Ellen
sfrecciava veloce in aria, mentre i suoi mossi capelli biondi erano
accarezzati
dal vento.
Volava pensierosa ma determinata verso il palazzo di Ludir.
Entrata nel palazzo, salì ai piani superiori e
passò un lungo corridoio per arrivare davanti ad una porta.
Bussò, ma non ricevette risposta.
Bussò ancora, e disse:
«Rose, so benissimo che sei lì dentro. Percepisco
la tua aura»
«Che vuoi, Ellen?» le rispose la ragazza. Ellen
percepì un tono di disperazione. Esattamente come pensava.
La conosceva troppo bene!
«Aprimi» disse lei risoluta.
«E perché dovrei?»
«Perché so che in questo momento hai bisogno di
me»
Per qualche istante Ellen non udì più nulla, ma
poi sentì dei passi che si avvicinavano alla porta. Poi, il
rumore di una chiave dietro la porta, e di nuovo dei passi, questa
volta che si allontanavano.
La ragazza posò la mano sulla maniglia della porta, che si
aprì.
Rose era stesa sul letto, accovacciata su un lato e con la schiena
rivolta verso la porta, così che Ellen, in quel momento,
potesse solo vedere la sua lunga chioma e il suo vestito rosso.
Sì avvicinò a lei e si sedette sul letto, proprio
dietro la sua schiena, sporgendosi verso di lei per guardarla in viso.
Era completamente coperto di lacrime e gli occhi tristi erano semi
chiusi.
La ragazza bionda le poggiò una mano sul braccio, che a
scatti si sollevava per via dei singhiozzi.
«Su, tesoro, non fare così» le disse
Ellen, tentando di rincuorarla. La faceva stare male vederla
così.
«E’-è t-tutta colpa m-mia» fu
la frase che Ellen riuscì ad udire tra i singhiozzi
«N-non avrei mai dovuto fare q-quello che ho fatto»
il pianto si fece più intenso «non mi
perdonerà mai»
«Ma che cosa ne sai» le disse con tono pacato
«Potrebbe benissimo cambiare idea»
«I-invece no» replicò lei
«prima m-mi ha detto c-che ci vorrà del tempo, e
che poi gli passerà tutto… e q-quindi vuol dire
che gli ci vorrà del t-tempo e che poi si
dimenticherà d-di me…»
«Ma non è vero! E se invece voleva intendere che
gli ci vorrà del tempo e poi riuscirà a
perdonarti?»
«N-no Ellen, non è assolutamente
così…»
Rose girò il viso verso il basso, schiacciandolo sulla
coperta e ricominciando a piangere a dirotto.
Ellen, per confortarla, mosse la mano su e giù sul braccio
di Rose.
«Beh, anche se fosse così, io sono sicura che
riuscirai a superare tutto questo, Rose. Insomma, siamo riuscite a
superare – o, per lo meno, a superare solo parzialmente
– la morte dei nostri genitori, quindi sono sicura che
riuscirai a superare anche questa»
«S-sì, ma lui oltre te era l’unica
certezza che avevo in quest’inferno… e adesso non
c’è più n-neanche lui»
Seguì un breve silenzio, nel quale si sentivano solamente i
singhiozzi di Rose; Ellen, intanto, aveva lo sguardo triste fisso nel
vuoto, a pensare.
Poi, le venne in mente qualcosa che poteva migliorare l’umore
della sua migliore amica.
«Rose» disse con tono concitato, strattonandola
leggermente per avere la sua attenzione «Sai che cosa mi ha
detto David prima, dopo che te ne sei andata?»
«C-che cosa?» chiese la ragazza con una vocina
triste dietro la quale si nascondeva un pizzico di curiosità.
«Io gli ho detto che ha solamente tre settimane di tempo per
pensarci su, passate le quali potrebbe anche non rivederti mai
più. E lui sai che cosa mi ha detto? Che se la deve pensare
in questo modo allora ritornerebbe subito da te»
I singhiozzi di Rose si attenuarono: Ellen osservò il viso
intristito e devastato dalle lacrime di Rose, notando che la ragazza si
era fermata a pensare su ciò che aveva appena sentito.
Non ebbe nemmeno il tempo di sentire ciò che Rose poteva
pensarne al riguardo, che subito dovette di nuovo piegarsi in avanti
dal dolore.
«Ahia» disse, mentre sul suo viso compariva una
smorfia di dolore.
«Ellen, stai bene?»
Rose, preoccupata, si mise seduta per tentare di aiutare
l’amica.
«Di nuovo?» le chiese Rose.
«Già» rispose lei, ancora piegata in due.
Si alzò subito e corse in bagno.
