I segreti del Terzo Reich

di DramioneMalfoy
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I segreti del Terzo Reich


 

Parigi, 2 settembre 1939 ore 02:35

La notte scese velocemente su Parigi, avvolgendo nelle spire del silenzio e dell'oscurità le sue case e i suoi abitanti.

Se la Francia fosse entrata in guerra ben presto ci sarebbe stato un coprifuoco a incombere gravemente nelle vite dei cittadini e le avrebbe limitate a semplici esistenze.

Nonostante Parigi fosse una città dal fascino inesauribile e i vicoli fossero perfetti per passeggiare al chiaro di luna, metà popolazione sembrava dormiente e si riposava dopo una faticosa giornata di lavoro.

Non proprio tutti, però, dormivano. Nonostante alcuni di loro il giorno dopo sarebbero dovuti tornare alla realtà dei loro lavori e altri si preparavano ad affrontare una giornata che avrebbe cambiato in qualche modo la loro vita, per alcune persone era davvero impossibile abbandonarsi alle braccia di Morfeo.

La cittadina ripiombava negli echi assordanti di mormorii sommessi e risatine flebili che si libravano nell'aria.

Quello era l'orario degli innamorati. 
Chi non aveva potuto incontrarsi durante la giornata, utilizzava le ore notturne per farlo.

Le ragazze sgattaiolavano, sprezzanti del guaio in cui si stessero cacciando, dalla finestra della propria camera e accorrevano, come avevano fatto già tante volte, al luogo dove s'erano date appuntamento con il proprio amato.

L'incoscienza di quegli amori così giovani e ingenui fece sorridere Kathrein che si trovava appollaiata sul dondolo della veranda.

A volte si domandava come sarebbe stato il suo rapporto con Diedrich se lei non fosse stata la figlia di Heinfried e se lui non fosse stato così votato al regime del Reich. Si chiese se sarebbe stato ugualmente difficile e se lui avrebbe comunque adottato un atteggiamento schivo nei suoi confronti. Ma queste erano risposte che non le era dato sapere, perché di quei amori spensierati e giovanili il loro non aveva nulla.

Per qualche assurdo motivo, non sarebbe mai riuscita ad accostare la parola "innocenza" al loro fidanzamento, perché Diedrich era tanto bello quanto tremendamente complicato e al tempo stesso enigmaticamente tentatore.

L'aria pungente le pizzicava le clavicole, ma la sensazione di pace e tranquillità che quel momento le stava donando la fecero beare e sprofondare nella coperta in cui si era avvolta prima di uscire sul portico.

Da quella posizione poteva vedere la torre Eiffel risplendere di una luce nuova quella notte e non poté fare a meno di crogiolarsi nel tepore di una vita che le stava scivolando via, inevitabilmente e senza che potesse fare nulla per riafferrarla.

Sebbene fossero molti i pensieri che le martellavano nella testa, aveva messo a tacere ogni disturbo e si godeva quegli ultimi momenti di pace prima di dire addio alla Francia.

Non aveva fatto in tempo a salutare Antoine e il resto degli anziani che vendevano i beni di prima necessità al mercato delle spezie. Ma forse era stato meglio così, perché avrebbe reso tutto più reale e difficile da accettare.

Eppure c'era qualcosa, un ronzio, che più degli altri premeva affinché lei gli dedicasse la sua attenzione. Il pensiero di alcune parole utilizzate da suo padre nella lettera.

Aveva parlato di "momento di difficoltà per la Germania" e la cosa l'aveva inorridita terribilmente dato che era stata proprio questa a dichiarare guerra.

"Così tipico della Germania, attaccare e farsi vittima" pensò mentre con un piede spingeva a terra per dondolare la sedia su cui si trovava.

Anche quella minima briciola di riflessione, però, fu rilegata nei meandri più profondi della sua mente e ogni pensiero rimandato all'indomani quando avrebbe dovuto fare i conti con la sua vecchia vita.

Venne distratta dal rumore di alcuni spari e fu costretta ad alzare il viso verso il cielo per capirne la fonte e i suoi occhi si persero ad osservare la miriade di colori che risplendevano infrangendosi, poi, nel fiume sottostante.

Lo spettacolo sembrava non aver fine

Lo spettacolo sembrava non aver fine. La Francia festeggiava e, anche se Kathrein non fosse a conoscenza del motivo, osservava rapita i giochi di luce che adesso stavano percorrendo per intero il monumento simbolo di Parigi.

I fuochi rischiaravano il cielo in quella notte buia e senza stelle, insieme all'illuminazione di un faro posto in cima alla torre che sembrava gettare speranza e rincuorare gli animi che quella notte non riuscivano a sedarsi.

Ma non quello di Kathrein. Tutta quella felicità cozzava terribilmente con il suo umore e le notizie funeste di quella giornata scorrevano impetuose in lei come il Senna davanti ai suoi occhi.

Stupidamente si ritrovò a pensare a quei giovani visi innamorati che, nei sobborghi più sconosciuti di Parigi, si avvicinavano sotto i caldi colori dei fuochi d'artificio e si scambiavano promesse d'amore che, nella maggior parte dei casi, sarebbero state eluse nel tempo.

Lei non avrebbe mai vissuto momenti così di tranquillità con Diedrich, ma ciò non la scalfiva minimamente poiché ne era stata consapevole sin dall'inizio e le era sempre stato bene così.

Adesso, però, si interrogava sui suoi reali sentimenti e si disse che aveva ancora la possibilità di scegliere. Nonostante Diedrich le promettesse sicurezza e stabilità, le continue separazioni e le sue omissioni avevano costruito muri come cinte difensive tra di loro.

Terribilmente orgogliosi e testardi, nessuno dei due avrebbe mai ceduto e la vita di Kathrein sarebbe proseguita con i continui silenzi di Diedrich. Forse, si disse, non era fatta per quello. Forse non era fatta per lui.

Nonostante sua madre le avesse insegnato come comportarsi un giorno con il suo futuro marito e sebbene il suo matrimonio con un partito tedesco ricco e influente sarebbe comunque stato deciso a tavolino, non avrebbe prestato obbedienza come un cagnolino da compagnia e non si sarebbe limitata ad essere una presenza di margine nella vita del suo uomo.

«Prosperità e codardia» affermò beffardamente una voce alle sue spalle.

Kathrein sobbalzò dallo spavento perché, immersa com'era nei suoi pensieri, non aveva sentito il rumore dei passi o la porta della veranda che si apriva e chiudeva sotto il tocco di Schulze.

«Non volevo spaventarvi»

L'uomo accese una sigaretta e si appoggiò mollemente alla ringhiera del portico, abbandonando la sua algida posa militare. Solo in quel momento Kathrein si accorse che non indossava la divisa e che la camicia, sbottonata sulle prime tre asole, lasciava intravedere il guizzo dei suoi muscoli ogni volta che portava la sigaretta alla bocca per aspirarne un po' di fumo.

Sotto i pallidi raggi lunari metà del viso dell'ufficiale le era visibile grazie ai fuochi d'artificio che, infiniti, continuavano a esplodere nel cielo alle spalle dell'uomo.

«Non capisco a cosa vi riferiate, herr. Non vi piacciono forse gli spettacoli di luce?» mormorò la ragazza nella sua direzione. Inaspettatamente stava gradendo la sua presenza, la distraeva dal machiavellico tormentarsi dei suoi dissidi interiori.

