Under a paper moon- capitolo 41
41. Scarlett
Non mi ero mai resa conto di quanto fosse forte l’odore del
sangue prima di allora. O meglio, avevo sentito quello del mio quando i
cacciatori mi avevano sparato, ma quello di un’altra persona era
del tutto diverso, era caldo, pungente, vagamente amaro.
L’aria era elettrica per via del temporale che stava per
scoppiare, il sentore dell’asfalto umido aleggiava intorno a noi.
Per un attimo, il tempo si era fermato dopo lo sparo.
Mi ci era voluto un po’ per capire cosa fosse successo,
l’avevo scambiato per un tuono piuttosto forte, per una porta che
veniva sbattuta, per tutto tranne che per quello che era realmente.
Perché quella possibilità era così spaventosa da
non essermi neanche venuta in mente.
Tornai in modo brusco alla realtà quando sentii il ringhio basso
e sofferente di un lupo. No, non di un lupo qualsiasi. Del mio Alfa.
Sbattei le palpebre e vidi Sean stringersi il braccio, le dita
macchiate di un rosso così vivo da sembrare innaturale.
C’era qualcosa di strano nella posizione del suo corpo, era teso,
ma allo stesso tempo piegato dal dolore, una lotta tra orgoglio e
sofferenza. E poi c’era Adam, furioso e protettivo insieme, con
un braccio intorno alla schiena dell’Alfa, le spalle dritte e lo
sguardo di fuoco puntato su qualcosa di lontano. Me ne resi conto solo
in quel momento: Sean era aggrappato a lui con la forza testarda di chi
non vuole lasciarsi andare al dolore, le sue iridi baluginavano
d’oro mentre il suo lupo lottava per limitare i danni.
Sollevando ancora di più gli occhi vidi Tristan, davanti al
quartier generale dei cacciatori, la pistola ancora stretta in mano e
puntata su di lui. La sua espressione era calma in modo spaventoso, del
tutto vuota, gelida. I cacciatori dietro e intorno a lui lo fissavano,
sconvolti quanto me.
Nathan gli si avvicinò a grandi passi, ma prima che potesse fare
qualunque cosa, lui gli puntò l’arma contro. Aveva
dimostrato di non aver paura di premere il grilletto, però
c’era una bella differenza tra lo sparare a quello che credevi
essere un mostro e sparare a chi era stato un compagno, un amico.
Senza pensarci, mi spostai per fare da scudo a Sean insieme ad Adam. Il
mio lupo scoprì le zanne con fare minaccioso facendomi nascere
una rabbia bollente nel petto. Non gli avrei permesso di portarmi via
nessuno, né il mio Alfa né chiunque altro del branco. Non
sarei stata di nuovo una vittima.
Un ringhio rabbioso e cupo nacque da qualche parte dietro di noi. Un
attimo dopo, Dawn marciò verso i cacciatori con una forza tale
che avrebbe potuto demolire un muro, forse addirittura un intero
edificio. Aveva gli occhi accesi d’oro, le zanne in mostra in un
sorriso sinistro e tagliente. Aveva abbandonato il fucile per
assecondare il proprio istinto rivelando la sua vera natura. Toby si
affrettò a raggiungerla e l’afferrò per un polso
prima che potesse raggiungere il suo scopo. Dawn scattò come un
serpente, tirando indietro la testa per guardarlo con aria di sfida, le
iridi velate di rabbia.
Nello stesso momento, Nathan aveva cercato di disarmare Tristan
dimostrando un coraggio che non credevo avesse. Lui però aveva
perso ogni briciolo di umanità e non esitò a reagire: lo
colpì con violenza al viso con il calcio della pistola facendolo
cadere in ginocchio. Prima che potesse andare oltre, Brian gli comparve
alle spalle e, veloce e silenzioso, gli passò un braccio intorno
alla gola. Tristan tentò di dimenarsi, ma la stretta
dell’uomo era ferrea.
Lo costrinse ad accasciarsi lentamente a terra, la pistola che gli
scivolava di mano, le dita che si muovevano frenetiche mentre
annaspava. Alla fine, smise di muoversi e si abbandonò come un
burattino a cui hanno tagliato i fili. Con gesti che denotavano una
certa esperienza, Brian lo fece sdraiare a terra senza troppe
cerimonie.
Nessun’altro aveva osato muoversi o fiatare, era stato tutto
troppo sconvolgente, troppo inaspettato per essere assimilato, per
poter scatenare una reazione. Nel giro di un minuto erano successe
tante cose che avevano bisogno di tempo per trovare il loro posto e
incastrarsi tra loro per ricreare una sorta di sequenza logica, dare un
senso a quegli ultimi sessanta secondi. La minaccia rappresentata da
Tristan era stata eliminata, adesso tutta la mia attenzione si
concentrava su Sean.
Mi voltai verso di lui, che nonostante la ferita si reggeva in piedi e
sembrava più che determinato a continuare a farlo. Aveva il
volto pallido e contratto, l’unico segno di sofferenza che si era
concesso era il sorreggersi contro Adam. Con un ringhio soffocato, si
staccò da lui raddrizzandosi.
