ReggaeFamily
Must
be Serious!
[John]
Mentre
aspettavamo un taxi, presi Bryah da parte e feci in modo che Leah non
potesse udire la nostra conversazione. Per fortuna lei e Shavo
stavano ridendo e scherzando tra loro e parvero non badare troppo a
noi.
«Bryah,
senti... Leah non sa che io e i miei amici facciamo parte di una band
famosa» esordii a bassa voce.
La
giornalista inarcò le sopracciglia. «Davvero?»
Annuii.
«Già. Cerca di non farglielo sapere, eh?»
aggiunsi.
«Come
vuoi. Ma sei sicuro?» indagò Bryah con fare
cospiratorio.
«Di
cosa?»
«Del
fatto che Leah non vi abbia riconosciuto» spiegò
pazientemente la donna.
Mi
guardai attorno e sospirai. «In realtà qualche sospetto
ce l'ho.»
Bryah
schioccò le dita e sghignazzò. «Beccato. Be', ci
penso io, non preoccuparti.»
Stavo
per ribattere, quando Shavo ci richiamò e notai che un'auto si
era fermata all'ingresso del vialetto.
Quando
salii a bordo del taxi, non avevo la minima idea di cosa Bryah
volesse fare, ma mi sentivo un poco agitato perché speravo che
non rivelasse troppi dettagli a Leah.
Health
Inna Roots, meglio conosciuto
con l'acronimo HIR,
era un locale carino e accogliente: si trattava di un chiosco sulla
spiaggia, una struttura articolata su due piani interamente costruita
in legno chiaro; Leah e Shavo ci trascinarono al piano superiore, il
quale era interamente ricoperto di vetrate che permettevano di
mangiare con una visuale pazzesca sull'oceano. Le grandi finestre
erano quasi tutte aperte e lasciavano che una forte e tiepida brezza
dal profumo salmastro allietasse la permanenza dei clienti.
Una
volta seduti a un tavolo posto accanto a una delle tante vetrate,
prendemmo a esaminare il menu. Aggrottai le sopracciglia,
domandandomi cosa avrei potuto mangiare. Forse rice and
peas poteva essere accettabile,
in fondo si trattava soltanto di riso e fagioli. Niente di
complicato.
Le pietanze avevano dei nomi
che non riuscivo a comprendere e non avrei saputo proprio cosa
scegliere. Leah se ne accorse e mi lanciò un sorrisetto:
sedeva di fronte a me e mi osservava da un po', come se si aspettasse
qualcosa che io non riuscivo a cogliere.
«Che c'è, John?
Non sai cosa mangiare?» mi punzecchiò divertita.
«Sì che lo
so... prendo il riso con i fagioli» affermai.
«Ma
John, il rice and peas non
ti basterà! Al massimo puoi ordinarlo come contorno» mi
fece notare Bryah, scambiando un'occhiata divertita con Leah.
«Dovresti
prendere qualcos'altro. Io mi tuffo sul pesce oggi, questo profumo di
mare mi mette di buonumore! Quando mangiamo allo Skye Sun Hotel,
siamo sempre rinchiusi in ristorante... non è la stessa cosa»
borbottò Shavo, indicando una pietanza sul menu che portava il
nome di pesce escovitch.
«Vuoi davvero mangiare
del pesce marinato nel succo di lime? Ma che roba è? Non mi
ispira affatto...» bofonchiai, scuotendo leggermente il capo.
«Oh, andiamo! Devo
pregarti anche oggi di provare qualcosa di diverso?» mi
stuzzicò ancora Leah, incrociando le braccia al petto.
«Non stiamo facendo
colazione, ora il nostro patto non è valido»
sottolineai.
«Non fare tante
storie» intervenne Bryah. «Ti consiglio qualcosa io.
Pesce o carne?»
La osservai dubbioso.
«Pesce?» azzardai.
«Se sei diffidente,
puoi provare a prendere del pesce fritto e, magari, sperimentare sul
contorno. Che ne pensi?» proseguì Bryah.
Annuii. «Forse.»
«Allora... che ne dici
di pesce fritto, riso e banane verdi?» propose la donna.
Mi accigliai. «Verdi,
hai detto?»
«John, cazzo! Vuoi
sperimentare o no?» si inalberò Leah, mollandomi un
calcio sotto il tavolo.
«Ahi.»
