Nakovrar — Vermiglio

di Ormhaxan
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Lucien raggiunse le stanze private quando era già l’alba.
Quella trascorsa, così come le precedenti, era stata una notte lunga e difficile, fatta di domande senza risposte ripetute ancora e ancora come una filastrocca perversa e torture che, molto spesso, non avevano provocato neanche un urlo di dolore o protesta, una singola richiesta di misericordia.
Lucien, in ogni caso, non ne avrebbe riservata alcuna.
Non era la prima volta che il bræstven interrogava dei Sýrin, negli anni successivi all’ascesa al trono di Lorhanna c’erano state numerose battaglie tenutesi al confine con il Nord, nella sponda sud del fiume Marén, il fiume Azzurro che divideva i due regni e, come in ogni battaglia, molti erano stati i progionieri da entrambe le parti. Prigionieri che non avevano più rivisto la propria terra natia.
Nota, oramai, era per lui la caparbietà dei ribelli, la loro forza molto simile alla stoltezza nel non piegarsi, nel rimanere fedeli alla causa fino al loro ultimo respiro; nota era la loro volontà di affrontare la morte senza paura, senza incertezze, senza mai spezzarsi.
Eppure, lui continuava a provarci. Prima o poi, ne era sicuro, li avrebbe piegati tutti e avrebbe posto fine a quella razza innaturale e abominevole.

Aprì la pesante porta che dava sulla stanza da letto, desideroso di dormire per qualche ora e bearsi del calore della persona con cui, da molti anni ormai, divideva il suo letto, fermandosi bruscamente quando notò con disappunto che il suo lato del suddetto letto era già stato occupato.
Una parte di lui avrebbe voluto urlare nel vedere quella disgustosa scena promiscua, sguainare la spada che ancora pendeva dalla cintola legata alla sua vita sottile, ma fu il suo lato più freddo e composto ad avere come sempre la meglio.
Impassibile e silenzioso come un felino camminò con passo felpato fino alla finestra nascosta da pesanti tende di velluto e broccato scuro, scostandole con un movimento secco del braccio per far entrare la luce del sole che, prepotente, si andò a schiantare con un raggio obliquo contro i corpi degli amanti profondamente addormentati.

«Ma cosa?» sentì borbottare da sotto le candide coperte, dalle quali fece capolino una zazzera di capelli neri arruffati e un volto pallido che Lucien conosceva da sempre.
«Lucien? — continuò nervosamente la figura, mettendo a fuoco la sagoma dell’altro che, in penombra, troneggiava accanto alla finestra — Non ti aspettavo…»
«Sì, lo vedo. — concordò il biondo con voce atona, inclinando leggermente la testa in direzione del giovane ragazzo dai capelli color del carbone e la pelle olivastra ancora addormentato — Fai uscire quella feccia da qui entro due minuti oppure ci penserò io a trascinarlo fuori.»
«Svegliati! — sentendosi scuotere per una spalla il ragazzo aprì gli occhi, guardandosi attorno leggermente perplesso, cercando di capire il motivo di quel brusco risveglio — Devi andartene, ora!»
«Credevo… — le parole del giovane ragazzo morirono sul nascere quando, un momento dopo, si girò e notò l’imponente figura ancora immobile nella penombra dietro di loro — Yvjórsekk
«Sei sordo, ragazzo? Fuori di qui se non vuoi che chiami i miei uomini e ti faccia trascinare nelle prigioni, rinchiudere insieme a uomini che, lo giuro, godrebbero in svariati della tua presenza.»
Gli occhi scuri del ragazzo si riempirono di terrore e, sgusciato dal letto e raccolti frettolosamente i vestiti sparsi sul pavimento, abbandonò la stanza da letto senza aggiungere una parola.

«Sei in collera con me?» l’esile figura scivolò giù dal letto con la sensualità di un gatto, dimentico e affatto timido della sua nudità, avvicinandosi con passo lento al biondo.
Lucien osservò i suoi tratti, i lineamenti di quel volto che conosceva a memoria; erano così diversi dai suoi, spigolosi e severi, così armoniosi ed eleganti, alle volte persino regali.
«No. — rispose Lucien, impassibile, rinchiudendosi come sempre faceva dietro la sua maschera granitica — Sono solo molto stanco e seccato.»
«Ti ho aspettato per tre notti e non sei mai venuto; ero annoiato, infastidito, così ho deciso…»
«So perfettamente cosa hai deciso: almeno ne è valsa la pena?»
I due si guardarono per un lungo momento, occhi verdi negli occhi ambrati, gelosia contro rimorso, desiderio contro orgoglio.
«Non lo so. Prima del tuo arrivo ho creduto di sì, ma adesso…»
«Sai bene che non mi devi niente, come io non ti devo nulla. — ricordò Lucien, ben sapendo di aprire una piaga che non si sarebbe mai del tutto chiusa, di dire una verità che nessuno voleva ascoltare — Siamo quello che siamo e in ogni caso dubito che ci potrebbe mai essere più di questo.»
«Questo non è abbastanza? — un sospiro e una risata amara — Lascia perdere, non importa. Mi sei mancato, Lucien.»
Lucien strinse la mano poggiata sul suo petto con la propria, avvicinando pericolosamente il viso all’altro, fronte contro fronte. Chiuse gli occhi per un momento, respirò profondamente il profumo dei capelli scuri che si andarono ad accostare ai propri e, senza dire nulla, unì famelico le sue labbra sottili a quelle carnose dell’altro.
«Mi sei mancato anche tu, Damien. — sussurrò sulle labbra del suo amico e amante — Mi sei mancato, ma a momento puzzi come una puttana di un bordello e non sopporto la tua vicinanza.»
Damien si allontanò dal biondo come fosse stato scottato dal fuoco vivo di un camino: «Lucien…»
«Chiedi ai servi di portare una tinozza e dell’acqua calda, lavati da capo a piedi e solo dopo torna da me. Solo dopo, quando non avrai più l’odore di un altro uomo addosso, prenderò in considerazione di dividere nuovamente il letto.»



