The One.

di Melissa88
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‘Ehi..’
Un sussurro dolce mi destò dal sonno e mi riportò alla realtà. Feci una smorfia con le labbra, e mi girai su un fianco sapendo che lei era là. La avvolsi attorno alle mie braccia e la strinsi a me. Sentii la sua schiena nuda contro il mio petto e sospirai per quel contatto così piacevole. Sentii la sua mano avvolgere la mia e il suo bacino avvicinarsi. Si muoveva piano, con circospezione, roteando e muovendo quel suo didietro divino come solo lei sapeva fare, mentre io facevo l’ignorante di turno e rimanevo fermo. Beh, non tutto rimase fermo.
‘Buongiorno..’ – le sussurrai all’orecchio, una volta che decisi di aprire li occhi e accorgermi che le nostre mani, ora, erano sulle sue mutandine. Sorrisi e seppi che quel giorno sarebbe andato tutto bene. O almeno così credevo.
Voltò la testa e i suoi occhioni mi guardarono con un misto tra dolcezza e desiderio. Mi sorrise e si avvicinò piano alle mie labbra, accarezzandole senza toccarle veramente. Le piaceva giocare, era quello che mi aveva conquistato di lei. Era sensuale al punto giusto e dannatamente eccitante quando decideva che l’avrei posseduta. Mi baciò l’angolo delle labbra e scese lungo il collo. Mi uscì un mezzo gemito quando, ritornando verso le mie labbra, decise di usare la lingua per accarezzarle. Sentii le sue labbra aprirsi in un sorriso, e in un istante, la mia mano si divincolò dalla sua per abbassare le mutandine e farle fare, questa volta a lei, un gemito di sorpresa e piacere. In un attimo, le sue mani erano tra i miei capelli e le sue labbra mi furono concesse. Tolsi le coperte, che non sarebbero servite a niente, adesso, se non a farci perdere tempo. Lei se ne approfittò per salirmi sopra e dare il via a quello che sarebbe stato un buongiorno degno di questo nome.
La mattina la passammo così, tra lenzuola sporche, magliette rubate assieme a sorrisi e chiacchere che riempivano il silenzio di quella stanza. Quando, alla fine, decidemmo che era ora di prendere aria, il campanello suonò.
‘Aspettavi qualcuna?’ – eravamo sul divano, in quel momento. Le sue gambe erano poggiate sulle mie, mentre lei era stesa per metà e io ero seduto a guardarla. Non si fidava di me, non so se lo avrebbe fatto mai. Avevo accettato questa parte di noi, ma ciò non fece perdere al mio un cuore un battito quando, invece il maschile, usò il femminile in quella domanda.
Aggrottai le sopracciglia e rimasi fermo a guardare la porta chiusa che reclamava di essere aperta da qualcuno, che io non aspettavo minimamente. Pensai fosse mia sorella o persino mia mamma, in un primo momento. Ma, quando il campanello suonò di nuovo, non fui del tutto certo. Lei, d’altro canto, spostò le gambe e si alzò dal divano per andare a spiare dallo spioncino. La seguii poco dopo e la trovai immobile di fronte alla porta. Le misi una mano sulla spalla e quando si girò, notai del terrore nei suoi occhi. Non parlammo. Non voleva farlo. Avevo imparato a conoscerla e sapevo che non era il caso di fare qualcosa in questo momento. Così la scostai dalla sua postazione e vidi chi, per la terza volta, suonò il mio campanello. La guardai e lei se ne andò in camera. Sentii la porta chiudersi, mentre io la aprivo e lo vidi.




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