Si liberò del giubbotto per poi lanciarlo a terra, lo sguardo
fisso sui cacciatori. Colsi sorpresa e timore serpeggiare tra le loro
fila. Nathan, che nel frattempo si era rialzato, si teneva una mano sul
viso, lì dove Tristan l’aveva colpito. I suoi occhi
incontrarono i miei, erano spaesati, ma non spaventati come credevo.
Sean avanzò, i passi sicuri che sembravano far tremare la terra.
Rivoli scarlatti gli scendevano lungo il braccio dandogli un’aria
più letale che sofferente. Come per un ordine implicito, noi
lupi lo seguimmo sfoderando le zanne. Percepivo il dolore del mio Alfa
propagarsi in ondate gelide dal suo corpo. I ricordi di quando io
stessa ero stata colpita da un proiettile d’argento mi invasero
la mente soffocando la lucidità.
Mi ritrovai in balia del mio lupo, smaniosa di combattere e agire.
Quella stessa energia selvaggia crepitava in tutto il branco e il suo
centro era Sean. L’Alfa si fermò a qualche metro dai
cacciatori, i muscoli della schiena in tensione, contratti, per
mascherare la sofferenza. Gocce di sangue scuro cadevano dalle sue dita
e si infrangevano contro l’asfalto, potevo quasi sentirne il
suono.
«Noi… Mi dispiace, non…» balbettò
Colin, la voce rotta dalla paura.
Me ne resi conto solo in quel momento, Sean aveva rivelato la sua
natura più primordiale: il suo lupo affiorava alla superficie
con le zanne scoperte e una furia devastante a incupirgli le iridi;
quelle dell’Alfa, invece, erano di un oro così puro e
intenso da pietrificare chiunque lo guardasse negli occhi. Gli artigli
scuri apparivano affilati come rasoi, quasi impazienti di affondare
nella carne.
Sean Leblanc era un fulmine, pura energia dalla portata micidiale
concentrata in un’unica persona, in un unico lupo. Le nuvole cupe
sopra di noi erano il suo palcoscenico. Rabbia, rancore e dolore si
trasformarono in un cocente desiderio di vendetta. L’aria
crepitava di elettricità, quasi si vedevano scintille brillare
nel vento freddo.
«Silenzio» tuonò Sean e fu un ringhio e un ruggito
insieme. «Avete fino a mezzanotte per andarvene, o giuro che
verrò a cercarvi uno a uno e non avrò nessuna
pietà.» Un sorriso sinistro, minaccioso gli incurvò
le labbra. «Vi farò pentire di non aver avuto una mira
migliore.»
Colin era sbiancato, aveva gli occhi spalancati in un’espressione
di puro terrore. Gli altri cacciatori sussultarono tremando come
foglie. Non avevo mai pensato a quanto potesse effettivamente far paura
un licantropo, né tantomeno un Alfa seguito dal suo branco.
Adesso avevo la risposta davanti ai miei occhi e dovevo ammettere che
non avrei mai voluto essere dall’altra parte.
Senza quella strana forza indomita che sentivo scorrermi nelle vene,
senza Sean e il resto dei lupi a guardarmi le spalle, mi sarei sentita
annientata dalla paura, come un cerbiatto messo all’angolo da un
predatore.
«Abbiamo capito» riuscì a dire Colin. «Domani
a Seattle saranno rimasti solo Brian e Nathan.»
«Oh, lo spero davvero» commentò Sean in tono
vagamente divertito. «Non vorrei dover venire a stanarvi.»
Colin deglutì annuendo con enfasi. Era così strano vedere
un cacciatore di licantropi che, solo poche settimane prima, mi aveva
minacciata e rinchiusa in una cella tremare di fronte a quelle che
erano state le sue prede, tremare di fronte a me. Quella consapevolezza
mi inebriava come alcol, mi faceva sentire forte e potente, pericolosa.
Erano sentimenti oscuri emersi dalle profondità più
recondite del mio animo, desideri che neanche credevo di avere. Io non
ero così, però.
Una piccola parte di me lo sapeva e lo stava urlando perché le
prestassi attenzione: Scarlett Dawson non era un mostro violento, non
lo era mai stata. Così, mentre i cacciatori si affrettavano a
sparire di nuovo dentro l’edificio che usavano come quartier
generale, portando con loro anche il corpo svenuto di Tristan, ripresi
il controllo di me stessa e del mio lupo. Fu come lavarsi il viso con
acqua gelida, all’improvviso ero del tutto sveglia e consapevole
di quello che succedeva intorno a me, non avevo più la mente
annebbiata da quella furia cupa e malata.
D’istinto, mi lanciai un’occhiata alle spalle: Adam era
rimasto qualche passo dietro di noi, l’espressione preoccupata e
le labbra piegate in una linea severa. Anche se non era un licantropo,
doveva aver percepito quel turbinio di emozioni oscure e malvagie, non
in modo assoluto e inebriante come me, ma non poteva averle ignorate.
