Le porte
della metropolitana si aprono di scatto davanti a lei, sollevando una
forte corrente che fa ondeggiare appena il peso del suo corpo sul posto.
Chiara
si porta una ciocca di capelli dietro l’orecchio, cercando di
far passare quel gesto come un atto casuale. Tuttavia, la sua non
è certo nonchalance: chi mai potrebbe essere sereno e
tranquillo, quando davanti ai propri occhi si apre uno scenario
così ampio, dalle più disparate
possibilità?
Si
sta mordendo l’interno della guancia, stenta a credere
però che qualcuno possa accorgersene: quella
città è un perpetuo fermento, tutti corrono da
una parte all’altra, persi nei loro pensieri, nei loro
impegni. Non hanno tempo di notare una ragazza dall’aria
sperduta e in evidente difficoltà – o forse hanno
perso il cuore necessario per notarlo.
Magari
pensano che sia una dei migliaia di turisti che arriva lì
ogni giorno, oppure una ragazza che è scappata di casa.
Chiara, invece, è arrivata per restare.
Suo
padre gliel’ha detto, sente ancora risuonare quelle parole
nella mente – dove
credi di andare, da sola? Quella città è
selvaggia, crudele, non si ferma nemmeno per respirare. Non durerai un
secondo, lì.
Però
Chiara non ha voluto ascoltarlo, ha deciso di fare di testa propria,
così si è caricata sulle spalle uno zaino
contenente libri, un po’ di vestiti e tanti sogni, per poi
partire alla volta di quella città immensa.
Anzi,
no, eterna.
Spinta
dalla calca dei pendolari Chiara si ritrova all’interno del
vagone della metropolitana, mentre una mite e sonnacchiosa Roma ammicca
nella sua direzione.
E,
senza nemmeno accorgersene, Chiara si ritrova a sorridere.
Paolo
si massaggia le tempie, trattenendo tra i denti un sospiro esausto.
A
volte se lo domanda ancora, cosa gli abbia detto la testa quando ha
deciso di chiedere il trasferimento a Roma.
Si
dice sempre che è stato il suo animo assetato di giustizia a
suggerirglielo, in un crudele mormorio di coscienza – corri nella capitale, in quale
altro posto potrebbero esserci così tanti problemi da
risolvere?
Peccato
che, evidentemente, non aveva tenuto conto delle conseguenze.
Passare
giornate intere dietro a quella scrivania era frustrante, soprattutto
per uno che aveva fatto della vita d’azione il suo vanto e il
suo tratto distintivo.
“Che
vai pensando?” mormora a se stesso, rapito da quel flusso di
coscienza. Sei tu
quello che si è scelto questa vita, arrivato a una certa
età. D’altronde, quale sarebbe potuta essere la
tua utilità, se fossi rimasto ancora sul campo? Meglio
lasciar spazio ai tuoi colleghi più giovani, che sicuramente
se la cavano meglio di te, nelle operazioni sottocopertura.
Tutti
riconoscevano senza ombra di dubbio quelli che, nel corso degli anni,
erano stati i suoi meriti: numerosi criminali erano stati arrestati
grazie alle insospettabili doti che aveva dimostrato. Quando era
arrivato, giovane ed esuberante, non aveva perso tempo e si era subito
fatto notare, proponendosi anche per azioni che, agli occhi degli altri
colleghi, erano delle vere e proprie imprese suicide.
E,
sorprendentemente, ne era uscito sempre incolume.
Appena
arrivato in città, nessuno lo conosceva, aspetto
insospettabile – capelli
lunghi, pelle baciata dal sole. Decisamente non l’aspetto
abituale di uno sbirro.
Col
tempo, s’era fatto prendere in simpatia prima da una banda e
poi dall’altra, cercando di mantenere sempre un profilo
basso, muovendosi nell’ombra, permettendo così la
cattura di un numero sorprendentemente alto di malavitosi la cui
attività ruotava attorno alla città di Roma.
Poi,
però, si era fermato.
Aveva
capito che i giochi si stavano facendo troppo grandi per lui
– ormai lo conoscevano in troppo. Lettere minatorie, i vetri
delle finestre di casa sua infranti… stava rischiando
troppo. La sua più grande fortuna – o forse la
maggiore disgrazia – era stata quella di non avere famiglia:
magari quello l’avrebbe potuto aiutare a capire quale fosse
il momento di fermarsi.
