Giovedì,
14 giugno 2012
Quando
mi sveglio, la mia gamba è sempre più gonfia e mi fa un
male dannato.
Provo
ad alzarmi dal letto, appoggiando prima il piede sinistro e poi,
piano, il destro, ma appena mi alzo in piedi il dolore è tale
da farmi urlare.
Torno
a sedermi sul letto, con la schiena appoggiata allo schienale.
Me
ne sto lì, con la gamba dolorante distesa, l'altra raccolta
contro il petto e la fronte poggiata sul ginocchio.
E'
così che mi trova Asia quando entra, senza bussare.
"Leo!
Ti ho sentito urlare! Cosa c'è? Hai fatto un incubo?"
chiede mentre si avvicina al mio letto.
"La
gamba" le rispondo. "È peggiorata. Mi fa così
male che non riesco ad appoggiarla".
La
vedo trasalire mentre la osserva, poi mi tocca la fronte: "Hai
ancora la febbre. Telefono in ospedale. Sento se la dottoressa
Lisandri ha tempo di vederti".
Mi
viene in mente che dalla Lisandri sarei dovuto andarci l'altro ieri,
ma l'evento
che mi ha travolto me ne ha fatto completamente dimenticare.
Il
posto dove ho vissuto gli ultimi ricordi che mi legano a lei.
Il
posto dove lei se n'è andata.
Il
posto dove ho più sofferto in assoluto.
Mi
sento quasi svenire a rimetterci piede.
Mi appoggio alle pareti di
metallo dell'ascensore dell'ospedale e respiro forte, mentre aspetto
che raggiunga il piano dove c'è lo studio della Lisandri.
"Entro da solo"
dico, suscitando le proteste di Asia. "Per favore"
aggiungo. "Non sono un bambino!"
"Va bene" sospira
lei, sedendosi rassegnata in sala d'aspetto, mentre io busso alla
porta dello studio.
"Leo, volevo dirti che
mi..." comincia a dire la Lisandri, venendomi incontro, quando
entro nel suo studio.
Io sollevo una mano
scuotendo la testa, per fermarla subito: "Va bene. Grazie."
Non voglio sentire
l'ennesima frase di condoglianze.
Lei sembra capirmi e non
infierisce oltre, passando direttamente al motivo per il quale sono
qui: "Vieni, siediti sul lettino, con le gambe stese".
Indosso dei jeans corti, che
mi arrivano alle ginocchia e mentre salgo sul lettino non mi sfugge
lo sguardo allarmato della Lisandri che ricade sulla mia gamba.
"Da quanti giorni è
così gonfia?" mi chiede mentre indossa i guanti.
"Non so, due... forse
tre...".
Quando la tocca non riesco a
trattenere un gemito di dolore. "Ti fa molto male?".
Annuisco lentamente,
trattenendo il respiro mentre lei continua a tastarmi la gamba.
"Quando ha cominciato a
farti male? Te lo ricordi?"
"Circa tre settimane
fa. Stavo correndo, quando ho dovuto fermarmi perchè mi faceva
male."
"Nessun evento
traumatico? Una caduta? Una botta?".
Scuoto la testa: "No..."
"Sei sicuro?"
"Me ne ricorderei!"
"Hai preso degli
antinfiammatori? O qualcosa per il dolore?"
"Solo un giorno per
andare a pallanuoto. I primi giorni era sopportabile, pensavo che
sarebbe passato nel giro di poco. Poi ha cominciato a peggiorare,
ma..."
"Ma avevi altro per la
testa."
"Sì."
"Asia mi ha detto che
da un paio di giorni hai anche la febbre."
"Sì..."
"Sei sicuro che siano
solo due giorni?".
Provo a ripensare agli
ultimi giorni trascorsi: "Ma sì! Il giorno del mio
compleanno stavo bene."
"E non l'hai mai
misurata?"
"No".
Comincio ad essere agitato.
Non mi piace trovarmi in
questa situazione.
Non mi piacciono tutte le
sue domande.
"Provvediamo subito
allora" mi dice porgendomi un termometro.
Controvoglia prendo il
termometro digitale e me lo porto sotto l'ascella.
Mentre aspettiamo che suoni,
la Lisandri continua il suo interrogatorio: "Altri sintomi?
Spossatezza? Inappetenza? Brividi di freddo?".
La guardo negli occhi,
cercando di leggere dietro le sue domande, ma lei è
impassibile.
Mi solleva che Asia non sia
entrata con me: la sua ansia non avrebbe fatto altro che accrescere
la mia.
"Tutti" rispondo,
ignorando l'istinto di mentirle.
"Tutti..." ripete
lei mentre il suono che indica che il termometro ha finito rompe il
silenzio che si è venuto a creare.
"39,2" dico
porgendole il termometro.
Lei lo guarda per un
momento, poi lo mette via. "Togliti la maglietta" mi ordina
indossando il fonendoscopio. Mi fa respirare profondamente, mi fa
tossire, mentre mi ausculta il petto e poi la schiena.
