Quando i
genitori del suo ragazzo gli avevano proposto di seguirli,
Oikawa non ci aveva pensato due volte prima di accettare, sul volto il
solito sorriso raggiante.
Al tempo stesso, era altresì sorpreso che, in tutta quella
vicenda, un ruolo principale l’avessero avuto proprio i suoi,
di genitori: incredibile, ogni cosa era stata calcolata fin nel minimo
dettaglio, così che, prima ancora di comunicare la notizia a
Tooru, i biglietti aerei fossero già stati acquistati e
l’albergo prenotato.
In fin dei conti, Oikawa sapeva che la sua risposta sarebbe stata pur
sempre un sì: l’occasione di passare del tempo
assieme ad Iwaizumi era fin troppo allettante per rifiutarla, inoltre
si sarebbero trovati in uno dei posti più belli al mondo,
perciò dove sarebbe stato il problema?
«Forse avrei solo preferito essere avvisato di tutto con un
po’ più di anticipo…»
valutò Oikawa, mentre richiudeva la zip del trolley, in
vista del viaggio. In effetti, sapere di dover viaggiare per
così tanti chilometri con solo una settimana di preavviso
era stato piuttosto destabilizzante; d’altro canto, tuttavia,
lui era Oikawa Tooru, per cui s’era quasi imposto di non
perdere mai il sorriso, nonostante adesso, per la prima volta in vita
sua, si ritrovasse ad essere attanagliato da mille dubbi e domande.
Oikawa sospirò lievemente, lo sguardo perso nel vuoto della
sua camera da letto, dove in quel momento si trovavano solo lui e
Hajime. In un’altra occasione non avrebbe esitato nemmeno un
secondo nel definire quella situazione come perfetta, peccato
che i
pensieri che continuavano ad aleggiare nella sua mente da una settimana
a quella parte non gli permettessero in alcun modo di farlo.
«E a cosa ti sarebbe servito? A cercare informazioni sulle
nostre mete con un mese di anticipo?» gli domando Iwaizumi,
inarcando un sopracciglio, le braccia conserte strette al petto
«dovresti imparare a prendere la vita in maniera
più rilassata, sai?»
«Ma no… non è per questo»
Tooru distolse in fretta lo sguardo da quello del suo fidanzato,
puntandolo verso il suolo «è solo che…
mi dispiace essere stato fuori da tutto, come se quello che pensassi in
merito a questa faccenda non fosse poi così
importante…»
Hajime si avvicinò a lui di soppiatto, raggiungendolo da
dietro. Lasciò scivolare le proprie braccia oltre le spalle
di Oikawa, circondandogli il collo e parte del petto in un abbraccio,
che voleva essere sia una rassicurazione che un incoraggiamento.
«Quella di non dirti niente è stata una mia idea,
a dir la verità» gli confessò Hajime,
le labbra che mentre parlava sfioravano l’orecchio di Oikawa,
la voce ridotta ad un flebile mormorio «volevo farti una
sorpresa: questo è stato un anno abbastanza intenso, la
scuola, la sfida con la Karasuno… abbiamo bisogno entrambi
di una vacanza, direi che ce la meritiamo. E poi avremo una nuova
occasione per passare del tempo insieme. Io, fossi in te, la troverei
una prospettiva piuttosto allettante.»
Oikawa ruotò appena la testa di lato, così da
riuscire a guardare in volto il suo ragazzo. L’espressione di
Iwaizumi era illeggibile, eppure il corvino continuava a fissarlo
dritto negli occhi.
«Ah sì, eh?» lo provocò
Oikawa, socchiudendo appena gli occhi, con fare allusivo «e
in che modo trascorrere insieme un’intera estate, in una
località lontana da tutte le persone che conosciamo,
potrebbe essere, come dici tu,
“allettante”?»
Iwaizumi roteò appena gli occhi, cercando di tenere a bada
l’irritazione. Certo che, quando voleva, Oikawa riusciva
proprio a tirare fuori il peggio di sé.
«Vuoi davvero che te lo mostri?» gli
domandò allora Hajime, le mani che correvano a stringere i
fianchi del suo fidanzato, aiutandolo a voltarsi verso di lui
«Sei sicuro di non conoscere già la
risposta?»
