Eriu di Erebor

di Lola1991
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Capitolo IV


Il viaggio fu più lungo di quanto mi aspettavo; passammo attraverso paesaggi brulli e terre desolate. Durante il giorno ci riposavamo due o tre volte, per dare ristoro ai cavalli, e il viaggio procedeva lentamente e monotono. Nella carrozza principale stavamo io, Fili e mio fratello; seguivano due soldati di scorta e un secondo carro, che conteneva la mia dote: armi appena forgiate, gioielli splendenti e una cassapanca in legno finemente lavorata, dono personale di mio padre.
Non mi ero mai spinta così lontano e la stanchezza del viaggio si fece sentire molto presto. Fili cercava di distrarmi; lui conosceva meglio di me e Frerin quelle terre, perché aveva accompagnato mio padre in lungo viaggio insieme all’altro mio cugino, Kili, molto tempo addietro.
Eppure non riuscivo a meravigliarmi di tutti quei paesaggi, degli altopiani verdeggianti e delle foreste fitte. Il pensiero di ciò che mi attendeva risucchiava in me ogni briciolo di felicità.
 
Passavamo da un villaggio a un altro, e cercavamo alloggio per la notte nelle taverne degli uomini. Erano abbastanza gentili con noi, eppure la loro presenza mi metteva a disagio: ero cresciuta in un mondo di soli nani, e quei loro modi grezzi e incredibilmente selvaggi mi facevano rabbrividire.
 
Giungemmo sui Colli Ferrosi circa dieci giorni dopo la nostra partenza da Erebor. Mi ero fermata in una locanda vicina e avevo avuto la possibilità di lavarmi il viso, acconciarmi i capelli e cambiarmi d’abito; indossavo una veste leggera di lino azzurro che mi era stata donata da mia madre. Scesi tremante stringendo forte la mano di Fili, mentre i soldati annunciavano il nostro arrivo.
I Colli Ferrosi non erano come Erebor; non era una fortezza, ma un vasto villaggio. Le case erano costruzioni basse, in pietra, e dalle finestre e dalle porte facevano capolino volti curiosi e sorridenti. Cercai di sorridere a mia volta, ma mi sembrava che il mio viso si fosse completamente paralizzato.
 
La casa di Dáin sorgeva al centro esatto delle altre abitazioni; era una costruzione alta, a più piani, e ovunque sventolava lo stendardo di quella famiglia che oramai dovevo considerare come mia. Percorremmo silenziosamente il sentiero di sassi che conduceva all’ingresso. Mio fratello Frerin precedeva me e Fili, e fui presa dall’idea di voltarmi e scappare a gambe levate. Sapevo di non poterlo fare, ma in quel momento mi sembrava l’unica soluzione possibile. Sentii la solita nausea serrarmi la bocca dello stomaco.
Non ero altro che una sposa con il suo corredo: non ero me stessa, ero una proprietà dei Colli Ferrosi.
 
La gente si affollava curiosa intorno a noi e gli abitanti si davano energiche gomitate, indicandoci apertamente e salutandoci con fare gioioso. Dall’entrata dell’abitazione riconobbi la chioma rosso fuoco di Dáin e il suo portamento così poco elegante.
Dietro di lui avanzava il giovane figlio, il principe Thorin, vestito splendidamente di abiti scintillanti. Abbassai lo sguardo nervosa, cercando di nascondermi dietro le spalle larghe di Frerin, come facevo da piccola per difendermi dalle punizioni del nostro precettore.
Thorin affiancò il padre e salutò mio fratello e mio cugino; poi mi si rivolse direttamente: « Mia signora e sposa, benvenuta nella mia casa. Possa tu esservi sempre felice e possa questo giorno essere gioioso per te come per me ».
Aveva tutta l’aria di essere un discorso imparato a memoria, perché non riuscii a distinguere nessun tipo di gioia nei suoi occhi. Presi fiato e risposi a mia volta, alzando la voce:
« Ti ringrazio. Come vedi, ti ho portato la dote promessa: armi e gioielli ».
« Quante armi? » chiese prontamente Thorin, allungando il collo oltre la nostra carrozza.
Feci una smorfia. Era davvero necessario che mi facesse capire che teneva più alle armi che a me? Lui parve capire il mio nervosismo, poiché si affrettò a cambiare argomento.
« Permettetemi di invitarvi dentro. Avete fatto un lungo viaggio. »
 
Lo seguimmo un’altra volta all’interno della casa, e tesi la mano per toccare il muro di pietra. Sembrava una solida costruzione e prometteva sicurezza**. Guardai mestamente Fili che ricambiò il mio sguardo sorridendo e infondendomi coraggio.
Un banchetto era stato preparato in nostro onore, e risi molto quando vidi lo sguardo famelico di mio cugino e mio fratello alla vista di tutto quel cibo dall’aria squisita: durante il lungo viaggio fino ai Colli Ferrosi ci eravamo dovuti accontentare di frutta, noci e qualche lepre, quando avevamo fortuna.
Dáin sedeva all’estremità della lunga tavolata, e vicino a lui stava una nana dall’aspetto burbero, il cui velo non riusciva a nascondere totalmente il viso segnato da profonde rughe. Immaginai che fosse la moglie e mi avvicinai, inchinandomi rispettosamente.
« Raghnaid, ti presento la giovane Eriu, figlia di re Thorin » disse giovialmente Dáin, strizzandomi l’occhio.
Raghnaid non sembrò voler proferir parola e mi congedò con un breve cenno del capo. Aveva occhi identici a quello del figlio, e lo stesso sguardo indecifrabile, freddo come un muro di pietra.
In quel momento pensai che farmi accettare sarebbe stato più arduo di quanto mi aspettassi.
 
Dopo aver mangiato Dáin si alzò – un po’ barcollante a causa di tutta la birra e del cibo che aveva trangugiato – e annunciò nuovamente il fidanzamento; io e il giovane Thorin fummo costretti un’altra volta a fingere di essere estasiati al pensiero di quell’unione. Sicuramente lo eravamo meno degli abitanti dei Colli Ferrosi: il legame con Erebor avrebbe garantito loro protezione in caso di attacco e scambi commerciali proficui.

A nessuno sembrava importare del fatto che io avessi dovuto abbandonare la mia famiglia affinché tutto ciò si avverasse.



** Passo tratto da 'Le nebbie di Avalon' di Marion Zimmer Bradley




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