Mi
esamina la gola, dentro e fuori, toccandomi sotto la mascella e sul
collo.
"Metti
un braccio dietro la nuca, così..." mi dice posizionando
il mio braccio destro e cominciando a toccarmi sotto l'ascella e
tutto intorno, per poi fare lo stesso col sinistro.
"Abbiamo
finito, ti puoi rivestire" dichiara gettando i guanti nel
cestino e andando a sedersi alla scrivania.
Mi
rimetto la maglietta, scendo dal lettino e vado a sedermi di fronte a
lei.
Resto
in silenzio mentre la guardo compilare diversi fogli.
"Allora
Leo, ho bisogno di una radiografia e di analisi del sangue" dice
mentre apporta il timbro URGENTE su due fogli per le
prescrizioni.
"Analisi
del sangue? Perché? Cosa c'entrano con la gamba?"
"Mi
preoccupa la febbre. Non hai bronchite, polmonite, tonsillite o altro
che possa giustificare una febbre così alta. Potrebbe essere
un'infezione o... non so" sospira scrivendo qualcos'altro su un
foglio bianco.
"Cosa
sarebbe quel non so?!" domando mentre il mio piede
comincia a muoversi nervosamente per conto suo.
"Senza
prima vedere gli esami qualsiasi diagnosi sarebbe prematura. Prima di
andare via, vai in accettazione con queste" mi dice porgendomi
le prescrizioni. "Ti daranno un appuntamento al più
presto". Prendo in mano i due foglietti rossi e li guardo senza
capirci più di tanto. A quanto pare è vero che i medici
hanno una scrittura incomprensibile. Poi mi porge un altro foglio,
stavolta bianco con scritto qualcos'altro che non riesco a decifrare.
"Con
questo vai in farmacia, è un antipiretico da prendere ogni
quattro ore se la febbre supera i trentotto gradi. Va preso a stomaco
pieno, quindi sforzarti di mangiare almeno un pochino anche se non ti
va. Per il dolore preferisco non prescriverti niente per evitare di
compromettere i risultati degli esami del sangue. Pensi di farcela a
resistere?"
"Sì"
rispondo, un po' disorientato da tutte quelle informazioni.
"Evita
qualsiasi tipo di sforzo o sovraccarico alla gamba. Assoluto riposo,
se puoi, finché non ne sappiamo di più."
"Ok."
"Ti
è tutto chiaro?" mi chiede togliendosi gli occhiali e
guardandomi negli occhi.
"Sì".
Giulia:
"Amore, come stai? Che ti hanno detto in ospedale? Sei già
a casa? Posso venire a trovarti?
".
Preferisco
rispondere solo all'ultima domanda: "Non aspetto altro
"
Dieci
minuti dopo sento suonare il campanello; avverto la voce di Asia e
poi quella più squillante di Giulia, scambiarsi qualche
parola, che dalla mia camera non riesco a decifrare; poco dopo Giulia
bussa alla mia porta ed entra sorridente tenendo in mano un vassoio
con delle fette di pane e marmellata.
"Tua
sorella ci ha preparato la merenda!" ride lei appoggiando il
vassoio sul mio comodino per poi salire sul letto e sedersi accanto a
me.
"Crede
che abbia ancora cinque anni..." brontolo io cingendola con un
braccio.
"Ma
no, è così dolce! Si preoccupa per te! Ha detto che
devi prendere la medicina e mi ha ordinato di farti mangiare!";
Giulia si sporge verso il comodino e prende una fetta di pane con la
marmellata di albicocche: la mia preferita. Asia ci sa proprio fare.
"Su, da bravo! Dai un morso!" mi incita avvicinando il pane
alla mia bocca.
"Ti
diverte questa situazione?!"
"Ho
sempre sognato di fare la crocerossina a un bel ragazzo!"
sorride lei baciandomi sulle labbra.
"La
cosa potrebbe risultare vantaggiosa allora..." dico prendendole
il pane dalle mani e dando un morso. "Però dovresti
procurarti una divisa..."
"Vedrò
cosa posso fare..." dice guardandomi maliziosa, mentre io
continuo a mangiare. "Come va la gamba? Ti fa molto male?"
"Se
sto fermo è sopportabile."
"Ma
cosa ti hanno detto?"
"Devo
tornare in ospedale sabato per fare una radiografia" dico mentre
lei mi porge un'altra fetta di pane. "E anche le analisi del
sangue" aggiungo con un tono contrariato.
"Non
mi dirai che hai paura?"
"Un
po'" ammetto. "Non mi piacciono gli aghi."
"Vuoi
che venga con te?"
Io
le sorrido accarezzandole i capelli: "No... Verrà mio
padre. Si è addirittura preso un permesso dal lavoro per
accompagnarmi. Non me lo aspettavo."
"Perché?"
