Amanda non avrebbe
mai pensato di potersi trovare in quella situazione. Non lei, che pur
di non perdere un aereo o addirittura un treno partiva quattro o
cinque ore prima da casa. Non lei, che si programmava sempre ogni
aspetto della sua vita fino al minino dettaglio, anche le pause al
bagno. Non lei, che odiava aspettare, soprattutto da sola e in un
luogo sconosciuto. Ma si sa, i piani esistono per essere infranti e
più di una volta si era ritrovata a dover improvvisare.
Sapeva che
la vita era così, piena di sorprese e imprevisti, eppure non
le
piaceva quella leggera situazione di disagio che la prendeva quando
non era certa al cento per cento delle sue azioni.
Sospirò, mentre si
infilava velocemente la giacca e usciva dall'ufficio della sicurezza
dell'aeroporto. Era stata fermata dopo essere scesa a Dubai, dove
avrebbe dovuto prendere la coincidenza per arrivare in Giappone. Non
aveva idea di quale fosse il problema, ma Amanda non amava creare
problemi e aveva seguito le due guardie nel loro ufficio, dove
l'avevano perquisita e avevano letteralmente ribaltato il piccolo
trolley che si era portata come bagaglio a mano. Si era chiesta per
un attimo che fine aveva fatto la sua valigia, ma si disse che
l'avrebbe di sicuro trovata una volta arrivata a destinazione. Alla
fine, dopo dieci minuti in cui le due guardie avevano borbottato tra
di loro in una lingua a lei incomprensibile, si erano scusate e le
avevano semplicemente detto che c'era stato un errore. Una delle due,
in particolare, sembrava particolarmente mortificata ma Amanda li
aveva rassicurati che non c'era nessun problema. In fondo, aveva
pensato, loro stavano semplicemente facendo il loro lavoro. Eppure,
quando era uscita da quella stanzetta e si era accorta che le
lancette dell'orologio sul suo telefono segnavano esattamente l'ora
in cui il suo aereo per Tokyo sarebbe partito, si era domandata
infastidita per un attimo se le avessero fatto perdere tempo apposta.
Un pensiero stupido, ovviamente, ma ormai non c'era molto altro da
fare.
Amanda
si diresse
verso il banco informazioni, dove spiegò la sua situazione
in
inglese, incontrando per fortuna un'addetta educata e con una
pronuncia comprensibile, non maccheronica come quella dei due addetti
di poco prima. Il prossimo volo per Tokyo sarebbe partito solo quella
notte e avrebbe dovuto semplicemente cambiare biglietto e aspettare.
Già, aspettare. Sembrava così facile a parole.
Amanda
si sbrigò a
sistemare le questioni amministrative, cambiando il biglietto e
assicurandosi che la sua valigia la stesse aspettando all'aeroporto
di Haneda e che avrebbe potuto recuperarla appena arrivata.
Dopodiché
decise di concedersi un pranzo veloce e si sedette al primo bar che
incontrò. Non amava mangiare da sola -in realtà
aveva un sacco di
complessi sul fare qualcosa da sola, e aveva deciso di intraprendere
quel viaggio proprio per cambiare questo aspetto della sua vita- ma
ordinò comunque un toast e una spremuta d'arancia, tirando
fuori
dalla borsa il quaderno su cui si era appuntata tutto ciò
che le
serviva per quel viaggio.
Amanda
era sempre
stata affascinata da quella landa all'estremo Oriente che era il
Giappone e anni prima aveva iniziato un corso di lingua, che
però
aveva seguito solo per un anno e che aveva abbandonato a causa di
impegni contrastanti. Prima di partire, quindi, aveva rispolverato
quelle poche conoscenze che aveva e si era convinta che le sarebbe
bastato trovarsi immersa nella caotica Tokyo per imparare
più
velocemente ciò che le serviva. A quasi trent'anni e reduce
da una
situazione sentimentale e lavorativa non proprio rosea, Amanda aveva
deciso di porre una pausa a quella vita di sacrifici e sofferenze e
di meritarsi una vacanza. Aveva preso un congedo dal lavoro e, con i
soldi dell'eredità che la sua nonna preferita le aveva
lasciato alla
sua scomparsa qualche mese prima, aveva comprato un biglietto e aveva
iniziato tutti i preparativi.
Aveva
un visto di
soggiorno di quasi tre mesi, e aveva intenzione di godersi quel tempo
per ritrovare sé stessa e poter ritornare a casa
più forte di
prima. Non aveva detto a nessuno fino all'ultimo momento che sarebbe
partita, nemmeno alla sua famiglia, che ovviamente si era opposta a
quella decisione così estrema. Ma quella volta Amanda non
aveva dato
ascolto a nessuno: aveva preparato le valigie e si era chiusa la
porta della casa dei suoi genitori alle spalle senza rimpianti.