Anche
se, alla fine, a questo ci aveva pensato il suo comandante.
Gli
aveva detto che, se fosse andato avanti, i rischi sarebbero stati
troppi – e lui non era disposto a perdere la vita di uno dei
suoi uomini migliori per una banalità del genere. Paolo si
era opposto, era fin troppo giovane e il pensiero di restare
intrappolato dietro una scrivania gli faceva restare il fiato bloccato
in gola; Marchi non aveva voluto sentire ragioni, così
l’aveva sollevato dal proprio incarico attuale, spedendolo
direttamente tra un mare di scartoffie, mentre un collega
più giovane si occupava di quello che, nonostante tutto,
Paolo si ostinava a considerare il
suo caso.
L’unico
caso di sua competenza che fosse rimasto irrisolto.
A
causa della decisione del suo superiore, il mese successivo il giovane
che l’aveva sostituito in quell’indagine e diversi
agenti di scorta avevano perso la vita.
Paolo
afferra di scatto la sfera vitrea che tiene come soprammobile sulla sua
scrivania. Se la passa tra le mani, facendola scorrere sui palmi con
movimenti rapidi e nervosi: nonostante tutto, non riusciva a non
pensare che almeno parte della colpa fosse sua. Se solo avesse insistito un
po’ di più… forse adesso quegli uomini
sarebbero ancora vivi.
Grazie
alle gesta compiute quando ancora era in servizio come infiltrato,
Paolo si era guadagnato una certa fama all’interno della sua
caserma, per cui fare carriera anche una volta passato alla vita di
scrivania non era stato poi così difficile. Ora, ormai
quarantenne, poteva affermare di essere a capo di una delle
più importanti caserme di Roma.
Non
senza qualche rimpianto, certo.
Il
sole filtra tenue attraverso la finestra, colpendo la sfera tra le mani
dell’uomo. Migliaia di bolle d’aria
all’interno di essa sembrano prendere vita, riempiendo la
stanza di infiniti riflessi iridescenti.
Un’atmosfera
idilliaca, certamente. Se non fosse per quei colpi alla porta.
Paolo
alza lo sguardo e, proprio come immaginarlo, ad attenderlo trova lo
sguardo di Francesco Berruti, uno dei suoi sottoposti. Il ragazzo, che
ha all’incirca la metà dei suoi anni, lo osserva
con occhi grandi come tazzine da tè, iridi verdi rese appena
lattiginose dalla paura – o dalla riverenza – che
il giovane prova ogni volta che si trova dinanzi a quell’uomo
verso cui tutti, nessuno escluso, provano una stima immensa,
all’interno di quella caserma. D’altro canto,
sarebbe impossibile approcciarsi in un modo differente da quello, verso
colui che è diventato ormai una vera e propria leggenda.
Paolo
si passa una mano tra i capelli scuri e fini. Non sono più
lunghi come un tempo, arrivano a malapena alla base del collo, mentre
la parte frontale è rimasta ormai pressoché
stempiata, segno dell’età che avanza.
«Che
c’è?» domanda stancamente; spera solo
che non si tratti di un’ennesima pila di scartoffie da
riempire.
Francesco
si allenta il colletto della camicia con un dito, deglutendo a fatica.
«Hanno
chiamato i colleghi della squadra mobile. Pare che si tratti di un
omicidio.»
Via Pavia,
9.
Chiara
rilegge una ventina di volte l’indirizzo segnato su quel
messaggio, inviatole ormai diversi giorni prima.
Continua
a ripetersi che è stata incredibilmente fortunata nel
trovare un posto così vicino
all’università – e ad una cifra tanto
modica.
