riflessiva del solito e lei pensò che mi stessi ammalando come mio padre così obbligò la scuola a farmi andare dallo psicologo, non potendoci permettere le sedute da un altro psicologo.
Se saltavo una seduta ero nei guai. Il mio obbiettivo era dimostrare che ero migliorata o addirittura guarita.
Quando iniziai la cura mi sfiorò l'idea che sì, forse avrei potuto parlare dei miei problemi ad un estraneo se avrebbe significato sentirmi meglio.
Ma poi conobbi Federica e capì non potevo raccontare ad una persona, che ancora credeva a Babbo Natale, la mia storia.
Il suo crollo psichico sarebbe stato colpa mia.
Avevo Illa, Mia, Barb e Samantha con cui parlare, avevo i miei nonni, mio fratello e mio zio Damocle che mi volevano bene, e loro mi bastavano.

Mi diressi quindi nell'ufficio della psicologa scolastica con l'intento di mettere in scena uno spettacolo tale che Amleto sarebbe sbiancato vedendomi.
-" Cassandra!!" esclamò felicissima, sobalzò sù dalla sedia e venne ad abbracciarmi.
-"Ciao Federica." dissi un po' imbarazzata, ma sinceramente contenta di vederla.
Dopo i dovuti convenevoli, partì con il racconto di come avevo passato l'estate inventandomi crisi di personalità e risoluzioni lunghe e combattute, qualche litigio tragico che mi aveva fatto sprofondare nel baratro e aiuti miracolosi da parte di persone a me vicine.
Mi ero così calata nel racconto che quando qualcuno bussò, ed entro, pochi secondi dopo (senza neanche aspettare di sentirsi dire avanti), stavo ancora gesticolando e facendo un resoconto dettagliato del perché avevo "deciso di chiudere" con una ragazza che era diventata una mia cara amica durante l'estate e mi aveva ferito, ma la cui unica reale colpa era quella di non esistere realmente.
-"Ah-ah..."continuava a dirmi e ad annuire Federica, in modalità faccia realmente interessata e presa.
-"A sei tu caro." disse portando lo sguardo e l'attenzione sul ragazzo dietro la mia sedia.
Mi girai a tre quarti per vederlo.
Forse è Marco.
Un altro suo paziente (anche se sapevo che Marco avrebbe aspettato il permesso prima di entrare).

Non potevo essere più lontana dalla realtà, l'essere che avevo davanti, o meglio dietro, era un ragazzo sì, ma non era Marco...
Fede si alzò e andò a salutarlo.
-"C'è l'hai fatta a venirmi a trovare, non ho raccomandato altro a tua madre, è da una mattinata che ti aspetto." disse con una finta aria di rimprovero, poi gli diede un buffetto con aria bonaria, come si fa con i bimbi.
Se la situazione non fosse stata tragica mi sarebbe venuto da ridere.
-"Lo so, lo so Chica, ma ci sono quelle cose chiamate lezioni. Sono potuto venire solo ora che facciamo pausa pranzo", la sua voce pacata scatenò in me ondate di puro panico.
Sentivo chiaramente nella testa il segnale d'allarme chi mi diceva di scappare, nascondermi sotto la scrivania o buttarmi dalla finestra, ma non avrei fatto altro che peggiorare le cose. Scivolai con il sedere più in giù e girai lentamente la testa in modo che i capelli potessero nascondere il viso, con la speranza che magari non mi avesse visto, nonostante ero rimasta fino a quel momento voltata totalmente nella sua direzione con le mani conficcate nel poggia gomito destro della poltroncina e sul volto un' irrimediabile aria da idiota.
E infatti la fortuna continuava a non girare per me.
-"Oh Cassandra lui è figlio della mia più cara amica, si chiama Alan."lo presentò cordiale Federica, che a quanto pare non sapeva leggere il linguaggio del corpo o era molto brava a fingere di non vedere la mia espressione totalmente imbarazzata.
Rimanendo seduta, senza neanche raddrizzarmi, gli porsi la mano. E, di nuovo, ci presentammo.
-" Ciao!" Alan aveva stampata in faccia un evidentissima espressione che diceva " Ma tu guarda quanto è piccolo il mondo.." 