«Non ho detto questo, fräulein» inspirò un'altra boccata di fumo per poi rilasciarla lentamente con un soffio.

Kathrein si perse ad osservarlo per qualche attimo e rimase in silenzio, in attesa che parlasse ancora e la sua tacita richiesta non fu tardata ad essere esaudita.

«I fuochi servono per rassicurare i francesi, restituire la speranza a chi in queste ore ha avuto paura di tornare al fronte. Non si può dire certo che siano un popolo di conquistatori. La Francia si sta dichiarando non belligerante e lo fa con uno spettacolo visibile da ogni angolo più remoto di Parigi, proprio oggi che siamo arrivati io e Lang in città. Un gesto molto nobile verso i suoi cittadini ma al contempo pusillanime nei confronti della Germania, non credete?» il timbro caldo della sua voce era in contrasto con la freddezza e il distacco con cui parlava di quel popolo che, era evidente, riteneva nettamente inferiore.

«Un po' egocentrico da parte vostra credere che i fuochi siano stati sparati per voi, non pensate maggiore?» ribatté divertita Kathrein. Forse stava azzardando troppo, o forse no. Presto sarebbe tornata sotto l'ala protettiva di suo padre e questa conversazione sarebbe stata un lontano ricordo che non poteva permettere di lasciare incompleto.

«Alla stazione oggi non si parlava d'altro che del nostro arrivo. In un certo qual modo gli abitanti sono intimoriti dalla nostra presenza, eppure siamo solo due» proferì l'uomo mentre spegneva la sigaretta nel posacenere sul tavolo lì accanto 

«Naturalmente sapevamo di non essere i benvenuti, ma sembra che l'ostilità in questo paese sia peggiorata dopo l'invasione in Polonia. Prima andremo via, meglio sarà» l'ufficiale prese posto sulla sedia accanto a lei e, da quella prospettiva, poté scorgere il ghigno che prepotentemente era tornato a dominare la sua espressione.

La luce del lampione illuminava fiocamente la sua figura e a Kathrein bastò ammirarlo per pochi secondi di sottecchi per restarne ammaliata. La camicia bianca lasciava intravedere i suoi muscoli dalle maniche lasciate arrotolate e il pantalone, di un colore beige chiaro, fasciava alla perfezione le gambe toniche e tornite dall'addestramento.

Schulze reclinò la testa e chiude gli occhi, senza emettere più alcun suono. In quel momento alla ragazza fu permesso ammirare in totale libertà i tratti decisi della sua mascella e della mandibola che si contraeva ritmicamente.

«Sembra quasi che abbiate paura di possibili rappresaglie da parte dei francesi, herr Sculze» mormorò in maniera molto meno decisa rispetto al tono di accusa che avrebbe voluto utilizzare. 

Ancora con gli occhi chiusi l'ufficiale scoppiò in una fragorosa risata e, sebbene per lei non fosse bella quanto quella di Diedrich, quel momento così naturale e spontaneo la destabilizzò piacevolmente.

«Ho paura per voi» confessò, aprendo gli occhi e piantandoli nei suoi come aveva fatto quel pomeriggio.

Adesso, però, la situazione era molto più scomoda e il fatto che fossero soli invogliava Kathrein a porgli tutti i quesiti che le passavano per la testa e ad avvicinarglisi in maniera troppo pericolosa ma del tutto naturale.

Rimase per brevi attimi con il respiro spezzato e, nella brezza settembrina di Parigi, si strinse ulteriormente nella coperta. Eppure i brividi che le avevano percorso la spina dorsale non sembravano essere causati dall'aria fresca della notte, quanto piuttosto da quelle parole e dallo sguardo incantato che l'ufficiale le stava riservando.

Sostenne il suo sguardo senza mai vacillare un attimo, in attesa che questi scoppiasse nuovamente a ridere e le rivelasse che la stava prendendo in giro. Quel momento, però, non arrivò e nei suoi occhi lesse assoluta, pura e sincera verità.

«Io non capisco, herr...perchè dovreste preoccuparvi per me?» il suo fu un flebile sussurro ma fu ben recepito dall'udito del soldato che si alzò elegantemente dalla sedia e si piegò sulle sue stesse ginocchia per arrivare all'altezza della ragazza e poterla scorgere da più vicino.

Quella vicinanza, pur appagando e mettendo a tacere un segreto senso di tormento che neanche Kathrein sapeva di covare in sé, rendeva tutti i pensieri più confusi e la scombussolava al punto da temere di commettere sciocchezze.

«Perché per voi stare qui diventa sempre più pericoloso man mano che passano le ore» le mani dell'ufficiale si posarono sui braccioli del dondolo su cui si trovava Kathrein, intrappolandola tra questo e il suo corpo.

La ragazza si costrinse a deglutire saliva inesistente. Sbatté un paio di volta le ciglia, quasi come se riaprendo gli occhi la vicinanza dell'uomo si sarebbe annullata.

Schulze sembrò notare lo scombussolamento della ragazza e curvò le labbra in un mezzo sorriso.

Stavolta Kathrein non scorse nulla del suo ghigno derisorio o della sua freddezza inscalfibile. Uno degli uomini più belli che avesse mai visto stazionava semipiegato davanti a lei e i loro visi erano così vicini che, nonostante una spanna di altezza, poteva sentire il respiro caldo dell'ufficiale sul suo viso e i suoni dei fuochi d'artificio alle sue spalle la raggiungevano ovattati.

Se avesse impercettibilmente alzato il capo le loro labbra si sarebbero incontrate. Allora rimase ferma e combatté con la voglia di farlo.

Si vergognava per il modo imprudente con cui aveva perso il controllo della situazione e, di lì a breve se l'uomo non fosse arretrato, anche di se stessa.

Si stava comportando come tutte quelle coetanee che criticava, lasciandosi ammagliare dall'aspetto avvenente di Schulze.

Eppure, si disse, Alexander esercitava su di lei un fascino non indifferente che la stava costringendo a fare a pugni con il proprio desiderio di scoprire il sapore delle sue labbra e il calore e la sicurezza delle sue forti braccia.

«In paese mi conoscono tutti, nessuno mi farebbe mai del male» rispose con decisione, per quanto riuscisse a preservare lucidità e determinazione in una situazione del genere.

«Siete molto bella Kathrein, ma la vostra ingenuità potrebbe farvi molto male. Voi per loro, adesso, siete il nemico. Sarete presto promessa ad un tedesco, quasi sicuramente dell'esercito, e questo vi renderà vulnerabile agli occhi degli estremisti francesi che avanzano ancora pretese verso la Germania dopo il primo conflitto. Anche se non abbiamo più nulla da spartire con loro e non oserebbero mai mettersi contro un membro del reich, sono piuttosto sicuro che se trovassero un modo indiretto per colpire il generale Bergmann lo farebbero. Tuo padre ha molti nemici in Francia, anche tra le persone che ritenete fidate fräulein» dissentì l'uomo e nei suoi occhi Kathtrein poté scorgere la fermezza con cui gli ideali tedeschi erano stati instillati in lui. Parlava del Reich come un credo religioso.

Sembrava sapere o conoscere molte più cose di lei sulla sua stessa vita che si era costruita lì in Francia e ciò le provocava un senso di rabbia. Avrebbe voluto strappargli tutte le sue convinzioni tirandogli un pugno in faccia e urlandogli che conosceva quella gente e che nessuno di loro sarebbe mai riuscito a farle più male di lui che la stava portando via.