Inizia
giusto a sospettare che si tratti di un qualche scherzo di pessimo
gusto e che suo padre avesse ragione. “Lo sapevo”
inizia a disperarsi mentalmente “non sarei mai dovuta venire
qui, avrei fatto di gran lunga meglio a restarmene a
Pristino—”
La
ragazza prende un respiro profondo, cercando di non farsi sopraffare
dal panico. No, così non riuscirà a combinare
niente di buono. Deve concentrarsi, ormai è a un passo dal
raggiungere il suo obiettivo, o quantomeno uno dei tanti che si
è prefissata. È inutile stare a rimuginare su
tutti gli eventuali scenari catastrofici che le si potrebbero parare
davanti agli occhi, da un momento. Non deve essere così
diffidente: non c’è nessuno stupratore ad
attenderla, dall’altra parte – andiamo, questo è il
genere di pensieri in cui si lanciava solitamente sua madre
– né un omicida o chissà quale altro
malintenzionato. L’unica ad accoglierla, peraltro da quanto
gli è parso di capire a braccia aperte è una
certa Teresa, una studentessa fuorisede originaria di Caserta. Una
persona normale, esattamente come lei, insomma.
Oltretutto,
Chiara non può certo tirarsi indietro adesso. Ora che
è finalmente arrivata fin lì, non ha nessuna
intenzione di darla vinta a suo padre: non è
un’imbranata, può cavarsela perfettamente da sola
anche fuori casa.
Così
prende un respiro profondo e, prima di poterci ripensare nuovamente,
poggia il dito sul citofono, premendo per un paio di secondi il
pulsante desiderato.
Le
risponde quasi subito una voce piuttosto allegra, che riconosce essere
quello della ragazza con cui ha parlato al telefono.
«Chi
è?» le domanda infatti la persona
dall’altro capo, con tono caldo e accattivante, oltre che uno
spiccato accento campano.
«Ehm,
Teresa?» si decide a chiedere allora, nonostante senta le
proprie parole uscirle dalle labbra con ancora un po’
d’incertezza «sono Chiara, la ragazza
dell’annuncio…»
Teresa
non le dà tempo di finire che sta già lanciando
una serie di gridolini incomprensibili.
«Nii,
Chiara! Vieni, vieni, sali! Terzo piano, appartamento a
sinistra!» le comunica l’altra, con
un’intensità vocale ancora troppo alta di qualche
ottava.
Ciò
detto, le chiude in faccia il citofono, mentre ha già
provveduto ad aprirle il portone.
Chiara
alza gli occhi al cielo, ha già capito che sarà
una faccenda più lunga di quanto immaginasse. Ciononostante,
si limita a spingere il portone davanti a sé, mentre si
lascia scivolare all’interno del vecchio palazzo.
Oltre
il pesante portone di legno, una frescura piacevole l’avvolge
all’istante, sollievo immediato dal clima afoso e torrido
dell’estate romana. Chiara si lascia sfuggire un sospiro, gli
occhi socchiusi per quell’improvviso conforto.
Quando
torna a sollevare del tutto le palpebre, la prima cosa che le viene
spontaneo fare è analizzare l’ambiente che la
circonda: la tromba delle scale è ampia e, soprattutto,
luminosa, grazie al marmo perlaceo di cui è composta, i
gradini invece sono spessi come quelli di un tempio azteco. La ragazza
capisce al volo che deve trattarsi di un edificio piuttosto antico,
così come la maggior parte delle costruzioni che ha visto
finora – è
arrivata a Roma da appena qualche ora, avrà visto
sì o no un paio di vie, eppure non ha potuto fare a meno di
notare l’alternanza eterogenea antico-moderno che avvolge
ogni cosa in quella città, dalle abitazioni fino alle
persone che ci vivono. A sinistra ti ritrovi un grattacielo, a destra
un monumento di duemila anni fa.
Chiara
decide che non se la sente di fare a piedi tre piani di scale, non dopo
aver camminato a piedi per un isolato intero, sotto il sole cocente di
agosto, incapace di trovare il luogo che stava cercando, peraltro
trascinandosi dietro anche la sua valigia. Si tratta solo di un piccolo
trolley, d’accordo, per giunta pressoché vuoto
– andandosene di casa, s’era tristemente resa conto
che gli oggetti di sua proprietà da portare via in quel
viaggio, con ogni probabilità senza ritorno, scarseggiavano
in maniera preoccupante – tuttavia la tratta Pristino-Roma
l’aveva lasciata molto più a corto di energie di
quanto avrebbe potuto mai immaginare prima di partire. Dannato vecchio treno,
così lento da far venire il latte alle ginocchia e permeato
da quell’insopportabile caldo asfissiante, a causa dei
finestrini rotti che non si potevano neanche abbassare. In
effetti si chiede come abbia fatto a non venirle
un’emicrania, in tutto ciò.
