Come un fiocco di neve

di Eleanor_
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Nous sommes faits de rêves et les reves sont faits de nous.
-Pierrot le Fou, J-L. Godard

 

Capitolo Tredici.


« Mi dispiace dover essere andato via così da casa tua, l’altro giorno » si annuncia Leonardo, seduto sul cofano della sua auto parcheggiata davanti alla scuola, a mangiare un pacchetto di patatine. « Vuoi? »
« No, grazie. A me dispiace per il tuo maglione. »
« Ah, tranquilla, mia madre l’ha già portato in tintoria. A proposito, devo restituire a tuo fratello la felpa. »
« Già » commento, piatta.
« Comunque, se vuoi posso portarti a casa » si propone.
« Io… No, penso che prenderò l’autobus. Non serve che fai il gentile con me. »
« Non lo faccio per gentilezza. È solo che ho notato che hai più borse di quante ne riesci a portare e volevo solo darti una mano. »
Accartoccia il pacchetto vuoto e lo lancia in un cestino, mancandolo e facendo cadere a terra la plastica.
Non glielo faccio notare solo per non sembrare una rompicoglioni, e quindi mi accingo a raccoglierlo io ma non appena mi accoscio, la cartellina che porto sotto il braccio cade in mezzo alla terra del giardino rovesciando i fogli, la borsa a tracolla piomba a terra e in più anche il cellulare mi scivola fuori dalla tasca, meno rovinosamente del resto, grazie al cielo.
« ‘Fanculo » sibilo, a denti stretti.
« Te l’avevo detto » commenta lui, ridacchiando per la scena.
« Be’, allora mi aiuti o rimani lì a fissarmi, eh? » ringhio.
 
Quando Leonardo spegne il motore dell’auto, mi fiondo verso il nostro condominio, ringraziandolo educatamente ma nulla di più.
Non appena raggiungo il mio appartamento e suono il campanello, però, un’orribile sensazione si fa strada nel mio stomaco: non risponde nessuno.
Cerco di metterla a tacere cercando immediatamente le chiavi nello zaino, ma nutro pochissime speranze perché so di averle lasciate appese al chiodo sopra la mia scrivania.
Nel frattempo, con molta calma, Leonardo ha raggiunto il mio piano, e sento il suo sguardo curioso su di me.
Tiro fuori il telefono e chiamo mia madre, la quale mi risponde dopo parecchi squilli.
« Clarissa, che cosa vuoi? » dice, poco gentilmente.
« Ehm, non ho le chiavi, puoi venire a portarmele? » le chiedo, già con il cuore più leggero.
« Stai scherzando? Sono in riunione, al momento, e subito dopo ho i colloqui con le maestre di Vale. Non sarò a casa prima delle sette. »
« Che cosa?! » sbraito, cercando di mantenere la calma.
« Ti sta bene, così impari ad ascoltarmi quando ti parlo. »
« Sì, sì, la predica me la fai dopo » sbuffo gelida. « Federico e Christian? »
« Uno ha lezioni tutto il pomeriggio, l’altro lavora fino a tardi come sempre. »
« Merda. »
« Clarissa! »
« Sì, scusa. E… lui? »
« Chiude l’ufficio stasera. Senti, prova a chiamare la nonna, vedi se riesce a tenerti lei. Oppure prendi un autobus e va’ da qualche tua amica. »
« Oh, no… » realizzo, mentre capisco veramente di non avere alba di cosa fare. « Jess è dal medico e Serena è andata a casa di Matteo per aiutarlo con la patente. »
« Mi dispiace, non so in che altro modo aiutarti. Io devo andare, ora. Fammi sapere cosa farai. »
E mette giù, lasciandomi con il telefono ancora appoggiato all’orecchio.
Sto per comporre il numero della nonna, la mia ultima speranza, quando una voce profonda e vibrante mi coglie di sorpresa: « Puoi stare da me. »
« Come? » domando, abbastanza stupidamente.
« Sì, be’, così ti restituisco il favore dell’altro giorno. Tanto c’è solo mio padre a casa e tornerà presto al lavoro » propone Leonardo, alzando le spalle, come se fosse un normalissimo invito ad una sua amica.
« Assolutamente no, grazie ma… »
« Perché, hai di meglio da fare? » ghigna lui, indicando la porta chiusa di casa mia.
Gli lancio un’occhiata in tralice e poi sospiro.
« Fa’ quello che vuoi, io comunque sono di sopra se… »
« Va bene » acconsento, raccogliendo da terra il mio zaino.
Lo seguo su per le scale, non credendo nemmeno a quello che sto facendo.
È un gesto estremamente gentile da parte sua e lo apprezzo, credetemi. Ma questa storia mi puzza.
Com’è che dopo anni in cui non ci rivolgiamo la parola, improvvisamente si sta rivelando così gentile, disponibile e oserei dire amichevole? È possibile che la sera in cui abbiamo… la sera del mio compleanno, gli abbia detto qualcosa che non mi ricordo? Sono tanti gli episodi anneriti in quella serata, e sicuramente posso aver blaterato cose che magari nemmeno pensavo. Ancora una volta, l’ennesima, mi tornano alla mente tutte le domande che vorrei porgli, tutto ciò che vorrei ricordare…
Sono i primi di marzo ma le temperature, seppur decisamente miti, non sono ancora ideali. Infatti, non appena metto piede nell’appartamento Arcuri, mi ritrovo avvolta da un tepore creato dai termosifoni accesi.
Un brivido mi solletica la schiena e non appena incontro gli occhi del padre di Leonardo, vorrei subito scappare: sono di un azzurro chiarissimo, sembrano due sfere di ghiaccio, e mi stanno squadrando in modo piuttosto arrogante.
« Buongiorno » lo saluto civilmente, restando a distanza.
Nonostante lui e la moglie si siano presentati per la festa del mio compleanno, non ho avuto molto tempo da passare con loro. E, me ne accorgo ora, il padre di Arcuri è decisamente invecchiato.
L’appartamento, disposto su un solo piano, ha un buonissimo profumo, un misto di abiti puliti, lo stesso odore che ha Leonardo, e di pane, come se l’avessero appena sfornato.
« Ciao Clarissa » mi saluta lui, dileguandosi in quello che ricordo essere il soggiorno.
Leonardo mi fa segno di rimanere lì e lo segue.
Quando eravamo piccoli, vista la vicinanza d’età, e l’amicizia delle nostre madri, io e Leonardo passavamo parecchi pomeriggi insieme.
Poi, quando è arrivato per lui il momento di frequentare le scuole medie, mi ha decisamente dimenticata, rimanendo sempre in contatto con mio fratello, ma non rivolgendomi praticamente più la parola.
Non mi è sembrato un addio drastico, ci sono rimasta male, certo, ma ho liquidato il tutto pensando che si sentisse ormai troppo grande per frequentare ancora una bambina delle elementari.
Osservo le cornici appese ai muri della sua casa, appoggiate su mobili e panche: ritraggono tutte un bambino felice, con i capelli castani piuttosto lunghi, gli occhi brillanti e intelligenti.
In tutte le foto, noto, Leonardo è da solo. Non ce n’è una in cui sia presente assieme ai suoi genitori.
Aggrotto le sopracciglia e in quel momento lui fa la sua ricomparsa nell’atrio.
« Scusa. Ehm, vuoi darmi la giacca? » chiede, leggermente in imbarazzo.
« Sì, grazie. »
« Se devi andare in bagno sai dov’è. In cucina è già tutto pronto. »
Che gentiluomo…
Mi accomodo al tavolo troppo grande per tre persone, ma non riuscendo a stare ferma mi lavo prima le mani nel lavello e poi comincio a dare un’occhiata in giro, scoprendo che nel forno si trova del pollo arrosto e nel frigo una torta salata probabilmente agli spinaci.
« Ti piace il pollo? »
La voce profonda di Arcuri mi fa sobbalzare dallo spavento.
« No, io non mangio la carne. »
« Ah. C’è dell’insalata e quella roba lì con la verdura dentro » mi indica col mento. « Fa’ come se fossi a casa tua. »
Detto questo, si serve del pollo nel piatto e si siede, lasciandomi a bocca aperta.
Okay, ritiro tutto quello che ho detto sulla sua perduta gentilezza. Decisamente non è cambiato.
 
