Ercole - Storia di una leggenda

di Justice Gundam
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Ercole - Nascita della grande leggenda

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Capitolo 1 - In fuga da Tebe

Tebe, l'Età del Bronzo. Tremila anni prima di Cristo. Una grande città, considerata un baluardo della civiltà, dalle grandi mura e dalle case sfarzose e ricche. Considerata un ancora di salvezza, un'isola sicura in un mondo ostile e pericoloso, Tebe era conosciuta anche come una grande potenza militare, seconda solo alla famigerata Sparta, e sotto il governo illuminato del re Anfitrione, era diventata la più forte ed estesa di tutte le città-stato dell'Ellade.

Era un giorno particolare per il sovrano di Tebe, che in quel momento era in piedi nella sua sala del trono, immersa in un silenzio pieno di attesa e di tensione, in compagnia unicamente di alcuni soldati della sua guardia del corpo personale che attendevano assieme a lui, senza quasi muovere un muscolo. Il sovrano di Tebe, un uomo sulla tarda ventina con un fisico robusto e lunghi capelli neri pettinati elegantemente dietro la schiena, indossava una tunica riccamente decorata e un paio di calzari ben tenuti, restava in piedi accanto al trono, mascherando abilmente la sua apprensione.

Oggi era il giorno in cui la sua regina, la sua amata Alcmena, avrebbe dato alla luce il loro primo figlio... e tutto quello che lui poteva fare, in quel momento, era affidarsi alla perizia dei medici e delle levatrici di corte. Sarebbe andato tutto bene? Il bambino e la sua amata moglie sarebbero riusciti a superare questo difficile momento senza problemi? Fin troppo spesso, anche nelle famiglie più agiate, le madri venivano portate via dalle febbri che sopraggiungevano dopo il parto...

Rivolgendo tra sè un'altra preghiera ad Artemide, protettrice delle partorienti, Anfitrione sedette sul suo trono, in modo che almeno, al momento di vedere cosa fosse stato di sua moglie e di suo figlio, le gambe fossero state in grado di reggerlo. L'attesa era snervante... ma si impose di restare freddo e controllato. Non era certo degno di un re farsi prendere dall'emozione...

Il silenzio nella sala del trono durò ancora per qualche minuto prima di essere infranto da un rapido rumore di passi proveniente dal corridoio, appena fuori dalle grandi porte d'ingresso. Immaginando che si trattasse di notizie di Alcmena, Anfitrione prese un bel respiro e si preparò a qualunque sorta di notizie si trattasse...

Un attimo dopo, le due guardie che si trovavano all'ingresso fecero entrare un'ancella dall'aria trafelata ma lieta, che si inchinò umilmente davanti al suo signore. Facendo del suo meglio per nascondere la sua ansia, Anfitrione si levò in piedi e fece cenno all'ancella di recare le sue notizie.

"Mio signore... le porto buone notizie della regina... e del suo bambino!" disse la serva, inchinandosi con profondo rispetto davanti al suo signore, il cui viso corrugato dalla preoccupazione sembrò illuminarsi. "La regina... la regina ha dato alla luce... un bellissimo maschietto, mio signore! Stanno bene... stanno bene tutti e due!"

"Sia lode a Zeus... e alla divina Artemide!" esclamò Anfitrione. L'atmosfera di tensione che si respirava nella sala del trono si distese quasi subito, e i soldati si scambiarono sorrisi e cenni affermativi. "E... sarà possibile andarli a vedere presto?"

"Sì, mio signore... anche subito, se lei desidera!" rispose l'ancella. "La prego... venga, le faccio strada! La regina... non vedrà l'ora di farle vedere suo figlio!"

Con passo misurato ma comunque deciso, il sovrano di Tebe seguì l'ancella fuori dalla sala del trono, ricevendo dei cenni di congratulazioni da parte dei suoi fedeli soldati, e nel corridoio che portava alla sala dove Alcmena aveva appena dato alla luce l'erede al trono di Tebe. Dei vagiti inconfondibili confermarono ad Anfitrione la buona notizia, prima ancora di entrare nella stanza dove la regina giaceva su un letto, esausta ma felice, con in braccio un bellissimo neonato avvolto nella seta.

"Mia regina..." disse emozionato Anfitrione, posando per la prima volta lo sguardo sul suo figlio primogenito. Già da una prima occhiata si poteva vedere che era un neonato sano e forte, un po' più grande della media e con una voce acuta e decisa! "Lui... lui è nostro figlio... il nostro primo bambino..."

"Sì... mio re..." mormorò la regina Alcmena, riprendendo fiato dopo il trauma del parto. "Lui... è il dono che gli dei ci hanno fatto... non è meraviglioso?"

Anfitrione non potè più trattenere i suoi sentimenti, e prese in braccio il suo piccolo urlante, mentre le lacrime di gioia cominciavano a scorrere lungo il suo viso. "Sì... sì, lo vedo, mia cara..." affermò. "Si chiamerà Alcide, e sarà uno splendido erede!"