Si
avvicina infine all’ascensore, che occupa il centro
dell’immobile. Una vecchia grata arrugginita dipinta di nero
circonda la struttura, come a voler proteggere quel che si trova al suo
interno. Chiara preme il pulsante di prenotazione della cabina e subito
sente un fragoroso clangore metallico provenire da sopra la sua testa.
Nonostante la lentezza di quel vecchio trabiccolo, non deve aspettare
molto prima di vederlo cominciare a muoversi nella sua direzione,
mentre intraprende la sua lenta discesa verso il pianterreno.
Nell’esatto
momento in cui arriva, il grosso gigante emette un nuovo rumore
meccanico, stavolta più similare al profondo sospiro di un
guerriero esausto, dopo anni e anni di combattimenti. Chiara apre la
piccola porticina di ferro, mentre spinge le due ante lignee semoventi
verso l’interno; la ragazza s’infila nella cabina,
trascinando stancamente dietro di sé la valigia. Una volta
richiuse entrambe le porte, preme il tasto del terzo piano, lasciandosi
trasportare verso l’alto.
Il
tragitto in ascensore non dura poi molto, tuttavia nel frattempo Chiara
ne approfitta per osservare ogni dettaglio del nuovo ambiente che ora
la circonda. I tasti che corrispondono ai piani sono piccoli e
tondeggianti, di un bianco reso opaco dallo scorrere del tempo, mentre
la vernice nera che contraddistingue i numeri segnati su di essi si
è cancellata in più punti. La pedana a terra deve
essere stata rivestita un sacco di tempo fa da uno strato di
rivestimento plastificato verde acido, solo che col passare degli anni
quest’ultimo si è scollato in più
punti, rendendo la salita e la discesa dei passeggeri
dell’ascensore piuttosto impervia. Le pareti di legno della
cabina sono ricoperte di uno strato di tintura lucida trasparente, che
avrebbe dovuto preservare lo stato originale del materiale e che
invece, a causa degli anni che passano, è ormai liso, mentre
hanno fatto la loro comparsa perfino alcuni graffi. Tutto
ciò denota una certa vecchiaia e trascuratezza, e Chiara
comincia a capire perché abbia trovato un appartamento ad un
prezzo tanto stracciato.
D’improvviso
l’abitacolo sobbalza, facendo sussultare anche la ragazza. A
giudicare da quel movimento intuisce di essere arrivata a destinazione,
per cui si affretta ad uscire da lì – sta
cominciando a diventare claustrofobica, ora che ci pensa. Prima il
viaggio in treno a dir poco soffocante, adesso questo…
Non
appena mette piede sul pianerottolo, si accorge che ad attenderla sulla
soglia c’è una ragazza. Dev’essere Teresa,
valuta in fretta Chiara.
In
breve tempo, quasi senza neanche avere il tempo di accorgersene,
finisce ad osservare la giovane davanti a sé: una chioma
folta e arruffata di ricci neri, apparentemente indomabili, un corpo
gentile, forme abbondanti, seno prosperoso e un sorriso amichevole.
È esattamente come se l’aspettava, oltre ad essere
quel genere di ragazza che sarebbe in grado di far cadere ai propri
piedi qualsiasi ragazzo le graviti attorno. È bella,
affascinante, tuttavia ha quell’aria di chi, nonostante sia
al corrente dei propri pregi, non abbia tutta questa voglia di
sfruttandoli, sentendosi quasi in soggezione a causa di essi. Non sa
perché, ma ha come l’impressione che
finirà per andare molto d’accordo con quella
giovane dall’allegria contagioso.
Già,
in effetti le è bastato osservare per un solo istante le
labbra carnose e dalla piega morbida di Teresa, ovviamente sollevate in
un ampio sorriso, per sentirsi immediatamente più felice,
come se di colpo tutta la stanchezza che ha accumulato fosse diventata
molto meno pesante da sopportare.