«Un ripasso non mi farà certo male»
replicò Tooru, con quel sorriso speciale e solo suo con il
quale sapeva bene di riuscire a stregare ogni volta Iwaizumi.
L’istante successivo, infatti, le labbra dell’altro
furono sulle sue, fiere e combattive come sempre, pronte a strappargli
quel sorriso vittorioso dalle labbra anche a suon di morsi, se fosse
stato necessario. Oikawa, d’altro canto, non
riuscì a non lasciar curvare gli angoli della propria bocca
ancor più verso l’alto, nel percepire come il suo
compagno non perdesse mai occasione per rubargli un nuovo bacio, mentre
lasciava che Hajime lo inducesse a distendersi sul letto alle loro
spalle.
Non appena le lenzuola si avvolsero attorno alle spalle di Oikawa, i
corpi dei due giovani ancora a stretto contatto, una voce dal piano
inferiore li richiamò alla realtà, sottraendoli
da quel meraviglioso attimo di felicità.
«Tooru? La cena è pronta!» gli
comunicò infatti sua madre, con tono squillante.
Iwaizumi non riuscì a trattenere un brontolio sommesso
contro le labbra di Oikawa, le mani ancora premute contro il petto
dell’altro, fermato da quella voce un attimo prima che
potesse iniziare ad accarezzarlo. Tooru, al contrario, non
riuscì a perdere nemmeno allora il suo proverbiale sorriso,
come se tutta quella situazione non facesse altro che divertirlo ancor
di più.
«Arriviamo, mamma!» annunciò allora,
senza concedere una particolare inflessione alla sua voce.
«Niente ripasso» borbottò poco dopo
Hajime, le labbra ancora a pochi centimetri di distanza da quelle
dell’altro; per alcuni istanti, prima di quelle sue parole,
si erano limitati a restare in silenzio, petto contro petto, ad
ascoltare i propri respiri, mentre le dita dell’ace
s’infilavano tra i capelli del setter.
Oikawa, alle parole di Iwaizumi, non riuscì più a
trattenere una risata di sincero divertimento; non rifiutò,
poco dopo, la mano che l’altro tese nella sua direzione, per
aiutarlo a rialzarsi.
«Vedrai, avrai largamente modo di rifarti quando saremo
arrivati a destinazione, Iwa-chan» commentò
allora, con le lacrime agli occhi dalle risate, accettando di buon
grado l’aiuto di Hajime.
Come aveva previsto, non riuscì a sottrarsi al colpo alla
nuca che Iwaizumi gli rifilò di lì a poco con la
mano, ciò tuttavia non fece altro che contribuire
all’aumentare delle risa di Oikawa, mentre i due si avviavano
verso le scale per raggiungere il pianoterra.
Il viaggio era andato in maniera sorprendentemente positiva. Il loro
volo non aveva avuto alcun genere di ritardò, né
s’erano verificate turbolenze durante la tratta aerea. Oikawa
era riuscito a ottenere il posto accanto a quello di Iwaizumi senza
neppure insistenza – la madre di Hajime glielo aveva ceduto
spontaneamente e, almeno all’apparenza, con estrema gioia
– e dormire con la testa poggiata contro la spalla del suo
ragazzo era stata, perlomeno a detta di Tooru, una delle esperienze
più coinvolgenti della sua vita. Riusciva a percepire il
calore di Iwaizumi così vicino a sé, una presenza
impossibile da negare e che aveva finito per invadere completamente il
suo corpo, con estremo piacere di Oikawa. Aveva ceduto volentieri il
posto finestrino a Hajime solo per il gusto di potersi trovare il
più possibile a contatto con il suo corpo, tuttavia ogni
qual volta gli si presentasse l’occasione non aveva mai fatto
a meno di sporgersi in avanti, ammirando con vibrante stupore le nuvole
tingersi di rosato al tramonto, negli occhi lo stesso luccichio di un
bambino dinanzi al bancone dei dolciumi. Che poi, in quei momenti, il
suo braccio sfiorasse inavvertitamente
il petto di Iwaizumi era solo
una coincidenza, o almeno questo era ciò che continuava a
ripetersi Oikawa.