Poi Schulze si alzò e si allontanò da lei. Nel frattempo i fuochi avevano cessato di esplodere e una leggera coltre di fumo si propagava nell'aria quasi come nebbia invernale, mente la città ricadeva nel mutismo totale.

Kathrein tornò a respirare, anche se non s'era nemmeno accorta di sta trattenendo l'aria, e si accorse di aver sorretto, per tutto quel tempo, un macigno sul petto. Non seppe dire se fu senso di colpa o eccitazione, ma qualcosa in lei adesso la spingeva a cercare un altro contatto visivo con Schulze e implorava perché si trovasse di nuovo ad una distanza così minima con lui.

Tuttavia, e Kathrein non seppe dire se fosse una fortuna o meno, il maggiore era un uomo dalla calma placida e sembrava riacquistare la piena padronanza di sé in pochi attimi o, forse, non l'aveva mai persa. In fondo, era pur sempre un militare e non lasciava che le emozioni prendessero il sopravvento sulla sua disciplina ferrea.

Pensò per un attimo alle sue parole "siete molto bella Kathrein" e immaginò che, se non avesse ricevuto anche lei una rigida educazione, sarebbe inevitabilmente arrossita.

Sebbene fosse abituata a ricevere questi complimenti da molti tedeschi per via del suo aspetto così naturalmente ariano, riceverlo da Alexandere fu quasi come riceverli da Diedrich.

Si disse, però, che quelli di Diedrich erano speciali proprio perché rari e detti solo se pensati, sentiti e provati sinceramente e con una purezza disarmante.

Diedrich non era noto per prodigarsi in convenevoli e lusinghe per via del suo atteggiamento tipicamente distaccato, ma quando lo faceva per Kathrein era il senso di appagamento e apprezzamento più grande che potesse mai provare.

«Vi consiglio di andare a riposare, fräulein. Il viaggio sarà molto lungo» senza proferire altra parola sparì oltre la porta della veranda e nel corridoio scuro della casa che portava al piano di sopra.

Così Kathrein decise di spegnere la candela sul tavolo e seguire il consiglio dell'ufficiale, ritirandosi in stanza poiché doveva ancora finire la valigia.

Mentre rientrava nell'abitazione la Bergmann ringraziò mentalmente l'architetto di quella casa che aveva progettato che le stanze padronali si trovassero al piano terra e, quindi, la sua camera e quelle di Ruth e Meredith si trovavano distanti da quelle dei due ufficiali al piano superiore.

Non che avesse paura. Lang, soprattutto, si era dimostrato gentile ed educato. 
Tuttavia voleva mettere quanta più distanza possibile tra sua zia e quei soldati.

Inaspettatamente si ritrovò a sperare che quelle ore passassero in fretta e che arrivasse subito l'ora di partire, per la sanità mentale di Ruth costretta ad ospitare due tedeschi nella sua casa.

Si convinse, mentre spingeva la porta della sua stanza e rimaneva per un po' ferma sull'uscio ad osservarla pensando che presto l'avrebbe lasciata per sempre, che era per sua zia che improvvisamente sentiva il bisogno di andare via con quei due uomini.

Non ammise mai a se stessa che, molto probabilmente, voleva solo rivedere Diedrich.

Si allungò verso il comodino e ne tirò fuori la sua collana. La osservò per un po' di tempo e immaginò il suo fidanzato nel momento della sua scelta. Era un tipo sbrigativo, quindi sicuramente non aveva impiegato molto tempo a farlo. Diedrich era così assurdamente spontaneo, nonostante i suoi atteggiamenti fossero calcolati e ben misurati, non faceva nulla che non lo convincesse a pieno.

La consapevolezza che più le fece piacere, ora che si ritrovava ad accarezzare i topazi incastonati tra i diamanti lucenti, fu il fatto che mentre lui la sceglieva la stesse pensando. Aveva immaginato i suoi occhi nella sua mente e, questo gesto di affetto, seppur assolutamente usuale nelle coppie normali, in uno come Diedrich significava molto. Occupare i suoi pensieri, anche solo per breve tempo, indicava totale lealtà e fiducia per un uomo come lui.

Sorrise inavvertitamente e si sentì in colpa per quello che stava quasi per succedere nel portico poco prima. Il pensiero che anche Diedrich potesse trovare distrazioni in altre per la noia o per la distanza le fece male come una pugnalata dritta al petto.

Poi si convinse che una volta che si sarebbero rincontrati, nonostante i suoi dubbi e le tentazioni, sarebbe tutto svanito nel nulla.

La sensazione di intorpidimento al cuore sarebbe svanita e avrebbe ripreso il naturale corso delle sue cose, confermando i suoi sentimenti per Diedrich e la voglia di costruire qualcosa insieme.

Sorrise un'ultima volta guardando la collana e la ripose con cura nella valigia in fondo al sicuro da tutto, quasi a volerla proteggere da chi minacciava di minare il loro rapporto già instabile.

Con quei pensieri finalmente si coricò, cadendo in un sonno senza sogni. 
 

Stazione ferroviaria di Parigi, 2 settembre 1939 ore 08:45

Quando si svegliò il giorno seguente Kathrein si rese conto che i suoi bagagli erano già stati portati alla stazione dai due ufficiali che, come le aveva detto Josel, erano usciti a sbrigare chissà quale controllo

Quando si svegliò il giorno seguente Kathrein si rese conto che i suoi bagagli erano già stati portati alla stazione dai due ufficiali che, come le aveva detto Josel, erano usciti a sbrigare chissà quale controllo.

Pur essendo molto distante dalla casa di sua zia, non fu difficile per Kathrein e Meredith raggiungerla con una macchina predisposta da Ruth.

O meglio, la ragazza si trovò a constatare che era stato molto più facile raggiungere la stazione che farsi lasciare andare dalla governante.

L'abbraccio della donna, infatti, minacciava pericolosamente di stringerla in una morsa soffocante e la tristezza nei suoi occhi tradiva il sorriso che si sforzava di ostentare.

Sapeva che avrebbe voluto piangere e, se l'avesse fatto, per Kathrein sarebbe stato molto più doloroso salire su quel treno.

Tuttavia, l'orario della partenza arrivò e, salutando per l'ultima volta Meredith, raggiunse Schulze e Lang che l'attendevano pochi passi più in là.

Rimase comunque in disparte quando notò che stavano parlando con un ragazzo. Più che parlare, però, le sembrava stessero inveendo e l'espressione timorosa del ragazzo con il capo chino la spinse a intervenire.

«Maggiore Schulze che succede? Dobbiamo sbrigarci, tra poco il treno partirà» disse con molto più coraggio di quanto si aspettasse. Mettersi in mezzo ad un militare e al suo lavoro era una mossa azzardata e con Diedrich non l'avrebbe fatto nemmeno in punto di morte.

Tuttavia aveva avuto modo di capire da quelle poche conversazioni che Schulze fosse un uomo più elastico e che accettasse la vena sottilmente ironica delle cose.

Il fatto che un uomo così pacato, e al tempo stesso rigidamente portatore degli ideali di violenza e distruzione dei nazionalsocialisti, perdesse le staffe in quel modo avrebbe dovuto intimorirla più di tutto e indurla a restarsene al suo posto.