"Benvenuto, Alcide..." disse Alcmena, alzandosi dal suo giaciglio quel tanto che bastava per accarezzare il viso di suo figlio...

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Dalle pendici del Monte Olimpo, da dove gli dei osservavano tutto quello che accadeva nel mondo dei mortali, Hera stava in quel momento assistendo alla nascita di colui che suo marito e gli dei che stavano dalla sua parte avevano designato come il più grande eroe che l'umanità avesse mai conosciuto. La potente regina degli dei sorrise maliziosamente tra sè - Zeus sembrava così sicuro che sarebbe andato tutto come lui voleva, ma non aveva fatto i conti con la sua determinazione.

"Mio caro marito... ho sempre detto che tu coccoli troppo i mortali." disse Hera con voce mielata, dietro la quale si percepivano intenzioni inquietanti. "Il tuo eroe è nato nel mondo dei mortali... ma lì a Tebe c'è già qualcuno che sta lavorando per eliminarlo. E presto... l'equilibrio sarà ripristinato."

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Qualche giorno dopo la nascita di Alcide...

Una figura losca e misteriosa scivolò abilmente nelle gallerie del santuario sotterraneo, confondendosi tra le ombre e le formazioni rocciose mentre si avvicinava all'ara dove era custodito ciò per cui era venuto. Lì, nel bel mezzo della grotta più grande, si trovava un altare in marmo finemente scolpito, affiancato da alcune statue di divinità, tra le quali spiccava per dimensioni e magnificenza una statua di Zeus, con un fulmine in una mano, e un grande scudo nell'altra. Ma per quanto spettacolare fosse la visione di quel luogo consacrato, all'intruso interessava ben altro, e muovendosi con attenzione tra i nascondigli naturali di quel posto, cercò di assicurarsi di non essere stato scoperto, e che il suo obiettivo si trovasse effettivamente lì.

Il suo unico occhio buono si spalancò leggermente, in un'espressione di feroce soddisfazione, quando riuscì a vedere che, infissa nel terreno davanti all'altare, si trovava una magnifica spada dalla lama in ferro - un metallo raro e prezioso, usato soltanto per forgiare le armi di più elevata qualità - la cui elsa sembrava fatta d'oro ed era decorata con simboli che rappresentavano le varie divinità olimpie. Non c'era dubbio... era quella la spada che la sua signora cercava.

Tuttavia, c'era prima un piccolo problema da risolvere... e più esattamente, le due guardie armate di lancia e scudo circolare, ciascuna con addosso un pettorale di bronzo, che montavano la guardia alla spada e all'altare alla luce delle torce appese ai muri. Con attenzione, l'intruso scelse una posizione da cui avrebbe potuto tenere d'occhio entrambe le guardie al tempo stesso e si sfilò dalla spalla un arco semplice ma ben costruito, incoccando una freccia e prendendo la mira verso la guardia più lontana da lui. Sapeva di non poter perdere tempo, e che la sua azione doveva essere rapida e decisa, quindi si concentrò, in modo da prendere bene la mira... incoccò una freccia e rilasciò la corda dell'arco! Con un sibilo sinistro, la freccia solcò l'aria e si piantò nella nuca del primo soldato, che si accasciò immediatamente a terra senza vita. Con un sobbalzo allarmato, il soldato rimasto impugnò le sue armi e si voltò verso il punto da cui era provenuto il letale dardo, ma non riuscì ad agire in tempo prima che l'intruso ricaricasse l'arco, e scagliasse una nuova freccia con precisione scioccante, trafiggendo la guardia al collo. Il secondo guardiano crollò a terra morto senza riuscire nemmeno a fare un grido, e dopo essersi assicurato che non ci fossero più guardie nell zona, il sacrilego annuì tra sè e si avvicinò all'altare... e in particolare, alla spada piantata nel terreno davanti ad esso.   

Con un pizzico di esitazione, l'intruso afferrò l'elsa della spada e la tolse da dove era piantata. Barcollò per un istante sotto il peso dell'arma, ma ci si abituò in fretta e si allontanò quanto più velocemente poteva, lasciandosi dietro il santuario silenzioso e i corpi senza vita delle due guardie...

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"Comandante Valcheo!" risuonò una voce nell'ufficio. L'uomo in armatura di bronzo dai capelli rossi e ricci, con tanto di corta barba dello stesso colore, che stava seduto alla scrivania alzò la testa di scatto quando si sentì chiamare da un soldato, che arrivò a passo rapido e si mise sull'attenti davanti a lui. "Comandante Valcheo! Porto delle notizie allarmanti!"

"Che succede, soldato?" chiese Valcheo, il comandante delle guardie del palazzo reale di Tebe. Il suo sottoposto si schiarì la voce e fece rapidamente il suo rapporto.

"La spada sacra è stata rubata dal santuario di Zeus, e le guardie sono state uccise!" riferì il soldato.

Valcheo ripiegò la pergamena che teneva in mano, alzandosi dal suo posto. "Un sacrilegio!" esclamò con tono allarmato ed indignato.