Una volta atterrati, una caotica Roma li aveva accolti a braccia
aperte. Quella, lo sapevano bene, non era la loro meta finale,
bensì – purtroppo – solo una tappa di
passaggio nel loro viaggio verso la Puglia. Già,
perché era in quel luogo che si sarebbe svolta la
villeggiatura delle due famiglie.
I genitori di Oikawa li avevano preceduti, partendo con qualche giorno
d’anticipo per constatare le condizioni della zona. Da Roma
avevano deciso di proseguire in treno, sperando di raggiungere
più in fretta la loro destinazione; peccato che, a causa
dell’assenza di una linea diretta, i due coniugi erano stati
costretti, con loro grande disappunto, a fare scalo in
un’altra località, decisamente fuori mano rispetto
alla meta prefissata.
In accordo con i genitori di Hajime, già prima della
partenza era stato unanimemente deciso che il secondo gruppo avrebbe
testato un metodo di spostamento diverso, così da poter
decretare, una volta che fossero stati provati entrambi, quale fosse il
più comodo e magari, chissà, optare per un
ritorno assieme con un unico mezzo. Vista l’esperienza non
propriamente positiva dei genitori di Tooru, la possibilità
da parte dei coniugi Iwaizumi e dei due ragazzi di raggiungere la
Puglia in auto era ora decisamente più realistica.
Li attendevano altre sei lunghe ore d’auto, tuttavia Oikawa
era certo che sarebbe riuscito a tenere Iwaizumi impegnato, tra soste
in autogrill e battute idiote.
Poi, però, i timori che lo avevano attanagliato
già prima ancora della partenza, tornarono di colpo ad
aleggiare, tetri e inquietanti, nella mente di Tooru.
«… e poi attraverseremo il traforo del Gran Sasso,
lungo più di dieci chilometri…» stava
giusto annunciando Iwaizumi, intento a fissare la cartina stretta tra
le sue mani.
Per poco Oikawa non finì per strozzarsi con la bevanda
energetica gassata che stava sorseggiando.
«Co-come hai detto?» domandò tra i colpi
di tosse, la voce più alta di un’ottava rispetto
al solito.
Immediatamente lo sguardo di Iwaizumi si puntò su di lui; il
ragazzo lo fissò con un’espressione dubbiosa in
volto, inarcando un sopracciglio; dai sedili anteriori del minivan,
anche le due paia di occhi dei genitori di Hajime si volsero nella sua
direzione, preoccupati dall’improvvisa reazione di quel
ragazzo che avevano visto crescere accanto al proprio figlio fin dalla
più tenera età.
«Tutto bene?» gli chiese Iwaizumi, incapace di
tenere a bada quel cipiglio apprensivo che s’era impossessato
prima della sua espressione, pervadendogli ora anche la voce.
«S-sì, certo…! Va tutto
bene…» rispose Oikawa, cercando di sfoderare il
suo sorriso migliore – con l’unico intento di
rassicurare Iwaizumi e i suoi genitori.
I due adulti tornarono a voltarsi, lo sguardo puntato in avanti sulla
strada. Hajime, invece, lasciò un’ultima, intensa
occhiata al ragazzo, per poi rivolgere nuovamente tutta la sua
attenzione alla mappa, dove aveva segnato con un pennarello colorato la
strada che avrebbero dovuto percorrere.
«Iwaizumi?» lo chiamò Oikawa, con un
filo di voce.
«Mh? Cosa c’è?» gli
domandò di rimando Hajime, senza distogliere lo sguardo
dalla cartina.
«Qua-quanto manca a quel… traforo?» gli
chiese Tooru, lo sguardo inquieto che saettava da una parte
all’altro dell’abitacolo, incapace di fissarsi in
quello dell’altro; cercò di non fare caso al
groppo in gola che aveva appena inghiottito – “non
lasciare che Iwaizumi si accorga della tua agitazione” si
ammonì mentalmente.
Hajime sollevò lo sguardo dalla mappa, di nuovo accigliato,
e lo lasciò posarsi ancora una volta sul suo ragazzo. Ormai
conosceva fin troppo bene Oikawa, sapeva accorgersi con assoluta
certezza quando c’era in lui qualcosa che non andasse
– e di certo adesso non c’era niente che fosse a
posto, affatto.
«Una mezz’ora, all’incirca.