Con un sospiro, avanzò verso Sean, potevo quasi vedere le parole
prendere forma nella sua mente, pronte per essere pronunciate in quel
tono appena saccente che in realtà nascondeva la sua
apprensione. L’Alfa si voltò verso di lui, l’oro che
ancora gli baluginava nelle iridi, e di colpo apparve esausto,
completamente stremato.
Adam dovette accorgersene, perché si sbrigò a
raggiungerlo giusto in tempo per afferrarlo e impedirgli di cadere in
ginocchio. Il sangue sul braccio del lupo sembrava essersi scurito,
adesso era nero e denso come catrame. Grazie all’udito più
sviluppato dalla licantropia, fui in grado di ascoltare Adam che
borbottava insulti contro l’irresponsabilità di Sean.
Riuscii a cogliere una nota di sincera preoccupazione nella sua voce.
«Matt!» chiamai avvertendo un’ondata di dolore
più intensa delle precedenti propagarsi dal mio Alfa.
Matthew comparve al mio fianco ansimando piano. «Ah, non va bene,
non va per niente bene» mormorò stringendo le labbra.
Gli altri lupi si raccolsero dietro Sean e Adam con fare protettivo,
lanciavano di
continuo occhiate sospettose all’edificio dove si erano rintanati
i cacciatori.
Matthew e io ci affrettammo a raggiungere l’Alfa. Di colpo, la
consapevolezza che fosse ferito mi piombò addosso stringendomi
il petto in una morsa d’ansia. Si era mostrato così forte
e invincibile davanti ai cacciatori che non avevo dato troppo peso al
sangue che gli macchiava la pelle chiara, adesso però era
l’unica cosa che riuscivo a vedere. Raccolsi la sua giacca da
terra mentre mi avvicinavo.
Matthew si sfilò la camicia, rimanendo con indosso solo una
maglietta, e ne strappò una lunga striscia. Quando si trattava
di curare qualcuno diventava preciso ed efficiente come un vero e
proprio chirurgo, perdeva tutta la sua goffaggine come per magia. Senza
dire una parola, passò la striscia di stoffa dietro il braccio
di Sean, sopra il foro d’entrata del proiettile, e la legò
come avrebbe fatto con un laccio emostatico. Il lupo si lasciò
sfuggire un ringhio soffocato, Adam aumentò la stretta su di lui
quasi senza rendersene conto.
«Devo estrarre la pallottola in fretta, o l’argento
arriverà al cuore» disse Matthew con fare sbrigativo.
«Ho i miei strumenti nella Camaro, posso farlo qui e
adesso.»
Infilai una mano in una delle tasche della giacca di Sean, quella che
sentivo più pesante, e ne trassi le chiavi dell’auto. Le
passai a Matthew che corse verso la macchina senza fiatare.
«Puoi camminare?» mormorò Adam cercando di
incrociare lo sguardo di Sean. «Se no, possiamo…»
L’Alfa sollevò il mento con orgoglio testardo.
«Posso camminare.»
Gli occhi di Adam incontrarono i miei e c’era una domanda muta in quelle iridi: stai bene? Annuii e lo vidi rilassarsi appena.
Insieme, raggiungemmo la Camaro e lui fece sedere Sean su uno dei
sedili prestando attenzione a non fargli male. Adam non si
allontanò di lì, mentre Matthew frugava nella sua borsa
di pelle cercando gli strumenti che gli servivano, rimase accanto a
Sean, fiero nonostante l’apprensione che pesava sulle sue spalle
così come sulle mie. Avevo quasi l’impressione di essere
fuori posto lì, stringevo la giacca come se avesse potuto darmi
conforto, rassicurarmi.
Sentivo Dawn parlare in tono concitato con Toby poco dietro di noi; la
presenza degli altri lupi, preoccupati per il loro Alfa, era un filo di
energia che ci circondava, sottile, ma innegabile.
Matthew ripulì la pelle intorno alla ferita sul braccio di Sean
e gli lanciò un’occhiata. «Farà male, molto.
Purtroppo non ho antidolorifici qui, ma…»
«Fallo e basta» sbottò Sean, il petto che si alzava
e si abbassava secondo il ritmo frenetico e discontinuo dettato dal
dolore.
Matthew annuì, l’espressione cupa. Si rivolse ad Adam, la
voce ferma, controllata: «Ho bisogno che tu lo tenga fermo, pensi
di poterlo fare?»
Lui annuì senza esitare, le sue mani scivolarono sulle spalle
dell’Alfa e le strinsero con decisione. Percepivo il battito
accelerato del suo cuore, eppure al di fuori non mostrava neanche un
briciolo di quel tumulto di emozioni.
Sean mi guardò e la sua espressione si addolcì.
«Non devi rimanere se non vuoi. Non sarà un bello
spettacolo, non sarebbe da codardi non guardare.»
Mi ritrovai a scuotere la testa affondando le dita nella pelle morbida
della sua giacca. «Resto. Siamo un branco, no? Dobbiamo
sostenerci a vicenda.»
