Mercoledì,
20 giugno 2012
Non
capita praticamente mai che io mi svegli prima ancora che la sveglia
suoni; oggi invece è successo.
Sono
in ansia.
Prendo
il telefono dal comodino per guardare che ore sono: le 6:56.
È
quasi ora di alzarmi: alle 8 devo essere in ospedale per gli esami
del sangue e poi devo andare dalla Lisandri.
Mi
godo gli ultimi quattro minuti nel letto e scrivo un messaggio a
Giulia: "Scusa per ieri sera. Avevo bisogno di stare da solo.
Come sta il tuo naso?".
Interrompo
il suono sgradevole della sveglia che ha cominciato a suonare, mi
prendo ancora due minuti prima di cominciare questa giornata di cui
farei volentieri a meno, poi sospiro, mi stiracchio e mi decido ad
alzarmi.
"Cos'hai
detto ieri a Giulia?" domando ad Asia mentre siamo in auto,
diretti in ospedale.
"Le
ho detto che sei un cafone, visto come te ne sei andato lasciandola
da sola, dopo averle quasi rotto il naso!"
"Intendo
prima!" ribatto
alzando gli occhi al cielo.
"Non
le ho detto niente. Solo che devi fare altri esami."
"Beh,
questo non mi sembra niente!"
"Mi
sembra il minimo! Me la sono ritrovata davanti alla porta,
sinceramente preoccupata per te. Mi ha detto che aveva provato a
chiamarti per tutto il pomeriggio ma tu non avevi risposto. Le ho
spiegato che avevi avuto una mattina pesante e che stavi dormendo,
che probabilmente per quello non le avevi risposto. Mi ha chiesto se
poteva vederti e le ho detto che forse era meglio lasciarti riposare.
A quel punto si è allarmata e mi ha chiesto se ci fossero
novità. Cosa dove fare?! Le ho detto il minimo che potevo
dirle, e cioè che devi fare altri esami, dopodiché mi
ha promesso che non ti avrebbe svegliato, pregandomi di lasciarla
andare da te. Ti vuole bene, davvero."
"Lo
so."
"È
andata via con le lacrime agli occhi. Non è stato bello per
me... si può sapere dove sei andato? Avete litigato?"
"No...
avevo bisogno di stare da solo, mi sentivo da schifo e non volevo
parlargliene."
"È
la tua ragazza Leo, dovresti spiegarle perché ti senti da
schifo, è così che si costruiscono le relazioni."
"Non
mi va che si preoccupi per me, che mi tratti diversamente..."
"È
già preoccupata. Così rischi solo di allontanarla".
Una
parte di me sa che Asia ha ragione, ma di sicuro non ho nessuna
intenzione di ammetterlo.
Non
ho più voglia di risponderle e me ne sto in silenzio a
guardare fuori dal finestrino finché non arriviamo nel
parcheggio dell'ospedale.
Fino
a qualche giorno fa non ero mai entrato in una sala prelievi e adesso
mi ritrovo ad entrarci per la seconda volta nel giro di quattro
giorni.
Sono
un po' meno spaventato, rispetto alla volta scorsa, ma mi basta
mettere piede in questa stanza fredda e sterile per venire investito
dall'odore di alcol e dai crampi allo stomaco.
Mi
siedo sulla poltrona con la voglia di un condannato a morte e porgo
il braccio destro a Laura; trattengo il respiro e resto in silenzio
mentre mi lega il laccio emostatico e mi disinfetta, ma poi mi
lamento quando sento l'ago penetrare: “Ahia! Ester è
stata molto più delicata!”.
Lei
sembra risentirsene un po': "Davvero?! La prossima volta ti
mando Ulisse, così vediamo se è più delicato!".
Ulisse
è un infermiere altissimo e muscoloso che di delicato sembra
avere proprio ben poco.
"Eddai
Lauretta, scherzavo! Ti stavo solo prendendo un po' in giro!”
"Sì,
sì...Vediamo se con Ulisse fai meno lo spiritoso!"
ribatte mettendomi un cerotto sul braccio.
"Come
ti senti oggi, Leo?" mi chiede la Lisandri, quando, dopo aver
fatto colazione, raggiungo il suo studio, lasciando fuori Asia che
stavolta ha rinunciato ad entrare senza protestare.
"Abbastanza
bene, non ho neanche la febbre" rispondo, mentre lei prende
appunti.
"La
gamba? Ti fa sempre molto male?"
"Sì,
quella sì."
"E
gli altri sintomi? Brividi, inappetenza, stanchezza?"
"Brividi...
no, appetito... non molto a dire il vero, stanchezza... oggi no, ma
ieri ero a pezzi, ho dormito per tutto il pomeriggio, fino a sera."
"Va
bene" dice mettendo il foglio su cui ha scritto quello che le ho
detto dentro la mia cartella clinica. "Allora, se i valori delle
analisi che hai fatto stamattina vanno bene devi tornare dopodomani.