Perché?» lo informò, con tono neutrale,
senza tuttavia riuscire a ricacciare indietro tutte le domande che
avevano iniziato a ronzargli per la testa.
«Oh, no, così… per
curiosità» affermò Tooru, sperando che
Hajime si accontentasse di quello; in realtà era lui stesso
il primo a dubitare che ciò sarebbe avvenuto, visto che le
parole che aveva appena pronunciato non erano risultate credibili
neppure alle proprie orecchie.
Iwaizumi, tuttavia, si limitò ad abbassare ancora una volta
gli occhi sulla cartina, senza aggiungere null’altro; Oikawa,
invece, voltò subito lo sguardo verso il finestrino,
rincorrendo con gli occhi i paesaggi che si susseguivano
all’esterno dell’abitacolo: colline ricoperte da
distese infinite di spighe dorate andavano via via diradandosi,
lasciando sempre più posto a montagne, la cui altitudine non
faceva altro che aumentare ad ogni chilometro che percorrevano. Quando
erano partiti da Roma, quella mattina, la prospettiva di ritrovarsi
già lì, poche ore dopo aver pranzato, gli era
sembrata assolutamente irrealistica; ora che, invece, erano quasi
arrivati, la realtà si era di colpo abbattuta su Oikawa.
Quelle montagne altissime gli infondevano una sensazione di oppressione
tremenda e indicibile. Oikawa si sentiva così terribilmente
piccolo, dinanzi ad una manifestazione della natura tanto
maestosa; la cosa che più lo infastidiva – e lo
terrorizzava al tempo stesso – non era tanto la percezione di
essere un così microscopico puntino in movimento rispetto
alla vastità del resto del mondo, no, quella era una
sensazione che aveva provato anche in aereo e che non lo aveva per
niente infastidito. Il suo irrazionale terrore nasceva nel momento in
cui posava gli occhi su quelle creste così elevate:
probabilmente, qualora qualcuno gliel’avesse chiesto, non
avrebbe nemmeno saputo dire per quale motivo lo temesse, tuttavia la
sola vista dell’imponente spettacolo che ora si trovava
davanti a sé lo terrorizzava a tal punto da fargli credere
che quelle montagne, il cielo e perfino l’universo intero
avrebbero potuto crollargli addosso da un momento all’altro.
Forse avrebbe dovuto comunicare i propri timori ai genitori del suo
ragazzo, o quantomeno a Hajime stesso, tuttavia, prima ancora che
potesse pronunciare anche solo una parola,
l’oscurità aveva avvolto ogni cosa intorno a loro.
Si aspettava che ci sarebbe stata più fila ad attenderli,
prima di entrare lì dentro, invece il traffico era
abbastanza scorrevole. Aveva, nella sua memoria, dei ricordi sfocati,
probabilmente quando era molto piccolo doveva aver attraversato un
simile tratto di strada, assieme ai suoi genitori: forse la sua paura
risaliva proprio a quei tempi, perché continuava a vedere
davanti agli occhi alcuni frammenti, una strada così buia e
lunga da suscitare nell’inconscio di un bambino le peggiori
proiezioni.
Oikawa, tuttavia, non aveva più paura dei mostri,
bensì che l’intera struttura del traforo potesse
di colpo non reggere più il peso della montagna, lasciando
che il massiccio s’infrangesse sopra le loro teste. Era
sciocco pensare una cosa del genere, lo sapeva perfettamente
– d’altronde, se il tunnel era stato progettato in
quel modo e aveva retto senza alcun problema tutto quel peso per
così tanti anni non aveva niente di cui aver paura, no?
– ma Oikawa era altrettanto consapevole che, per via della
loro natura, le paure erano irrazionali, per cui non v’era
alcun modo – o quasi – per porvi rimedio.
Iniziò a calcolare mentalmente quanto ci avrebbero messo,
mantenendo la velocità dell’autovettura costante,
a percorrere quei dieci chilometri; peccato che, nello stato emotivo in
cui si trovava, perfino quei calcoli così razionali, che di
solito gli riuscivano così facilmente, gli sembrassero di
colpo impossibili. Il suo sguardo saettava da una parte
all’altra, incapace di quietarsi, tuttavia, nonostante la
galleria fosse perfettamente illuminata, non riusciva a vedere
nient’altro che buio, intorno a sé.