Verso le tre il padre di Arcuri ci saluta e torna al lavoro, mentre noi ci spostiamo sul suo divano dove controllo il mio cellulare e trovo un messaggio di mia madre:
non sei per strada a barboneggiare, vero?
Rido, ma la mia risposta è molto sintetica: no. Sono da Leonardo.
La sfilza di faccine e punti esclamativi che ricevo in seguito mi fa capire quanto mia madre sia innamorata di lui.
« Tua madre? » gli chiedo, cercando di stemperare un po’ la tensione.
« Lavora. »
« Ah. Spero che per tuo padre non sia stato un problema che io fossi qua. »
« Per mio padre nulla è un problema. »
« Sì ma intendo che magari aveva da fare e… »
« Ma che cazzo dici? Se sei qua è perché te l’ho chiesto io, non deve andare bene a lui. »
« Okay, come ti pare » termino, glaciale.
Dopo qualche minuto di silenzio, lui si volta verso di me, e con la voce bassa dice: « Senti, non ho un buon rapporto coi miei genitori. Effettivamente non li sopporto. Tu più di tutti puoi capire, eh? »
Lo fisso negli occhi scuri e in quel momento, sono certa lo sappia anche lui, in quell’istante stringiamo un legame, invisibile, sincero.
In quel momento, io e Leonardo decidiamo di diventare amici.
Non ce lo diremo mai, non definiremo mai ciò che siamo l’uno per l’altra, non accenneremo mai a come e quando sia successo. Ma è così che funziona. Certe cose non possono essere spiegate a parole. Certe cose sono così profondamente nostre che ci spaventa anche solo pensare di parlarne.
Sollevo leggermente l’angolo sinistro della bocca e lui fa lo stesso. Poi, distogliamo lo sguardo e rimaniamo in silenzio.
Questa volta però, non è un silenzio scomodo.  
 
 
Note sul capitolo:
Sarò breve perché è già tardi ma visto che non pubblico da troppo tempo mi sono detta o ora o mai più: chiedo scusa Soul_Shine e Kim_Sunshine per non aver risposto alle vostre meravigliose recensioni, che però ho ovviamente letto e apprezzato immensamente.
Appena ho un po’ di tempo corro, promesso <3
Intanto grazie ragazze e spero che questo capitolo vi piaccia!
 




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