"Darò immediatamente l'allarme, e farò chiudere le porte della città finchè il colpevole non sarà stato catturato." continuò il soldato.

Il comandante Valcheo si piazzò davanti al soldato, in modo da dargli tutta l'attenziione che una questione così seria meritava. "Certamente, soldato. Hai già dato questa notizia a qualcun altro?" chiese.

"Lei è il comandante delle guardie di palazzo, signore." affermò il soldato. "Ho pensato di avvertire lei per primo, in modo che potesse decidere il da farsi."

Il comandante annuì. "Hai pensato giusto, soldato. Sei fedele, e Tebe ti ricompenserà." affermò... e un attimo dopo, con un fluido movimento del braccio, Valcheo sfoderò una spada di bronzo che teneva appesa al fianco e trafisse il soldato, che riuscì solamente a spalancare gli occhi in un'espressione di assoluta incredulità, prima di crollare a terra.

"Ecco la tua ricompensa." disse Valcheo con un ghigno. "Peccato che tu non abbia capito subito che era un complotto, povero stupido."

Una volta assicuratosi che il soldato fosse morto, Valcheo si voltò verso un corridoio laterale per chiamare qualcuno. "Principessa! Il momento è arrivato!"

"Ottimo lavoro, Valcheo. Il piano ha funzionato a meraviglia." rispose una voce femminile mielata dal corridoio, e una giovane donna emerse da esso, guardando Valcheo con i suoi acuti occhi azzurri - alta, dai lunghi capelli biondi leggermente ricci, era vestita di un abito blu riccamente decorato che faceva ben poco per nascondere le sue forme seducenti, un mantello nero lungo quasi fino a terra, sandali e schinieri dorati, e un cappuccio sulla testa. Portava sulla fronte un diadema dorato ornato con delle gemme blu, e al suo collo era appeso un medaglione dorato di forma triangolare, con tre zaffiri incastonati.

Dietro di lei, arrivò un uomo dall'aspetto anonimo e al tempo stesso poco raccomandabile, vestito in maniera rozza, con un corpetto di cuoio malamente rattoppato e una vecchia uniforme che sicuramente aveva visto giorni migliori. Aveva una benda di cuoio nero sull'occhio destro, e tra le mani portava la spada sacra trafugata dal tempio...

"Ora che il mio schiavo qui presente ha rubato la spada, possiamo passare alla fase finale." disse la donna bionda. "Una buona parte dell'esercito di Tebe è ormai passato dalla nostra parte. Se attacchiamo ora, coglieremo tutti di sorpresa, e non sarà difficile prendere il controllo della città. Tu diventerai re di Tebe, Valcheo... sarai il sovrano della più potente città dell'Ellade. A patto, ovviamente, che tu uccida il re e la regina stanotte. E ovviamente, anche il loro erede, il piccolo Alcide."

L'uomo con la benda sull'occhio annuì senza dire una parola, e Valcheo ghignò sinistramente, guardando la propria spada ancora gocciolante del sangue del soldato ucciso. "Di questo può essere sicura, principessa Arianna." affermò il traditore. "Per lei e per suo padre... la spada che doma il fuoco. E per me... il trono di Tebe!"  
   

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Prima che gli abitanti di Tebe potessero rendersi conto di quello che stava succedendo, la loro città si era trasformata in un tragico campo di battaglia. Arianna e i suoi seguaci avevano passato i mesi precedenti ad ingraziarsi diversi elementi dell'esercito tebano, con il risultato che, al momento dalla verità, soltanto una piccola parte dei soldati era rimasta fedele alla corona. I fedeli del re tentarono in tutti i modi di resistere, ma non ci fu niente da fare - ogni resistenza venne prontamente soffocata nel sangue, e nel giro di poche, drammatiche ore, i ribelli avevano praticamente occupato il palazzo...

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I suoni della battaglia e le urla di coloro che venivano trucidati riecheggiavano nei corridoi, mentre il re Anfitrione conduceva la sua regina, con il piccolo Alcide tra le braccia, verso quella che a quel punto era probabilmente l'unica via di fuga rimasta loro. I ribelli si stavano avvicinando, assetati di sangue... non c'era un istante da perdere. Affinchè ci fosse la speranza che la famiglia reale di Tebe sopravvivesse, dovevano a tutti i costi raggiungere l'uscita...

Anfitrione fece cenno alla sua regina di fermarsi, e indicò una sala che non era ancora stata raggiunta dai ribelli. Prese Alcmena per la spalla e la guidò all'interno della stanza, una sala vuota illuminata soltanto da un paio di torce a bitume appese alle pareti. Prima che la sua regina potesse chiedergli cosa volesse fare, Anfitrione raggiunse il muro dalla parte opposta della stanza e premette la mano su una tapparella in marmo... e un istante dopo, con un forte rumore di pietra che strideva sulla pietra, una parte del muro di ritirò, rivelando un buio passaggio segreto che si addentrava nel sottosuolo della città.