«Ciao,
benvenuta!» la saluta Teresa, mentre si è
già slanciata ad abbracciarla.
Chiara
è a dir poco sorpresa da quell’improvviso slancio
d’affetto – si sono parlate a malapena un paio di
volte, oltretutto senza mai vedersi – senza contare che,
nonostante tutto, non può impedire a se stessa di provare
una vaga sensazione di fastidio: non è un’amante
del contatto fisico, affatto, per cui entrare in collisione con
un’altra persona in una maniera così repentina la
lascia decisamente contrariata.
Quando
Teresa si separa da lei, Chiara non può fare a meno di
notare quante differenze – fisiche e non –
intercorrano tra di loro: al contrario dell’altra, non
possiede certo una chioma leonina o particolarmente voluminosa,
bensì solo dei normalissimi capelli castani, lunghi fino
alle stalle e dritti e sottili come spaghetti. La carnagione di Teresa
è leggermente abbronzata, sicuramente durante
l’estate deve aver passato giornate intere a prendere il sole
in spiaggia, in qualche bella località di mare, mentre
l’incarnato di Chiara è pallido come quello di un
morto: passare intere giornate rinchiusa in casa, china a studiare sui
suoi tanto amati quanto odiati libri non deve poi averle portato
così tanto giovamento, perlomeno da sotto quel punto di
vista.
Quanto
ad abbigliamento, infine, mentre Teresa sembra aver scelto
accuratamente gli indumenti che più mettono in risalto la
sua figura – la t-shirt attillata le fascia il seno alla
perfezione, senza renderlo volgare, stesso discorso per quanto riguarda
le cosce e gli shorts – Chiara preferirebbe di gran lunga
scomparire sotto la maglia leggera di flanella e quel pratico paio di
jeans. Ecco, lei non ha decisamente nulla che potrebbe interessare ad
un ragazzo: niente curve vertiginose, niente labbra sensuali, niente
occhi da last
diva… insomma, niente di che. Forse
è per questo che non ha mai avuto nemmeno un fidanzatino
– oppure per la sua attitudine a preferire un pomeriggio
passato in compagnia di una piacevole lettura ad un’uscita
mondana.
Teresa
si volta di scatto, cominciando ad avviarsi verso l’interno
dell’appartamento.
«Beh?
Che fai lì impalata? Su, vieni!» la esorta,
invitandola ad entrare a sua volta con un gesto rapido della mano.
Chiara
si limita a seguirla, chiudendo la porta alle proprie spalle, mentre
cerca di abbandonare l’ultima remora di riluttanza che ancora
l’accompagna.
Le
rotelle del trolley strisciano sulle mattonelle a terra, man mano che
lei e Teresa avanzano lungo lo stretto corridoio d’ingresso e
Chiara comincia a sospettare perché l’affitto di
quel luogo sia così basso: nonostante sia estremamente
vicino alla sede universitaria, deve ammettere che non sia poi tutto
questo granché, in quanto a bellezza o comodità.
«Spero
che ti troverai bene qui» nel frattempo Teresa continua a
parlare senza sosta – e Chiara capisce al volo che la sua
parlantina deve essere sconfinata «il posto non è
il massimo, almeno però siamo collegate piuttosto bene un
po’ con tutto: qui vicino c’è la fermata
della metro, inoltre in giro ci stanno un sacco di negozi carini. La
retta mensile, per fortuna, non è altissima: da quel che ne
so io, il proprietario di questo posto – non l’ho
mai conosciuto di persona – ha in affitto un sacco di altri
appartamenti, qui a Roma, per cui può anche permettere di
far pagare un po’ meno nei posti che gli interessano un
po’ meno. Dunque, questo è il bagno, oh, invece
qui… c’è la cucina.»
Con
ciò, la ragazza dai ricci corvini si fionda di lato,
entrando in una stanza. Chiara fa capolino con la testa sulla soglia,
mentre osserva attentamente la situazione.
All’interno
della cucina, infatti, è presente un’altra ragazza
– con ogni probabilità, la terza coinquilina a cui
aveva fatto accenno Teresa, durante i loro contatti online.