-"Sai Chica, io e Cassandra ci siamo già conosciuti ieri, a un compleanno di amici comuni."aggiunse lui, con la solita schiettezza che, avevo già capito, lo contraddistingueva.
La mia faccia divenne se possibile ancora più glaciale.
-"Ma va"disse lei incredula.
-"Cassandra odia le feste! Ma se ha incontrato te sono contenta che ci sia andata."finì poi col dire sorridendo compiaciuta.

Ok. Basta così!
-"Bene Federica, per oggi abbiamo finito no? Alla prossima."dissi, sbrigativa.
-"C-certo ok. A venerdì allora."
Aveva una faccia interdetta, perché in genere solo lei poteva chiudere le sedute, io al massimo potevo dirle che potevo restare poco e lei mi accorciava l'ora. Era la prima volta che mi permettevo una cosa del genere, (era come se avessi surclassato il suo ruolo) e tutto per colpa di quell'imbecille.
-"Devo andare anche io Chica, sto morendo di fame e rischio di rimanere a digiuno proprio il primo giorno." la salutò Alan abbracciandola, mentre io ero già quasi alla porta.
-"Certo tesoro vai anche tu, Cassandra ti farà vedere dov'è la mensa."
Ma mannaia la Malesia...
Uscimmo insieme dall' ufficio, lui mi aprì la porta e mi fece uscire per prima.
Un atteggiamento da vero gentleman non c'è che dire.
Ma io ero troppo impegnata a ignorarlo esplicitamente per dare peso a simili carinerie.
Seduto su una delle sedie addossate al muro c'era Marco, anche se mi stava simpatico non eravamo così amici, quindi, in genere, non intrattenevamo chissà quali grandi conversazioni a parte un "Ciao-ciao".
Ma decisi di fermarmi, prima di tutto perché speravo che Alan capisse e sloggiasse fuori dai piedi, a cercarsi la mensa da solo, e poi perché "L'educazione prima di tutto Cassandra, non dimenticarlo!" mi rimbombò la petulante voce di mia nonna Agata in testa.
-"Ciao"lo salutai.
-"Ciao, hai già finito?"chiese dubbioso.
-" Si vado a..."non riuscì a finire la frase.
Non perché non sapessi dove stavo andando, ma perché non volevo che Alan sentisse. Mi resi conto che stavo diventando paranoica e mi dissi di smetterla.
E' solo un ragazzo non una bestia di Satana...
Il mio essere schiva nei suoi confronti era dovuto al fatto che era molto intuitivo e aveva già scoperto qualcosa sul mio conto con il quale avrebbe potuto benissimo ricattarmi a vita, quindi non volevo "giustamente" che scoprisse altro su di me.
-"Vado a pranzare." finì di dire prima che il silenzio diventasse troppo prolungato. Ed io sembrassi più "mentalmente confusa" di quanto già non lo fossi.
-"A ok, ci vediamo allora." Si alzò mettendosi lo zaino in spalla e si diresse verso la porta dell'ufficio.

Ripresi a camminare con Alan che mi seguiva imperterrito, attraverso i corridoi, salendo e scendendo scale. Mi sembrava di avere una guardia del corpo (anche vista la stazza di colui che mi seguiva) se non fosse che non mi sentivo per niente al sicuro.
-"Questa non è la strada per la mensa." disse messamente.
Le mie converse frenarono bruscamente producendo un suono stridulo che rimbombò in tutto il corridoio vuoto.
-"Allora lo sai dov'è!!" mi girai a fulminarlo con sguardo accusatorio.
-"Certo che lo so, questa scuola è minuscola. Pensavo che dato che dobbiamo andarci entrambi potevamo andarci insieme"
Touché.
-"Devo posare un attimo i libri nell armadietto".
Sta a vedere che adesso mi devo anche giustificare. Le cose stanno proprio degenerando
Attuiamo un piano di attacco.
.