Quando si accorse, però, che il ragazzino verso cui facevano pressioni era il figlio di Antoine, di appena diciassette anni, si rese conto che si sarebbe intromessa anche se ad interrogarlo fosse stato Diedrich in persona.

Era affezionata ad Antoine e aveva avuto modo di avere a che fare con suo figlio quando le portava la frutta a domicilio e non accettava mai, se non di costrizione, una ricompensa molto più di quella dovuta da parte della ragazza.

«Non partirà nessun treno fin quando questo bastardo non avrà parlato» il sibilo dell'uomo tagliò corto ogni frase e fu pronunciato con una tale durezza e freddezza da non ammettere repliche.

Josel accanto a lui non proferiva parola ma sembrava ugualmente spazientito e al tempo stesso preoccupato.

Tuttavia Kathrein non indietreggiò al tono tagliente di Alexander e imperterrita continuò a indagare per capire cosa avesse combinato il figlio di Antoine per trovarsi in quella situazione.

«Joachim di cosa stanno parlando gli ufficiali? Che hai fatto?» chiese con una dolcezza di cui non sapeva di essere capace. Non era mai stata abituata ad esternare i suoi sentimenti e le sue emozioni non si erano mai tramutate in gesti e parole, nemmeno con Diedrich.

Qualche volta, aveva lasciato che il cuore prendesse il sopravvento sulla parte razionale di sé. Ciò, però, era accaduto solo con sua zia di cui sapeva di potersi fidare ciecamente e con la quale sentiva di poter spogliarsi completamente dalla sua fredda impostazione emotiva.

Quel ragazzo, però, era appena un bambino quando l'aveva conosciuto e, in qualche modo, il fatto che l'avesse visto crescere la induceva a prenderne le difese da quegli uomini in divisa che così irati sembravano nati per asservire il diavolo in persona.

«Mademoiselle Kathrein perdonatemi, io...io n-non volevo»

Il tremolio vistoso del suo corpo impediva alle sue labbra di parlare senza balbettare e ciò intenerì Kathrein al punto da fare un passo in avanti verso di lui.

«Rimanete dove siete» più che un consiglio quello di Schulze era un vero e proprio ordine. Un avvertimento che, nonostante fosse pronunciato con risolutezza, trasudava minaccia e ammonimento.

«E tu parla» la veemenza che aveva utilizzato l'ufficiale costrinse il ragazzo a serrare gli occhi in un moto di paura e ad indietreggiare, ma Lang lo bloccò malamente per le spalle e lo respinse in avanti facendolo incespicare sui suoi stessi passi.

«Dimmi dove l'hai messa o ti taglierò la lingua e sbatterò in gattabuia la tua famiglia per il resto dei loro miserabili giorni» non c'era alcuna traccia di pentimento sul viso dell'uomo dopo aver pronunciato quelle parole e Kathrein cominciò a temere davvero per l'incolumità di Joachim.

Josel nel frattempo salì sul treno che l'avrebbe riportata a Berlino e Kathrein avrebbe voluto seguirlo per capire cosa stesse succedendo, ma Schulze la intimoriva troppo per lasciare solo quel povero ragazzo.

Se non avesse fatto qualcosa per aiutarlo e se lui avesse continuato a non fornire le informazioni di cui i due militari sembravano avere così tanto bisogno, si sarebbe cacciato in guai ben più grandi di quello in cui già si trovava.

«Signore io non so cos-»

«DIMMELO» l'urlo dell'uomo fece sussultare tutti i presenti e qualsiasi brusio si zittì improvvisamente su quella piattaforma.

Nessuno osava mettersi in mezzo e Kathrein notò che molti non avevano neanche il coraggio di guardare l'uomo che aveva perso la calma in quel modo.

Si chiese se fosse così, se sarebbe sempre stata così la sua vita. Si domandò se sarebbe sempre stata costretta ad assistere ad umiliazioni di quel genere e se dovesse restarsene in silenzio in eterno mentre vedeva qualcuno che conosceva sopportare simili soprusi.

«Alexander...» non ebbe neanche il tempo di rendersi conto di averlo chiamato per nome perché l'uomo alzò un dito nella sua direzione e quel semplice gesto la fece sentire totalmente disarmata.

Lo sguardo di freddezza che le aveva rivolto le bastò a comprendere qual'era il suo posto e fu una tacita intimazione a farsi da parte.

Non si diede per vinta e fece per rispondergli, quando Josel però scese dal convoglio non c'era più nulla che potesse fare per difendere l'innocenza di Joachim.

A passo di marcia l'ufficiale si avvicinò al suo superiore e gli consegnò tra le mani un pacchetto di polvere bianca. Era polvere da sparo, non c'erano dubbi.

«Si trovava nelle caldaie herr, non appena il treno avrebbe raggiunto una determinata velocità e il termostato sarebbe salito al di sopra di una certa temperatura sarebbe esploso»

Kathrein sbattè più volte le palpebre disorientata e guardò Joachim in cerca di spiegazioni, ma il ragazzo aveva abbassato il capo in segno di colpevolezza.

«Dimmi chi ti ha dato quella polvere o giuro sul führer in persona che dovrai cercare i resti della tua famiglia bastarda in fondo ad un precipizio» la minaccia dell'ufficiale fu ancora più spaventosa quando prese il ragazzo per il bavero della giacca e lo sollevò, senza alcuno sforzo, di qualche centimetro da terra.

La vena pulsante del suo collo ne alterava i tratti nordici solitamente raccolti in espressioni di stasi e algida compostezza.

«Credo non ci sarà bisogno, maggiore» osservò Josel con una calma invidiabile, segno di lunghi periodi di esposizione al dolore e alla sottomissione dell'addestramento militare.

Kathrein, dopo aver notato che la presa del soldato sulla giacca del ragazzo si allentava, guardò nella stessa direzione dei loro sguardi e scorse un viso famigliare.

Per un attimo sentì la terra venire meno sotto i suoi piedi, aprendo un vortice e risucchiandola nei precipizi più oscuri e insidiosi.

«Antoine» fu l'unica cosa che riuscì a dire all'anziano signore con cui aveva intrattenuto in otto anni molte conversazioni, condividendo storie e chiacchiere.

Ma questi, con una cattiveria che solo pochi altri avrebbero potuto superare, cominciò a scaricarle addosso insulti e frustrazioni con un impeto travolgente che Kathrein non seppe giustificare.

Non aveva mai fatto del male alla sua famiglia ed erano sempre stati buoni amici per lei e sua zia Ruth quando si recavano al mercato. Davvero non riusciva a capire cosa potesse aver smosso una rabbia così grande.

«VOI NON SIETE BEN ACCETTI QUI. VOI STUPIDI TEDESCHI SIETE LA ROVINA DEL MONDO, CI CONDURRETE DI NUOVO SUL BARATRO. DOVETE MORIRE, A COMINCIARE DA VOI PUTTANE NAZISTE» le urla dell'uomo, però, le sembravano sempre più lontane man mano che veniva portato via da due poliziotti francesi che tentavano di sedarlo con calci e pugni.

«Lang, assicurati che quell'uomo e suo figlio passino in prigione il resto delle loro stupide ed insulse vite. E che le loro donne siano ricoperte di vergogna e costrette a supplicare per trovare qualcuno che le offra un lavoro degno di essere chiamato tale»

«Jawhol, herr Schulze»

Josel si allontanò da loro e seguì la direzione che avevano preso i poliziotti con i due uomini.