Più
che una ragazza, sembra quasi uno spettro, una figura evanescente: non
dev’essere più alta di lei, eppure è
come se conservasse un certo aspetto allampanato. I capelli, di un
castano scurissimo, le arrivano fino a metà della schiena,
mentre gli occhi sono un po’ troppo infossati in quel suo
volto scarnissimo. Nonostante sia ormai giorno inoltrato, ha ancora
indosso un vecchio pigiama, mentre, seduta al tavolo della cucina,
rimesta svogliatamente i cereali immersi nella sua tazza di latte.
«Lei
è Marta» le spiega brevemente Teresa «so
che, di primo impatto, può sembrare strana, ti assicuro
però che è la ragazza migliore del mondo! La
notte resta spesso alzata per leggere manga e tutta quella roba
giapponese strana là ma non ha assolutamente nessun altro
difetto, perlomeno per quel che ne so io – e sono quasi due
anni che conviviamo insieme, ormai…»
Come
a voler apostrofare l’amica, dall’altro lato del
tavolo Marta si allunga a lasciare una bottarella scherzosa col
cucchiaio sulla spalla di Teresa.
«E
meno male che avevi detto che avresti cercato di descrivermi come una
persona normale…» commenta Marta, con un sorriso
sonnacchioso.
«Non
darle retta!» replica Teresa, agitando leggermente le mani a
mezz’aria «ti garantisco che di solito non
è una pazza che se ne va in giro a colpire la gente con dei
cucchiai, è molto più educata! A
proposito… bleah, Marta, che schifo, mi hai macchiato la
maglietta di latte!»
Per
tutta risposta, l’interpellata le rifila una linguaccia.
Chiara
comincia a temere che l’imbarazzante siparietto tra le due
possa andare avanti ancora per molto, fortunatamente tuttavia a venirle
in aiuto in quella situazione è proprio Marta.
«Ad
ogni modo, benvenuta, Chiara» commenta infatti, con una voce
più profonda e assonnata del previsto «Teresa mi
ha parlato a lungo di te. Sono felice di avere una nuova coinquilina,
anche perché ehi, finché si tratta di pagare un
po’ di meno d’affitto fa sempre piacere, no? Se per
te non è un problema, avevamo pensato che io e te potremmo
condividere la stanza doppia – i letti sono separati,
tranquilla – mentre Teresa, giusto per aumentare ancora un
altro po’ le sue manie di egocentrismo…»
«Ehi!»
protesta debolmente la ragazza dai ricci scuri, tirando una spinta
leggera alla spalla dell’amica – di rimando al
colpo di cucchiaio di poco prima.
«…
dormirà nella stanza singola, non molto distante dalla
nostra» riprende poco dopo Marta, ignorando le deboli
provocazioni di Teresa «se vuoi nel frattempo puoi andarla a
vedere, così magari ti ambienti, poggi le tue cose e ti
cambi, mettendoti più comoda, insomma. Oh, quasi
dimenticavo: cos’è che studi, tu?»
«Filosofia»
risponde Chiara, quasi meccanicamente.
«Oh,
figo» valuta Marta, con un tono non troppo convinto
– probabilmente avrebbe detto la stessa cosa, qualsiasi fosse
stata la risposta della nuova coinquilina «io sono iscritta a
Medicina, sebbene il mio sogno segreto – contro ogni
volontà dei miei genitori – sia quello di
diventare una mangaka, infatti sto seguendo un corso per
corrispondenza; quanto a Teresa, lei studia Scienze della
Comunicazione, seppur senza alcun genere di vocazione. Beh, adesso ti
lasciamo finire il tuo tour della casa in santa pace. Ambientati per
bene!»
Chiara
sorride di rimando alle due ragazze, sussurrando un flebile grazie.
Tuttavia non aggiunge altro, anche perché fa a malapena in
tempo a voltarsi che le due hanno già ripreso a battibeccare
scherzosamente.
Le
ruote del trolley tornano a trascinarsi pigramente lungo quel corridoio
angusto, mentre Chiara prosegue, non senza qualche
difficoltà, verso la stanza che Marta le ha indicato. Si
lascia alle spalle i borbottii sommessi che ancora le giungono alle
orecchie dalla cucina, lasciandosi nel frattempo scivolare
all’interno di un’altra stanza.