Non poteva più trattenersi.
Vomitò nel water, e subito dopo si sentì
leggermente meglio, anche se comunque si sentiva una pezza.
Si alzò, scaricò e si appoggiò sul
lavandino per darsi una sciacquata.
Alzò lo sguardo e vide riflessa nello specchio
l’immagine di una ragazza dal viso devastato, devastato dagli
eventi e dal malessere che provava in quel momento. Il viso era bagnato
dall’acqua che si era appena versata sul volto.
Le goccioline cadevano nel lavandino, mentre lei continuava ad
osservarsi.
Quanto era cambiata! Osservò attentamente quei occhi azzurri
che aveva ereditato da suo padre e da sua nonna. Se un tempo erano
stati lucenti e pieni di vita, adesso invece le apparivano spenti e
stanchi.
Le sembrava di essere una persona completamente diversa da quella che
era stata fino all’anno prima… prima che tutto
accadesse.
Fu in quel momento che accadde: rivide, riflessa nello specchio, la
stessa persona che era un anno prima.
Adesso, però, non si trovava più nel triste bagno
grigio del palazzo di Ludir, ma era nel bagno luminoso di casa sua, che
si osservava allo specchio.
Il suo viso era molto più pulito, i capelli ben curati e i
suoi occhi emanavano gioia.
Sì, era felice perché oggi era il suo compleanno.
«Ellen, allora? Ti sbrighi ad uscire dal bagno?»
Era la voce maschile di suo padre che urlava dietro la porta del bagno.
«Sì, papà! Un attimo e
scendo!»
«Ok. Ti aspetto giù»
Sentì dei passi allontanarsi, mentre lei continuò
a darsi una sistemata al suo bel viso.
Dopo qualche minuto scese le scale di casa sua e, ancor prima di
mettere piede sull’ultimo gradino, notò una torta
sul tavolo della sala.
Appena la vide il suo volto si illuminò dalla
felicità e si mise a correre velocemente per andare a
guardare meglio.
Sulla torta c’era scritto: Tanti auguri principessa!
Accanto alla torta c’era una piccola scatola incartata, con
un fiocchettino rosso ed un bigliettino sopra. Aprì il
biglietto e lesse:
Tanti auguri, mia
adorata principessa.
Sono fiero di te e ti
auguro tutto il meglio dalla vita.
Ti voglio tanto bene,
ricordalo sempre.
Papà
Non appena ebbe finito di leggere, sentì i suoi occhi
inumidirsi.
Tolse l’incarto dalla scatola e l’aprì:
dentro c’era un ciondolo, che terminava con una decorazione
di forma ovale. Appena posò le dita su di essa,
notò che si poteva aprire: dischiudendosi, comparvero tre
cerchietti ovali, uno attaccato all’altro.
Su uno c’era il volto di suo padre, con i capelli viola a
caschetto e i suoi occhi azzurri radianti di felicità.
In quello centrale c’era lei stessa, Ellen.
Nel terzo, invece, c’era il volto di una donna dai capelli a
caschetto che le arrivavano fin sopra la spalla, lisci e biondi. I suoi
occhi verdi mostravano la felicità e la spensieratezza che
tanto l’avevano contraddistinta. O, almeno, era quello che
Ellen ricordava di lei, di sua madre.Quanto le mancava…
Forse era per la nostalgia che l’aveva presa
all’improvviso oppure per la felicità del regalo
che aveva appena ricevuto, oppure per tutte e due, fatto sta che la
ragazza non riuscì più a trattenersi e
scoppiò in lacrime.
«Oh, tesoro!»
Suo padre era spuntato dalla cucina con un vassoio in mano, sopra il
quale c’erano due tazzine.
Appena la vide, posò il vassoio sul tavolo e si
avvicinò a lei, portando delicatamente la testa della
ragazza sul suo petto. Lei si strinse a lui, piangendo, mentre lui le
diede un bacio sulla testa e la abbracciò più
forte che poteva.
La ragazza, che tra le braccia del padre si sentiva al sicuro,
scostò un attimo la testa dal suo petto per osservare di
nuovo il ciondolo.
Osservando il ciondolo, tutto cambiò: non era più
tra le braccia di suo padre e non c’era nemmeno quella luce
quasi abbagliante e rassicurante che c’era prima.
Adesso si trovava di nuovo nel bagno triste e buio di prima, mentre
guardava il ciondolo.
Lo lasciò andare ed esso ricadde sul suo petto.
Ellen alzò lo sguardo e decise di fare una promessa alla
ragazza che le ricambiava lo sguardo nello specchio:
«Combatterò, papà.
Combatterò per rendere giustizia a te e a tutti gli
altri»
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