I Doni delle Streghe

di GothicGaia
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 Mi dispiace davvero molto essermi fermata. Non credevo che fosse possibile fare copia e incolla. Se l’avessi saputo prima ci avrei pensato due volte, prima di pubblicare.
Se mai il sito dovesse trovare nuovi metodi per proteggere le nostre storie, forse tornerò e pubblicare i miei manoscritti.
Fino ad allora, pregate che il giorno della pubblicazione con una casa editrice arrivi presto.
Sono stata davvero felicissima di condividere una parte delle mie idee con voi.
Non mi sono mai sentita così apprezzata in tutta la mia vita.
Grazie.
GothicGaia.
 
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Prologo

 

Il signore degli Incubi



La piccola mano della bambina si posò sulla serratura del cancello in ferro arrugginito, e con un gesto  delicato spostò la pianta rampicante che l’avvolgeva.
Strappando via quell’intrico di robusti rami che si attorcigliavano lungo le sbarre, spinse con forza l’inferriata, che si aprì con un cigolio. Scavalcando un ramo si posizionò di profilo e tirando in dentro la pancia per farsi più sottile, oltrepassò il cancello.
Con passo lento si avviò per il lungo viale che conduceva alla villa. Da entrambi i lati s’innalzavano degli enormi alberi secolari, dalle cortecce così scure che apparivano quasi nere, ricoperte da uno spesso strato di muschio scuro, e grossi funghi che sorgevano sulle immense radici come balconi di un castello. I rami lunghissimi si estendevano, attorcigliandosi gli uni a gli altri, formando degli intrecci tanto fitti che impedivano al cielo di brillare sopra il viale, divenendo simili alla volta di un soffitto. I passi della bambina scricchiolarono al suono delle foglie calpestate, mentre una fila di topi le passò tra le caviglie. Il vento soffiava strappando via le poche foglie rimaste sulle cime degli alberi, facendole vorticare come in un ballo fatato lungo quel viale che appariva infinito per le gambe di una bambina.
“Roxanne! Roxanne!”
La bambina si bloccò di colpo, sentendo chiamare il suo nome. Una voce misteriosa, dalla tonalità scura e profonda, la stava invocando. Sollevando lo sguardò si voltò prima da un lato e poi dall’altro, nel tentavo di capire da dove venisse quella voce ultraterrena. Ma tra gli alberi frusciavano sole le foglie strappate dal vento.
“Roxanne! Roxanne!”
Guardando dritto davanti a sé capì che la voce proveniva dal fondo del viale.
Solo allora, la bambina prese a correre nella speranza di raggiungere la villa il più in fretta possibile.
“Roxanne! Roxanne!” la chiamò ancora la voce.
Di chi era? E perché la stava chiamando?
La distanza tra gli alberi del viale si fece sempre più larga, e poco dopo, in lontananza comparve un’apertura, tra due tronchi dai rami intrecciati che formando un arcata, sembrava quasi volessero incorniciare l’immagine della palazzina che sorgeva nel mezzo. Era una villa dalle pareti bianche, con alte finestre coperte da tende ricamate, e balconi dalle ringhiere in legno verniciato.
Una volta raggiunta la fine del viale emerse ai raggi del sole. Un sole grigio che si rifletteva nell’acqua della fontana che sorgeva al centro del cortile. La statua di un angelo si ergeva nel mezzo, con le ali aperte e le mani incrociate sul petto. Il suo volto era mite, i suoi occhi socchiusi.
La bambina fece il giro intorno al bordo della fontana e raggiunse l’ingresso della villa.
 Poggiò la mano sulla grande porta a doppio battente dei pesanti batocchi in ottone, che si aprì con un cigolio sinistro. L’ampio atrio immerso nel buio era completamente avvolto dalle piante e gli arbusti, che si arrampicavano lungo le pareti, il soffitto e le scale che conducevano ai piani superiori. Il tappeto in velluto rosso scuro era ricoperto di terra e polvere, mentre  dal lampadario d’argento, pendevano ragnatele talmente fitte che apparivano brandelli di veli stracciati. Fra le tele dei quadri si aprivano dei tagli netti, come se un bestia dai lunghi artigli avesse volontariamente stracciato  quei ritratti, di uomini e donne dall’aria severa, appartenenti a un antica epoca. Anche i vetri degli specchi erano rotti, e dai mobili era stata scrostata la vernice.  
Il vento fischiò, attraverso le crepe nel muro, sollevando la polvere da una porta laterale.
Quella era casa sua?
“Mamma?” chiamò la bambina, che ferma nello stesso punto, al centro dell’atrio, si guardò intorno, girando su se stessa, spaesata da ciò che si mostrava ai suoi occhi. “Papà?”
Tutto le era famigliare, eppure allo stesso tempo sconosciuto. Com’è era possibile che la sua casa fosse ridotta in quello stato?
Come aveva fatto a ridursi in quel modo? Quanto tempo era passato perché il tempo la riducesse a quel degrado?
Dov’erano tutti?
Gli inservienti, il cuoco, la governante, il maggiordomo?
Dov’era Linda, la sua tata?
Dov’erano i suoi genitori?
Cos’era successo?
E perché lei si trovava lì?
In quel momento un ombra catturò il suo sguardo. Voltandosi vide un enorme serpente nero, strisciare lungo il cornicione di una porta, per poi salire sulla parete, attraverso le piante rampicanti.