«Ordinerò io
per te» decise Bryah, chiudendo di scatto il menu e richiamando
l'attenzione di un cameriere.
Circa mezzora dopo, mi
ritrovai a gustare il mio pesce fritto aromatizzato con un sacco di
spezie e peperoncino, contornato da riso e banane verdi.
L'accostamento era piuttosto strano, ma il mix di sapori riuscì
a convincermi e mi ritrovai a finire il mio pasto prima di quanto
immaginassi.
Leah e Bryah si scambiarono
un'occhiata complice.
«Qui il cinque,
sorella!» strillò la giornalista.
«Siamo
un'ottima squadra, sista!»
esultò l'altra.
«Siete un po' matte
voi due» disse Shavo, finendo di mangiare a sua volta.
«Cosa facciamo
adesso?» domandò Leah, scrutando al di là della
vetrata.
«Una passeggiata?»
proposi, sentendo la necessità di sgranchirmi le gambe e
scaldare i muscoli. Poteva sembrare assurdo, ma stavo risentendo
tantissimo del fatto di non poter suonare la batteria.
«Ma non ti stanchi mai
di essere in perenne movimento? Io vorrei buttarmi in spiaggia e
dormire...» si lamentò subito Shavo.
«Hai sonno?» si
preoccupò Leah, posando gli occhi scuri sul mio amico. Era
sempre più palese, almeno ai miei occhi, che tra quei due ci
fosse del tenero, o almeno che qualcosa stesse pian piano prendendo
forma. Qualcosa di bello, di forte, di inspiegabile.
«Eh, un po'»
replicò il bassista, grattandosi dietro l'orecchio destro.
«Colpa mia! Non
avresti dovuto dormire su quella sedia.»
«Infatti non ci ho
dormito, ero sveglio per quasi tutto il tempo» ammise ancora
Shavo, sorridendo mestamente alla sua interlocutrice.
«Sei uno sconsiderato,
Shavarsh!» lo rimproverò lei con disappunto.
A quel punto mi venne
spontaneo chiedere: «Com'è che non ti incazzi con Leah
per come ti si rivolge?».
Tre paia di occhi si
posarono su di me, ma non mi scomposi e sostenni le loro occhiate
indagatrici.
«Perché
dovrebbe incazzarsi con me?» chiese infine Leah, mossa dalla
sua solita e implacabile curiosità.
«Lui odia essere
chiamato Shavarsh» precisai, godendomi l'espressione del
bassista che si riempiva d'imbarazzo.
«Sul serio?»
strepitò Leah. «Non è possibile!»
«Possibilissimo»
confermai.
«Ma sei uno stronzo,
Dolmayan!» mi accusò l'oggetto della discussione.
«Così impari a
contraddirmi quando ho voglia di fare due passi, razza di bradipo»
controbattei, indirizzandogli un sorrisetto divertito.
«Questa poi!»
Ormai Leah stava ridendo e non riusciva più a trattenersi. Si
allungò verso Shavo e gli posò una mano sul braccio.
«Davvero lo odi?»
«Abbastanza»
borbottò lui, senza sollevare lo sguardo su di lei.
«Mi dispiace.»
«Macché...»
fece il bassista con noncuranza.
«Mi sa che non gli dà
poi così tanto fastidio» intervenne Bryah, strizzandomi
l'occhio.
«Per farmi perdonare,
ti offro un gelato! Ci stai?» propose Leah, senza staccare gli
occhi dalla figura di Shavo.
Lui la guardò in viso
e sorrise. «Ottima idea! E poi andiamo in spiaggia a dormire?»
«Ma certo che sì!»
Io e Bryah ci guardammo
perplessi.
«Gelato per tutti
allora!» affermò la giornalista, poi tutti insieme ci
dirigemmo a pagare il conto.
Mi voltai a guardare Leah e
Bryah. «Ragazze, possiamo offrirvi noi il pranzo?»
«Non se ne parla!»
negò con sicurezza Bryah. «Siamo nel Medioevo per caso?»
«Appunto.
E poi Shavarsh... ops, ehm... lui
me l'ha offerto anche ieri. Quindi non esiste!» si fece avanti
la più giovane, dando di gomito al bassista.
«Ma...» provai a
protestare.
«Niente ma, John!»