Un angolo della sua bocca si sollevò appena.
«D’accordo, solo, non vomitare sulla mia macchina.»
Mi lasciai sfuggire una risata nervosa e allo stesso tempo liberatoria.
«Farò del mio meglio.»
«Okay, fallo, Matt» fece Sean prima di trarre un respiro
profondo. «In fretta.»
Un bagliore argenteo nella mano di Matthew rivelò un paio di
pinze lunghe e sottili. Nonostante i miei buoni propositi di essere
coraggiosa, serrai gli occhi quasi subito mordendomi con forza il
labbro. Il mio lupo uggiolò piano nel sentire quello di Sean
soffrire in quel modo.
Qualcuno dietro di me emise un verso molto simile a un conato, qualcun
altro lo rassicurò invitandolo a voltarsi. Socchiusi appena le
palpebre per sbirciare nel momento in cui Matthew estraeva con
espressione vittoriosa il proiettile dall’avambraccio
dell’Alfa. L’argento mandava bagliori sfumati di rosso,
quasi minacciosi. Sean imprecò tra i denti e si accasciò
contro il sedile, e di conseguenza contro Adam, mentre cercava di
calmare il proprio respiro.
Il sollievo mi rese deboli le ginocchia, dovetti aggrapparmi alla
carrozzeria della Camaro per non rovinare a terra.
Adam mi rivolse un’occhiata preoccupata. «Stai bene,
Scar?»
Annuii facendomi cadere alcune ciocche castane davanti al viso.
«Sì, sì sto bene. Sono solo…
sollevata.» Mi scostai i capelli dal viso accennando un sorriso.
«Siamo tutti interi, è una bella notizia.»
In quel momento, Dawn ci raggiunse e sembrava decisamente meno contenta
di me riguardo l’esito della nostra missione. «Ti avevo
detto che sarebbe stato pericoloso» sbottò fissando Sean
con aria accusatoria. «Te l’avevo detto più di una
volta e tu non hai voluto ascoltarmi.»
Sean si raddrizzò appena e la guardò dritto in viso. Era
ancora pallido, ma il suo sguardo era tornato determinato come prima.
«Ho fatto quello che dovevo. Abbiamo vinto, se ne andranno.
Questo,» accennò al proprio braccio macchiato di sangue,
«è solo un piccolo prezzo da pagare.»
Matthew si intromise tra loro per posare della garza imbevuta in un
liquido violaceo dall’odore dolciastro sulla ferita
dell’Alfa. «Tieni premuto… Sì, così,
perfetto. Aiuterà a ripulire il tuo organismo
dall’argento.»
Dawn afferrò con rabbia il proiettile sporco di rosso che Matt
aveva lasciato da parte e lo tenne sollevato tra due dita. «Un
piccolo prezzo? Saresti potuto morire. Sei stato fortunato, quel
cacciatore biondo deve avere un debole per noi perché senza di
lui adesso avresti una pallottola nel cervello, caro il mio
Alfa.»
Mi scostai dall’auto. «Intendi Nathan?»
Lei mi lanciò un’occhiata veloce. «Sì, lui.
Ha deviato il colpo spingendo l’altro cacciatore. È
probabilmente l’unica ragione per cui sei ancora in vita.»
Sean si lasciò sfuggire una smorfia d’irritazione. Aveva
ancora le mani di Adam sulle spalle, ma non sembrava farci caso.
«Beh, a quanto pare era così che doveva andare. Il fatto
che io sia stato graziato dalla sorte non vuol dire che ciò che
abbiamo fatto non abbia significato. Abbiamo vinto comunque.»
Dawn strinse il proiettile nel pugno fissandolo negli occhi. Ora
più che mai appariva come una regina guerriera sul punto di
decidere le sorti di un prigioniero. Quando riaprì la mano, la
pallottola era ridotta a una pallina informe. La pelle del suo palmo
era arrossata per essere stata a contatto con l’argento,
però lei non lo notò neanche. «Adesso hai un branco
che conta su di te, Sean, non puoi dare così poco valore alla
tua vita» disse con voce dura, gli occhi scuri e profondi.
Gettò ciò che rimaneva del proiettile a terra e si
allontanò a grandi passi. Sollevando lo sguardo, notai come gli
altri lupi si fossero allontanati di qualche metro per darci spazio, ma
anche come seguirono i movimenti della lupa mentre raggiungeva il
pick-up.
«Ha ragione» mormorò Adam dopo un po’.
«Le sorti di questo branco dipendono da te, se muori sarà
tutto inutile.»
Sean si irrigidì contraendo la mascella. «Quello che ho
fatto…»
«Abbiamo vinto però, ed è questo che conta»
concluse Adam, un angolo della bocca appena sollevato. Mi rivolse
un’occhiata e c’erano fulmini nella tempesta delle sue
iridi. «Seattle è nostra.»
1 settimana dopo
Il sole tiepido del primo pomeriggio mi accarezzava la pelle mentre me
ne stavo seduta sullo schienale di una delle panchine dietro la scuola.