Chiara
capisce al volo che deve trattarsi della camera che le è
stata indicata, soprattutto grazie alla presenza dei due letti singoli
separati. Oltre di essi, l’arredamento è
estremamente essenziale: una scrivania è appoggiata alla
parete che si trova alla propria sinistra, subito dopo essere entrati,
mentre un grosso armadio occupa tutta la parete di estrema destra.
Infine, in fondo, davanti a lei, c’è una finestra,
graziosamente spalancata verso il mondo all’esterno. Da
lì entra una brezza leggera, che porta con sé i
più disparati odori: il prevedibile gas di scarico delle
automobili è accompagnato da un aroma inebriante di pizza,
oltre ad un sacco di altri profumi che Chiara non riesce ancora a
distinguere – ma
prima o poi, si dice, ci riuscirà. Deve solo farci il callo,
tutto qui.
Chiara
nota che Marta le ha lasciato il letto accanto alla finestra,
così ne approfitta per trasportare la sua valigia fin
lì. Da quanto ha capito, dormire non è una delle
attività principali della sua compagna di stanza, per cui
immagina che lasciarle il posto migliore non debba poi essere stato un
sacrificio così insopportabile.
Per
un momento gli occhi di Chiara si perdono nel bianco neutro delle
pareti, ben presto però il suo sguardo torna a saettare
verso la finestra. La ragazza la raggiunge con pochi passi,
approfittandone per sedersi sul davanzale: da lì la vista
è sorprendentemente suggestiva, può quasi
scorgere in lontananza i giardini di Villa Torlonia.
Chiara
chiude gli occhi, riempiendosi i polmoni di un’ampia boccata
di quell’aria insalubre, mentre un pensiero le attraversa
distrattamente la mente, facendole sbocciare un lieve sorriso sul volto.
Cosa
potrebbe mai succedere di così terribile in un posto del
genere?
Angolo
autrice
E...
salve. Questa è la prima volta che mi approccio al mondo
delle originali, per cui perdonatemi se vi sembrerò
completamente imbranata.
Comunque,
questa più che una storia è un esperimento di
scrittura. Il giallo è un genere che mi ha sempre
profondamente affascinata, da qui nasce la mia voglia di provare e di
mettermi alla prova in merito. Purtroppo non sarà "giallo"
in tutto e per tutto, perché temo che si sentiranno comunque
forti e preponderanti influenze romance. È una storia a cui
tengo molto, per cui spero davvero di non commettere orrori.
I
personaggi sono ispirati a persone esistenti nella vita reale, solo che
ho aggiunto o modificato alcuni dettagli del loro backgroud, come ad
esempio il nome, credo fondamentalmente per una questione di privacy.
Ci tengo a specificare che, invece, i fatti narrati in questa storia
sono puramente frutto della mia immaginazione, sebbene i luoghi in cui
sono ambientati, invece, esistano realmente.
È
in questo che sta il mio "esperimento": scrivere una storia con il
più alto tasso di verismo possibile. Abituata come sono alle
fanfiction su Anime e manga alquanto "irrealistici", ho pensato che,
una volta tanto, un po' più di fedeltà alla
realtà non mi avrebbe fatto male, no?
Non
credo che aggiornerò in maniera regolare, fondamentalmente
perché al momento sto portando avanti anche altri progetti
che ho a cuore, per cui interromperli sarebbe per me impossibile.
Tuttavia, ho già quasi terminato il prossimo capitolo ed ho
intenzione di iniziare a breve anche il successivo, per cui
cercherò di essere quanto più presente possibile,
perlomeno nei limiti delle mie capacità.
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto, compresi narrazioni, descrizioni e
personaggi ** la trama è ancora un po' oscura, lo so,
vedrete però che andando avanti le cose cominceranno a
diventare più chiare.
Mi
auguro anche che non ci siano errori nel capitolo. Purtroppo questa
volta non potrò avvalermi della mia beta di fiducia, per cui
incrociamo le dita.
Grazie
a chiunque leggerà e a chi decidesse di seguire la storia!
Un parere è sempre benaccetto, sono qui per migliorare.
E
niente, per stavolta credo che la chiuderò qui, non vorrei
darvi una brutta impressione di me già al primo colpo--
sempre che non l'abbia già fatto.