-"Cosa hai l'ora dopo?"mi chiese.
Non risposi.
Ripresi a camminare, dopo aver posato la mia roba nell'armadietto, stavolta dirigendomi davvero in mensa.
-"Che tipi di dolci fanno?"continuò lui.
Silenzio.
Lui forse non sapeva che avevo un fratello.
Posso continuare con la guerra del silenzio tuuuttooo il giorno, caro.

-" Sei di poche parole eh? O forse non ti piacciono i convenevoli. Per quanto io penso che siano indispensabili nella società. Cioè pensa al genio che ha pensato per la prima volta "parliamo del tempo". Che poi si è e evoluto nelle mille varianti di "Come stai?e la mamma, la sorellina, il bisnonno? E come va a scuola? E la fidanzatina? E dove hai parcheggiato?" Ma i più raffinati arrivano a intrattenere anche intere conversazioni riportando altre conversazioni avvenute con gente più o meno importante. Tutto questo per non dover sentirsi vivi o semplicemente empatici nei confronti di un altro essere umano, per evitare di guardarlo nell'anima e limitarsi a guardargli gli occhi (o un punto indefinito della sua faccia)."
Wow.Una filippica molto profonda non c'è che dire...pensai sarcastica.
Ma io non avrei di certo mollato per il primo stoccafisso che mi parlava delle sue elucubrazioni sull' inconsistente ridicolaggine del genere umano.
-"Tu per esempio hai dei begli occhi."mi disse cercando di guardarmi in faccia, ora che mi aveva raggiunto e mi camminava a fianco. Ma io voltai volutamente la testa, cercando di nascondere il leggero rossore che mi copriva le guance.
Potevo fare la sorda, sì. Ma non la cieca, e non riuscivo essere impermeabile ai "complimenti" di quel marcantonio. Non ancora almeno.
-"Quando ti togli quell'aria truce almeno." continuò sardonico.
-" E comunque tornando al dolce" disse
-"Spero che facciano la panna cotta, in tal caso la prenderei con i mirtilli e non al caramello, ma se ci fosse il budino lo prenderei senza dubbio al cioccolato....
Il classico cioccolato...Il caro vecchio banale cioccolato...." dopo il mio ennesimo silenzio, (che valeva più di mille parole), disse:
-"Cassandra, guarda che ti conviene che io parli di stupidaggini piuttosto che di quello di cui vorrei realmente parlare. Sono piuttosto sicuro che non la prenderesti bene..." Quindi ora passiamo alle minacce!? Pensai, con un sorriso diverto sul volto, continuando a camminare imperterrita.

Ormai eravamo davanti alla porta, spinsi il maniglione  antipatico rosso e con lo sguardo cercai le ragazze. C'era troppa gente, troppa confusione.
Tutta quell'euforia del primo giorno.
Mia mi fece cenno dal fondo della sala, da un tavolo ben illuminato che si trovava vicino ad una delle portafinestra. La salutai e mi misi in fila, che per fortuna era abbastanza scorrevole.
-"Ok allora."fece lui rassegnato e compiaciuto al tempo stesso.
Sì, avevo ancora Alan dietro, si era messo in fila con me.
-"Da quanto vai dalla psicologa scolastica?"
Fu più forte di me. Mi voltai di scatto con la testa e lo fulminai con lo sguardo.
Eravamo entrambi appoggiati alla struttura di ferro che ci portava a creare il serpentello della coda. La vicinanza dei nostri corpi, e la rilassatezza con cui erano buttati contro la struttura davano un segnale molto equivoco di persone che si trovano a loro agio.
Ma non volevo essere io a retrocedere e a sembrare una strana, doveva essere lui. Cercai di assumere una faccia sempre più glaciale, che non scalfì minimamente la sue espressione rilassata, così come lo sguardo che gli avevo lanciato prima. Non aveva paura.
Non gli facevo né caldo né freddo e la cosa mi fece arrabbiare ancora di più.
-"E tu da quant'è che la chiami Chica?"sputai fra i denti.
Ma che diamine sto facendo, pensai scioccata, perché non tengo mai la bocca chiusa!?
Almeno riuscì a zittirlo.
-"Ottima osservazione" rispose lui, felice che avessi improvvisamene trovato la parola.
-"Sinceramente non mi ero reso conto di chiamarla così. Lei  è davvero la migliore amica di mia madre. Del tipo che ti insegna a camminare e come allacciarti le scarpe. Comunque te lo chiedevo perché mi sembravate molto intime prima...la chiamavi Federica.." disse lanciandomi uno sguardo con la coda dell'occhio.
-"Ma è lei che mi obbliga a chiamarla per nome!" sbottai perdendo la pazienza.
Nel frattempo nella mia testa una vocina mi urlava "Ma vuoi stare zittaaaa!!"