Le due si avvicinarono al
bancone e, dopo aver battibeccato tra loro per almeno dieci minuti,
Bryah ebbe la meglio e offrì il pranzo a tutti, asserendo che
eravamo suoi ospiti perché lei era l'unica a essere
giamaicana.
Non sapevo su quali
fondamenta basasse quel ragionamento bizzarro, tuttavia decisi di non
contraddirla e la seguii all'esterno, dove Leah e Shavo ci
aspettavano.
«Gelato!»
gridarono come bambini, indicando un chiosco sulla spiaggia a pochi
metri da noi.
Sospirai. Mi sembrava di
essere in vacanza con dei figli adottivi, e meno male che Daron non
era nei paraggi!
Trascorsi il pomeriggio a
passeggiare con Bryah, mentre Leah e Shavo se ne stavano stravaccati
in riva al mare.
Io e la giornalista
chiacchierammo un sacco, ma io provavo molto disagio; da quando avevo
scoperto che aveva un compagno, non riuscivo più a essere
spontaneo come all'inizio. Tra noi si era creata una sintonia
incredibile, e questo perdurava nonostante io mi comportassi in
maniera leggermente fredda e distaccata. Possibile che soltanto io
avvertissi quella tensione tra di noi?
Mentre viaggiavamo verso
l'albergo, stanchi ma felici, Leah prese a raccontare che aveva
cantato la ninna nanna a Shavo e che lui si era addormentato come un
bambino con la faccia nella sabbia.
«Ma perché oggi
ce l'avete tutti con me?» protestò il bassista
contrariato.
«Andiamo, non
prendertela! E poi ha anche sbavato!» proseguì Leah
imperterrita.
«Leah, sei terribile!»
strillò Bryah, per poi scoppiare a ridere e rovesciare la
testa all'indietro. Rimasi incantato dal profilo del suo volto, dai
capelli ricci e ribelli che le carezzavano il collo, dalla maglia
azzurra che aderiva perfettamente alla rotondità delle sue
forme...
«E posso continuare a
chiamarlo Shavarsh, sapete? Mi sento fortunata!»
La voce di Leah mi riportò
alla realtà e mi accorsi solo in quel momento che stavo
sorridendo come un idiota. Dove stava andando a finire la mia
serietà? Quel fottuto viaggio in Giamaica mi stava consumando
i neuroni.
«Prima o poi ti
strangolo, Leah Moonshift!» borbottò Shavo, scuotendo il
capo con fare esasperato.
«Io pensavo che
soltanto Daron sbavasse nel sonno» osservai.
«Cazzo, smettetela!»
si lagnò ancora il bassista.
«Ti vogliamo bene, non
fare così» lo rassicurò Leah in tono ironico,
accarezzandogli la schiena.
Tra quei due era davvero
cambiato qualcosa, ne ero certo. E forse neanche loro se n'erano
accorti, forse non riuscivano a capirlo, ma era come se cercassero un
perenne contatto fisico, come se non potessero stare lontani neanche
per un secondo.
Era buffo, però ero
proprio contento per Shavo: almeno lui avrebbe potuto concludere
qualcosa, a differenza mia.
Una volta in albergo, Bryah
mi sussurrò: «Vado a sondare il terreno con Leah».
«Cosa intendi fare?»
mi preoccupai.
«Sono una giornalista.
Fidati di me» disse soltanto, poi si avvicinò all'altra
ragazze e le propose di andare in spiaggia insieme.
Così le due si
accordarono per ritrovarsi nella hall poco dopo e si avviarono verso
le loro stanze.
Anche io e Shavo salimmo al
terzo piano insieme a Leah, godendoci lo spettacolo che si estendeva
sotto di noi; l'ascensore panoramico riusciva sempre a incantarmi,
era impossibile distogliere lo sguardo dalla spiaggia dorata e
dall'infinità del mare.
«Voi venite con noi in
spiaggia?» ci chiese Leah, fermandosi di fronte alla porta
della sua stanza.
Declinammo l'invito e ci
accordammo per vederci più tardi.
«Oggi non usciamo,
vero? Io sono distrutto» mormorò Shavo, sbadigliando
rumorosamente.
«Come volete»
disse Leah. «Tu sicuramente non vai da nessuna parte. Direi che
possiamo starcene belli e tranquilli in terrazza.»
«Concordo»
affermai.