"Mia regina. Tu ed Alcide fuggite da qui." affermò il re, facendo cenno alla sua amata di entrare in quel buio corridoio. "Dovete sopravvivere... a qualsiasi costo!"

"E tu, mio caro? Che cosa ne sarà di te?" chiese Alcmena, tenendo stretto a sè il suo pargoletto urlante.

Un'espressione triste e solenne apparve sul volto di Anfitrione. "Io resterò qui. Cercherò di fermare i ribelli finchè potrò. Vi farò guadagnare tempo."

"Ma così morirai!" esclamò disperata Alcmena. "Non puoi sperare di fermarli! Ti farai uccidere!"

"Non c'è altro modo, purtroppo... come re di questa città, io ho il dovere di difenderla dai suoi nemici." rispose il coraggioso re. "Se devo morire, nessuno dirà che Anfitrione è morto da vigliacco. Ma tu... che almeno uno di noi sopravviva per il nostro piccolo Alcide. Un giorno... un giorno diventerà un grande uomo, lo sento. Quel giorno tornerà qui a Tebe, e farà in modo che queste ingiustizie vengano punite! Ma fino ad allora... dovete sopravvivere. Addio, mia cara... addio, mio piccolo Alcide. Che gli dei vi proteggano."

Alcmena mise a tacere le lacrime. "Faremo come desideri, mio amato. Addio... che gli dei proteggano la tua anima." si augurò. Il re e la regina di Tebe si scambiarono un ultimo bacio, ed Anfitrione si fermò giusto un attimo per accarezzare il suo bambino per l'ultima volta.

"Avrei voluto poter passare più tempo con te, piccolo mio... Avrei voluto vederti crescere, diventare l'uomo forte e coraggioso che sono sicuro diventerai. Ma il fato non ha voluto che fosse così. Addio, mio piccolo Alcide... tuo padre ti proteggerà sempre, ricordalo." pensò Anfitrione. Ormai i rumori della battaglia si avvicinavano sempre più... non era rimasto molto tempo.

Tenendo stretto a sè Alcide, Alcmena entrò nel passaggio segreto, continuando a guardare il marito mentre quest'ultimo premeva di nuovo la piastrella di marmo e l'ingresso al passaggio segreto cominciava a chiudersi...

Anfitrione annuì solennemente quando il passaggio segreto si chiuse del tutto... poi, deciso a far guadagnare quanto più tempo possibile alla sua famiglia, sfoderò la sua corta spada di bronzo e uscì dalla stanza, pronto ad affrontare chiunque si avvicinasse.

Era appena uscito nel corridoio, quando si vide arrivare incontro due soldati ribelli, armati di lance e scudi circolari, che non persero tempo ad attaccarlo - uno di loro prese la mira e scagliò la sua lancia, ma Anfitrione riuscì ad evitarla, e la letale asta si schiantò senza danni sul pavimento. Il ribelle sfoderò la spada, ma il re fu più veloce e lo raggiunse con un affondo, colpendolo a morte. Il secondo dei soldati ribelli cercò di scagliare a sua volta la sua lancia, ma il re si mosse con prontezza, raccolse la lancia del primo avversario, e la scagliò con rabbia e precisione, trafiggendo il ribelle al torace e facendolo crollare a terra con un'imprecazione strozzata.

"Traditori. Questa è la fine che meritate." ringhiò Anfitrione. Ma non ebbe il tempo di rilassarsi... qualcun altro stava già arrivando dall'angolo del corridoio, e Anfitrione corrugò la fronte quando Valcheo, l'uomo che fino al giorno prima era sembrato essere la sua guardia del corpo più fedele, apparve davanti a lui armato di spada e di uno scudo circolare.

"Siete rimasto qui fino alla fine, maestà." disse Valcheo, con il tono tranquillo di una persona che non vuole altro che fare un po' di conversazione. "E la vostra consorte, e il vostro figlioletto, dove li avete lasciati?"

"Non lo saprai mai, Valcheo, infame traditore." ringhiò Anfitrione. "Vuoi diventare sovrano di Tebe al mio posto, ma tutto quello che avrai sarà una morte ignominiosa!"

"E' quello che vedremo... maestà!" rispose Valcheo, facendo un passo in avanti per poi sferrare il primo attacco, eseguendo un fendente dall'alto verso il basso con la sua spada di bronzo. Il re si era aspettato questa mossa, e riuscì a schivare il fendente con uno scatto laterale, poi sferrò a sua volta un poderoso fendente che però rimbalzò senza effetto sullo scudo di Valcheo. Il traditore si fece avanti di nuovo, usando il suo scudo come arma contundente per colpire il suo sovrano e farlo barcollare con un grugnito di dolore, ma non durò a lungo - facendo appello a tutta la sua forza di volontà, Anfitrione sferrò un pugno in faccia a Valcheo, facendogli saltare via un dente!