-"Ah ecco. Immaginavo."fece lui  
-"Cosa prendi?" mi chiese poi facendo scivolare lo sguardo sulla vasta gamma di cibarie.
Non gli risposi.
Nel frattempo cominciai ad ordinare. Mentre aspettavo che mi riempissero il vassoio disse tra il pensieroso e il divertito
-" Ma l'unico modo per farti parlare è provocarti?"
Conta fino a cento....Uno, due, tre...
-"Mi sembra un po' infantile."
Quattro, cinque, sei...
-"Cioè lo trovo divertente è vero, ma un po' stressante..."
Presi il vassoio e senza aspettarlo me ne andai.
-" Ehi!" protestò lui.
Mi diressi al tavolo dove mi aspettavano le ragazze. Accelerai e mi sedetti in scivolata.
-" Se si avvicina, allontanatelo." sussurrai.
-"Chi???" dissero tutte in coro ma con intenzioni diverse.
Mia era spaventa, come se qualcuno stesse minacciando alla mia vita. Illa aveva un'espressione scettica, con sopracciglio alzato e ghigno schernitore. Samantha aveva un cucchiaio in mano, che aveva un aspetto particolarmente minaccioso impugnato in quel modo. E Barbara si guardava intorno interessata, in cerca della persona che volevo evitare. Sicuramente Samanta e Barb pensavano mi stessi riferendo a Mattia.
Guardai meglio i posti del tavolo e mi resi conto che ce n'era uno libero.
Dannazione. 

Propio in quel momento mi passò accanto Vince con il vassoio vuoto in mano.
-"Ei Vince ti siedi un attimo."
Mi guardò scettico.
-" Emh..no?",disse imperturbabile.
-"Ti prego!" lo implorai con lo sguardo.
Sperai che la sua dipendenza dal fumo gli desse un attimo di tregua.
-"Ok" rispose dopo un po', incuriosito dal mio comportamento, e compiendo il giro del tavolo, sempre molleggiando su quelle sue gambe lunghe. 
Lui e Alan toccarono lo schienale della sedia vuota contemporaneamente.
Con la differenza che Alan rimase educatamente titubante per un secondo e ritirò la mano.
Fu quel secondo a fregarlo, perché Vince spostò la sedia e si sedette senza troppi complimenti.
-" Occupato." gli disse sfottendolo.
In genere la gente aveva paura di Vince, in una situazione del genere molti primini me li sarei immaginati già svenuti a terra. Invece avevo capito che Alan non si faceva intimorire facilmente, gettò uno sguardo al  vassoio vuoto e poi lo riportò sul viso del proprietrario senza parlare.
-"Ti ha detto che è occupato.", disse Samantha guardandolo torvo, impugnando sempre il cucchiaio come un'arma.
Lui non sembrò fare caso al cucchiaio, né ai muscoli tesi di Vince, pericoloso, propio perché gli serviva solo una scusa per scattare.
Mi guardò per un secondo.
-"Ok" disse solo. -"Ciao Illa"
E se ne andò.
-"Ciao Alan."rispose lei serena.
Appena si allontanò Barb mi chiese
-" Perché lo eviti?" contemporaneamente a Vince, che disse
-"Che vuole da te?" Mentre sospettoso, continuava a seguirlo con lo sguardo.
Mi accasciai sul tavolo.
....Sono fottuta....




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