Amanda finì il suo pranzo con calma, rileggendo le frasi
utili che
si era scritta e cercando di memorizzare qualche nuovo carattere nel
frattempo. Il giapponese non era una lingua molto difficile dal punto
di vista grammaticale, ma ovviamente i caratteri rendevano tutto
molto più complicato. Per fortuna i giapponesi erano stati
abbastanza intelligenti da inventare un alfabeto fonetico (due in
realtà, di cui uno era usato per le parole straniere), e
bene o male
riusciva a scrivere tutto ciò che sentiva.
Guardò
nuovamente
l'ora e sospirò nuovamente. Erano appena passate le due del
pomeriggio e doveva trovare il modo di usare le ben dodici ore che
l'aspettavano prima del suo volo. Decise
di fare un giro al DutyFree dell'aeroporto, ma si annoiò
presto di
tutti quei profumi e quei vini. Fu attratta dopo un po' da una parete
piena di libri, e si disse che forse aveva trovato un modo per usare
tutto quel tempo. Certo, un libro scritto in Indiano sarebbe stato
incomprensibile, ma era certa che avrebbe trovato anche qualcosa in
inglese. E così fu: prese due libri a caso con una copertina
interessante e il titolo in inglese e si diresse a pagare. Erano
mesi, se non anni, che non si concedeva del tempo per leggere
qualcosa che effettivamente le piaceva e per la prima volta da quando
aveva perso il volo trovò un aspetto positivo in quella
situazione.
Si diresse verso le sedie davanti alla libreria e iniziò a
leggere.
Fin dalle prime pagine capì che sarebbe stata una di quelle
storie
d'amore molto scontate e poco innovative, ma lo stile di scrittura e
la trama si rivelarono più interessanti del previsto e si
ritrovò a
metà libro in poco più di un'ora. Dopo una veloce
pausa al bagno e
per sgranchirsi le gambe, tornò a leggere e
arrivò all'ultima
pagina prima di quanto pensasse. Mentre chiudeva la copertina, Amanda
si chiese quando era stata l'ultima volta che era stata travolta
così
violentemente da un libro, e realizzò con un pizzico di
tristezza
che era stato non più tardi dei suoi giorni da
universitaria. Non
che odiasse il suo lavoro, in fondo aveva scelto lei quell'indirizzo,
ma a volte si era rimandata se era valsa davvero la pena spendere
tutti quegli anni sui libri per poi ritrovarsi in un ambiente
lavorativo che nell'ultimo periodo l'aveva quasi distrutta
fisicamente e moralmente. Certo, quello era per lo più colpa
del suo
nuovo capo, ma il dubbio rimaneva. Come sarebbe stata la sua vita se
dieci anni prima avesse preso scelte diverse? Se, ad esempio, avesse
continuato a studiare il giapponese o le lingue in generale, come le
aveva consigliato la sua professoressa alla fine delle superiori.
Probabilmente sarebbe stata diversa, ma niente poteva dire se sarebbe
stata migliore. In fondo, la vita è fatta di scelte, e non
si può
che accettare le conseguenze di ognuna di esse.
Non
era neppure metà
pomeriggio quando Amanda aveva finito di leggere, e decise di
concedersi un’altra passeggiata nell’aeroporto. Era
noioso, ma
decisamente meglio che stare seduta a fissare il vuoto. Non aveva
voglia di leggere o studiare, e in quel momento l’ideale
sarebbe
avere avuto qualcuno con cui conversare per fare passare tutte quelle
ore più velocemente.
Fece probabilmente tutto il giro
dell’aeroporto, e si ritrovò al punto di partenza
senza avere
nemmeno avuto il tempo di pensarci su. In realtà, durante
quell’insolita passeggiata, si era ritrovata a rimuginare su
qualcosa che non la toccava da mesi. Aveva visto per caso una giovane
coppia che si stava probabilmente imbarcando per la luna di miele, e
si era ricordata di quando anche lei, solo un anno prima, si era
ritrovata in una situazione così simile, eppure
così diversa.
Diversa, purtroppo, perché lei alle nozze non
c’era mai arrivata,
dato che il suo compagno, solo una settimana prima del loro
matrimonio, si era ricordato che lui una famiglia ce l’aveva
già,
con due figli annessi, e che forse non era il caso di continuare per
quella strada. Amanda non era mai stata molto fortunata in amore, ma
quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso,
già
pieno fino all’orlo per molti altri problemi, e il motivo per
cui
aveva perso molta della sua confidenza.