Valcheo si allontanò con un breve grido di dolore, afferrandosi la mascella e sentendo il sapore disgustoso del sangue sulla lingua, e riuscì a malapena ad alzare lo scudo quando Anfitrione gli fu addosso. Il re sferrò un altro colpo con la sua spada, ammaccando lo scudo del suo nemico, e lo costrinse a retrocedere ancora.

"Sei tu il responsabile di questo complotto, vero?" esclamò Anfitrione, continuando ad avanzare verso il suo nemico. "Così sia, allora. I tuoi soldati mi uccideranno, ma almeno tu non riuscirai a realizzare le tue ambizioni!"

"Ugh... è quello che vedremo... maestà..." mormorò il traditore, ma si rendeva conto di essere in una brutta situazione... doveva cercare di uscirne il prima possibile, o tutti i suoi piani sarebbero terminati nel nulla.
Anfitrione fece un altro tentativo, e ancora una volta Valcheo riuscì a parare con il suo scudo... ma questa volta, il sovrano di Tebe sferrò un calcio che raggiunse il suo nemico al braccio sinistro e lo costrinse a mollare lo scudo! Si sentì un assordante clangore metallico quando lo scudo atterrò sul pavimento in marmo, e Valcheo strinse i denti con espressione di disappunto e rabbia impotente.

"Le tue ambizioni finiscono qui, Valcheo." sentenziò Anfitrione, alzando la spada per abbatterla sul traditore...

Ma il colpo non arrivò mai a segno. Un lampo di luce azzurrina illuminò il corridoio per una frazione di secondo, seguito da un raggio di dirompente energia che colpì Anfitrione al petto e lo trafisse, penetrando la sua armatura di bronzo come se fosse stata di cartone! Il raggio di luce fuoriuscì dalla schiena del re e si esaurì in lontananza, mentre Anfitrione cadeva in ginocchio, con un rivoletto di sangue che gli scendeva da un angolo della bocca. Nei suoi ultimi momenti, il re di Tebe guardò da dove era provenuto il raggio di energia che lo aveva colpito a morte... e riuscì a vedere una figura femminile vestita di blu che teneva una mano puntata verso di lui...

"Dovevo... immaginarlo... che eravate voi..." furono le ultime parole di re Anfitrione. Rivolgendo un ultimo pensiero alla sua amata e al suo figlioletto appena nato, il re di Tebe si spense, soddisfatto di essere per lo meno riuscito a proteggerli...

La corona di Tebe era stata rovesciata.


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"Mi aspettavo di meglio da te, Valcheo." disse Arianna con fare spocchioso, guardando l'ex-comandante delle guardie di palazzo che si rialzava dolorante. "Ti sei lasciato sopraffare come un dilettante alle prime armi. E non hai ancora ritrovato la regina e il piccolo Alcide."

Valcheo si spazzò via un po' di polvere dai vestiti. "Tsk... mi ha colto di sorpresa, tutto qui." affermò. "Immagino... che la regina e il  piccolo principe saranno diretti fuori dalle mura della città. Prenderò un gruppo di soldati e farò in modo di intercettarli. Non andranno lontano."

"Bene. Me lo auguro per te, Valcheo." affermò Arianna con tutta tranquillità. "Se per caso la regina e il principe Alcide dovessero sfuggirti, non credo che potresti più dormire tranquillo."

"Non ci sarà bisogno che lei si preoccupi..." affermò il malvagio usurpatore, ma nella sua voce si percepiva già un pizzico di ansia. "Faremo in modo che tutto vada secondo i piani."

Arianna annuì con fare arrogante, osservando Valcheo che se ne andava a passo svelto. In ogni caso, lei aveva già quello che voleva. Per quanto la riguardava, quello sciocco meschino e presuntuoso poteva anche tenerselo, il trono di Tebe...


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Alcmena continuava a correre, tenendo stretto a sè il piccolo Alcide che continuava a piangere, forse capendo per istinto che stava accadendo qualcosa di terribile. Il passaggio segreto era proseguito per un lunghissimo tratto, arrivando finalmente fuori dalle mura di Tebe... e sbucando a poche centinaia di metri dal grande fiume che scorreva a pochi chilometri di distanza da Tebe. La città, a quel punto, era solo un ricordo... i suoi grandi edifici, le sue strade e le sue piazze... lo stadio... la grande arena... tutto questo non c'era più, sosituito dall'aspra e selvaggia natura che la circondava. Le loro vite erano state stravolte nel giro di pochi istanti, ed ora era suo compito, come madre del piccolo, fare in modo che sopravvivessero entrambi.

Alcmena si fermò, guardando il piccolo Alcide che non aveva smesso di piangere e lamentarsi, e non riuscì ad impedirsi di piangere a sua volta, in ricordo del suo amato re che si era sacrificato per loro, e pensando alla vita difficile che sicuramente ora attendeva il suo bambino. Ma l'energia e la determinazione della donna fecero presto tacere le lacrime e i lamenti.

