A meaningless story: by Levi Ackerman.

di Sebbyno
(/viewuser.php?uid=549436)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Ricordi quanto amassi la pioggia? Il suo odore, il suono contro i vetri di casa tua, la scusante per tutti quei tè caldi sotto le coperte, i nostri fianchi vicini e il tuo braccio avvolto alla mia spalla.
Che tempi lontani. Mi sembra di ricordare un film in bianco e nero senza sonoro, e perciò non riesco a sentire la tua voce che mi racconta.
Erano tanto belle le tue parole, di qualunque cosa tu parlassi, erano belle.
Avresti potuto parlarmi del volo degli insetti, della traiettoria di un aeroplano di carta, dell'aria o del niente: ascoltarti non sarebbe mai stato un duro impegno.
Mi piaceva sentirti; quella pronuncia tedesca tanto tagliente addolcita dalla tua bocca, con cui davi un nome e un senso a tutte le cose, battezzate come Dio ha battezzato il mondo. 
"Casa" divenne la scuola, i corridoi, il prato, la strada, il vicolo o il nessun luogo in cui tu fossi presente; "mare" divenne quel blu chiaro che portavi negli occhi; "arte" fu quel disegno storpio del mio volto chiamato "Brontolo" che mi lasciasti sul frigo, arte è il tuo sorriso che potevo e posso immaginare nel firmarti "tuo Stupido"; "deserto" non è più la distesa di sabbia, ma il vuoto che ho intorno senza te che lo riempi: senza più scuola, senza più i prati, i corridoi, le strade, i vicoli, senza più Casa.
Il valore che le ho dato in questi anni, e che mi è stato tolto in questi mesi, è lo scherzo peggiore che la vita potesse farmi dopo quelli già subiti, e anche la pioggia, adesso, non fa che ridurre questo vuoto in un grigio senza fondo.
Lavorare con questo fango mi fa sentire non solo uno schiavo, ma bestiame in un recinto. 
Dovresti vedermi. Lercio e lurido come lo sterco.
La pioggia è l'unica fonte d'acqua che oggi ho avuto per lavarmi, e sotto al buco del soffitto sono rimasto per mandare via questo fetore che emano da ogni dove.
Che schifo, Erwin. Che schifo.
Non chiedo neppure di mangiare, ma lavarmi... non ci è concesso neppure questo, e perciò puzziamo, l'odore nauseabondo di morte viene dai nostri corpi ancor prima di essere carcasse.
Questa stanza è una tomba, e tutto il campo un cimitero.
Passata una decina di metri dal nostro dormitorio dai letti di paglia e polvere, una montagna di morti si erge senza sepoltura, né copertura alcuna.
I nazisti ne hanno accumulate diverse per tutto il perimetro, senza provare pena o disgusto nel vederle durante il giorno. Lì restano, e lì marciscono, deperiscono facilmente essendo più ossa che carne, e quella che resta diviene cibo per i vermi, gli insetti e i parassiti.
In ogni momento della nostra giornata, sono costretto a vedere occhi vuoti e corpi senza più una forma accatastati l'uno sull'altro come in una discarica. Rifiuti.
Il mio nome sta su un corpo che è un rifiuto, e la mia vita, per questi mostri, non vale meno di un numero.
1230. Prima di me, 1229, e prima ancora, 1228, 1227, 26, 20, 10...
Se dovessi morire qui, non scriveranno "Levi", e neppure questa cifra marchiata sul braccio.
Non avrò nome, non avrò lapide, non avrò fiori, né lacrime sulle ceneri.
Pioverà su di me, nevicherà ed essiccherò al sole.
Evaporerò, come tutti gli altri, e su questa nazione pioverà la morte di milioni, forse migliaia.
Questo paese saprà di morte, e nessuna sua gloria potrà mai ripagare questo assassinio.
Se morirò, e non avrai mai più notizie di me, cercami nella pioggia.
Pioverò su di te, e sul tuo tetto, tu non potrai saperlo, ma io pioverò sul tuo volto, e te lo dirò, Erwin, ti dirò addio in un bacio scivolandoti sulla guancia.




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3678127