La condanna di Joachim, che era evidente fosse stato costretto da suo padre, sembrò esagerata a Kathrein e avrebbe voluto ribattere qualcosa perché essere condannati al carcere a vita a diciassette anni era una disumanità.

Tuttavia era ancora troppo sconvolta e la reazione di Schulze le imposero di rimanere in silenzio, almeno per il momento.

Aveva ancora nella mente l'odio di Antoine. Era scritto nei suoi occhi iniettati di sangue e sembrava non placarsi o trovare appagamento.

Il pensiero che un uomo che aveva ritenuto la cosa più vicina ad un padre avesse tentato di ucciderla con un attentato organizzato e che avesse coinvolto suo figlio di soli diciassette anni, la colse come uno spaventoso incubo che torna a cercarti ogni notte.

Avrebbe preferito non sapere. Avrebbe preferito morire su quel treno e non conoscere mai il suo assassino. Avrebbe voluto non portarsi dietro per sempre il peso di quel risentimento nei suoi confronti, ingiustificato, e il ricordo di quello sguardo folle.

«Nessuno in paese vi farebbe del male vero, Kathrein?» il tono di freddezza utilizzato da Schulze la schiaffeggiò con potenza, costringendo a piantare i suoi occhi lucidi in quelli adesso calmi dell'uomo.

Non capiva come potesse essersi già tranquillizzato dopo una sfuriata simile. Qualcuno aveva tentato di ucciderla, o meglio, di ucciderli. Nonostante quella consapevolezza, lui riusciva ad avere la lucidità di rinfacciarle le parole della notte precedente.

«E voi siete venuti prima perché lo sapevate già, non è vero maggiore Schulze?» l'accusa mossa da Kathtrein fu azzardata ma del tutto giustificata e la rabbia che covava in sé la spinse ad avvicinarsi a lui con passo deciso, nonostante il tremore delle mani dovuto allo spavento la rendevano più fragile di quanto volesse sembrare.

«Lo sospettavamo. Perché è questo il mondo, fräulein Kathrein. Ci sono molti bastardi in giro che verrebbero personalmente all'inferno con noi tedeschi pur di assicurarsi che non arriviamo in paradiso. Ogni giorno quelli come noi rischiano la pelle, ma non la perdiamo perché non siamo così stupidi e ingenui da riporre la nostra vita nelle mani di qualcuno, nemmeno di chi crediamo possiamo fidarci. Vi consiglio caldamente di fare lo stesso dopo oggi» la durezza che aveva usato per risponderle era gravata su di lei come il peso di cento cavalli che ti travolgono.

Quell'uomo sembrava non provare nessuna emozione e il fatto che sarebbe potuto morire se non avessero scoperto la polvere nelle caldaie non lo scalfiva minimamente. Al contrario quell'evento pareva averlo ricaricato di una nuova freddezza ed empietà.

«State minando le mie opinioni, herr Schulze» proferì Kathrein assumendo una smorfia di ghiaccio.

Rapidamente cancellò dal suo viso ogni segno di destabilizzazione e guardò l'uomo con il mento alto e lo sguardo fiero. Aveva permesso fin troppo, per quella giornata, alle sue emozioni di emergere e non avrebbe più commesso ad un ufficiale tedesco di prendersi gioco di quell'unica debolezza che aveva avuto.

«Vostro padre mi ha dato degli ordini, io li sto solo eseguendo» affermò l'uomo mentre assottigliava lo sguardo, scrutandola quasi sino all'anima.

Kathrein si sentì, per la seconda volta nel giro di ventiquattro ore, saccheggiata dai suoi occhi così penetranti e un turbinio di sentimenti si scatenò in lei.

«Gli ordini di mio padre implicano darmi della stupida e ingenua?» sostenne con caparbietà il suo tono di sfida e si rese conto, dal pugno dell'ufficiale che si stringeva rivelandone le spesse venature, di star mettendo a dura prova la pazienza del militare.

«Il mio compito è proteggervi e sto svolgendo il mio lavoro, nonostante ciò preveda il dover sopportare le lamentele di una ragazzina ribelle e petulante. Quando saremo a Berlino, non sarete più un mio problema» detto ciò, la superò senza altre cerimonie e si accostò all'entrata del treno indicandole poi con un braccio di salire.

Kathrein, che non era mai stata ripresa per il suo comportamento, si sentì ferita nell'orgoglio e aspettò qualche secondo prima di seguire la direzione del braccio disteso dell'uomo.

Nessuno aveva mai avuto da dire sulla sua educazione solitamente impeccabile. Contrariamente, tutti solevano complimentarsi con Heinfried ed Elsbeth per la condotta e il contegno ammirevoli che avrebbero facilitato la sua unione con qualsiasi tedesco facoltoso.

Il fatto che Schulze l'avesse ammonita in quel modo creò un senso di dispetto in lei, al punto da pensare che fosse tanto bello quanto sconsideratamente irritante.

Si costrinse a salire sul treno e, guardandosi un'ultima volta indietro, diede addio a quei binari che tante volte l'avevano portata a Berlino e molte altre di ritorno a Parigi.

Quando anche il capitano Lang fu salito sul treno, questo iniziò ad avviarsi sulle rotaie.
Ad ogni fischio il convoglio emetteva sbuffi di vaporose volute grigiastre, che andavano dissolvendosi nella coltre nebbiosa del cielo plumbeo di fine estate che prometteva pioggia.

Kathrein rimase immobile ad osservare le case parigine di campagna che scorrevano via dalla sua visuale, confondendosi a macchia d'olio con il paesaggio rurale circostante.

Sospirò e appoggiò la testa al vetro appannato dalle goccioline di nebbia. Chiuse gli occhi come a voler assorbire il dolore, un senso di abbandono che la investì da capo a piedi e la fece sprofondare in un senso di sconforto.

Non avrebbe più rivisto quei luoghi e i suoi abitanti, anche se, soprattutto ora, era più che certa che loro non condividevano il suo stesso dispiacere. In fondo tutti, forse anche chi le si dimostrava amico per qualche assurdo motivo, l'avevano sempre e solo considerata "la bambolina tedesca".

Si ripromise di rilegare quella pillola amara nel dimenticatoio, perché nulla sarebbe potuto cambiare e nessuna di quelle persone avrebbe più fatto parte della sua vita.

Il profumo dei pini e degli alberi della città, però, sarebbe sempre rimasto tra i suoi ricordi più vividi e niente e nessuno avrebbe potuto cancellare o scolorirne i contorni.

Si concentrò sui suoi pensieri e si ridestò soltanto quando la porta del suo vagone si aprì, rivelando una donna dai boccoli color caramello e i profondi occhi nocciolati.

Fortunatamente suo padre aveva ritenuto sconveniente che viaggiasse nella stessa carrozza di altri due uomini, nonostante ufficiali dell'esercito. Ciò avrebbe potuto aizzare le additate delle invidiose ariane che, al suo ritorno, l'avrebbero indicata come una poco di buono.

Perciò fu predisposto che i due uomini viaggiassero nella sua stessa carrozza, ma in uno scompartimento diverso. In tal modo, solo uno stretto corridoio e due porte scorrevoli la dividevano dai due soldati e, seppur la distanza fosse davvero minima, colmabile in pochi passi, le bastò a farla sentire assolutamente in intimità con se stessa.

