Buonasera
a tutti!
Devo
dire che questi
sono stati per me mesi un po' confusi, oltre che carichi di esami, di
tesi da scrivere e quant'altro. Posso solo dire che aver sconfitto un
boss in Legend of Zelda – Ocarina of time è
stata la cosa
migliore e più emozionante che mi sia successa da qualche
settimana
a questa parte, e ammetto che in tutto questo la pubblicazione ne ha
un po' risentito. Ma spero che con l'arrivo dell'estate – e
la fine
della sessione estiva – finalmente le cose si facciano un po'
meno
pesanti per me.
Ciò
detto, che dire?
Questo capitolo è stato uno dei primissimi a essere scritti,
probabilmente il primo che scrissi quando decisi razionalmente di
inserire nella storia la malattia di Aima: sono cambiate tante cose
da allora, e ho potuto ultimarlo e rifinirlo in un modo che
personalmente mi soddisfa molto. I percorso di Max sta proseguendo
pagina dopo pagina.
Prima
di lasciarvi alla
lettura, non posso che ringraziare come al solito cristal_93 e Persej
Combe per le loro gentilissime recensioni.
Un
abbraccio enorme a
tutti!
Afaneia
Capitolo
IX
– La sua parte di cattiva sorte.
Nelle
ultime
settimane, la situazione si è aggravata tanto che si
è reso
necessario ricoverare Aima in ospedale. Le metastasi ai polmoni le
hanno tolto il respiro, e i dolori si sono fatti insostenibili.
Curarla a casa, anche con l'assistenza continua di sua sorella Samah
e suo cognato, e di Ivan che trascorreva a Ciclamipoli quasi ogni
minuto libero, non era più possibile. Hyra sta con loro,
adesso.
È
mezzanotte,
Ivan ancora non è rientrato dall'ospedale. È
normale, Max sa bene
quanto ci voglia a tornare da Ciclamipoli, e che il suo ritardo non
significa niente: Ivan e la sorella di Aima rimangono al capezzale
della malata finché gli inflessibili infermieri non li
allontanano.
Hyra,
però,
questo non lo sa. Max non si è sorpreso affatto quando ha
visto la
luce della cucina accesa, ma è rimasto un po' pensieroso,
indeciso
se entrare o meno. Sa che Ivan non vuole che sua figlia rimanga
alzata fino a tardi e che probabilmente, se fosse qui, la prenderebbe
in braccio e fingerebbe di sgridarla, con quella sua bassa voce roca
e il tono da pirata, mentre la riporta a letto. Ma lui non è
Ivan, e
soprattutto Ivan non è qui: Max non ha idea di quando
tornerà e sa
bene che adesso, con tutti i pensieri e i problemi che ha, non
può
permettersi di chiamarlo e disturbarlo per qualcosa che dovrebbe
essere perfettamente in grado di risolvere da solo. Non gli piace
porsi con troppa autorità nei confronti di Hyra, ma in
qualche modo
bisogna che quella bambina vada a letto.
Schiarendosi
discretamente la voce, Max entra in cucina e si sofferma sulla
soglia. Hyra è seduta al tavolo, con le gambe che oscillano
dalla
sedia a un ritmo mesto, e ha davanti a sé una tazza di latte
ancora
piena. Sulla sua superficie bianca, egli scorge il riflesso del
lampadario che vi si specchia in silenzio. Hyra sa che è
lì – lo
ha sentito – eppure non si muove.
«Ancora
sveglia a quest'ora?» chiede ad alta voce in tono di
conversazione.
Non sa mai come prenderla, questa bambina. Forse, se non dà
tanta
importanza all'andare a letto, Hyra non si sentirà messa
sotto
pressione.
Finalmente,
la
bambina alza lo sguardo e si volta verso di lui. Ha gli occhi stanchi
e tristi, gonfi, e Max si sente quasi male nell'accorgersi per
l'ennesima volta di quanto siano simili a quelli di Ivan, persino
nella tristezza. Le loro labbra hanno la medesima increspatura.
Chissà come fa una persona così giovane a
somigliare già così
tanto a suo padre.