Per
distrarsi da
quei pensieri, Amanda entrò in un’edicola e
comprò un giornale e
un libretto pieno di giochini, di cui si stufò dopo poco
tempo.
Avrebbe voluto essere capace di attaccare bottone con qualcuno, ma
tutte le volte che individuava una persona che sembrava sola come lei
e che poteva essere interessante, scopriva che non era affatto
così,
e la guardava allontanarsi accanto alla compagnia con cui era
arrivata. Dopo due o tre tentativi aveva perso le speranze e, anche
se odiava quell’insicurezza che l’assaliva quando
doveva parlare
con uno sconosciuto, per un attimo sperò che qualcuno
iniziasse una
benedetta conversazione con lei.
Amanda
sbadigliò.
Erano appena le sette di sera, ma era sveglia da molto presto e
quella giornata l’aveva decisamente sfiancata. Decise quindi
di
andare a trovare delle sedie un po’ nascoste, si mise la
valigia
sotto i piedi, le cuffie nelle orecchie e si assopì. Si
risvegliò
qualche ora dopo, un po’ rintontita ma decisamente meno
stanca di
prima, e felice di avere sempre meno ore da dover aspettare. Si
ripromise di continuare a dormire quando fosse finalmente salita
sull’aereo e si alzò. Erano passate le nove di
sera e l’aeroporto
era decisamente meno affollato di quanto lo era stato quel
pomeriggio. Era una fortuna che ci fossero meno partenze
così tardi,
soprattutto perché c’era meno confusione ed era
più semplice
girarsi in quel posto.
Appena
sentì lo
stomaco brontolarle, Amanda entrò nel primo locale che
trovò
aperto, trascinandosi dietro la solita valigia che quel giorno stava
soffrendo quanto lei. Il cameriere la fece sedere a un tavolo per
quattro persone e Amanda non si fece problemi dato che il locale era
meno pieno di quanto si aspettasse. Ordinò la cena e
tirò fuori
nuovamente il suo quaderno di giapponese. Non si ricordava bene, ma
le sembrava di avere sognato qualcosa a proposito, e si era alzata
con un dubbio su una parola che non era riuscita a risolvere con le
sue sole forze. Mentre mangiava, decise di scrivere una breve
presentazione di sé stessa usando solo le parole e le forme
grammaticali che conosceva, un po’ per allenamento e un
po’ per
avere qualcosa da dire nel caso avesse dovuto presentarsi a qualcuno.
Stava
cercando di
ricordarsi come si dicesse ventinove anni, quando una voce
attirò la
sua attenzione.
“一人ですか。”
[1]
Amanda
impiegò
parecchio tempo a capire che quella frase era stata rivolta a lei,
che era stata pronunciata in giapponese e soprattutto cosa volesse
dire.
“Yes… はい。
”,
rispose, alzando lo sguardo dal suo quaderno, imbarazzata. [2]
La
persona davanti a
lei era un uomo sulla trentina, di chiara origine asiatica,
presumibilmente giapponese, data la lingua con cui aveva parlato. Non
era molto alto, ma era snello e il completo elegante da uomo
d’affari
gli calzava a pennello. Aveva una faccia simpatica e gentile, con le
labbra sottili piegate in un sorriso e gli occhi a mandorla da cui
spuntavano due pupille completamente nere. Non sembrava una cattiva
persona, eppure Amanda non capì perché si era
rivolto a lei.
“È
libero questo posto?”, le chiese in inglese, indicando il
posto
vuoto di fronte a lei, dal lato opposto del tavolo.
Amanda
annuì,
sorpresa di sentirlo parlare inglese con un accento così
buono.
Aveva visto parecchi video prima di partire ed era preoccupata dal
livello di inglese che quei giapponesi che erano comparsi avevano
mostrato. Eppure, quest’uomo sembrava abbastanza benestante e
probabilmente aveva una buona educazione, quindi non era
così
sorprendente che sapesse una lingua universale come
l’inglese.
L’uomo
si sedette,
facendo un segno al cameriere che gli portò un bicchiere
d’acqua e
il menù. Ordinò la sua cena e poi
l’occhio gli cadde sul quaderno
che Amanda aveva sul tavolo.
“Sta studiando
Giapponese?”, le chiese, mantenendo sempre quel sorriso
pulito e
educato.