"Lo so che è difficile, tesoro... il papà non è più con noi. In questo momento, starà camminando nei Campi Elisi assieme agli eroi di tutte le ere." affermò. "Ma noi dobbiamo vivere per lui, dobbiamo farci forza e andare avanti. Un giorno... un giorno forse torneremo a Tebe, e faremo in modo che gli assassini di tuo padre paghino per quello che hanno fatto. Se questa sarà la volontà del sommo Zeus, faremo in modo che sia fatta."

Come se avesse capito quello che la sua mamma gli diceva, il piccolo Alcide si calmò almeno un pochino, e i suoi pianti si smorzarono fino a diventare dei vagiti sommessi... Alcmena sorrise tristemente, poi continuò ad affrettarsi verso le rive del fiume che scorreva lì vicino. Per colmo della fortuna, c'era una piccola barca attraccata ad un pontile di legno che dava sul grande fiume, e la corrente era abbastanza rapida da trasportarla lungo il fiume in tempo per seminare Valcheo e il resto dei cospiratori...

Senza perdere tempo, senza curarsi del fatto che non era certo un'esperta nel condurre un'imbarcazione, Alcmena salì sulla barca assieme al figlioletto, e sciolse le funi che la tenevano attraccata. Con un po' di difficoltà, spinse via la barca dal pontile e fece in modo che la barca venisse spinta via dalla corrente. Non ci volle molto tempo prima che la piccola imbarcazione fosse in viaggio verso una temporanea salvezza, lasciandosi dietro la città di Tebe e la spietata congiura che aveva rovesciato il suo saggio re...

E così, la barca che portava con sè la regina Alcmena e il principino Alcide venne trascinata via, in balia delle correnti. La giovane madre, pur avendo perso la cognizione del tempo, restava con gli occhi aperti e le orecchie tese, in modo da accorgersi se qualcuno degli uomini di Valcheo fosse sulle loro tracce. Tutto ciò che li circondava erano le rapide acque del fiume e la foresta che sembrava estendersi all'infinito attorno a loro, con i mille suoni e colori della natura... per fortuna, sembrava che i congiurati avessero perso le loro tracce.

Tuttavia, questo non la rendeva più tranquilla. Sapeva che era stato un grosso azzardo affidarsi a quella barca per fuggire da Tebe... e sapeva che il fiume nascondeva a sua volta mille insidie. Sperava soltanto di arrivare a valle senza problemi, anche se si rendeva conto che si trattava di una speranza davvero esigua...

E in tutto questo, Alcmena si teneva aggrappata al suo desiderio che il suo bambino sopravvivesse, e al dovere che lei aveva di mantenerlo al sicuro. Davvero un filo esile e fragile, ma era tutto quello che aveva in quel momento, e avrebbe cercato di fare l'impossibile perchè non si spezzasse...

Il tempo continuava a passare, e la barca scendeva lungo la corrente del fiume, con sempre maggiore velocità. Alcmena era stata costretta a togliersi il peplo e ad avvolgere Alcide in esso, in modo che il suo bambino non si bagnasse troppo... ma la barca diventava sempre più veloce, e Alcmena si preoccupava che la piccola e fragile imbarcazione si fosse imbattuta in alcune rapide...

Il fiume continuava ad ingrossarsi, e il rumore della corrente si fece sempre più opprimente, inghiottendo ogni altro suono. Alcmena si acquattò sul fondo della barca, usando il proprio corpo per proteggere il piccolo Alcide, che emise un vagito che poteva essere facilmente interpretato come un verso di preoccupazione... ed entrambi restarono più fermi che potevano sul fondo della barca, non potendo fare altro che sperare in bene...

Lungo il corso del fiume, una cascata si avvicinava sempre di più...

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In una delle grandi sale dell'Olimpo, la dimora degli dei, Zeus osservava con partecipazione gli eventi che si susseguivano nel mondo dei mortali, e vide che la barca che trasportava la regina Alcmena e il piccolo Ercole stava per raggiungere una cascata dall'aspetto letale. Se l'avessero raggiunta, le loro possibilità di sopravvivere sarebbero state talmente esigue da non poter essere nemmeno prese in considerazione...

A meno che, ovviamente, non intervenisse lui.

Non aveva potuto farlo quando sua moglie aveva messo in moto il suo complotto, ma adesso poteva benissimo farlo.

Il re degli dei raggiunse un catino pieno d'acqua che si trovava ad un angolo della grande sala e vi immerse una mano...

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...e nello stesso momento, nel mondo degli umani, una gigantesca mano emerse dal punto in cui il fiume si gettava nella cascata.

La barca sulla quale viaggiavano Alcmena e suo figlio raggiunse il punto in cui sarebbe caduta... e finì per atterrare delicatamente sul palmo dell'enorme mano, che la tenne al sicuro sopra la cascata.

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Zeus sorrise lievemente tra sè, soddisfatto del suo intervento. Ma il momento di essere fieri di sè stessi durò ben poco. Un familiare rumore di passi risuon nella sala, e il re degli dei, con la coda dell'occhio, vide arrivare sua moglie Era, con un'inequivocabile espressione di indignazione sul volto. Atena seguiva a ruota, cercando in qualche modo di placare la sua madre surrogata, ma senza eccessivo successo.