Ti ho già fissato l'appuntamento in radiologia per le dieci,
per la tac e la risonanza magnetica; sono riuscita a farle inserire
tutte e due nello stesso giorno, così eviti di tornare una
volta in più. Sai di cosa si tratta?"
"Sì,
mia madre ne ha fatte non so quante..."
"Quindi
sai anche che sono esami non invasivi, e assolutamente non dolorosi,
e che non hai nulla da temere."
"A
parte il risultato..."
"Del
risultato ce ne preoccuperemo dopo, Leo. Adesso mi preoccupo che tu
affronti gli esami serenamente."
"Non
riesco ad essere sereno, dottoressa!” esclamo sbattendo il
pugno sulla scrivania. “Mi sembra di rivivere la storia di mia
madre!”
“La
tua storia non è quella di tua madre” risponde lei
mantenendo la sua imperturbabile calma. “Sarà comunque
diversa, in ogni caso.”
“Anche
nel caso che io abbia un tumore?!”
“Sì,
anche in quel caso. Ogni malattia è a sé e ogni
paziente ha una storia diversa.”
“E
dopo la tac e la risonanza, mi saprete dire con certezza che cos'ho?”
"Non
è detto. Nel caso dalle immagini diagnostiche si riesca ad
escludere il tumore sì, altrimenti la diagnosi certa ce la
darà solo la biopsia."
"E
allora perché non mi fate direttamente la biopsia?!"
"Perché
è un esame invasivo e prima è preferibile fare esami
non invasivi. Per la tac devi venire a digiuno da almeno sei ore,
d'accordo?"
"Sì,
ok."
"Dato
che con gli esami del sangue per il momento abbiamo finito, ti
prescrivo un antidolorifico, così nei prossimi giorni potrai
goderti un po' le vacanze, come si conviene alla tua età"
dice mentre scrive il nome incomprensibile di un farmaco su una
ricetta.
Io
sospiro: "Non so se sono dell'umore..."
"È
un ordine del tuo medico, Leo" dice con tono autoritario mentre
mi porge la ricetta.
"E
che dovrei fare?!"
"Quello
che ti piace. Non so... vai al mare, esci con gli amici, vai a
rimorchiare le belle ragazze" sorride lei.
"La
mia ragazza non sarebbe d'accordo su quest'ultimo punto!" dico
ridacchiando.
"Ah
beh, se ne hai già una non hai bisogno di rimorchiare! Allora
ti prescrivo del tempo spensierato con lei".
Tempo
spensierato con Giulia.
Suona
bene.
È
sullo spensierato che ho dei dubbi, ma cercherò di
farmeli passare.
"Posso
tornare agli allenamenti di pallanuoto?"
"Mh...
no, quelli no. Rischi di affaticarti troppo. Evita anche corsa, bici
o robe del genere. Solo attività leggere."
"E
tempo spensierato con la mia ragazza!"
"Esattamente"
dice alzandosi in piedi. "Se ci fossero problemi con gli esami
verrai contattato, altrimenti presentati direttamente in radiologia
venerdì alle dieci. Noi ci rivediamo quando saranno pronti i
risultati. Fino ad allora, non ti resta che aspettare e goderti
l'estate!"
"Ok...,
ci proverò!".
Aspettare.
Lasciare
che gli eventi facciano il loro corso.
Aspettare.
Aspettare
e godermi l'estate.
Ci
proverò.
"Allora,
cosa ti ha detto la dottoressa?" mi chiede Asia quando esco
dallo studio della Lisandri.
"Che
devo godermi l'estate" rispondo sorridendo.
"Dai
Leo, seriamente! Ti ha prescritto qualcosa?"
"Seriamente:
mi ha prescritto del tempo spensierato fino all'esito dei prossimi
esami che devo fare venerdì!"
"Qua
c'è scritta un'altra cosa" osserva lei prendendomi di
mano la ricetta.
"Quello
è l'antidolorifico per godermi l'estate e il tempo
spensierato" le spiego ostentando un tono molto serio mentre
Asia infila la ricetta in borsa.
"Ah!
Va bene, andiamo subito a prenderlo allora, così cominci
subito questa terapia della spensieratezza!" dice assecondandomi
mentre camminiamo verso l'uscita dell'ospedale.
"Prima
possiamo passare alla scuola guida? Voglio iscrivermi al corso per il
patentino".
Lei
mi guarda con dolcezza e non riesce a trattenere un sorriso: "Va
bene, fratellone!".
Prendo
in mano il telefono per vedere se Giulia ha risposto al mio messaggio
di stamattina.
Niente.
"Sei
a casa? Posso passare da te tra un po'?" le scrivo.
La
sua risposta mi arriva un quarto d'ora dopo, mentre salgo in auto
dopo essere uscito dalla scuola guida: "Io e il mio naso
vogliamo stare da soli. Grazie".