Non aveva visto molta gente sul treno quando era salita. D'altronde, aveva pensato, chi vorrebbe andare da Parigi a Berlino in un momento del genere? La criticità della guerra stava rapidamente prendendo piede in Europa e il conflitto ormai era dichiaratamente aperto.

D'altra parte, però, non si sarebbe neanche stupita se suo padre, gran maniaco del controllo, avesse impedito il viaggio a chi riteneva indegno di salire su quel treno insieme a lei. Sapeva quanto le sue convinzioni fossero assurdamente e follemente radicate in lui ed era a conoscenza anche dell'influente rete di agganci che intratteneva con le ferrovie francesi e tedesche per conto del Reich.

La donna prese posto di fronte a lei e, sebbene non scambiarono nemmeno una parola, le rivolse un sorriso cordiale che Kathrein si stupì di ricambiare così facilmente.

Viaggiarono per un po' in silenzio, fin quando la ragazza non le pose una domanda e la Bergmann scoprì piacevolmente di aver voglia di parlare con qualcuno, anche con una sconosciuta. Forse le sembrava la cosa più simile alla normalità che stesse accadendo in quel momento nella sua vita.

Scoprì molte cose di lei, in particolare che stesse tornando dall'Italia perché Mussolini aveva approvato le leggi razziali di Hitler e ne aveva a suo modo elaborate altre.

Qualsiasi ebreo straniero residente in Italia da una data posteriore al 1919 avrebbe dovuto abbandonare il suolo italiano e ritornarsene nella propria patria. E così stava facendo Hellen, una tedesca che si era allontanata dalla Germania prima che fosse troppo tardi ma che ora ci veniva rispedita con la forza.

Nonostante tutto Kathtrein poté notare una luce combattiva nei suoi occhi ed un buon umore che le invidiava con ogni parte del corpo.

Ben presto, però, la sua vita tornò a incombere sui pensieri di spensieratezza e svago quando la porta si spalancò rivelando l'ufficiale Schulze.

«Favorisca i documenti per favore» il tono utilizzato dall'uomo non ammetteva repliche e, seppur con riluttanza, la donna frugò nella sua borsa e gli consegnò quanto richiesto.

Schulze, che da quando avevano avuto quello screzio non le aveva più rivolto la parola, rimase qualche secondo con la testa china sui documenti. Dopo infiniti secondi rivolse lo sguardo verso la donna che aveva trattenuto il respiro per tutto quel breve lasso di tempo, che a Kathrein sembrò eterno, e il suo ghigno si impossessò del suo viso.

«La invito a seguirmi fuori da questa carrozza, signorina. Non può viaggiare con fräulein Bergmann»

«Herr ma io ho comprato il bigl-»

L'uomo appoggiò di prepotenza le mani sul tavolino che separava le due ragazze e il tonfo sordo delle tazzine di caffè che vi erano sopra risuonò inopportuno nello stretto spazio.

«Non è davvero un invito, prenda le sue cose e mi segua. Non dovrebbe nemmeno trovarsi su questo treno, ebrea»

Tale affermazione servì a confermare la sua precedente ipotesi: chi era degno di salire su quel treno era stato deciso da suo padre ed è per questo che le persone presenti erano davvero molto poche.

Questa imposizione di suo padre le sembrò una tale idiozia, come se un ebreo o qualcun altro avesse potuto trasferirle qualche sorta di malattia con la sola vicinanza.

Erano il Reich e il führer le vere malattie che l'avevano rovinata per sempre, ma questo non lo disse mai.

Vide la donna sparire dalla sua vista con un'espressione mortificata e Kathrein pensò fosse meglio così. Voleva evitare una sceneggiata come quella precedente alla stazione.

Abbassò lo sguardo sul tavolino di fronte a lei e notò che la donna aveva dimenticato una collana con uno strano ciondolo. Tuttavia non poteva fare nulla per riportarglielo, non sapeva nemmeno su quella carrozza l'avesse condotta Schulze. Perciò la custodì cautamente nella borsa e decise che gliel'avrebbe resa una volta rivista alla stazione a Berlino.

Ripiombò nei suoi pensieri e, poco dopo, si addormentò stremata dall'ansia e dalle poche ore di sonno della notte precedente.

Ore 18:30

Quando si risvegliò, molte ore più tardi, il paesaggio fuori dal finestrino era diventato scuro e la sera si abbatteva sul treno librando nel cielo le sue luminose stelle dorate.

Avevano attraversato, ormai, tutte le campagne francesi e poi quelle belghe. Adesso Kathrein poteva scorgere i paesaggi germanici stagliarsi con imponenza sullo sfondo di una sordida tristezza interiore che cominciava pian piano a crescere sulla via di casa.

Si voltò e per poco non lanciò un urlo che avrebbe messo in allarme tutti i presenti sul convoglio.

«Sei sveglia finalmente, pensavo avremmo dovuto portarti in braccio fino a casa. Per quanto magra, non credo tu sia così leggerà» la risata sommessa di Josel la mise di buonumore, nonostante l'imminente vicinanza alla villa Bergmann.

«Potrei offendermi, dico davvero capitano Lang» proferì Kathrein con un broncio che, appena sveglia, sembrò molto più una smorfia senza senso.

«Mi scuso, signorina Kathrein. Vi chiedo umilmente perdono, so che ciò non basterà a risanare il vostro animo ferito. Ma vi prego di essere clemente e non condannarmi ad un plotone d'esecuzione» l'espressione di divertimento e la mano sul cuore del soldato la coinvolsero nella sua risata.

Ad ogni modo, dopo pochi secondi la risata di Kathrein si spense e i suoi occhi si concentrarono sulla figura dell'uomo di fronte a lei. Avrà avuto la stessa età di Diedrich e del maggiore Schulze.

Le piaceva parlare con Josel, la faceva ridere spontaneamente e aveva saputo distinguerla dalle altre ragazze con sole poche parole. Anche lei vedeva in lui qualcosa di diverso rispetto al comportamento meschino degli altri ufficiali che aveva avuto modo di conoscere.

Josel era risoluto come Heinfried, leale come Diedrich e strategico come Alexander. Eppure in sé, si ritrovò ad ammettere Kathrein, conservava ancora molti dei valori che anche lei sosteneva. La sua fede al Reich non era ciecamente folle, era giustamente dosata.

«Tu non sei come loro» ammise senza neanche accorgersi di aver pronunciato quelle parole davvero.

In quei giorni, sfuggendo alle regole della sua educazione, non rifletteva su ciò che diceva e le parole sembravano sempre arrivare alle sue labbra prima che potessero passare dal cervello.

Sebbene fosse stato poco più che un sussurro, il militare l'aveva sentita e si voltò verso di lei stranito. Sembrava non aver capito a chi si riferisse e la guardò ulteriormente divertito in cerca di spiegazioni.

«Sei diverso dagli altri ufficiali, intendo. Altri, come il maggiore Schulze, si farebbero condurre fino alla morte per il führer o per il reich. Tu hai il senso della misura, sembri sapere fino a dove poterti spingere prima di diventare mentalmente instabile come loro»

Ennesimamente, si accorse di aver parlato senza cognizione di causa. Nonostante vedesse in Josel una persona fidata, era comunque un militare votato al nazionalsocialismo e, quindi, sosteneva, se non tutte, almeno in parte le loro teorie. Ciò che aveva detto era una chiara esposizione dell'ostilità che provava verso Hitler e i gerarchi del suo sistema.

