Genitori in trappola!

di MissdontMissaWord
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Prologo



Mi chiamo Beth Corcoran Frequento il secondo anno del liceo di Lima, Ohio: il McKinley. Mia mamma ha insegnato qui, per un certo periodo. Sono una cheerio fiera e orgogliosa, insieme alla mia migliore amica Dominique. Insieme facciamo parte anche di uno dei Glee club della scuola, le Note Moleste. Nel tempo libero faccio da babysitter a quella bambina che mi piace considerare mia nipote, anche se a dir la verità non siamo legate da nessun legame di sangue: Rose Hummel. Siamo parenti alla lontana: mia mamma (adottiva) è sua nonna, in quanto madre biologica della sua madre biologica. Un po' un casino. No, in realtà non siamo nemmeno parenti, ma comunque l'adoro: Rose Hummel (Kurt ha voluto che la figlia non portasse entrambi i cognomi, dopo il disastroso divorzio), cinque anni di tenerezza assoluta.
Io non ho mai saputo come sia avere un padre, uno vero. Sono stata adottata, e Shelby, mia mamma, non me l'ha mai tenuto segreto. I miei genitori biologici erano troppo giovani, all'epoca del mio concepimento, per potersi prendere cura di me. Mio padre l'ho incontrato un paio di volte, ma vive lontano e anche se ogni tanto mi chiama per sapere come sto non siamo molto legati. Gli voglio bene, almeno credo, ma non ho mai passato più di una settimana con lui.
Questa era la mia vita fino a quel giorno di giugno: il giorno della morte di mia madre. Ero sempre stata in grado di affrontare la vita a testa alta perché, qualunque cosa accadesse, avevo una famiglia a guardarmi le spalle. Poco importava che quella famiglia fosse rappresentata bene o male da un'unica persona: Shelby c'era sempre stata, e ora non più. Quel diciassette giugno la mia vita è cambiata completamente: sono a casa Hummel a badare a Rose, quando ricevo quella telefonata. Mi chiudo in bagno a piangere per ore, dopo aver piazzato Rose davanti alla televisione. A Kurt non piace che lo faccia, né tanto meno a me, ma quel giorno è l'unica soluzione. Capirebbe. Dopo aver esaurito le lacrime telefono a Noah. Mi promette di chiedere la mia custodia legale e mi avvisa che si sarebbe trasferito a Lima il prima possibile. Si trasferisce, per me. Lo ringrazio, sinceramente, ma poi devo chiudere la telefonata per non ricominciare a piangere, e soprattutto perché devo tornare da Rose. La trovo sdraiata sul divano, esattamente come l'avevo lasciata: è una brava bambina. Ha spento la televisione per il tablet.
«A cosa giochi?» le domando, avvicinandomi e cercando di darmi contegno, almeno davanti a lei.
«Non gioco, guardo le foto di papà. Vuoi vedere?» sorride passandomi il tablet. Ma non è lo zoom sul volto di Kurt Hummel e Blaine Anderson in camicia nera e cravattino rosso che attira il mio sguardo, bensì due ragazze che si abbracciano dietro di loro. Per quanto riguarda quella a destra non ho idea dell'identità, ma quel caschetto biondo con i boccoli, quell'abito rosso e il sorriso di chi ha appena vinto le nazionali... quella potrei essere io. Non lo sono, ovviamente, sarebbe un po' anacronistico. Ma quella ragazza è la madre che non ho mai conosciuto, non ho mai voluto conoscere per più motivi di quanti riuscirei a esporne. Lucy Quinn Fabray.
E in quel momento, disperata per la morte di mia madre, ansiosa (e non per forza in senso buono) per il ritorno di mio padre, la sua effettiva entrata nella mia vita... tutte le motivazioni che mi sono data per non incontrarla mi sembrano stupide.
Voglio una famiglia.





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