Era stato strano rientrare in un’aula, seguire le lezioni,
prendere appunti e rivedere Elisabeth, chiacchierare con lei come se
niente fosse successo. Invece erano successe moltissime cose, e molte
altre sarebbero accadute di lì a breve senza che nessun umano se
ne rendesse conto.
Accanto a me, Nathan osservava con aria pensierosa il parcheggio che si
svuotava, il colletto della giacca militare sollevato che gli sfiorava
la mascella. La sua Jeep, di un rosso scolorito, passava inosservata,
ferma nel suo angolo sotto l’ombra proiettata dalla palestra. Sul
viso aveva ancora l’ombra del livido che il calcio della pistola
di Tristan gli aveva lasciato, un alone violaceo che si allargava sul
suo zigomo.
La prima volta che l’avevo visto era stato il giorno dopo lo
scontro con i cacciatori, allora era ancora rosso e gonfio, mi aveva
fatto salire la nausea mischiata ai sensi di colpa. Lui però
aveva minimizzato con un alzata di spalle dichiarando che le ferite di
guerra andavano portate con onore.
«È tutto così tranquillo ora» mormorò
quasi sovrappensiero.
Mi voltai a guardarlo, incuriosita. «Che intendi?»
I suoi occhi castani incrociarono i miei. «Senza Colin e gli
altri, senza la caccia… non abbiamo molto da fare. Non che sia
una cosa negativa però, anzi. Insomma, adesso io e Brian
possiamo concentrarci su quello che ci piace sul serio.»
«Per esempio? Che cosa vorrebbe fare Nathan Evans nella
vita?» gli chiesi accennando un sorriso.
«Adoro i motori e le auto, settimana prossima farò una
prova in un’officina: se andrà bene, mi assumeranno come
aiutante» rivelò con una scintilla nuova nello sguardo.
«Se ci fosse stato ancora il clan dei cacciatori non avrei potuto
farlo.»
Mi scostai una ciocca di capelli dal viso. «Beh, wow. Non hai
perso tempo.»
Lui lanciò un’occhiata alla Jeep. «Era da un
po’ che volevo farlo, ho colto l’occasione al volo.»
Mi mordicchiai il labbro. «Cosa pensi che faranno gli altri? Ora
che non possono più cacciare, intendo.»
Nathan scrollò le spalle scuotendo piano la testa. «Non lo
so, i più giovani forse andranno al college, gli altri
troveranno lavoro… Colin sarà impegnato con le pratiche
per l’affidamento di Denise, probabilmente.»
«E Tristan?» mormorai sentendo un retrogusto amaro
pizzicarmi la lingua nel pronunciare quel nome. Avevo ancora ben
impresso in mente il dolore devastante che aveva provato Sean quando
gli aveva sparato, i rivoli di sangue scuro che sembravano crepe sulla
sua pelle chiara.
«Non so davvero cosa potrebbe fare lui» commentò
Nathan prima di sospirare. «Ha così tanta rabbia dentro di
sé… È imprevedibile, come un animale
ferito.»
Corrugai la fronte. «Perché ce l’ha tanto con i
licantropi? Cioè, so che tutti i cacciatori ci considerano
mostri, ma per lui sembra una questione molto più…»
«Personale?» indovinò Nathan. «Lo è.
Tristan è convinto che i lupi gli abbiano portato via
tutto.»
«Non capisco, perché pensa una cosa del genere? Cosa gli
abbiamo fatto?» domandai cercando di incrociare il suo sguardo.
Lui si passò una mano tra i capelli, l’espressione che si
incupiva. «Devi sapere che Tristan aveva un fratello maggiore,
Gabriel. Era stato lui a istruirlo alla caccia, ad addestrarlo e
renderlo il soldato che è. Erano molto legati. Quando cercavano
e attaccavano licantropi insieme erano micidiali. Fino a che, due anni
fa, non accadde un incidente.»
Mi accorsi solo in quel momento che mi ero sporta verso di lui, quasi
temessi di perdermi qualche parola. Mi schiarii la gola ritraendomi.
«Che successe?»
«Era la settimana prima del plenilunio, erano usciti con altri
del gruppo per rintracciare un lupo che si era spinto nei boschi a nord
della città per sfuggirci» continuò Nathan, la voce
grave. «Si erano divisi per coprire un’area più
vasta e… fu una pessima idea. Il lupo era ferito, esausto,
disperato. Non appena vide Gabriel da solo non esitò ad
attaccare. Tristan era lì vicino, così intervenne, ma era
troppo tardi: il licantropo aveva morso suo fratello.»
Richiamai alla mente la lezione di Sean sui morsi e le trasformazioni e
un brivido mi scese lungo la schiena quando mi ricordai che solo un
piccolo numero di persone che venivano morse riuscivano a sopravvivere
senza riportare danni irreparabili. Rimasi in silenzio, aspettando che
fosse Nate a scegliere di continuare.