«Allora è
deciso. A dopo, belli! Fate i bravi!» ci salutò Leah,
passando distrattamente una mano sul braccio di Shavo.
Una volta rimasti soli in
corridoio, decidemmo di andare a controllare che Daron fosse ancora
vivo.
Ci aprì, mostrandosi
piuttosto stralunato: indossava una camicia hawaiana troppo larga su
un paio di bermuda verde militare. Era scalzo e teneva tra le dita
uno spinello.
«Qualcosa non va?»
gli domandò Shavo, spingendolo dentro, dato che il chitarrista
non accennava a spostarsi.
«Direi di no... ehi,
state invadendo la mia privacy!» ringhiò Daron poco
convinto.
«Che casino questa
stanza!» mi lasciai sfuggire, tappandomi teatralmente gli occhi
con le mani.
«Fatti i cazzi tuoi,
Dolmayan.»
Il bassista si fermò
accanto alla portafinestra che conduceva al piccolo balcone di cui la
camera disponeva. «Sei di malumore» constatò con
cautela, studiando i movimenti nervosi del nostro amico.
«E allora?»
esplose Daron, serrando la mano libera e premendosela sulla fronte.
«Cosa è
successo?» gli chiesi, posandogli gentilmente una mano sulla
spalla. Avvertivo chiaramente la tensione in lui, tremava e riusciva
a stento a stare fermo.
«Non è successo
un cazzo, okay?» sbottò il chitarrista, scrollandosi le
mie dita di dosso.
«Okay, Johnny,
lasciamolo in pace. Ma, ehi, Daron... se hai voglia di sfogarti ci
puoi chiamare, lo sai, vero?» si arrese Shavo. Doveva essere
piuttosto stanco e non aveva molta voglia di discutere o insistere
con Daron.
«Sì, sì...»
«Stasera non usciamo,
ci troviamo tutti in terrazza anche con Bryah e Leah. Vieni anche
tu?» domandai, sperando che quella notizia gli facesse piacere.
Il chitarrista scrollò
le spalle. «Non so» si limitò a replicare in tono
piatto.
«Ricevuto, ce ne
andiamo» concluse infine il bassista, afferrandomi per un
braccio e trascinandomi via.
Avrei giurato che Daron,
poco prima di sbatterci la porta in faccia, stesse trattenendo a
stento le lacrime. Quel ragazzo mi preoccupava sempre più e
non sempre sapevo come prenderlo.
Una volta in camera nostra,
Shavo si buttò sul letto e sbadigliò per l'ennesima
volta.
«Hai dormito in
spiaggia e hai ancora sonno?» lo punzecchiai. Mi posizionai in
piedi di fronte all'armadio ed esaminai i miei indumenti alla ricerca
di qualcosa da indossare dopo la doccia.
«Ho dormito
pochissimo» ammise il mio amico, mettendosi su un fianco e
socchiudendo gli occhi.
Rimasi un attimo in
silenzio, poi osservai: «Tu e Leah state bene insieme. Noto una
buona intesa tra voi due».
Il bassista riaprì di
scatto gli occhi e tossicchiò. «Ma su, non esagerare...»
minimizzò. «Piuttosto, tu vorresti farti la giornalista,
non è così?» insinuò.
«Ha un compagno»
gli feci notare.
«Ah sì? E che
importa?»
«Smetti di parlare
come Daron» lo rimbeccai.
Shavo rise. «Dai,
siamo in vacanza. Ti dovrai pur divertire, no?»
«Mi sto divertendo.»
Ci fissammo per un po', e
anche se non ci scambiammo delle altre parole, sapevo che Shavo
riusciva a leggere nei miei occhi e a capire che in realtà ero
un po' deluso. In certi momenti mi veniva quasi voglia di comportarmi
come il nostro screanzato chitarrista, ma subito dopo i sensi di
colpa mi invadevano e me lo impedivano categoricamente.
Sorrisi debolmente al mio
amico e mi infilai in bagno. Dovevo ragionare in modo razionale e non
farmi turbare troppo da ciò che mi stava capitando durante
quella strana vacanza: avevo dei progetti da tenere a mente, dovevo
continuare a studiare quei ritmi dispari sulla batteria e poi ci
sarebbe stato il concerto al Dodger Stadium.
La mia vita sarebbe andata
avanti a prescindere, anzi, era già andata avanti ancor prima
che potessi viverla.
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