La bambina fece alcuni passi indietro, con lo sguardo pietrificato sul corpo del serpente, che si muoveva scivolando da un ramo all’altro, non osando perderlo di vista.
Un attimo dopo fu percossa da un brivido lungo la schiena, mentre qualcosa che sfiorò la nuca. Sollevando lo sguardo fece un balzo, nel rendersi conto che un enorme ragno dal corpo nero e bianco, e le zampe pelose, stava lentamente scendendo giù dal lampadario.
“Roxanne!” la chiamò ancora quella voce.
Il serpente saltò giù dai rovi atterrando davanti a lei, e sollevando il capo sibilò.
La bambina con un grido si mise a correre lungo le scale invase dai rovi, e raggiunse i piani di sopra.
“Roxanne! Roxanne!”
La bambina aprì tutte le porte, i lunghi atri, i salotti dagli alti camini e le camere da letto, erano invase dai ragni e dalle ragnatele.
Entrò nella sua stanza. L’enorme letto a baldacchino, dalle tende bianche era rotto, come se qualcuno avesse rotto una colonna della struttura. Le coperte sul letto erano sporche di sangue, incrostato misto a peli neri. Un’animale era salito sul suo letto?
Il baule ai pedi del letto era aperto e i suoi vestiti gettati fuori in mal modo. Le sue bambole giacevano al suolo distrutte, prese a morsi, e il suo cavallino a dondolo, bruciato.
“Roxanne! Roxanne!”
In quel momento la grande finestra si apri di colpo, con una folata di vento. Il bagliore di un lampo illuminò per un attimo l’enorme sagome di un leone, interamente nero, con gli occhi che lampeggiavano di una luce rossa.
Voltandosi all’istante, la bambina uscì dalla sua camera e richiuse la porta e prese a correre il più in fretta possibile nel corridoio.
Una volta raggiunto il fondo, aprì una porticina in legno e si precipitò lungo la scala a chiocciola che portava ai piani di sotto.
“Roxanne! Roxanne!”
Uscì da un corridoio direttamente nel giardino del retro della villa.
Il vento le scompigliò i lisci capelli rosso sangue e la gonna bianca che le arrivava alle caviglie.
Il giardino si estendeva per parecchi chilometri, fino alla riva del fiume verde. Anche lì la natura aveva preso il sopravvento. Le statue giacevano al suolo distrutte, private dei loro arti, e i tavoli, rovesciati, erano coperti da pesanti tovaglie candide che si sollevavano col vento. Sembrava ci fosse stata una grande festa. Tende, gazebi, e addobbi di ogni genere. Un palco per concerti e un serie di strumenti musicali, tra cui violini e violoncelli. Tutto era distrutto.
Riprendendo a correre superò l’ingresso del giardino, e oltrepassando un arcata di rose s’infilò nel labirinto di siepi, che conosceva fin troppo bene, avendoci giocato spesso con sua madre e sua sorella.
Raggiunse il centro, e poggiando le mani sulle ginocchia si fermò a riprendere fiato.
Solo alzando lo sguardo, sulla parete circolare del labirinto di siepi, si rese conto che al centro esatto, c’era una cosa che non c’era mai stata prima d’allora. Una cosa che non avrebbe mai dovuto esserci in un posto come quello.
Uno specchio.
Era uno pecchio dalla forma circolare, alto più di due metri. I margini erano circondati a una spessa cornice d’argento, finemente elaborata, raffigurava dei draghi, che si attorcigliavano fra di loro. La base era sorretta da due zampe di leone, che poggiavano sulla sommità di una rampa di gradini invasi dagli arbusti, mentre in alto, era raffigurato un diavolo, dalla bocca aperta da cui fuoriusciva la lunga lingua, e le braccia aperte a stringere la cornice.
“Liberami Roxanne!”
Era da lì che veniva la voce.
Dallo specchio.
Si avvicinò ad occhi spalancati, quasi non riuscisse a distogliere lo sguardo, e lentamente, un passo alla volta, si accinse a salire i gradini, per raggiungere il misterioso oggetto che mai avrebbe dovuto trovarsi in luogo come quello.
“Liberami!”
Sollevò la mano. La sinistra. Quella che usava istintivamente per fare ogni cosa, e con il palmo aperto, e le dita allargate, appoggiò i polpastrelli sulla superficie cristallizzata in cui si rifletteva la sua immagine.
Era una bambina dal viso ovale, la carnagione estremamente candida, le labbra leggermente rigonfie, già promettevano, che sarebbero diventate carnose. I lisci capelli rossi, come il sangue, le incorniciavano il viso, ricadendo sulle spalle, e gli occhi dal taglio lungo e sottile, erano di un viola chiarissimo, tendente al lilla.
“Liberami!”
La sua mano sfiorò appena la superficie, e nel farlo, la ritrasse all’istante. Era liquida, come se fosse fatta d’acqua.
“Roxanne!” Gridò ancora la voce.
La sua immagine riflessa tremolò per un istante, per poi cedere il posto a un nero assoluto, che si espanse dai margini dello specchiò, come un mare d’inchiostro rovesciato. Il proprio volto riflesso attraverso lo specchio venne lentamente investito da quella distesa nera, che prima si depositò sui suoi occhi, poi sul suo mento fino a raggiungere le labbra, e in breve oscurò l’intero vetro, impedendo di vedere qualsiasi cosa ci fosse riflesso prima.