Dopo, rimasero entrambi distesi sull’ampio letto al centro della stanza dal soffitto affrescato, cercando un sonno che non riusciva ad arrivare.
La mente di Lucien era turbata, neanche la vicinanza di Damien, del suo caldo corpo nudo accanto al proprio, era riuscito completamente a scacciare i pensieri che l’affollavano e sapeva che il moro ne era consapevole: il giovane uomo conosceva Lucien da quando era un bambino pelle e ossa, negli anni aveva imparato a capirlo e leggere ogni sua piccola mossa o almeno così gli piaceva pensare.
Il capo della Fratellanza era consapevole di essere un mistero per tutti, alle volte lo era persino per il suo amante e per Lorhanna, mostrava solo quello che voleva mostrare e solo a chi voleva mostrarlo.
«Cosa ti turba? — chiese pacatamente Damien — Sono i Sýrin, Serghej e la sua feccia?»
Lucien aggrottò la fronte: «Come fai a sapere di Serghej?»
«Credi di essere l’unico ad avere delle fonti nel castello? — canzonò il moro mentre continuava a picchiettare giocosamente il petto nudo del biondo con la punta delle dita — Buffo, non trovi? L’ultima volta che è stato qui lo hanno accolto con ogni onore, quasi fosse un eroe, mentre adesso…»
«Ha avuto l’accoglienza che si meritava. — concluse Lucien — Sai, non sembra essere invecchiato di un giorno.»
«Cosa ti aspettavi? Un uomo con le prime rughe e i capelli grigi? — chiese piccato Damien, portandosi a sedere e cercando lo sguardo ambrato dell'altro — È un dannato Sýrin e, come entrambi ben sappiamo, il loro tempo non è il tempo di un qualsiasi uomo. Se dipendesse da loro, vivrebbero duecento anni, tormentando così non solo noi, ma anche i nostri figli e i nostri nipoti.»
«Per quanto mi riguarda, intendo vivere per più tempo possibile, tanto quanto loro. — sussurrò Lucien, utilizzando un tono così basso che solo Damien riuscì appena ad udirlo — E tu, mio caro, vivrai al mio fianco.»
Damien sorrise e, chiuandosi su di lui, lo baciò con trasporto. Tutto quello che desiderava, che aveva sempre desiderato, era una vita con Lucien, l’uomo che amava da tutta una vita, per cui aveva messo in gioco se stesso, andando contro ogni buon senso.
Sebbene la loro relazione fosse ufficialmente un segreto, a Yvjóstafir moltissimi conoscevano l’identità di colui che riscaldava il freddo letto del fratello della sovrana da più di un decennio; nessuno, in tutti quegli anni, aveva contestato quella relazione, troppo impauriti dalla reazione di Lucien, dal suo potere e dalla sua inclinazione a non perdonare — o dimenticare — le offese.
Dopo tutto, il Bræstven non era il primo e di certo non sarebbe stato l’ultimo membro della famiglia reale a prendere come amante una persona del suo stesso sesso; come lui, anche molti nobili in tutta la città si dilettavano con ragazzi o ragazze, molti dei quali erano dei semplici servi, ma a differenza di Lucien questi ultimi non ne facevano segreto, forti di una società tollerante e fin troppo propensa a chiudere un occhio sul dubbio consenso da entrambe le parti.
La lingua del biondo carezzò l'altra per un ultima volta, scostandosi piano mentre con una mano scostava una ciocca di capelli ondulati. Piano, lo fece accoccolare nuovamente sul suo petto e, tenendolo stretto, Lucien riprese ad osservare distrattamente il baldacchino sopra di loro.
«Sýrin o meno, Serghej morirà allo scoccare della tredicesima campana, quando il sole raggiungerà il suo massimo in cielo. — riprese Lucien dopo un lungo momento di silenzio — È già tutto organizzato, Lorhanna ha concordato che la sua morte sarà un monito e un esempio per ogni ribelle: domani, l’uomo — orso sarà solo un ricordo, un nemico in meno, un corpo senza vita proprio come colui che ha servito e amato come un fratello; come il bastardo a cui quella sciocca di mia sorella ha concesso non solo la sua fiducia, ma anche il suo cuore.»
«E i suoi segreti… — aggiunse Damien, pur sapendo che quella era una verità che Lucien non voleva ascoltare — Loro sanno, tutti loro conoscono ciò che molti a Ovest sospettano soltanto e se…»
«Basta! — Lucien zittì l’altro coprendogli la bocca con una mano callosa — Non una parola di più, Damien o giuro che uscirò da questa stanza senza voltarmi mai indietro.»
«Non lo faresti mai!» esclamò Damien, arrossendo vistosamente, sentendosi improvvisamente sciocco come un ragazzino, pauroso come un ragazzino.
«No? Allora evita di mettermi alla prova. — con un dito tracciò il profilo del moro, scostandogli nuovamente una ciocca di capelli dispettosa e portandola dietro un orecchio in un gesto affettuoso — Basta parlare adesso. Baciami.»
 