Aveva cominciato perfino a sudare freddo – sentiva infatti
gocce umide imperlargli la fronte, le mani e parte del volto
– mentre quella sensazione di oppressione non voleva proprio
saperne di abbandonare il suo corpo. Per un attimo alzò lo
sguardo verso la volta del tunnel: errore madornale, se solo ci
ripensava. Immaginò quanto dovesse pesare il carico montuoso
che gravava sul cemento armato e si domandò come potesse
essere possibile che una struttura come quella riuscisse a sostenere un
carico tanto grande. “No, impossibile”
mormorò tra sé, valutando che da un momento
all’altro ogni cosa sarebbe franata addosso a lui e ai suoi
compagni di viaggio, oltre che a tutti gli altri automobilisti che
stavano attraversando quella strada assieme a loro.
Abbassò gli occhi di scatto, incapace di sostenere oltre una
vista del genere; di riflesso aprì il finestrino, sperando
che almeno il vento, che entrava nell’abitacolo ad una
velocità tale che, quando lo colpiva in faccia, sembrava
quasi che lo stesse prendendo a schiaffi, riuscisse in qualche modo a
calmarlo. “Chissà” valutò
senza nemmeno accorgersene, mentre le sue mani – che in quel
momento erano incapaci di restare immobili ancor meno del solito
– erano già partite alla spasmodica ricerca di una
bottiglietta d’acqua “magari quest’aria
vuole punirmi per la mia stupidità”.
Oikawa sapeva di non essere stupido, o quantomeno aveva la –
seppur labile – percezione che essere terrorizzati al
pensiero di attraversare un tunnel autostradale non era poi una cosa
così sciocca, affatto, solo che, in cuor suo, non era per
nulla fiero di nutrire una simile debolezza.
Una volta rimosso il tappo, si portò la bottiglietta
d’acqua, che aveva appena trovato dopo un’affannosa
ricerca all’interno della sua borsa da viaggio, alle labbra:
riuscì a bere solo pochi sorsi tremanti, poiché
non riusciva a tener ferma la mano a causa di quel terrore cieco che si
era impossessato di lui, oltre al fatto che in quel momento la sua gola
percepiva anche la bibita più fresca come
nient’altro che lava incandescente. A quel nuovo pensiero,
per poco Oikawa non rischiò di strozzarsi di nuovo, tossendo
rumorosamente mentre il liquido gli andava di traverso.
Iwaizumi si voltò a guardarlo, istintivamente: in un primo
momento, quando ancora non erano entrati all’interno del
traforo, aveva creduto che quegli strani comportamenti che
d’improvviso il suo fidanzato aveva cominciato ad assumere
fossero causati dalla stanchezza del viaggio. D’altronde, non
si erano fermati nemmeno un giorno a riposare, una volta arrivati a
Roma – magari una bella dormita nel letto comodo di un
qualsiasi hotel gli avrebbe giovato, chissà. Poi,
però, aveva sentito il battito cardiaco e il respiro di
Oikawa accelerare fin dal posto accanto: quello non era decisamente un
comportamento giustificabile, affatto. Che fosse entusiasmo al pensiero
di star passando là sotto, sempre più vicini alla
loro meta finale, dopo tutte quelle stancanti ore di viaggio? Iwaizumi
faticava a crederlo: conosceva fin troppo bene Tooru, per cui sapeva
che il suo modo per manifestare l’eccitazione era ben
diverso. Capitava spesso che si lanciasse in gesti
d’esultanza, saltellando da una parte all’altra per
la gioia, non certo che sbiancasse fino a diventare pallido quasi come
un fantasma o che il suo volto s’imperlasse di sudore. A meno
che non avesse cambiato modo di reagire dal giorno alla notte
– e Hajime ne dubitava fortemente – c’era
qualcosa di ben diverso, dietro a quelle sue reazioni.
«Ehi, Shittykawa, si può sapere che ti
prende?» domandò di colpo, incapace di
trattenersi, mentre si avvicinava un po’ di più al
corpo del suo ragazzo.