Hyra
alza le
spalle e annuisce appena, come colta in fallo, colle labbra strette,
prima di tornare a concentrarsi sulla sua tazza di latte che non sta
bevendo.
Dopo
un po',
Max parla ancora, in tono neutro. «Non sapevo che ti piacesse
il
latte freddo a quest'ora. Ti va un po' di cioccolata, magari?»
«No,
grazie.»
Hyra scuote il capo con tanta dolcezza che a Max fa quasi male.
Questa
bambina
è piena di ottimi motivi per non dormire. Suo padre non
c'è, sua
madre è in ospedale, e per quanto lui e Ivan e sua zia
possano
cercare di tranquillizzarla e di nasconderle la reale
gravità della
situazione, in realtà tutti sanno benissimo che Hyra ha
capito
tutto. Si chiede quanto debba sentirsi sola e triste e conclude che,
al suo posto, neppure lui avrebbe voglia di dormire.
«Hai
ragione,
sai» dice infine, ma non più nel tono leggero e
colloquiale che ha
usato fino a ora. Ora la sua voce è sbrigativa e
professionale ed
egli marcia a passo deciso verso i fornelli. «La ciocccolata
è una
cosa da bambini piccoli. Gli adulti bevono caffè. Tuo padre
te lo
prepara mai?»
Quando
finalmemte, nel lucido piano dei fornelli, Max vede il riflesso degli
occhi di Hyra che lo fissano con attenzione, egli è certo di
averla
in suo potere.
«Papà
dice
che il caffè mi fa male» risponde sospettosamente.
«Tuo
padre
esagera sempre, lo sai. Ne vuoi un po'? Sarà il nostro
segreto.
Certo, se preferisci la cioccolata...»
Questa
bambina
che ancora non raggiunge il metro e trenta di altezza somiglia a Ivan
più di quanto lei stessa creda, e proprio come lui non
riuscirebbe
mai a rifiutare una sfida. Max la vede raddrizzarsi all'improvviso
sulla sedia, spingendo orgogliosamente via con la mano la tazza di
latte freddo, e sente la sua voce squillante e decisa affermare:
«Un
caffè, grazie!»
Naturalmente
Max non vuole veramente dare del caffè a una bambina di
sette anni,
e non solo perché sa che Ivan lo picchierebbe. Ragion per
cui
prepara con cura due cioccolate calde acquose e amare, vi spolvera
sopra una minuscola quantità di caffè
decaffeinato in polvere,
quanto basta per ingannare Hyra, e le porta in tavola con aria
d'importanza.
«Spero
che non
sia troppo amara per i tuoi gusti» soggiunge gravemente
mentre si
siede.
La
cioccolata
che ha preparato dovrebbe essere abbastanza cattiva da farle passare
la voglia di bere caffè almeno fino alla maggiore
età. Max la
osserva attentamente berne un piccolo sorso coraggioso ma incerto e
stringere un poco le labbra. Con la fronte stoicamente aggrottata,
Hyra si pulisce la bocca sulla manica del pigiama e afferma:
«Buona.»
Hyra è
coraggiosa e testarda come Ivan, e i suoi occhi scuri e assenti hanno
la medesima sfumatura triste dei suoi. Sono molto meno disillusi,
però. Max ha sempre trovato disturbante questa somiglianza,
fin
dalla prima volta che ha visto questo scricciolo di otto anni e forse
trenta chili di peso, e ora che per la prima volta si trova a
guardarla negli occhi e basta, senza nulla da
doversi
inventare per tenerla impegnata, e che non ci sono luci o rumori o
contrattempi o nient'altro a distrarlo da lei, capisce finalmente
perché.
