Once and Again

di queenjane
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"Anastasia, che brava!”
“Lo so!” Con una sicurezza superiore alla sua età annaffiava le piante dei giardini imperiali, le piccole dita strette intorno all’annaffiatoio, di un banale color verde acceso, come farfalle vaganti, pareva lei stessa una farfalla insieme alla sorella Maria che svolgeva lo stesso compito, sorrisi in tralice.
 
Anche con loro si perpetuava il mio rito della principessa narrastorie, raccontavo principi e principesse, descrivevo la valle dei fiori sulle montagne dell’Himalaya, che si apriva ad alta quota ed era colma di gemme. E via così.
Ero la figlia di una principessa, la discendente di un glorioso bastardo, Felipe de Moguer, nato fuori legittime nozze che si era reinventato titoli e destino alla corte della grande zarina Caterina II, il figlio del dio della guerra.
Sognava o respirava nelle sue imprese?
Lui era come la fenice multiforme, sempre si reinventava, come io ai miei tempi, avevo poi imparato la sua lezione.

Quando nacque Anastasia lo zar, ( che non ne poteva più di quello stillicidio di femmine), dovette passeggiare a lungo nel parco imperiale e poi stamparsi un sorriso di circostanza sulle labbra nel recarsi dalla moglie e congratularsi con lei.
 “Ancora una femmina!”la battuta riassuntiva di sua sorella Xenia, che partorì sei maschi e una sola bambina, che poi sposò il principe Jusopov, uno degli uccisori di Rasputin, ma ops.. Vado troppo avanti.
Anastasia non era l’ennesima bambina quanto una forza della natura, un ciclone, un monello.
Arguta e dissacrante, amava le giostre e le mie storie, la valle dei fiori vicina all’Everest, si curava poco dell'etichetta, tanto che una volta, mangiando della cioccolata a una cerimonia ufficiale, cibo che aveva in tasca, e avendo fame, si macchiò i guanti candidi. Risolse la questione rovesciandoli. Più avanti, divenne una campionessa nell'evadere le ore di lezioni, capace di sparire o arrampicarsi sugli alberi, le sue monellerie una leggenda. E tiranneggiava Marie, che era troppo buona e gentile per opporselesi.
Ma la preferenza, reciproca e ricambiata, era per Olga, che ricambiò il mio sorriso.
Per il Natale del 1905 mi venne regalata una piccola perla, rotonda e perfetta, montata su una catenina d’oro bianco e sottile, che portavo quasi sempre, un presente di Olga e delle sue sorelle. E tanto, annotavo tra me, lei era felice che fossi ritornata, era un dono di Pasqua, Natale, onomastico e compleanno complessivo.
 Dai quaderni di Olga Romanov” Ho ancora il segnalibro, quello ove è dipinta “La ragazza con il turbante”, ovvero “La ragazza con l’orecchino di perla” , di Vermeer, che mi avevi riportato dal viaggio con i tuoi genitori. Porta un orecchino di perla,appunto, è girata di tre quarti, seduta, in attesa, gli occhi spalancati, tesa verso qualcosa o qualcuno che non sapremo mai. In un certo senso, sono quella ragazza, che aspetta, o si è rassegnata. È tutta luce e desiderio, nella mia personale idea, rassegnazione e attesa, l’attenzione che converge sul piccolo e rotondo globo. Mia madre adorava le perle, i gioiellieri Fabergè, Bolin e Hahn le sottoponevano le loro creazioni e la sua preferenza era per quella gemme, come le ametiste e i diamanti. Uno dei pochi punti di contatto che mai avete avuto in comune, le perle, ti hanno sempre incantato, parevano racchiudere mondi ed universi. Le tue storie incantate, ne inventavi sulle rose e le fenici, raccontavi di draghi e principesse, ardite, ben di rado su principi e maghi. Ammiravi Felipe de Moguer, il tuo grande antenato, che si era inventato una nuova vita nonostante la nascita incerta. Uno che non mollava mai .. Ed eri stata contenta di essere stata in Spagna, nella favolosa rocca di Ahumada. Io ero felice che fossi tornata.. Davevro e sul serio".
 




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