Amore mio, portami via

di thebrightstarofthewest
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IV. Cora e Robert
 

Tu portami via 
Quando torna la paura e non so più reagire 
Dai rimorsi degli errori che continuo a fare 
Mentre lotto a denti stretti nascondendo l’amarezza dentro a una bugia

“Non riesci a dormire?”.
La domanda, modulata da una voce dolce e ricolma di apprensione, una familiare voce dall’accento marcatamente americano,si perse nel buio della camera da letto.
E chi ci riusciva più, a dormire? Non Robert, sicuramente; perlomeno, non da quando… non da quando Sybil non c’era più. Scacciando via le lacrime che minacciavano di rigargli le guance da un momento all’altro, lord Grantham si girò pesantemente tra le lenzuola, trovandosi a pochi centimetri dal volto preoccupato di sua moglie, che ancora attendeva una risposta.
Cora. La sua Cora.
Con quel volto color perla, con quelle sfumature rosee che le dipingevano le guance, con quelle piccole rughe che gli ricordavano il tempo passato insieme. Erano sposati da trent’anni, ormai.
Cora. La sua Cora.
Quella donna che aveva sposato per soldi, ma che aveva finito per amare per la sua dolcezza, la sua sagacia, la sua determinazione. Quella donna che aveva rischiato di perdere per la sua cecità.
“No… scusa, non volevo svegliarti”, rispose, in un soffio stanco. La sua grande mano si posò sulla guancia della moglie, carezzandola delicatamente. Gli era mancato quel contatto.
“Nemmeno io dormivo, non ti preoccupare”, replicò lei, e poggiò il proprio palmo morbido sul dorso della sua mano, “Robert…”. Pronunciò il suo nome con particolare delicatezza, facendo una pausa immediatamente dopo. Lui sapeva già cosa voleva dirgli. “Penso di dovermi scusare per…”.
“Non devi scusarti”, rispose conciso lui, scuotendo il capo, “Non ce n’è ragione”.
“Ti ho accusato ingiustamente”.
Robert non disse niente. Certo, quando il dottor Clarkson gli aveva annunciato che Sybil non era morta a causa delle sue scelte, il conte si era tolto un peso, ma non aveva provato alcuna gioia, alcuna soddisfazione, alcun sollievo. Solo le braccia di Cora, il loro peso sulle sue spalle, la loro stretta forte, il loro profumo di colonia e viole, avevano fievolmente lenito il dolore, seppure per un mero istante. Credeva che non avrebbe più potuto trovare conforto tra quelle braccia. Credeva che lei non lo avrebbe mai perdonato. Credeva di essere stato davvero lui ad uccidere la loro bambina. Credeva che l’odio che serbava Cora per lui, adesso, fosse più che giusto. Si odiava anche lui, in realtà.
“Ti ho ritenuto responsabile per la morte di nostra figlia”, proseguì lei, con voce incerta, vacillante, “Non ho creduto in te e…”.
“E avevi ogni buona ragione. Non potevi sapere”, concluse lui, e fece per rigirarsi dall’altra parte: aveva sentito una lacrima scendere giù, sfiorandogli il naso, cadendo sulla superficie morbida del cuscino. Lei, però, lo fermò, prendendogli il volto tra le mani e costringendolo a guardarla.
“Io ti amo, Robert”, bisbigliò, con voce rotta, “E, qualunque cosa accada, troverò sempre una buona ragione per credere in te”. Lo strinse a sé e non appena il tessuto della sua camicia da notte sfiorò il suo corpo, entrambi scoppiarono in lacrime. Forse per paura, forse per amore.
Eppure, quel sussultare e singhiozzare insieme, quel dolore condiviso, era tutto ciò di cui avevano bisogno.

(Numero di parole: 497)


Angolo dell'autrice:
Scusate l'imperdonabile ritardo, ma l'università non ha affatto aiutato. Cora e Robert sono i miei preferiti, spero dunque questo capitolo possa piacervi! Cercherò di aggiornare il prima possibile. Un abbraccio.
 




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