Hyra
ha gli
stessi occhi di Ivan quando aveva vent'anni, al tempo delle grandi
illusioni magnanime e generose della giovinezza, quando facevano
parte di quella squadra da quattro soldi che aveva ambiziosi e
nebulosi progetti di grandezza e che poi è svanita, a poco a
poco,
senza lasciare traccia sulla terra. A quei tempi, Max ritiene di aver
parlato con Ivan forse sei o sette volte in tutto, e solo per
litigare, dato che litigare e farsi grossi e alzare la voce sembrava
l'unico modo per affermarsi e farsi notare in quella banda di
ragazzetti spauriti che si atteggiavano a criminali e salvatori del
mondo. Non si conoscevano bene, allora. Guidavano due gruppi diversi
e con compiti opposti, e odiarsi in quell'ambiente era naturale, e
Max provava un cordiale disprezzo per quel ragazzo grande e grosso,
rumoroso e confusionario che era sempre circondato da squinzie e che
portava sempre a termine ogni missione col massimo spreco possibile
di risorse e di tempo e di uomini perché si
divertiva così.
Ma dell'Ivan di quegli anni, oltre al frastuono e alla confusione e
alla vanagloriosa baldanza, Max ricorda ancora la franchezza limpida
dei suoi occhi. Con l'età la franchezza è
rimasta, certo, ma la
portata delle sue illusioni, ovviamente, si è ridotta.
È strano
ritrovare quella medesima luce negli occhi di Hyra, a distanza di
tanto tempo.
«Sei
preoccupata per tua madre?»
Gli
occhi di
Hyra si riempiono improvvisamente di lacrime, eppure lei non piange.
Mordendosi le labbra per ricacciarle indietro, con un orgoglio che
Max non pensava che i bambini potessero provare, Hyra deglutisce e
scandisce faticosamente: «Sono preoccupata perché
nessuno mi dice
mai niente.»
Nessuno
sono Ivan, sua sia, forse anche lui, per quanto poco egli sappia
davvero di ciò che sta accadendo. Max annuisce gravemente.
Hyra ha
ragione, dopotutto.
«Vedi,
Hyra...
tuo padre non ti dice alcune cose perché non vuole che ti
preoccupi.» Gli occhi incupiti di Hyra hanno un lampo al di
sotto
delle sopracciglia scure, e Max si affretta a specificare:
«So che
ottiene l'effetto opposto, ma tuo padre vorrebbe solo che tu fossi
tranquilla... e anche la tua mamma. È per questo che a volte
non ti
dicono qualche cosa, ma nessuno vuole tenerti all'oscuro.»
«Sì,
lo so,
però» borbotta Hyra senza alzare lo sguardo. A
questo però
non ci sarà alcun seguito: Max sta ormai imparando il
linguaggio
viscerale e istintivo dei bambini, con la sua vasta portata
espressiva.
«È
per questo
che sei ancora sveglia?» domanda cautamente. «Vuoi
aspettare tuo
padre per sapere come sta la mamma?»
Hyra
incassa il
capo tra le spalle e fa cenno di sì con la testa.
È ancora
imbronciata, certo, ma quantomeno parlare sembra esserle di qualche
conforto. «Ho pensato che se lo aspetto sveglia non
potrà non dirmi
niente.»
Certo
che
no. In compenso picchierà me per non essere stato in grado
di
mettere a letto una bambina di otto anni. Ma in
realtà, per
quanto cinico Max possa illudersi di essere dentro di sé, sa
benissimo che non è per questo motivo che si trova seduto
qui, al
tavolo della cucina, a cercare di mandare a letto la figlia del suo
compagno.
«Senti,
io ho
un'idea migliore. La vuoi sentire?»
Hyra
alza lo
sguardo su di lui, con l'aria di qualcuno che non abbia niente di
meglio da fare che starlo ad ascoltare, e Max si sente autorizzato a
parlare.
«Tuo
padre
sarà esausto quando tornerà e non gli
farà piacere trovarti
alzata. Invece domattina potrei pensarci io a farlo alzare presto e a
mandarlo da te. Così potrebbe svegliarti lui e tu potresti
mettertelo sotto torchio e fargli tutte le domande che vuoi. Ci penso
io a non farlo scappare. Che te ne pare come idea?»
Quanto
alle
risposte, beh, gli dispiace, ma Ivan dovrà cavarsela da
solo. Max ha
un'idea molto chiara di dove finisce il suo rapporto di patrigno,
se è così che può definirsi, e non ha
proprio alcuna intenzione di
spingersi oltre quel confine invisibile ch'egli ha ben delineato
nella sua mente.