"Rimetti quella barca sul fiume!" ordinò Era.

Zeus non si scompose. Era più che abituato al caratteraccio di sua moglie, e soprattutto alle sue sfuriate quando lui faceva qualche scappatella con altre dee o donne mortali...

"Va bene." rispose tranquillo. "Come desideri."

Zeus mosse la mano nell'acqua del bacile, mentre Era emetteva un sospiro esasperato...

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La mano gigantesca che sorreggeva la barca si mosse per qualche istante, in maniera quasi impercettibile... e a bordo della fragile imbarcazione, Alcmena ed Alcide vennero avvolti da una tenue luce azzurrina, per poi essere trasportati in volo sopra la cascata e verso il terreno, mentre la mano gigante rimetteva la barca sul corso del fiume. Mezzo secondo dopo, la barca finì nuovamente oltre il bordo della cascata, e precipitò per diversi metri, andandosi a fracassare sulle rocce sottostanti con un tremendo schianto!

La luce che aveva avvolto Alcmena e il suo pargoletto si dissolse del tutto, e la giovane madre e suo figlio si ritrovarono sdraiati sul tappeto erboso, fradici ma illesi. Per un attimo, la donna si toccò incredula, pensando che forse erano già morti e si trovavano nei Campi Elisi... ma poi, con suo grande stupore, vide ciò che restava dell'imbarcazione su cui si trovavano, e si fece un'idea di quello che era successo.

"Gli dei... vegliano davvero su di noi, mio piccolo Alcide." disse la giovane madre, la cui speranza era stata rinnovata da quell'incredibile miracolo. Il bambino emise un vagito contento e agitò un po' le piccole mani in aria, quasi volesse salutare chiunque fosse stato a salvarli...

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Zeus sorrise rincuorato, vedendo il bambino e la madre al sicuro... mentre Era corrugò la fronte e guardò con rabbia verso il marito.

"Ma che hai fatto, Zeus?" esclamò la regina degli dei. "Hai messo la regina e suo figlio sulla terraferma, al sicuro!"

Zeus alzò le spalle. "Mi avevi detto di rimettere la barca sul fiume." disse facendo il finto tonto, e strappando un sorriso complice ad Atena. "Non mi hai detto nulla dei passeggeri."

Era strinse una mano a pugno, ma si rese conto che questa volta Zeus l'aveva giocata, e non c'era nulla che lei potesse fare se non rammaricarsene e imporsi di stare più attenta la prossima volta. Questo, aggiunse tra sè Era con un sorrisetto malizioso, sempre che ci fosse stato bisogno di una prossima volta.

Mentre Zeus estraeva la mano dal bacile e se la asciugava con tutta calma, Atena rivolse ad Era uno sguardo significativo, come per dirle che non avrebbe fatto bene a sottovalutare le risorse di coloro che volevano che il salvatore dell'umanità realizzasse il suo scopo. La regina degli dei, da parte sua, non si scompose e fece un cenno con la testa, prima di andarsene con passo sicuro e fare elegante, continuando a complottare tra sè.

"Zeus è astuto... e farà tutto quello che può per proteggere il piccolo Ercole." disse tra sè. "Ma non si rende conto che così l'equilibrio tra il bene e il male sarà spezzato. Ci penserò io a fare in modo che le due parti si equilibrino di nuovo."

Gli occhi  della dea si illuminarono per un attimo, emettendo una inquietante luce verde che svanì un istante dopo... e nel mondo dei mortali, qualcosa di orribile si risvegliò nel greto del grande fiume, i suoi occhi smeraldini che dardeggiavano avidi sotto il pelo dell'acqua, puntando contro Alcmena e il piccolo Ercole...

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Alcmena sapeva che non poteva restare ferma lì a lungo. Lei e il suo bambino erano a rischio ad ogni momento, e le guardie di Valcheo avrebbero trovato quel posto, prima o poi. Tuttavia, si fermò per un attimo per prendere il suo peplo, stracciarlo un po' e gettarlo sulle rocce affioranti... in questo modo, la donna sperava che se i loro nemici fossero arrivati fin lì, avrebbero pensato che lei ed Alcide fossero periti nel fiume. In questo modo, se non altro, ci sarebbe stato un problema in meno a cui badare...

Dopo aver gettato il suo abito sulle rocce, Alcmena corse a prendere in braccio suo figlio e fece per andarsene da quel posto... ma un rumore improvviso di acqua smossa, e un orrendo sibilo proveniente dal corso d'acqua la fecero fermare di colpo e voltare indietro, e la giovane madre vide emergere dal fiume un'orrida creatura che ricordava molto una sorta di mostruoso serpente marino, lungo non meno di dieci metri, con un corpo lungo e possente ricoperto di squame del colore del muschio e una testa affusolata, con un paio di diabolici occhi verdi dalle pupille ovali che guardavano con avidità le sue prede, e un paio di terrificanti zanne ricurve, gocciolanti di veleno, che sporgevano dalla mascella superiore! Il suo corpo grondava di acqua e piante acquatiche, dandogli un aspetto ancora più orribile... ed Alcmena, con un singulto di orrore, fece due passi indietro, inciampando su una radice sporgente e finendo per sedersi per terra, alla mercè dell'orrendo Ketos!