Amanda annuì nuovamente. Poi si disse che probabilmente
sembrava una stupida, a fissarlo come un’ebete senza dire
niente, e
si schiarì la voce. “Siccome sto andando in
Giappone, sto
studiando il giapponese”, disse, testando per la prima volta
le sue
capacità in quella lingua che mai aveva usato con qualcuno.
L’uomo
la guardò
sorpreso. “È brava”, si
complimentò.
Amanda
sorrise,
imbarazzata. “Per niente”, rispose, questa volta
tornando
all’inglese. “Non l’ho studiato a lungo e
non ho mai parlato
con nessuno”.
“Sta andando in
vacanza?”.
“Sì, per un paio
di mesi”.
“Posso chiederle
dove andrà, se non sono indiscreto?”.
Amanda
rimase
interdetta di fronte a quell’eccesso di formalità
e gentilezza, ma
da una parte le fece anche piacere. “Tokyo”,
rispose. “Ma ho
intenzione di girare un po’: Osaka, Kyoto, Nara, Sapporo.
Voglio
godermi questa vacanza”, disse poi senza pensarci troppo. La
conversazione con quell’uomo era più semplice di
quanto si fosse
aspettata e, anche se si erano scambiati solo poche battute, si
sentì
per un attimo come se fosse tornata la vecchia Amanda, quella che
all’università aveva il coraggio di chiedere il
numero a un
cameriere carino e parlava sempre a macchinetta.
L’uomo
annuì,
soddisfatto dalla risposta. “Spero che si diverta, allora. Ci
sono
molti posti davvero belli da visitare”.
“Mi sono già
fatta una lista di quelli che devo assolutamente vedere”,
confessò,
aprendo il quaderno sulla prima pagina e mostrando all’uomo
l’immensa lista di luoghi che si era appuntata prima di
partire.
“È proprio ben
informata”, replicò questo, annuendo ogni tanto
mentre leggeva i
vari nomi.
Il cameriere portò la cena al suo compagno di
conversazione e i due continuarono a parlare.
“È mai stata in
Giappone?”, le chiese l’uomo, bevendo un sorso di
vino rosso.
“Mai. In realtà è
la prima volta che metto piede fuori dal mio paese”, ammise
Amanda.
“Lei invece viaggia molto?”.
“Abbastanza. La
mia azienda sta cercando di espandersi qui a Dubai e sono venuto
spesso in questo ultimo mese”.
“È una bella
città?”.
“Molto. È
caotica, ma da una sensazione di vitalità che non ho trovato
in
nessun altro posto in cui sono stato”.
“Me ne ricorderò
per la mia prossima vacanza”.
“Non se ne
pentirà. Sa, ho trovato…”. In quel
momento il suo telefono
iniziò a squillare e l’uomo di scusò,
alzandosi e allontanandosi
per rispondere alla chiamata.
Amanda
lo guardò
per qualche secondo, chiedendosi che cosa stesse facendo. In
realtà
assolutamente niente di male, stava solo conversando con uno
sconosciuto, esattamente quello che aveva voluto fare fin da quel
pomeriggio. Ma ovviamente il suo cervello doveva pensare sempre il
peggio, e nel tempo della chiamata fu in grado di partorire le idee
più astruse su quell’uomo, tra le quali una strana
versione su
un’agenzia di spionaggio. Niente aveva assolutamente senso,
lo
sapeva, ma quello era bastato a cancellare la sensazione di benessere
e a sostituirla con l’ansia.
Senza pensarci due volte, Amanda
si alzò, buttando con foga il quaderno e il telefono nella
borsa, e
uscì dal locale dopo aver pagato come se fosse una ladra.
Ringraziò
qualunque entità per non avere incontrato
quell’uomo, perché
sarebbe stato imbarazzate farsi scoprire a scappare in quel modo.
Si
sedette su una sedia in disparte, vicino al gate sul quale avrebbe
dovuto imbarcarsi qualche ora dopo, e sospirò. Era davvero
triste
constatare quanto era effettivamente cambiata: quando era giovane era
una ragazza solare ed estroversa, e se le fosse capitata
un’occasione
come quella non ci avrebbe pensato due volte a guadagnarci il
più
possibile. Dopo soli dieci anni, era una donna insicura e fragile,
con più cicatrici di quante fosse possibile contarne e un
passato
che voleva dimenticare.
Eppure,
quella volta
sentiva di avere sbagliato a comportarsi così.
Perché si stava
rovinando la vita in modo totalmente arbitrario? Poteva dare la colpa
a qualunque cosa, ma alla fine della giornata era ancora lei a dover
compiere delle scelte. E ancora una volta, aveva preso quella
sbagliata.