Con
tutta la
caparbietà e la cocciutaggine che ha ereditato da Ivan, Hyra
ha
comunque otto anni, e gli occhi esausti e piccoli di sonno e gonfi di
pianto. La sua proposta, tutto sommato, dev'essere allettante.
«Davvero
lo
sveglierai presto?»
«Ehi,
sono il
grande Max, piccoletta. Pensi davvero che sia arrivato a essere
quello che sono raccontando bugie?»
Beh,
o almeno
non aveva mai saputo che fossero bugie, il che, tecnicamente, non le
rendeva tali.
«Se
me lo
prometti...» borbotta Hyra, che forse ancora non vuole
ammettere che
la sua idea tenta la sua stanchezza. Ma Max, che ormai sente d'aver
vinto ogni sua possibile resistenza, non ha intenzione di demordere.
«Già,
te lo
prometto» ribadisce con calma, spingendo discretamente via la
tazza
del suo pseudo caffè poco meno che vomitevole. «E
ora vai a letto,
piccoletta. Ci parlo io con Ivan. E basta caffè. Siamo
intesi?»
Finalmente,
dopo questa lotta che Max ha combattuto e ha vinto con tutta la
delicatezza di cui disponesse, Hyra accetta di abbandonare il campo.
Allungando le gambe, scivola giù dalla sedia e si avvia
verso la
porta, e Max può tirare un sospiro di sollievo. Forse,
dopotutto,
Ivan non lo ucciderà per questa volta.
«Max,
tu sei
uno scienziato, giusto?»
O
forse sì,
dipende. Con
un sospiro, Max si
volta sulla sedia. Hyra è tornata ad appoggiarsi alla
soglia, e a
quanto pare è anche da lui che si aspetta delle risposte,
questa
notte. Le fa cenno di sì con la testa.
«Già... una specie.»
«Pensi
che mia
mamma morirà?»
Max
vorrebbe
mentirle più di ogni cosa al mondo. Ma davanti a questa
bambina
estenuata e confusa, che non vuole nient'altro che il ritorno di suo
padre e la salvezza di sua madre, tutto ciò che trova la
forza di
dire è: «Va' a dormire, Hyra. È tardi.
Tua madre non è sola. C'è
tuo padre con lei.»
E
non c'è
niente che né lui né lei possano fare, ora. Colle
labbra strette e
gli occhi lucidi di pianto e di delusione, Hyra fa cenno di aver
capito e riprende lentamente la via della sua camera. Non ci saranno
altre domande vane, per questa notte.
Max
era così
stanco che ha finito per addormentarsi, anche se si era ripromesso di
aspettare Ivan. Ma dev'essere rincasato davvero tardi, o forse il suo
sonno doveva essere davvero profondo, perché Max si accorge
che il
suo uomo è rientrato a casa solo quando si sveglia e se lo
ritrova
accanto a sé, già – o più
probabilmente ancora –
sveglio. La cosa lo lascia un po' spiazzato.
«Quando
sei
tornato?»
Ivan
ha gli
occhi assenti, infissi nel muro di fronte al letto. Non si volta
verso di lui, ma aggrotta un sopracciglio a mo' di saluto, e questo
sembra il massimo che sia in grado di fare, al momento.
«Penso
fossero
le tre. Aima è stata... molto male. Mi dispiace se mi hai
aspettato.»
Puntellandosi
al materasso, Max si solleva a sedere sul letto. Non ha più
l'età
per le notti piccole.
«Che
cos'ha
avuto?»
«Non
l'ho
capito bene. Una specie di crisi... ha vomitato. Ma poi le hanno
messo un tubo dal naso ed è andata meglio,
credo...»
Max
fa cenno di
aver capito, anche se non è sicuro che Ivan lo stia
guardando. Pensa
di aver capito cosa è successo e, se le cose stanno come
pensa, non
c'è nulla per cui essere ottimisti.
«Hai
fatto
bene a restare là.»
Ivan
accenna un sorriso stanco, tirato, e questa è tutta la sua
risposta.