Trasse un respiro profondo prima di riprendere a parlare:
«Tristan e gli altri riportarono Gabriel nel quartier generale
lasciando perdere il lupo. Le regole dei cacciatori sono molto severe,
soprattutto quando uno di noi viene morso. Le applicarono anche quella
volta, senza esitazioni. Gabriel fu chiuso in una cella, gli venne dato
un pugnale d’argento e gli dissero di togliersi la vita per
evitare che al mondo ci fosse un altro di quei mostri.»
Un moto di nausea mi strinse la gola. «Non è possibile… Gli hanno detto di uccidersi?»
Nathan chinò la testa torturandosi le mani in grembo. «Non
potevano lasciarlo a piede libero, ed era suo dovere in quanto
cacciatore eliminare quella minaccia. Sarebbe morto con onore
piantandosi con le sue stesse mani un coltello nel cuore.»
«E l’ha fatto? O si è rifiutato?» chiesi con
impazienza. L’urgenza di sapere era l’unica cosa che mi
occupava la mente.
«Lo fece» mormorò Nate. «La mattina dopo lo
trovarono riverso in una pozza del suo stesso sangue. Aveva mantenuto
fede alla sua promessa di ripulire il mondo dai licantropi, fino alla
fine. Da quel momento, Tristan non fu più lo stesso.»
Schiusi le labbra, incredula, prima di stringerle con rabbia. «E
perché Tristan da la colpa ai lupi? Non siamo stati noi a
mettere un coltello in mano a suo fratello e a dirgli di
suicidarsi!»
«Quel licantropo l’aveva morso, però. Sia Tristan
che Gabriel erano troppo coinvolti, troppo ossessionati dalla missione
dei cacciatori per fermarsi a pensare se fosse giusto, sbagliato o
anche solo sensato» commentò lui tirando fuori le chiavi
della Jeep e rigirandosi l’anello del portachiavi attorno al
dito. «Il clan era tutto quello che avevano. Dopo la morte dei
loro genitori, Colin li aveva accolti e aveva dato loro un riparo. Sono
l’unica famiglia che è rimasta a Tristan.»
Mi venne spontaneo pensare a Sean, Adam, Matthew e Dawn, ai clienti del Luna di Carta…
Loro erano una sorta di famiglia per me, insieme a mia madre. Erano
tutti diversi, ognuno con le sue complessità e i suoi difetti,
eppure in qualche modo funzionava. Ci guardavamo le spalle a vicenda,
cercavamo di rispettarci e di sostenerci il più possibile sotto
lo sguardo vigile di Sean. Forse, adesso che io stessa avevo provato
cosa significava avere una famiglia allargata che ti protegge, potevo
capire la rabbia esplosiva di Tristan. Lo capivo, ma non lo perdonavo,
non potevo farlo.
«È orribile» sussurrai fissando il parcheggio senza
vederlo veramente. «Come si può chiedere a un ragazzo di
uccidersi per via di una vecchia leggenda?»
«Sai, agli umani serve qualcosa in cui credere, uno scopo…
il famoso “bene maggiore”. Per Gabriel e Tristan è
stato unirsi alla caccia, credevano di fare la cosa giusta» fece
Nathan. «Nessuno ha mai raccontato loro l’altra parte di
verità. Io sono stato fortunato, ho avuto la possibilità
di fare altro oltre a cacciare, di conoscere altre realtà e
costruirmi una mia idea del mondo, lui no.»
Riuscii solo a scuotere la testa, avevo la lingua secca,
inutilizzabile. Non c’era pietà
nei clan di cacciatori, c’erano solo credenze cieche e assolute
che non ammettevano dubbi o ripensamenti. O eri con loro, o eri contro
di loro.
«Non sto cercando di giustificarlo, comunque» aggiunse
Nate. «Quello che ha fatto è orribile e imperdonabile. Ci
ha portati sull’orlo di una guerra… più di quanto
non fossimo già. Se Sean non fosse stato clemente, saremmo tutti
morti.»
Ricordavo la rabbia selvaggia che mi aveva scosso il petto quando Sean,
ferito e sanguinante, aveva affrontato di petto i cacciatori. Il branco
era stato al suo fianco, ma ero certa che lui l’avrebbe fatto
anche da solo. Molti non avevano condiviso la sua scelta di risparmiare
Colin e il suo gruppo, avrebbero voluto vederli morti una volta per
tutte, ma lui era stato irremovibile. E quando l’aveva ribadito
per l’ennesima volta di fronte a tutto il branco, riunito davanti
a lui al Luna di Carta, avevo
scorto una scintilla d’orgoglio nello sguardo di Adam.
«Lo so» mormorai. «So che non condividi il suo gesto.
Non saresti rimasto altrimenti.»
I suoi occhi castani, sempre vivaci e affamati, indugiarono su di me
per qualche secondo, prima di scivolare via. «Già.»
