Qui
me sequitur semper, amor tui
C’è una strana calma quella mattina, quasi irreale,
mentre Giasone si spinge quasi per inerzia lungo la spiaggia, vedendo sempre
più vicina la sua nave, Argo.
Quando arriva, appoggia una mano su quella superficie
legnosa e ormai rovinata dalle intemperie e dal tempo, prima nave fra tutte ad
aver solcato le infinite acque.
Per Giasone è il testimone del suo periodo migliore: il
momento in cui essere un eroe era l’unico senso della sua vita, dove era facile
sfidare la morte e gli dei perché la vera gloria era quello: era necessario che
morisse, al culmine della sua fama, per avere gloria e onori imperituri.
Si sentiva invincibile e forse lo era davvero, protetto
dalla dea Era che lo custodiva sotto la sua ala. E ora si ritrovava solo,
disperso in una città che non era più sua – lo era mai stata? -, senza che
nessuno si ricordasse più di lui e se qualcuno lo ricordava lo appellava con
quell’unica parola che continuava a seguirlo: traditore.
Della patria, dell’onore, di lei.
La dea Era gliel’aveva detto, che la dea Afrodite lo
avrebbe aiutato nell’impresa del vello: non gli aveva detto che, forse, avrebbe
avuto più onore e gloria se quell’impresa l’avesse fallita.
Si appoggia al dorso della nave, sedendosi con lo sguardo
rivolto verso il mare e, vedendo avanzare una figura verso di lui dalle acque,
perfettamente asciutta, sa benissimo chi sia.
Bellissima come la sera in cui l’ha incontrata, avvolta
in quell’aura misteriosa che l’ha sempre circondata e con gli occhi che non
scintillano più di vendetta, sangue e furore.
Non sa quanti anni siano passati dall’ultima volta che
l’ha vista, mentre lui stringeva a sé i corpi dei loro figli e lei se ne andava
su quel carro, con gli occhi pieni di terrore e follia.
Era convinto che se l’avesse rivista l’avrebbe uccisa
all’istante per tutto l’odio e il risentimento che aveva sviluppato verso di
lei, ma mentre Medea si avvicina riesce soltanto a pensare a quanto sia stata
triste la vita di entrambi.
Forse è venuta per ucciderlo, per completare quella
vendetta che gli ha portato via tutto. Si è sempre chiesto perché non l’abbia
ucciso quel giorno, dopo i loro figli, ma col tempo si è risposto che era per
condannarlo a un’esistenza di dolore e vuoto che ha effettivamente vissuto.
Si ferma dinanzi a lui, ancora seduto, e con sua grande
sorpresa si siede al suo fianco, senza dire una parola.
«Perché non mi hai ucciso?» è la prima domanda che
affiora dalle labbra di Giasone, un interrogativo che lo tormenta da anni.
«Non avrei mai potuto. Non potrei mai toglierti la vita,
perché è sempre stata tutto per me.»
«Mi dispiace.»
Non gliel’aveva
mai detto, né quando l’aveva strappata dalla sua terra natia, quando l’aveva
costretta ad uccidere suo fratello, quando l’aveva condotta alla follia con il
suo tradimento.
«Non credevo che l’avresti mai detto.»
«Tu lo sapevi, giusto? Tu hai sempre visto il futuro,
perché non ti sei fermata quando sono arrivato nella Colchide?»
«Non ho potuto, Giasone. Non si può niente contro
l’amore. Se riavvolgessimo le nostre vite, compiremmo gli stessi passi, perché
eravamo destinati.»
Annuisce, perché il tempo lo ha reso più attento a queste
sfumature della vita.
«Sto per morire, vero?»
Ha avuto abbastanza a che fare con profezie e magie per
capire che se Medea ha deciso di comparire proprio in quel momento, la sua
morte è quanto mai vicina e imminente.
«Sì. E stavolta non posso fare nulla per impedirlo.»
Restano in silenzio, accompagnati solo dallo sciabordio
delle onde, persi nel male che si sono fatti e nell’amore che li ha uniti
contro ogni felicità.
Quello che si dimenticano tutti di dire nella storia di
Giasone è che anche lui ha amato Medea, sin dal primo momento che l’ha vista.
La gloria, la fama e la sua stolta giovinezza hanno offuscato quel sentimento,
ma lui sa con quanto amore si è unito con quella donna e i suoi ricordi più
felici sono le mattine in cui si svegliava, con lei accanto nel loro talamo.
Poi, per potere, l’aveva tradita, spezzando ogni vita collegata
a loro: lui, sconsiderato, avrebbe dovuto capire che un amore totale come il
loro non poteva sopravvivere al prezzo di un tradimento.
E la sua punizione sarà proprio la fama di traditore che
lo accompagnerà per sempre, attraverso le ere e i luoghi, unita alla menzogna
che lui l’ha solo usata.
«Medea… Tu conosci la verità?»
«Dipende di quale parli.»
«Anche io ti ho amato. Più di quanto ti abbia mai
dimostrato, più di quanto abbia voluto.»
E, nella sorpresa di Giasone, Medea arrossisce. Come la
prima sera che si sono visti, come la prima notte in cui si sono amati e come
quando hanno pronunciato i loro voti nuziali.
Allunga una mano e gliela stringe, rievocando un tocco
che credevano entrambi perduto per sempre.
«Non ho mai smesso di amarti.»
Non si sa chi dei due abbia detto quella frase, ma
sicuramente la pensavano entrambi. E, proprio in quel momento, una trave di
Argo, ormai marcia, si stacca e cade inesorabile sulla testa di Giasone,
uccidendolo.
Medea osserva la luce andare via dai suoi occhi, il tocco
della mano farsi inconsistente e la vita svanire dal corpo del suo amato:
sapeva che in quel giorno sarebbe morto, anche se non conosceva il momento o il
modo, e non aveva potuto impedirsi di andare da lui un’ultima volta.
Fa comparire quello stesso carro con cui era fuggita e
posa il suo corpo all’interno, salendoci sopra e alzandosi in cielo, con gli
occhi pieni di lacrime per tutta la distruzione, l’odio, il dolore che avevano
causato al mondo e perché, nonostante tutto questo, Medea avrebbe voluto avere
il potere di salvarlo ancora.
Fine.
Mi ha sempre affascinato
la storia di Medea e Giasone, così triste, orrenda per tutti gli omicidi e la
violenza e il male che si son fatti l’un l’altro e che hanno fatto agli altri,
e così tragica come la maggior parte dei miti greci.
Mi son sempre chiesta se è
vero che Giasone l’ha solo usata, non provando un briciolo d’amore per lei e
secondo la mia anima incredibilmente romantica è impossibile che con il loro
destino così inevitabilmente intrecciato lui non l’abbia amata.
Ho provato a immaginare il
momento finale della vita di Giasone, una vita vissuta grazie solo a Medea e
che si conclude sotto il suo sguardo che, impotente, ancora lo ama come il
primo giorno.
E niente… ho sproloquiato.
Il titolo viene dalle Heroides di
Ovidio, la lettera 12 di Medea a Giasone, il verso 136, tradotto “Dell’amore per te, che sempre mi segue”.
In fondo, la bellezza dei
miti è che è sempre possibile riscriverli. ♥
Un bacio, fatemi sapere se
vi è piaciuta **
EclipseOfHeart