"Credevo
che non avrebbe più rimesso piede in quell'ospedale. Ma a
quanto pare la mamma gli ha fatto promettere di occuparsi della mia
gamba... e lui ha già saltato la visita di stamattina perché
era al lavoro, così sabato rimedia accompagnandomi a fare gli
esami."
"Ma
non ti hanno cosa potrebbe essere?"
"No.
La Strega ha detto che è presto per dirlo, ma che la preoccupa
questa febbre senza un apparente motivo, per questo vuole che faccia
gli esami del sangue."
Giulia
prende una pastiglia di antipiretico e la bottiglietta d'acqua dal
mio comodino e me le passa: "Sei preoccupato?"
"Ma
no..." mento, sfregandomi un occhio. "Di sicuro non è
niente...".
Lei
mette via la bottiglietta e si siede a cavalcioni su di me.
Il
mio cuore accelera all'istante.
Le
prendo il viso tra le mani e la bacio dolcemente; lei porta una mano
sulla mia nuca e risponde al bacio con altrettanta dolcezza.
“Grazie”
sussurro appena.
“Di
cosa?” mi chiede lei sorridendo.
“Perché
mi fai dimenticare di tutto il resto”.
Lei
mi sorride di nuovo e mi accarezza il viso; “Ti amo” mi
dice arrossendo.
Giulia
mi ha appena detto “Ti amo”.
Lo
immaginavo, certo, che fosse innamorata di me, ma sentirselo dire fa
tutto un altro effetto.
E
che si fa in questi casi?
Le
devo dire “Anch'io”? O forse è meglio dire “Ti
amo” a mia volta...?
Non
lo so, sono in difficoltà.
E
mentre cerco di capire quale sia la cosa giusta da dire, lei si
avventa sulle mie labbra e mi bacia con passione; l'abbraccio
stretta, come se potesse scomparire, mentre lei mi circonda con le
gambe. Tutto il suo corpo preme contro il mio, facendomi impazzire;
mi toglie la maglietta e non ci capisco più niente: le abbasso
le spalline della canotta e lei se la fa scivolare fino in vita,
mettendo in mostra il reggiseno a balconcino azzurro che lascia
scoperta la parte superiore del suo seno.
L'effetto
di quella visione sul mio corpo non tarda a farsi sentire.
Avverto
il sorriso di Giulia contro le mie labbra, quando si accorge della
mia erezione che preme contro di lei; mi si struscia lentamente
contro mentre si china verso di me per baciarmi il collo; il mio
respiro accelera e mi lascio sfuggire un gemito; porto le mani sulla
sua schiena e le sgancio il reggiseno.
Lei
sembra non avere nessuna intenzione di fermarmi.
La
matita con cui si era tirata su i capelli cede, lasciandoli ricadere
sulle sue spalle ormai nude.
La
mia lingua cerca la sua con un senso di bisogno impellente.
Il
suo profumo mi sovrasta.
Le
sfilo il reggiseno e lei non mi ferma.
Mi
allontano dalle sue labbra e schiudo gli occhi per guardarla: è
bellissima.
Il
suo seno è bellissimo, il suo viso imbarazzato è
bellissimo, i suoi occhi maliziosi sono bellissimi.
Glielo
dico: “Sei bellissima”.
Lei
sorride e abbassa lo sguardo, mordicchiandosi le labbra.
Inizio
a riempirle il collo di baci mentre lei mi accarezza i capelli, come
per incitarmi a continuare.
Le
sfioro un seno.
Lo
accarezzo con delicatezza.
Lo
tocco con più decisione. Vorrei
averne di più.
Ancora
di più.
Chino
la testa verso il suo seno e comincio a baciarlo.
Prendo
un capezzolo tra le labbra.
Lo
mordicchio piano.
Lo
lecco.
Lo
succhio.
Giulia
soffoca un gemito contro i miei capelli; si aggrappa alla mia
schiena.
Vorrei
fare l'amore con lei, in questo istante.
Le
mie mani si spostano verso il bottone dei suoi pantaloncini, ma lei
le ferma. "Una
cosa alla volta" dice con la voce affannata. “Ricordi?” Io
alzo la testa per guardarla in viso: "Ok". Lei
ride e mi scompiglia i capelli, forse notando la nota di delusione
nella mia voce: "E poi c'è tua sorella di là!"
dice recuperando il reggiseno.
"Me
n'ero completamente dimenticato! Diciamo che Asia era l'ultimo dei
miei pensieri..." "Ho
notato!" esclama Giulia ridacchiando mentre si rimette il
reggiseno e si sistema la canotta; si tira di nuovo su i capelli,
fermandoli con la matita, poi si riavvicina a me, guardandomi
maliziosa: "Puoi comunque stringermi, eh!". Io non mi
faccio di certo pregare.
"Si
sta bene anche così" dice abbracciandomi. "No?"
"Sì,
si sta bene anche così".
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