Udire la voce di Iwaizumi, per Oikawa, fu come risvegliarsi di colpo da
un incubo, tornando alla realtà: si guardò
brevemente intorno, cercando di fare mente locale. Cominciava ad essere
in uno stato talmente confusionale da non riuscire a percepire con
nitidezza ciò che lo circondava.
Buio. Automobile. Hajime. I coniugi Iwaizumi.
Traforo.
Ah.
Gli occhi di Tooru si posarono pressoché immediatamente in
quelli dell’altro ragazzo: sapeva che, in qualche modo,
Hajime sarebbe stato la sua ancora di salvezza.
Come ogni altra volta, d’altronde.
«I-io… ecco…»
cercò di mormorare Oikawa, senza tuttavia riuscire a trovare
una conclusione che gli sembrasse riassumere completamente la sua
situazione.
Già, che gli
prendeva?
Nella penombra, Iwaizumi si accigliò, certo di non essere
visibile a occhio umano.
«Hai paura, non è vero?» gli chiese,
prima che il suo cervello riuscisse a rendersi conto delle parole che
stava pronunciando.
Hajime si interrogò sul perché non ci fosse
arrivato prima: dopotutto, quelli – l’improvviso
pallore, il sudore freddo, le mani tremanti – erano tutti
segnali evidenti di una sensazione di paura, o quantomeno di panico.
Forse, la verità era che mai e poi mai, in vita sua, si
sarebbe aspettato di vedere Oikawa così tanto spaventato.
Dal canto suo, Tooru esitò prima di rispondere:
sì, aveva paura. Era davvero così evidente? In
fin dei conti, quella era davvero la sua ultima preoccupazione: non
avrebbe mai voluto allarmare il suo ragazzo, per nessuna ragione al
mondo, per cui l’idea che questo fosse invece esattamente
ciò che stava accadendo lo metteva in agitazione decisamente
di più del pensiero del luogo che stavano attraversando.
Non si era nemmeno accorto delle piccole gocce salmastre che avevano
cominciato a formarsi agli angoli del suo campo visivo, né
tantomeno di aver conficcato le unghie nel bracciolo laterale dello
sportello al suo fianco o nel proprio stesso palmo. Aprì per
un momento le labbra, cercando di trarre un respiro più
profondo degli altri e ignorando il più possibile la
frequenza del suo battito cardiaco, che ora gli martellava nel petto ad
una velocità insostenibile.
Oikawa si disse che no, nelle condizioni in cui al momento versava il
suo corpo, negare una simile evenienza sarebbe stato
pressoché impossibile.
«Sì» sospirò infine, raccolta
la dose di coraggio necessaria e approfittando del fischio del vento
che scivolava all’interno dell’abitacolo attraverso
il finestrino socchiuso – che avrebbe certamente impedito ai
genitori di Iwaizumi di intercettare la loro conversazione.
Lo sguardo di Hajime si addolcì, mentre un lieve sorriso
comprensivo compariva sul suo volto. Subito si mosse in maniera
composta sul proprio sedile, avvicinandosi impercettibilmente a Oikawa.
Tooru sentì il suo ragazzo stringergli un braccio attorno
alle spalle, così da poter avvicinare il suo corpo a
sé, mentre sul volto di quest’ultimo tornava a
formarsi la solita espressione seria.
«Perché non me l’hai detto
prima?» gli domandò ancora Hajime, intrecciando le
dita tra i capelli dell’altro.
«Credevo che sarei riuscito a sopportarlo»
mormorò di rimando Oikawa, sospirando nuovamente –
questa volta di sollievo «non volevo che ti preoccupassi per
me, o che scoprissi di questa mia stupida debolezza.»
L’altro scosse la testa, accompagnando il gesto con un lieve
sbuffo di disapprovazione.
«Ehi… siamo insieme, ricordi?» gli
rammentò Iwaizumi, inarcando contemporaneamente entrambe le
sopracciglia «Per cui ogni volta che ci troveremo in
difficoltà non dovremo temere di confidarci con
l’altro, perché ci siamo ripromessi che
affronteremo assieme tutti gli ostacoli che ci si presenteranno
davanti, lungo il nostro cammino, d’accordo?»
Oikawa si limitò ad annuire lievemente, negli occhi ancora
le tracce ben evidenti di quelle lacrime infauste; Iwaizumi adesso
aveva spostato lo sguardo nuovamente davanti a sé, sulla
strada buia che stavano percorrendo, così Tooru lo
imitò.