La verità è che Ivan è ancora là,
a Ciclamipoli, in quella stanza d'ospedale il cui odore
indescrivibile di disinfettante e medicinali Max conosce bene quanto
lui, per averlo sentito infinite volte sulla sua pelle e sui suoi
vestiti. Vorrebbe che esistesse un modo per strappare la sua mente da
quell'ospedale, almeno per qualche minuto, e da quell'odore terribile
e dal volto morente di quella donna, ma sa bene che questo è
impossibile.
«Ho
parlato
con Hyra, stanotte. Ho faticato un po' a mandarla a dormire. Le ho
dovuto promettere che le avresti parlato tu, stamattina.»
Parlare
di Hyra
sembra riportarlo al presente, almeno un po'. Voltandosi lentamente
verso di lui, Ivan annuisce. «Già, io... penso che
dovrò farlo.
Ieri l'ho lasciata da sola per tutto il giorno, e non penso che abbia
capito perché. Ma grazie di essere stato con lei.»
Grazie.
Forse che son
cose per cui si
debba dir grazie, queste? Ma di lanciarsi su una conversazione sopra
i massimi sistemi dell'essere genitori e patrigni e condividere
insieme la buona e la cattiva sorte e stronzate varie, francamente,
Max non ne ha propria voglia e sicuramente non l'avrà mai.
«Non
c'è di
che. Ma se dovesse dirti che le ho dato da bere del caffè,
tu non
crederle. Era cioccolata amara, solo che lei non lo sa.»
Ma
Ivan, che
normalmente dovrebbe come minimo scoppiare a ridere della sua risata
esplosiva e roboante, o infuriarsi, o qualsiasi altra cosa, non ha
alcuna reazione.
Continuare
a
insistere non servirà a niente. Per il momento, Max decide
di
lasciar perdere e di rimanere in zona: Ivan gli parlerà
quando e se
ne avrà voglia. Nel frattempo, tanto vale andarsene un po'
di là a
fare qualcosa di utile, come preparare la colazione, e aspettare.
«Max.»
Il
dolore negli
occhi di Ivan è qualcosa che Max non imparerà mai
a fronteggiare,
eppure, per quanto male sappia già che questo gli
farà, si volta
quando si sente chiamato, e si prepara a sostenere la parte che di
quel dolore gli spetta. La sua parte di cattiva sorte.
«Sì, Ivan?»
«Il
dottore è
stato chiaro. Non ce la faranno mai più portare a casa. Non
arriverà
al prossimo compleanno di Hyra e forse nemmeno a questo sabato. Ma io
come faccio a dirlo a Hyra?»
Max
si augura
con tutto il cuore che Ivan lo sappia che una risposta a questa
domanda non può esistere in nessun luogo della terra, e che
di
certo, quand'anche esistesse, non potrebbe essere lui a conoscerla.
Ma, in fin dei conti, egli lo sa che Ivan non gli ha posto questa
domanda perché spera di poter ricevere da lui una risposta,
e questo
è se possibile più terribile ancora,
perché in questo caso come
può venirgli in aiuto?
Tutto
ciò che
per il momento può fare è non uscire dalla stanza
e rimanere lì.
Anche se il peso troppo greve di domande irrisolvibili sembra rendere
la stanza opprimente e l'aria irrespirabile e lo spazio invivibile,
per lui come per il suo compagno, e sarebbe così facile
andarsene di
là e fingere che tutto questo non stia accadendo.
Perciò,
Max si
ferma sulla soglia, coraggiosamente, e aspetta.
La
voce di Ivan
è così dolorosa che potrebbe piangerne.
«
Non so cosa
fare, Max. Vorrei che Hyra restasse con sua madre per le ultime ore
che le restano, ma Aima ha un tubo nel naso e non riesce quasi a
parlare. Come posso permettere che se la ricordi
così?»
Non
c'è niente
da fare. Per quanto Max si sforzi di cercare qualcosa, dentro di
sé,
che possa almeno in parte costituire un conforto, egli non trova
niente che non sia arido e desolato e disperato e del tutto privo di
risposte. È questo tutto quello che ha da offrirgli, ma Ivan
lo sa,
ed è esattamente questo che gli sta chiedendo.
Max
torna a
sedere sul letto e aspetta.
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