Trattenne il fiato, consapevole che si fosse spinta troppo in là e che quell'uomo avrebbe potuto denunciarla per alto tradimento e, a quel punto, nemmeno Heinfried avrebbe potuto fare qualcosa. Nemmeno Diedrich ed era più che sicura che, dopo aver parlato in quel modo della sua lealtà, non avrebbe fatto nulla per salvarla nemmeno se avesse potuto.

Josel indossò una maschera di ghiaccio e fece segno di avvicinarglisi con un dito. Tuttavia non sembrò ammattito dalle parole della ragazza. Poi parlò con tono di voce molto basso, che sarebbe potuto essere udito solo da lei e lui in quel vagone.

«Ognuno è fedele a qualcosa, Kathrein. Io tollero che ci siano credi e fedeltà diversi, non tutti potranno accettare di buon grado il terzo Reich. Io stesso all'inizio mi arruolai solamente per poter pagare le medicine di mio padre che era gravemente ammalato. Avevo sedici anni, oggi ne ho ventisei e posso dirti che in dieci anni non sempre ho condiviso le scelte del führer. Ma nella maggior parte dei casi sostengo la causa a cui ho giurato fedeltà» mormorò a poche spanne dal suo viso e poi si ritrasse sul sedile, consapevole di averle confessato qualcosa di davvero grande e importante.

Quello sarebbe bastato a mandarlo su un patibolo, ma nessuno ad ogni modo avrebbe dato peso alle parole di Kathrein se avesse deciso di raccontare in giro la vera ragione per cui il capitano Lang si fosse arruolato.

Comunque Kathrein non l'avrebbe fatto ed anche Josel sembrava esserne consapevole. Quella fu comunque una grande prova di fiducia per lei.

«Kathrein, dovresti essere molto più accorta quando parli in questo modo del Reich. Sopratutto con uomini come noi. Non tutti sono tolleranti o comprensivi, quasi nessuno» il sorriso che le regalò fu sincero e genuino. Kathrein pensò che fosse proprio il cenno di rassicurazione e protezione che stava attendendo da parte di qualcuno dopo che quella donna era uscita dal suo scompartimento.

Si sentì così in confidenza con Josel che, per un attimo, credette di poter vederlo aldilà di quella divisa militare e potersi gettare tra le sue braccia e allontanarsi per sempre dalla società ariana così terribilmente cieca e manipolata.

Quella svastica, però, restava cucita sull'uniforme e, in qualche modo, anche sulla pelle dell'uomo. Sebbene non fosse favorevole a tutte le scelte del nazionalsocialismo, le aveva confessato che per altre si sarebbe dibattuto fino alla morte anche lui.

«Tu hai mai eseguito un plotone di esecuzione?» la sua domanda uscì così, spontanea e impossibile da trattenere.

L'uomo scosse il capo e fissò fuori dal vetro, mentre i suoi occhi si assottigliavano per capire dove si trovassero. 
Doveva conoscere bene quelle campagne, pensò la ragazza ricordandosi poi che era proprio lì che avvenivano i primi addestramenti militari molti anni prima.

«Non ne ho mai comandato uno personalmente»

«E il maggiore Schulze?» chiese senza mettere freno alla sua lingua troppo lunga.

«Lui sì, ma come surrogato» rispose con noncuranza il ragazzo, mentre riportava lo sguardo sul suo viso.

«In che senso?» domandò ancora Kathrein con un'espressione evidentemente confusa.

«Di solito le esecuzioni vengono comandate dallo standartenführer Schneider. In sua assenza, il compito è assegnato al suo sotto grado il maggiore Schulze e, nel caso in cui non dovesse esserci neanche lui, toccherebbe a me» le spiegò con pacatezza l'uomo.

Sebbene la risposta fu molto esauriente ed esaustiva, lei si era fermata soltanto alla prima parte e, prima ancora che Josel potesse finire di parlare, si era ritrovata a sussurrare semplicemente un:

«Diedrich»

L'uomo la guardò interdetto, chiedendosi se lei lo conoscesse.

«Si, lo conosci?»

Oh sì. Fu quello che affermò la vocina nella sua testa.

Nonostante le dispiacesse dire una bugia ad un uomo che era stato così totalmente onesto con lei, decise di mentire. Se davvero non sapeva di lei e Diedrich, com'era ovvio che fosse per un militare che si limitava a svolgere le sue mansioni senza interessarsi ai gossip e alle relazioni dei suoi colleghi, avrebbe potuto sfruttare la situazione a suo vantaggio per farsi dire qualcosa.

Solitamente sua madre e suo padre non le davano mai notizie effettivamente concrete del suo fidanzato e, sebbene pensasse che lo facessero per non ferirla o per proteggerla, il loro silenzio le faceva doppiamente male.

Tutti avevano troppa paura di ferirla, come se fosse stata fragile come una bambola di porcellana che si sarebbe potuta infrangere. Tuttavia il soprannome "bambolina tedesca" che le era stato attribuito in Francia, rispecchiava di più la sua freddezza ed era consapevole che nulla avrebbe potuto spezzarla, come le aveva insegnato suo padre. O almeno così credeva.

Se non avesse parlato del suo coinvolgimento emotivo con Diedrich, Josel certamente non si sarebbe preoccupato di ferirla con qualche dettaglio in più sul suo viaggio in Italia o su cosa stesse facendo in quel periodo.

Si stava cacciando in un grosso guaio, lo sapeva, ma la situazione gli imponeva quell'unica soluzione. Si sentiva male a mentire a Josel, ma aveva il diritto di sapere e adesso le veniva offerta un'occasione per scoprire di più.

«Kathrein tutto bene?»

«Cosa? Oh sì, sì certo. Comunque no, non conosco personalmente l'ufficiale Schneider. So però che era un uomo molto vicino a mio padre» assentì con un tono fintamente incurante.

«Lo è ancora» affermò il capitano.

Bingo, pensò Kathrein.

Josel, senza saperlo, le stava fornendo informazioni che bramava di sapere da molto tempo e con una facilità incredibile.

«E come mai allora non è a Berlino?» benché si sforzasse di apparire estranea ai fatti, la curiosità trasudava dal suo tono e, senza accorgersene, anche il suo corpo si era leggermente proteso in avanti.

«Il generale Bergmann ha ritenuto indispensabile mandarlo in Italia per concludere affari estremamente importanti con Mussolini. Ad ogni modo, l'ufficiale Schneider ha la facoltà di prolungare la sua missione fino a quando lo desidera se lo ritiene necessario» la sua espressione apparve fin troppo divertita su quelle ultime parole e mise in guardia il cuore di Kathrein da una bella batosta.

I campanelli d'allarme che si erano attivati come sentori di sicurezza nella sua testa, però, furono ignorati dalla ragazza che, sebbene sentisse una voragine aprirsi nel suo stomaco, chiese di più.

«Quindi è l'ufficiale a non voler tornare?»

Josel scoppiò a ridere e, nonostante non lo facesse di proposito, Kathrein lo trovò fastidioso.