La bambina si guardò a torno spaventata. In quel momento il nero oscuro di quello specchio si aprì al centro esatto, come uno squarcio rivelando un volto bianco, come il marmo, tanto scavato da renderlo simile a un teschio. Gli zigomi erano così incavati, così profondi da lasciare due scure ombre ai lati della mascella. Sottili labbra nere, sotto un naso aquilino. Il volto dell’uomo dai lineamenti estremamente sottili, che pareva quasi morto, aprì lentamente gli occhi.  La guardò con i suoi occhi unici al mondo, di un bianco argenteo pietrificandola. Le iridi argentee, simili all’acciaio, al vetro o a qualsiasi cosa ci si potesse riflettere dentro, erano contornate da un sottile bordo nero.
Nulla era in grado di fargli più paura di quello sguardo.
Lentamente cominciò a delinearsi la sua figura, in piedi oltre la superficie vitrea.
Era alto, molto alto. Ed era difficile distinguere qualsiasi altra cosa di lui, oltre il volto, poiché sia i suoi capelli che i sui indumenti erano dello stesso nero che avvolgeva lo specchio.
Lentamente sollevò le braccia bianche, ricoperte da fini vene che s’intrecciavano sotto la pelle sottile, mentre delle lunghe dita, si appoggiarono alla cornice, lasciando che dieci unghie, simili a degli artigli, uscissero oltre il vetro ondeggiante.
La bambina cominciò a fare alcuni passi indietro, scendendo un gradino alla volta, senza distogliere lo sguardo.
“Non devi avere paura di me Roxanne!” disse mentre uno dei suoi piedi, bianchi, dall’aspetto fragile, scavalcarono la cornice dello specchio.
La piccola prese a tremare, sebbene quelle parole fossero di natura confortevole, dal tono con cui erano state espresse, non lo sembravano affatto.
Un attimo dopo anche il suo viso superò la barriera dello specchio e il suo copro fu del tutto fuori da esso.
“Non voglio farti del male!” disse ancora, con la sua voce fredda e profonda, come se appartenesse a un passato lontano. Una lunga veste nera e lacera ondeggiava, avvolgendolo per intero, insieme a un manto dalle maniche larghe da cui uscivano le braccia lunghe e sottili dal colore estremamente pallido. Dal suo capo ora libero dallo sfondo dello sfondo tenebroso che lo copriva un attimo prima, era ben visibile una massa di lunghissimi capelli neri e lucidi che ondeggiarono come un groviglio contorto nell’aria, raggiungendo la lunghezza del mantello, fino ai fianchi.
Con eleganza si avvicinò a lei e le tese una mano.
Era lui. Era il Signore degli Incubi.
Non era facile spaventarla. Era una bambina coraggiosa. Ma lui sapeva come riuscirci. Era l’unico in grado di farlo. Non per il suo aspetto. Ma per il potere che aveva su di lei: uno strano potere, in grado di attrarla. Era il fascino che quell’essere esercitava su di lei, a spaventarla. Non lo spavento stesso.
“Vieni con me!” la incitò.
La bambina non rispose.
Il Signore degli Incubi si chinò con leggerezza su di lei. Appariva un imponente statua ai suoi occhi, essendo alto più del doppio di lei, e perfino una volta piegato su un ginocchio era in grado di sovrastarla.
“Vieni con me oltre lo specchio! E io ti insegnerò a usare i tuoi poteri!”
Le prese il viso tra le mani, infilando le lunghe dita gelide tra i suoi capelli lisci. I suoi occhi le fecero un effetto ipnotico, impedendole di guardare altrove. Persa in quegli occhi così innaturali, così fuori dal reale non ebbe nemmeno il coraggio di urlare. O di piangere, o di manifestare la sua paura in qualsiasi altro modo.
Ne aveva paura, e allo stesso tempo se ne sentiva attratta.  
“Allora?” le chiese gentilmente.
La bambina scosse il capo. “Poteri?” domandò. “Ma io non ho poteri!”
“Invece si Roxanne!” disse lui “Tu hai dei poteri magici! Degli enormi poteri magici! Puoi fare tante cose! Tantissime cose che la maggior parte dei comuni mortali nemmeno immaginano! Vieni con me, oltre il varco! Oltre lo specchio! Liberami, e io ti insegnerò ad usarli!”
“Non posso! Anche se volessi non posso! Io non ho poteri!”
“Invece si Roxanne! Ancora non lo sai, ma tu hai dei grandi poteri! Se vieni con me lo scoprirai, imparerai a conoscere la natura dei tuoi doni!” insistette lui.
La bambina rimase in silenzio. Un silenzio carico di aspettative, da parte del signore degli Incubi.
“Dedicati a me e dammi il tuo potere!”
“Io non capisco! Non capisco! Non ho un potere! Io non ho nessun potere!” rispose in un sussurro. L’uomo si avvicinò col viso per guardarla intensamente.
Le mise i pollici sulle guance quasi volesse carezzarle, e in un gesto apparentemente maldestro le scavò un taglio netto sullo zigomo, con l’unghia affilata.
Le lacrime che cominciarono e sgorgare bruciarono dolorosamente mescolandosi con il sangue della ferita.
“Bugiarda!” sussurrò lui. Si alzò in piedi di scatto, a con un agile salto rientrò nello specchio.
Nello stesso istante in cui il signore degli incubi rientrò nel suo dominio una miriade di pipistrelli neri fuoriuscirono.
La bambina si portò istintivamente le braccia al viso, nel tentativo di proteggersi, mentre le creature le volarono intorno avvolgendola per intero, graffiandola.
“I tuoi poteri saranno miei Roxanne!”
La voce del Signore degli Incubi riecheggiò nell’aria, un attimo prima che lei riaprisse gli occhi.  
 