Rimase in silenzio per un po’, come se stesse riflettendo sul
senso della vita. «Credi… credi che potremmo rivederci
ogni tanto? So che Sean non vede di buon’occhio me e Brian
nonostante l’accordo, ma…»
«Sì, possiamo» mi sentii dire pur senza ricordare di
aver deciso di farlo. «Insomma, sarebbe utile anche per il branco
instaurare una buona relazione con te. E Brian.»
La tensione che gli irrigidiva le spalle si sciolse e sulle sue labbra
si aprì un sorriso. «Vero, la diplomazia è
fondamentale quando si mette in atto un accordo.» Lanciò
le chiavi in aria e le riprese al volo scoccandomi un’occhiata
divertita.
Adesso appariva così giovane… pareva avere a malapena
diciotto anni, tutta l’oscurità del suo passato era
scomparsa, almeno per un po’. Nonostante avesse rinnegato i loro
principi e si fosse allontanato da loro, Nathan aveva trascorso gran
parte della sua vita con i cacciatori e questo l’aveva
influenzato, l’aveva segnato: uccidere qualcuno, licantropo o
meno, a sangue freddo era un’esperienza che ti rimaneva addosso,
come una cicatrice.
Non eravamo poi così diversi alla fine, anche io portavo un
segno fisico e tangibile del mio passato. Anzi, più di uno,
perché alla luce della luna piena il segno del morso che mi
aveva trasformato affiorava sulla mia pelle, traslucido e impalpabile.
Nathan infilò una mano nella tasca della giacca e ne trasse il
cellulare. Diede uno sguardo allo schermo aggrottando la fronte prima
di rimetterlo via. «Devo andare» mormorò
rivolgendomi un sorriso di scuse. «Ci vediamo presto, mmh?»
aggiunse poi, una scintilla di speranza nelle iridi castane.
Ricambiai il sorriso annuendo. «Sì, certo. Quando vuoi.»
Lui si mordicchiò il labbro, esitando per una manciata di
secondi. Poi si alzò per incamminarsi verso la Jeep. A
metà strada, si voltò continuando a camminare
all’indietro e mi rivolse un saluto militare che mi
strappò una risata. Rimasi a guardarlo mentre si allontanava,
una piacevole sensazione di calore che mi nasceva nel petto. Era stato
un cacciatore e questo era innegabile, ma Nathan Evans si stava
impegnando sul serio per cambiare e questo gli andava riconosciuto.
«Scarlett.»
Trasalii rischiando di finire poco elegantemente a terra quando sentii
una voce chiamarmi da dietro. Mi aggrappai alla panchina conficcando
gli artigli mezzi allungati nel legno e mi voltai, il cuore in gola.
Sean era a pochi passi da me, un sopracciglio biondo inarcato in
un’espressione perplessa.
Indossava la stessa giacca di pelle che aveva durante lo scontro con i
cacciatori, anche se aveva dovuto lavarla per togliere il sangue e Dawn
aveva cucito una toppa a forma di impronta di lupo sul foro lasciato
dal proiettile.
«Volevi uccidermi?» sbottai.
Lui si schiarì la gola, con ogni probabilità per
nascondere una risata. «No. E poi, avresti dovuto sentirmi, non
mi sono avvicinato di soppiatto.»
Scesi dalla panchina non reputandola più un luogo sicuro, e
incrociai le braccia al petto guardandolo dritto in viso. «Sai, a
volte le persone si perdono nei propri pensieri, quando lo fanno non
sono del tutto consapevoli di cosa accade intorno a loro. Sarebbe
carino non arrivare alle spalle o almeno annunciarsi.»
«Excusez-moi»
replicò lui senza scomporsi, la voce addolcita da un accento che
ricordava un po’ quello francese. «Comunque, sta’
attenta con quel cacciatore.»
Deglutii, all’improvviso nervosa. «Tu… hai
sentito…?»
Scosse piano la testa. «No, grazie al cielo sono arrivato poco
prima che se ne andasse e non ho sentito niente: non sopporto i drammi
adolescenziali.»
«Sei stato un adolescente anche tu!» protestai. «E
neanche tanto tempo fa.»
Alzò gli occhi al cielo. «Non me ne andavo in giro a
incontrare gente che non dovrei però.»
Strinsi le labbra. «È il nostro tramite con i cacciatori,
il loro rappresentante, dobbiamo comunicare con lui.»
Nei suoi occhi verdi passò un lampo. «Oh, quindi tu
l’hai incontrato qui dopo scuola per puro altruismo verso il
branco?»
«Sì» risposi senza esitare sollevando il mento.
«So che non mi crederai, ma è proprio così.»
«Okay» fece lui, sorprendendomi. «Voglio stare il
più lontano possibile da qualunque cosa coinvolga adolescenti e
ormoni quindi non insisterò. E adesso andiamo, gli altri ci
aspettano.»
Inarcai le sopracciglia, incuriosita. «Gli altri?»
«Abbiamo un incontro con il branco. Se hai altri progetti
però…» cominciò Sean.
«No, vengo volentieri. Insomma, sei pure venuto a prendermi, un
po’ come un autista privato» scherzai avviandomi verso il
davanti della scuola.