**



Rimasto da solo, Damien si preparò ad affrontare la restante parte della giornata.
Era rimasto a letto insieme a Lucien fino alla scoccare della decima ora, dopo la quale il biondo amante aveva abbandonato le morbide coperte, si era rivestito senza dire una parola e aveva lasciato la stanza.
Sapeva che lo avrebbe rivisto molto presto, anche se in veste di capo della Fratellanza e non di suo amante; sapeva che, seppur vicino, Lucien sarebbe stato dolorosamente lontano da lui e nessuna parola sarebbe stata scambiata.
In silenzio, permise ai suoi servi di attenderlo e vestirlo di tutto punto con dei pantaloni al ginocchio attillati, una tunica dalle maniche a sbuffo e un gilet di raffinate sete e broccati color dell’oro abbinato ad una elegante inquartata nera.
Sin da piccolo, sin da quando aveva memoria, aveva amato i bei vestiti, i balli in maschera, il lusso della corte di Yvjór; sin da piccolo, aveva imparato come comportarsi, come approcciarsi alle situazioni, cosa dire o cosa non dire in determinati momenti.
Aveva studiato al fianco di Norhanna e Lorhanna, le sue sorelle non di sangue, che lo avevano trattato sempre con gentilezza nonostante tutto, nonostante fosse figlio di un lord minore caduto con il resto della sua famiglia per difendere l’estremo Nord del regno.
E poi, prepotente, alla vigilia del suo decimo compleanno era arrivato a corte Lucien e tutto era cambiato…
 
Ricordava ancora il loro primo incontro, ogni volta che ripensava a quel giorno il suo cuore batteva forte nel suo petto e le sue gote si imporporavano: Lucien era giunto nella Capitale per entrare a far parte della Fratellanza, aveva lasciato la sua dimora in campagna per prendere il posto a lui designato in quanto figlio bastardo del sovrano; Damien era arrivato a corte da soli due anni, conosceva solo di nome il diciottenne Lucien che, ai suoi occhi, era immediatamente divenuto il giovane più elegante e bello che avesse mai visto.
Lucien aveva i colori di sua madre, una lady che tutti avevano sempre definito come bellissima e amabile, eppure nei suoi tratti spigolosi si poteva intravedere chiaramente il lignaggio reale, la somiglianza con re Mikæl.
Si erano baciati per la prima volta a un mese dal suo diciottesimo compleanno, sei mesi dopo la morte del sovrano e a poche settimane dall’ascesa al trono di Norhanna; si erano baciati nell’oscurità della sera, assaporato senza fretta e per la prima volta l'uno la bocca dell'altro tra le siepi sempreverdi, lontano da occhi indiscreti. Per anni il moro aveva represso i suoi sentimenti, nascosto il suo amore che molti in città e nel regno ritenevano disonorevole per due nobili come loro, ma quando quella sera il biondo comandante lo aveva preso per mano e lo aveva condotto tra le ombre danzanti della notte ogni cosa era profondamente cambiata. Da quel momento, forse ancor prima di quel momento, Damien aveva amato incondizionatamente solo e soltanto Lucien — aveva continuato ad amarlo nonostante tutto.

«Milord, — una delle sue serve lo destò dai suoi pensieri, dal suo passato — tutto è pronto. La regina Lorhanna chiede di voi.»
Damien chiuse gli occhi, scacciando suo malgrado quei dolci ricordi impressi nella sua mente, e annuì: «Arrivo.»



 

*






Angolo Autrice: Hola, gente! Prima che qualcuno possa dire qualcosa su quello che, forse, potrebbe essere considerato un finale infodump, vi dico solo che narrare il passato tra Damien e Lucien non è inutile, anzi ha una sua finalità e serve per capire meglio un personaggio complesso come sarà Damien.
Detto ciò, spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi abbia sorpreso seppur di passaggio. Ringrazio, infine, tutti coloro che fino a questo momento hanno letto la storia e hanno deciso di seguirla e/o recensirla.




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