 
La ragazzina si risvegliò con il fiatone. Il le guance bollenti, il viso madido di sudore. Il corpo che tremava. Era nella sua stanza. I raggi di luna che filtravano dalle tende illuminavano i volti delle sue bambole dai capelli biondi. L’orologio dorato che segnava le quattro del mattino. I mobili perfettamente in ordine. Il cavallino a dondolo perfettamente in mobile. Il suo orsacchiotto dal fiocco rosso, seduto ai piedi del comò.
Una figura femminile, con indosso una camicia di seta bianca e rossi capelli a boccoli che le ricadevano sulle spalle entrò lentamente. Reggendo una candela, si avvicinò al letto e la posò sul comodino.
“Hai avuto ancora quell’incubo?” le chiese sua madre. Si sedette sul bordo del letto e con una mano sulla spalla la spinse delicatamente, costringendola a distendersi.
“Non è solo un incubo!” disse la bambina. “E’ qualcosa di più! E’ come se fosse reale! Entro nel viale di casa. La nostra villa è tutta distrutta! Come se non ci abitasse più nessuno d’anni! E poi vado nel labirinto di siepi e lì c’è uno specchio!”
“Uno specchio?” domandò sua madre. Prese un fazzoletto di stoffa dal comodino e gli asciugò la fronte bagnata, con delicatezza.
“Si! Uno specchio!” continuò la bambina, mentre sua madre le rimboccava la coperta. “Uno specchio che conduce nel dominio dell’uomo più crudele che io abbia mai conosciuto! Il signore degli incubi!”
“E cosa fa il signore degli Incubi per renderti così spaventata?”
“Grida il mio nome, attraverso lo specchio e… dice, che vuole i miei… Poteri!”
A quelle parole il volto della madre divenne visibilmente preoccupato.
“Secondo te è normale che io faccia tutti questi incubi? Ho parlato con gli altri bambini a scuola, e loro mi hanno detto che non gli è mai capitato di fare un sogno simile al mio!”
Sua madre scosse la testa “No! Non lo è! Ma c’è un motivo per il quale non lo è!” si piegò su di lei e le baciò la fronte poi con un gesto delicato le tolse le coperte di dosso. “Vini con me!” disse “Voglio raccontarti una storia!”



 




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