Lui mi seguì corrugando la fronte. «Non farci
l’abitudine però.»
All’ombra di un albero, la Camaro di Sean riposava come una
pantera dopo la caccia. Appoggiati alla carrozzeria c’erano
Matthew e Adam, intenti a chiacchierare. Erano del tutto rilassati, a
loro agio, vederli così mi scaldava il cuore: avevo temuto per
entrambi quando avevamo deciso di affrontare i cacciatori, in alcuni
momenti ero stata addirittura certa che avrei perso uno dei due, ma
alla fine avevamo vinto ed era anche per merito loro.
«Ehi Scar» mi salutò Adam rivolgendomi un sorriso,
lo sguardo tempestoso e luminoso al tempo stesso.
Sollevai un angolo della bocca. «Ehilà.»
Accanto a me, Sean stava studiando il ragazzo con una strana
espressione negli occhi, era come se si fosse trovato davanti a un
rompicapo che lo affascinava, ma che non riusciva a risolvere.
Matthew mi fece un allegro cenno di saluto con la mano, che ricambiai.
A volte era davvero difficile credere che avesse quasi
trent’anni.
«Andiamo, non voglio arrivare in ritardo» borbottò
Sean facendo il giro dell’auto. Prendemmo tutti posto, Adam di
fianco all’Alfa, io e Matt sui sedili posteriori. Il motore della
Camaro prese vita con un ruggito morbido, sentirlo rispondere
così docilmente faceva venire voglia di mettersi al volante
persino a me che neanche avevo la patente.
Quando ci immettemmo nella strada principale, Adam abbassò il
finestrino e l’aria fresca del pomeriggio gli scompigliò i
capelli. «Come stanno andando le cose secondo il tuo parere di
Alfa?» chiese lanciando un’occhiata a Sean.
Lui rispose senza distogliere lo sguardo dalla striscia d’asfalto
davanti a sé. «Per ora è tutto incerto, si sta
stabilizzando però, il che è un buon segno. Ancora
è presto per dire se il branco funzionerà.»
Adam aggrottò la fronte. «Li abbiamo salvati dai
cacciatori, ancora non si fidano?»
«Quando sei stato cacciato per tutta la tua vita, non riesci a
fidarti delle persone, non così facilmente. Vogliono mettere
alla prova me e voi, capire con chi hanno a che fare» disse Sean
con voce grave. «Abbiamo guadagnato punti e abbiamo Dawn e Toby
dalla nostra, però ci vorrà ancora un po’ di tempo
perché anche gli altri accettino tutte queste
novità.»
«Anche io ci misi un sacco prima di fidarmi di te»
mormorai, quasi sovrappensiero. E solo dopo aver parlato mi resi conto
che quella frase si applicava sia ad Adam che a Sean.
«Ed è giusto così, la fiducia è una
questione delicata, non deve e non può essere presa alla
leggera» commentò Sean. «Ma funzionerà, noi
lo faremo funzionare.»
Nello specchietto retrovisore incrociai lo sguardo di Adam, le tempesta delle sue iridi illuminata dalle pagliuzze dorate.
Non era facile convivere con un lupo dentro di sé, riuscire a
condurre una vita normale e nello stesso tempo tenerlo nascosto a tutti
sopportando pleniluni e sbalzi d’umore, eppure adesso sentivo di
avere la schiena coperta, ma soprattutto di aver trovato il mio posto
nel mondo.
Mentre la Camaro sfrecciava decisamente sopra il limite di
velocità sulle strade di una Seattle spazzata da un vento
fresco, mi ritrovai a pensare che essere un licantropo, alla fine, non
era poi così male.
SPAZIO AUTRICE: Ehilà!
Siamo arrivati alla fine di Under a Paper Moon! Questo è
l'ultimo capitolo della storia e sì, stento a crederci anche io.
Ho cominciato a pubblicare UAPM ormai due anni fa, due anni in cui sono
cresciuta e maturata e in cui mi sono resa conto che questa storia ha
bisogno di una pesante revisione. Ho voluto concluderla prima,
perché è giusto così: dovevo dare un finale al
nostro nuovo branco e anche a voi che leggete.
Non solo del tutto convinta di questo ultimo capitolo (e quando mai lo
sono stata? XD), ma eccolo qui. Spero che a voi piaccia più che
a me!
UAPM mi ha fatta crescere come "scrittrice", mi ha fatto imparare tante
cose e anche se non è assolutamente perfetta è una storia
a cui sono molto affezionata, soprattutto ai suoi personaggi. Ognuno di
loro ha dato il suo contributo alla storia, è anche grazie a
loro se Under a Paper Moon funziona.
E un grazie molto sentito va anche a voi che avete letto le avventure
di questo branco improvvisato, vi ringrazio dal profondo del cuore
<3
Spero di avervi lasciato qualcosa con questa storia!
PS. Non escludo l'idea di un sequel, che, in ogni caso, comincerei tra
diverso tempo. Adesso voglio dedicarmi ad altro, ma mai dire mai!
Un bacio,
TimeFlies
|