"Che
c'è?" mi chiede Asia vedendomi sorridere scuotendo la
testa.
"Giulia...
Mi lasci da lei dopo la farmacia?"
"Sì...
pare che il re Leone sia tornato, eh?!"
"Sì,
pare proprio di sì!".
Suono
al campanello più volte ma Giulia non viene ad aprire. Mi
convinco quasi che non sia in casa, ma poi penso che col naso ridotto
in quelle condizioni non sarà andata chissà dove.
"Aprimi"
le scrivo.
Giulia:
"Adesso
che so che sei tu, non ci penso proprio!".
"Io
sto qua finché non mi apri. Anche finché non tornano i
tuoi" le rispondo scrivendo con una mano, mentre con l'altra mi
attacco al campanello.
Passa
qualche secondo e il cancello si apre. Attraverso il giardino, mentre
Zeus mi corre incontro e mi salta addosso, e la trovo ad aspettarmi
sotto il portico, davanti alla porta d'ingresso, con le braccia
conserte; ha il naso ancora gonfio, ma appare già migliorato
rispetto a ieri sera.
"Ti
è passata la voglia di stare da solo?" mi chiede con tono
polemico mentre mi avvicino a lei.
"Sì."
"Beh,
adesso sono io che voglio stare da sola!"
"Non
è vero, tu odi stare da sola!" esclamo abbracciandola,
mentre lei rimane rigida con le braccia incrociate.
"In
ogni caso non voglio stare con te!"
"Ti
ricordi...?" le domando con tono dolce guardandomi intorno,
sorridendo tra me e me. "Qua sotto ci siamo dati il primo
bacio..."
"Certo
che sei incredibile tu!" sbotta lei esasperata, slegandosi dal
mio abbraccio. "Mi lasci da sola come una cretina a casa tua, te
ne vai non so dove e non so perché, mi fai stare in pena per
tutta la notte e poi vieni qui come se nulla fosse?!"
"Non
come se nulla fosse! Ti ho scritto scusa per ieri sera."
"Beh,
non è abbastanza!"
"Scusa!"
dico allargando le braccia e lasciandole ricadere. "Adesso te
l'ho anche detto, ok?!"
"No!
Non è ok! Non è per niente ok! Sono
preoccupata per te! Per la tua gamba, per la tua febbre, per il tuo
schifo di umore!".
"La
febbre al momento non ce l'ho" dico sedendomi sul divanetto per
dare sollievo alla gamba. "E nemmeno lo schifo di umore."
"Ho
notato! Visto che migliori a stare lontano da me, forse dovresti
continuare a starci!"
"Dai...,
non è vero che miglioro a stare lontano da te."
"E
allora cos'è cambiato da ieri?" mi domanda con tono più
pacato. "Hanno scoperto cos'hai e ti hanno rassicurato?"
"No"
sospiro. "Non mi hanno rassicurato. Vieni qui" le dico
battendo la mano sul divanetto.
"E
quindi?!" chiede lei mentre con passo incerto si avvicina, senza
ancora accennare a sedersi.
"E
quindi ho deciso di non pensare a quello che potrei avere finché
non lo so con certezza. Devo fare altri esami..., e poi si vedrà.”
"Che
esami devi fare?" mi chiede sedendosi, finalmente, accanto a me.
"Una
tac e una risonanza."
"Perché
dalla radiografia non hanno capito...?"
"Esatto."
"E
perché ieri eri ridotto in quello stato? Era solo per il
dolore alla gamba?"
"No,
non solo per quello" dico sospirando mentre i suoi occhi mi
scrutano.
“Per
cos'altro allora?”.
Credo
non ci sia un modo giusto per dirglielo, così come non c'era
per me un modo giusto per saperlo. È così e basta.
“Potrebbe
essere un tumore” le dico cercando di controllare il tremito
nella mia voce.
"Un
tumore?"; la sua voce esce così piano che più che
sentire quelle parole veramente, gliele leggo sulle labbra.
Io
annuisco in silenzio, mordendomi nervosamente il labbro e lei si
spinge verso di me, nascondendo il viso contro il mio petto, mentre
sento che comincia a piangere. Le accarezzo i capelli, cercando
qualcosa da dire, sapendo che in questo momento niente potrà
davvero farla sentire meglio; però, ci provo, comunque:
"Giulia, non è ancora detto! Non pensiamoci fino a che
non ne sapremo di più. È estate, abbiamo sedici anni,
dobbiamo essere felici!"
Lei
solleva la testa dal mio petto e mi sorride, asciugandosi le lacrime
con le mani. “Ok” dice tirando su col naso, sorridendo,
anche se la sua voce tradisce tutta l'immensa tristezza che sta
provando in questo momento: “Saremo più felici che
possiamo”.
Più
felici che possiamo.
Più
felici che possiamo.
Mi
ripeto quelle parole in testa, provando a crederci davvero.
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