"N-no... NO!" esclamò la donna, alzando un braccio nell'inutile tentativo di proteggersi dalla creatura. Il Ketos guardò il bambino che la donna teneva tra le braccia e si mosse rapidamente verso di lui, spalancando le fauci per sferrare un morso letale...

Ma proprio quando sembrava che tutto fosse finito per loro, accadde qualcosa di assolutamente inaspettato!

Alcide portò avanti le braccia e afferrò la testa del mostruoso serpente, che si bloccò con un sibilo di sorpresa! Nonostante fosse un neonato, la presa di Alcide era come una morsa di ferro, e il Ketos si ritrovò bloccato da una forza alla quale non riusciva ad opporsi! Con un sibilo furioso, il mostruoso rettile cercò di liberarsi, ma il neonato, nonostante avesse solo pochi giorni di vita, lo teneva stretto e spostò le manine verso la gola del Ketos, cercando di stringerla. La rabbia del mostro si trasformò ben presto in stupore e paura quando Alcide cominciò a stringere la presa e a strozzarlo!

Alcmena non potè fare altro che guardare incredula mentre il suo bambino apparentemente indifeso continuare a stringere la presa sul collo del Ketos, che continuava a dibattersi sempre più disperatamente per sfuggire a quella morsa letale. Ma non durò a lungo - nel giro di pochi secondi, l'orribile rettile cominciò a perdere vigore, e i suoi movimenti spasmodici rallentarono sempre di più... fino a cessare del tutto, e il bagliore verde dei suoi occhi si spense rapidamente.

Quando fu sicuro che l'orribile creatura fosse morta, Alcide mollò la presa sul collo del Ketos, che cadde a terra come un sacco vuoto, ai piedi dell'incredula Alcmena. Per qualche istante, la giovane madre rimase in silenzio, a guardare il corpo senza vita del rettile che aveva cercato di divorarli... e poi il suo bambino, che adesso gorgogliava contento come se nulla fosse successo. Che prodigio era mai questo? Certo, aveva visto che il suo bambino era nato sano e robusto... ma questo non era certo possibile per un bambino normale! Doveva per forza essere opera degli dei...

"Quale... quale miracolo è mai questo?" boccheggiò Alcmena incredula. "Le... le tue mani, piccolo mio... possiedono la forza di Zeus..."

Il bambino emise un gorgoglio di gioia e battè le mani, senza rendersi conto del tutto di ciò che era successo. La giovane madre restò ancora lì, incredula, cercando di mettere un po' di ordine nei suoi pensieri, ma quello di cui era appena stata testimone era talmente incredibile che per diversi secondi non riuscì a muoversi nè a parlare... e anzi quasi non si accorse di un fruscio proveniente dalla boscaglia dietro di loro, e di una figura massiccia che usciva dalla vegetazione.

"Che cosa è successo qui?" chiese una profonda voce maschile. "E' da molto tempo che nessun essere umano si spinge così in profondità in questo luogo sacro ad Artemide... chi siete voi, e come mai siete qui? E... cosa significa quel mostro morto accanto a voi?"

Alcmena si voltò lentamente verso la figura che aveva appena parlato - si trattava di un centauro, una creatura la cui metà superiore era quella di un uomo muscoloso ed atletico, con i capelli neri, corti ed arricciati, e una corta barba ben tenuta; mentre la metà inferiore era quella di un cavallo, con il mantello castano e gli zoccoli solidi come l'acciaio. Teneva a tracolla un arco splendidamente intagliato, e portava una faretra piena di frecce legata sulla schiena.

Alcmena arretrò di un passo, evitando di poco il corpo senza vita del Ketos. "Noi... noi siamo fuggiti da persone che volevano ucciderci. Non sapevamo che... che questo posto fosse sacro... alla divina Artemide. Chi... chi sei tu?" esclamò, avendo già sentito che i centauri sapevano essere creature selvagge e violente. Quello sembrava essere abbastanza tranquillo, ma con quelle creature non si poteva mai sapere...

Il centauro corrugò la fronte, ma sembrò decidere che la donna e il suo bambino non erano una minaccia, e si presentò... non prima di aver dato una lunga occhiata al piccolo Alcide e al corpo senza vita del Ketos
"Il mio nome è Chirone, e vivo in questa foresta da molti anni ormai." affermò. "Voi siete di Tebe, immagino? Venite. Vi porterò nella mia dimora, e mi potrai raccontare tutto."

Alcmena annuì, sentendo che nonostante tutto, le cose iniziavano a migliorare...

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CONTINUA...                  





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