«Chi non vorrebbe soggiornare quanto più a lungo possibile in Italia, Kathrein? Quel paese è il paradiso. Buon cibo, buona musica e soprattutto belle donne. Alcuni in giro dicono che l'ufficiale Schneider se la spassi tutte le notti con Edda, la figlia del Duce. Ma che molte altre donne fanno follie per presentarglisi e catturare la sua attenzione. Le donne italiane sono molto furbe, ma anche ingenuamente attratte dalla divisa e non le biasimo per l'attrazione che provano verso un uomo potente come lui. Ad ogni modo sono solo voci e non me ne interesso più di tanto, ma ho conosciuto molto bene Diedrich e non mi riuscirebbe così difficile credere che siano vere»

Quelle parole furono la pugnalata più dolorosa che le fosse mai stata inferta e la destabilizzarono così tremendamente da farla sentire svuotata. Il rumore dei cocci del suo cuore che si infrangevano le fece capire perché i suoi genitori avessero paura di ferirla.

Ad ogni modo, si chiese se suo padre sapesse di questa voce. Ma era ovvio che fosse così e, sebbene spesso Diedrich stesso le aveva detto di ritenere indegno il comportamento indecoroso di molto ufficiali che andavano a letto con chiunque, aveva terribilmente paura che quella voce non fosse solo una diceria.

Ogni storia ha un fondo di verità e non nasce dal nulla più assoluto. A suo padre non importava che il suo onore venisse così umiliato o semplicemente il loro fidanzamento non era stato ancora ufficializzato perché sia lui che Diedrich sapevano quanto l'astinenza di un uomo in viaggio potesse prendere il sopravvento? Anche Heinfried aveva tradito sua madre nei suoi lunghi viaggi lontani da casa?

Il pensiero le rivoltò le budella e la costrinse a stringere un pugno lungo il fianco. Il rumore delle unghia che graffiavano il sedile risuonarono nell'esiguo spazio.

Così Diedrich aveva avuto già la possibilità di tornare e non lo faceva per una donna?

Alcune lacrime minacciavano di uscire dai suoi occhi, ma fu ben attenta a nasconderlo o avrebbe dovuto dare spiegazioni a Josel ed era l'ultima cosa di cui aveva bisogno.

Forse l'aveva dimenticata? Forse amava quella donna più di come amava lei? Ammesso che l'avesse mai amata. Forse era per quella Edda che non tornava da lei? L'aveva così tanto stregato dal convincerlo a stare lontano dalla sua amata patria per così tanto tempo? Ed i suoi stupidi regali costosi cosa erano valsi per lui? L'unico valore che aveva attribuito a quella collana erano i soldi spesi e nessun sentimento?

Quel vortice di domande martellava insistentemente e tutte insieme nella sua testa, senza trovare risposte o darle il tempo di formulare un pensiero concreto. Si impose comunque di rimanere calma e mantenere un certo contegno, non si sarebbe dimostrata debole a nessuno.

Lei aveva mantenuto la promessa, l'aveva aspettato. Sebbene il ricordo della conversazione avvenuta quella notte con Schulze l'avesse fatta sentire in colpa per molte ore, adesso le sembrava una così sciocca banalità.

Le sembrò sempre più strano che Diedrich adottasse atteggiamenti indecorosi solo per una donna e, questo, la ferì di più. Il fatto che per amore di una donna mettesse da parte la sua regale durezza militare la colpì come una frustata in pieno viso. Per lei non avrebbe mai messo da parte il suo lavoro, non l'aveva mai fatto.

Ipotizzò, comunque, che Diedrich avrebbe potuto avere un duplice motivo per andare a letto con una, ammettendo che fosse l'unica, donna.

La prima era quella a cui aveva già pensato, cioè che l'astinenza l'aveva spinto così profondamente tra le braccia di una donna di cui poi si sarebbe sinceramente invaghito.

La seconda, poi, fu quella a cui avrebbe voluto dare maggior credito. Diedrich non si sarebbe fatto scrupoli ad andare a letto con una donna per ottenere informazioni di vitale importanza per la sua Germania. Ad un uomo come lui non importava quanto oltre dovesse spingersi, purché ciò potesse ritornare utile al Reich tutto era lecito e concesso. Il fatto che si trattasse proprio di una donna così vicina al Duce diede speranza a questa congettura.

Sebbene ciò dovesse in qualche modo sollevarla dal fatto che lui non le fosse sinceramente interessato, il pensiero di un'altra che scopriva il corpo del suo fidanzato la devastò troppo per non ammettere già adesso di esserne innamorata.

Adesso, infatti, lo ammetteva a se stessa, prima ancora di rivederlo. Lei lo amava, ma ora a cosa sarebbe servita quella rivelazione per riparare alla crepa che inevitabilmente si era creata tra loro?

Quell'ammissione la fece sentire così ingenua e stupida per essersi fidata di un uomo come Diedrich. Forse il maggiore Schulze aveva ragione sulla sua mania di fidarsi di chiunque.

Adesso si sentiva come smascherata, debole e vulnerabile. Si impose, però, di aspettare la conferma di quella voce e, se si fosse rivelata fondata, avrebbe immediatamente chiuso il suo rapporto con Diedrich. Non importava quanto dolore le avrebbe causato o se i suoi genitori avrebbero tentato di ostacolarla, l'ultima parola spettava comunque a lei.

Poco dopo il treno si fermò e un sonoro fischio annunciò la fine di quell'interminabile viaggio.

Una volta scesa dal treno, si ricordò di Hellen e la cercò con lo sguardo. Non la trovò, ma decise comunque che avrebbe custodito la sua collana nel portagioie della sua stanza. Le vie del Signore erano infinite e, forse, un giorno l'avrebbe rincontrata nella grande e gelida Berlino. Nonostante il simbolo di quella collana non le dicesse niente, le sembrava di grande valore e, sicuramente, la sua proprietaria sarebbe stata dispiaciuta della sua perdita. Kathrein non si sarebbe mai permessa di gettarla via.



 

Si strinse nella sua pelliccia, combattendo il freddo che a Berlino aveva già investito la popolazione. Ammirò la freddezza regale delle case tedesche che poteva scorgere in lontananza e si disse che erano così diverse dal colore della campagna parigina.

Scacciò quei pensieri e si ripromise di non fare mai più simili paragoni. Per quanto nella, la sua avventura in Francia era terminata per sempre e adesso si sarebbe dovuta dedicare ai suoi doveri. Perciò si avvicinò ai due militari che l'attendevano.

L'ufficiale Schulze non le rivolse più una parola e, nonostante avesse dimostrato un certo interesse per lei all'inizio, adesso sembrava sollevato di aver quasi portato a termine il suo compito ed essersi quasi liberato di lei.

Quella consapevolezza le fece male e non seppe dire perché, ma la sua mentre la riportò alla foto con quella donna che aveva visto la sera prima quando gli aveva portato la cena. Forse non vedeva l'ora di rivedere la sua donna.

Un moto di gelosia la colse di nuovo, ma lo soppresse perché i tentennamenti erano l'ultima cosa di cui aveva bisogno in un periodo già così instabile ed incerto della sua vita.

Qualcos'altro, però, le fece ancora più dolore nel petto: Diedrich non era fuori dalla stazione ad attenderla con un sorriso, uno dei pochi sinceri che gli aveva visto riservare solo a lei, appoggiato alla macchina nera sempre lucida, come tutte le altre volte.

Forse, si disse, non l'avrebbe mai più scorto fermo ad attenderla sorridente in nessun'altra situazione.

Con quel peso sul cuore si avviò verso la macchina che li attendeva per riportarli nella tenuta della sua famiglia.

Respirò profondamente prima di salire sull'auto di ufficio, pronta a ritornare alla sua vecchia vita o, forse, a metterle un punto ed affrontarne una nuova.





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