«Facciamo così» propose Hajime, senza
smettere di massaggiare lievemente la nuca del suo ragazzo
«se riesci a resistere in questa posizione fino a quando
saremo usciti da qui, ti guadagnerai un bacio. Che ne dici?»
Oikawa sorrise debolmente, cercando l’altra mano di Iwaizumi
per potergliela carezzare lievemente.
«Beh, sai che a queste condizioni potrebbe quasi rivelarsi
una sfida più facile del previsto?»
commentò poco dopo, quel lieve sorriso che Iwaizumi era
riuscito a fargli riacquistare che adesso proprio non ne voleva sapere
di andarsene dal suo volto.
Hajime sbuffò, rifilandogli uno schiaffo sul collo
– questa volta però più lieve rispetto
al solito.
«E se perdo?» gli domandò Oikawa, che a
quel gesto si lasciò sfuggire una breve risata.
«Ti beccherai un altro schiaffo – solo che
più forte di questo» decretò Iwaizumi,
con un’espressione seria piuttosto contrastante col clima
giocoso che ora aveva pervaso i sedili posteriori.
«Ce la posso fare» commentò allora
Tooru, continuando a ridacchiare appena.
Poggiò la testa sulla spalla di Iwaizumi, chiudendo gli
occhi. No, non avrebbe tenuto conto dei secondi che passavano; si
sarebbe limitato a godersi la sensazione estatica delle dita di Hajime
che tracciavano sentieri invisibili sulla sua nuca, rilassandosi e
cercando di non pensare più al loro tragitto, almeno per un
po’. Il vento continuava a entrare dal finestrino socchiuso,
mentre alla radio un cantante iberico intonava, con voce calda e
seducente, il ritornello del nuovo tormentone estivo. Sarebbe stata una
vacanza fantastica, non ne aveva dubbi.
Stava quasi per assopirsi, quando avvertì quei lievi
colpetti contro la spalla.
Oikawa aprì di scatto gli occhi, per poco non restando
ferito dall’intensità della luce del giorno, che
di colpo era tornata ad avvolgere ogni cosa.
Ci mise qualche secondo per realizzare che, finalmente, erano sbucati
dalla parte opposta del tunnel. Oikawa sorrise, ancora un po’
intorpidito: il calore piacevole del corpo di Iwaizumi, che
d’un tratto s’era fatto così vicino a
lui, l’aveva rassicurato a tal punto che, per poco, non aveva
finito per addormentarsi.
«Beh, ti ci vuole così poco per
addormentarti?» gli domandò Hajime, rammentandogli
per l’ennesima volta dell’assenza di centimetri che
intercorreva tra loro.
Oikawa si voltò subito verso di lui, rivolgendogli il suo
sorriso migliore.
«Che posso farci se ho un fidanzato così
rassicurante?» replicò, gli occhi color nocciola
splendenti come stelle.
Iwaizumi sbuffò, trattenendosi a stento dal non malmenarlo
per l’ennesima volta.
«A volte, quando fai così mi fai passare la voglia
di mantenere le promesse che ti faccio» commentò
Hajime, trattenendogli il mento tra pollice e indice «poi
però mi ricordo di quanto io ti ami e tutto passa.»
Ciò detto, posò le sue labbra su quelle di
Oikawa, carezzando queste ultime con inaspettata delicatezza.
Nell’istante esatto in cui si separarono, il sorriso beato
che si era formato sulle labbra di Oikawa non abbandonò le
labbra del setter.
«Per quello che vale, ti amo anch’io»
mormorò Tooru, le guance leggermente arrossate, mentre
entrambi tornavano a voltarsi in avanti, assumendo nuovamente una
posizione seduta corretta.
Attorno a loro le montagne stavano tornando a diradarsi, per lasciare
il posto alle colline dai campi dorati. Oikawa sorrise, ancora stretto
tra le braccia di Iwaizumi.
Avevano superato anche
quell’incubo insieme.
Angolo autrice
Okay. Ci ho messo tre giorni a finire questa fanfiction, tuttavia spero
almeno che ne sia valsa la pena.