Quel
viaggio alla
volta del cambiamento era iniziato davvero male. Amanda si era
riproposta di superare quella timidezza che l’aveva assalita
negli
ultimi anni e aveva sperato di riuscire a trovare qualcuno con cui
andare d’accordo almeno in quel paese lontano. Ma alla prima
opportunità, era scappata senza porsi nemmeno il problema.
Amanda
si prese la
testa tra le mani, esalando un gemito. Doveva trovare il modo di
cambiare la sua vita, non poteva assolutamente continuare
così. Non
valeva la pena vivere -sopravvivere- in maniera così passiva
e
triste. Sapeva che sarebbe stato difficile tornare a fidarsi di nuovo
delle persone, ma doveva farlo.
Prima
che si
accorgesse del tempo che era passato, sentì una voce
chiamare il suo
volo dall’altoparlante. Si alzò e andò
a sciacquarsi il volto
prima di imbarcarsi. Era pallida e aveva due occhiaie spaventose, ma
la vecchia lei era ancora lì, nella forma del viso, negli
occhi
chiari e nelle labbra sottili. Era invecchiata e sciupata, iniziava
ad avere qualche ruga e aveva iniziato a trovare i primi capelli
bianchi, ma lei era ancora lì, sotto tutta quella polvere.
Si
diede due
schiaffetti sulle guance e annuì al suo stesso riflesso.
Consegnò
il biglietto all’addetta e, dopo aver percorso un lungo
tunnel,
salì sull’aereo. Cercò il numero
segnato sul suo biglietto, 33A,
per fortuna un posto vicino al finestrino. Mise il suo bagaglio a
mano nella cappelliera e si sedette, tirando fuori dalla borsa le
cuffie e l’altro libro che aveva comprato quella mattina.
Un’altra
signora
si sedette nel posto C, e Amanda sperò fino alla fine che il
posto
accanto a lei rimanesse vuoto. Le sue speranze sembrarono avverarsi
quando le hostess iniziarono a passare a controllare che tutti
avessero le cinture allacciate e che non ci fossero valigie sotto i
piedi. Stava già per appoggiare la borsa sul sedile accanto,
quando
alle sue spalle sentì una voce chiedere dove fosse il posto
33B.
Sbuffò
e si strinse
istintivamente contro il finestrino, anche se i posti erano piuttosto
spaziosi. Non voleva nemmeno sapere chi avrebbe avuto di fianco per
tutte le ore del volo, sapeva già che avrebbe odiato quella
persona
a prescindere, solo perché si stava sedendo accanto a lei.
Alla
faccia del cambiamento, le ricordò una vocina nei retroscena
del suo
cervello.
Amanda sbuffò, questa volta più rumorosamente, e
si
voltò d’istinto verso la persona seduta di fianco
a lei, che aveva
voltato la testa al suo esalare così sconsolato.
Amanda rimase
completamente senza parole, la bocca mezza aperta come un pesce fuor
d’acqua e le guance che iniziarono a diventare rosso
pomodoro.
L’uomo
allungò
una mano verso di lei e si aprì nel suo solito sorriso
gentile. “Mi
sono dimenticato di presentarmi prima. Io sono Suzuki Makoto.
よろしくお願いします。Piacere
di conoscerla”. [3]
Salve
a tutti!
È
da un po' che manco da EFP, ma da quando ho iniziato
l'università è diventato molto più
difficile trovare il tempo di scrivere con costanza.
Tuttavia
oggi ho avuto un lampo di illuminazione e ho partorito questa one shot
senza inizio ne fine, a cui probabilmente non dedicherò mai
un sequel (anche perché non sono mai stata in Giappone, per
ora, e non sarei in grado di descrivere una città e una
società che non ho mai visto).
Le
frasi in giapponese hanno tutte una loro traduzione, e le poche ho
inserito sono state messe apposta, non per vantarmi di studiare questa
lingua, ma perchè credo possano dare un tocco in
più alla storia.
P.s.
probabilmente nessuno l'ha notato, ma la protagonista ha lo stesso nome
di quella della mia prima storia, Like a Phoenix. Tuttavia le due
storie non sono collegate in nessun modo, ho semplicemente scelto di
usare di nuovo Amanda perché è un nome che adoro.
Detto
ciò, spero che questa storiella vi sia piaciuta.
Fatemi
sapere che ne pensate (sempre che ci sia ancora qualcuno di vivo e
pensante su questo sito).
Mikchan
[1] “一人ですか。
”
→ “è
da sola?”
[2]
“はい”
→ Sì
[3]
“ よろしくお願
いします”
→ “piacere
di conoscerla”
|