Anzitutto, buon pomeriggio! Questa è la terza storia che
pubblico qui e devo dire che ormai potrei anche averci quasi preso
gusto. Oltretutto, come ho già avuto modo di dire in altre
occasioni, l’IwaOi è la mia OTP del fandom di
Haikyuu!!,
per cui ogni volta poter tornare a scrivere su di loro
è per me sempre motivo di immensa gioia.
Partiamo dal motivo per cui questa storia è nata: qualche
settimana fa è capitato anche a me, così come ad
Oikawa e Iwaizumi, di imbarcarmi in un lungo viaggio, che mi ha portato
alla scoperta di nuovi paesi. Durante quest’ultimo, mi
è capitato di dover attraversare lunghi trafori
autostradali, raggiungibili solo attraverso percorsi pieni di curve che
s’inoltravano sempre di più attraverso montagne
altissime. Ecco, non so perché, tuttavia in quei momenti mi
sono sentita invadere da una sensazione di oppressione orrenda. In quei
momenti ti senti terribilmente piccola e insignificante,
però io credo che non sia questo – come accennavo
nella storia – il problema principale.
Quell’oppressione sfocia ben presto in panico, che ti fa
temere perfino le cose più assurde, ad esempio che
un’intera galleria con tanto di montagna possa di colpo
crollarti addosso, così, senza nessun motivo apparente. E
questo è ciò che avviene all’interno
della mia fanfiction, o che quantomeno ho cercato di ripercorrere
attraverso le reazioni di Oikawa.
Stando alle mie ricerche, la paura di attraversare le gallerie o i
trafori autostradali rientra comunque nella claustrofobia, il terrore
degli spazi chiusi o troppo angusti e si manifesta sotto forma di
attacco di panico, ossia attraverso sudorazione eccessiva, aumento
della frequenza respiratoria e del battito cardiaco,
difficoltà a deglutire, mancanza d’aria e altri
sintomi, ad esempio vertigini o vampate di calore. È un
quadro riconducibile ad uno stato ansioso acuto, tuttavia non sono un
dottore né studio medicina, per cui non vorrei sbilanciarmi
troppo in dettagli tecnici del genere; tuttavia, avendo io stessa
sofferto spesso di attacchi di panico, in galleria o meno che fosse,
diciamo che descrivere questo particolare stato emotivo non sia stato
poi così difficile. Spero di aver mantenuto un certo rigore
medico, tuttavia qualora non dovesse essere così non esitate
a farmelo notare!
La shot nasce principalmente come motivo di sfogo personale dopo aver
vissuto un’esperienza del genere, che per me è
stata una vera e propria fonte di stress. Tendo spesso a ripercorrere
delle vicende spiacevoli che mi sono accadute attraverso i miei
scritti, una volta ho perfino parlato di depressione – ma
questa è un’altra storia. Ad ogni modo, adesso
penso di stare decisamente meglio; mi spiace solo di aver fatto patire
questo strazio a quei poveri patati di Oikawa e Iwaizumi. Poverini,
loro non se lo meritavano di certo, soprattutto Tooru, però
se volete potete vederla così: almeno lui al suo fianco
aveva Iwa-chan, io invece ero da sola e in un paese sconosciuto, pensa
un po’ te che fortuna. Non lo dico per fare la vittima,
però sul serio, in quei momenti sono stata parecchio male.
Boh, questa fanfiction mi ha prosciugata di tutte le mie energie, per
cui penso che la finirò qui. Ringrazio chiunque
leggerà la storia, chi arriverà fino a qui e gli
impavidi che decideranno di inserirla tra le ricordate o le preferite,
con un particolare occhio di riguardo verso coloro che decideranno di
recensire – sempre che esistano delle persone a cui questo
scritto possa essere interessato sul serio, certo. Volevo infine
dedicare la storia alla mia amica Ayumu,
grande fan di questa coppia,
che non perde mai occasione di tirarmi su di morale nei miei momenti di
sconforto. Sei veramente un tesoro, chissà come farei se non
ci fossi tu ♥
E niente, con questo è davvero tutto. Vi saluto, sperando di
poter tornare presto a scrivere su questo meraviglioso fandom, che mi
ha accolta a braccia aperte e in cui finalmente, dopo tanto tempo, mi
sento a casa.
Aria